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Autore: HeartSoul97    05/08/2013    1 recensioni
Questa storia è solo la mia personale riscrittura del mito di Piramo e Tisbe. Dei due sfortunati amanti ai cui Shakespeare si ispirò per i suoi Romeo e Giulietta. Una storia d'amore nata a Babilonia secoli fa, conclusasi in tragedia. La storia che dà colore alle bacche di gelso. Buona lettura.
Genere: Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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                                                                   Il colore delle bacche di gelso
 

Era mezzanotte. Tutto, nella casa, taceva. Per Piramo, quello era il momento ideale.
Si accostò vicino al muro che conosceva bene, dove sapeva esserci una piccolissima crepa. La sua salvezza dall’oppressione dei suoi parenti. La sua via d’accesso alla sua amata Tisbe.
Quella era la sera programmata. Dopo tanti ripensamenti, avevano deciso di fuggire.
«Piramo?» la voce dall’altra parte del muro lo distolse dai suoi pensieri.
«Sì. Tra un’ora, al gelso fuori città». Sentì, lievissimi, i suoi passi che si allontanavano. Anche lui andò via, a prepararsi. Un’ora, e sarebbe stato libero.
 
Tisbe prese tutto quello che le poteva servire nella sua stanza, veloce e silenziosa. La tunica porpora. La collana d’oro e il bracciale di sua madre. E soprattutto, il velo, quello che le aveva regalato Piramo. Quello che li aveva fatti scoprire, che li aveva costretti a sentirsi attraverso una crepa nel muro e che adesso li incitava alla fuga. Fuggendo, ci sarebbe stato posto per il loro amore. Non ci sarebbe più stato un muro a dividere il loro baci.
Silenziosa, uscì fuori dalla casa.
La città era deserta. Tisbe si strinse nel velo, cercando di attutire il rumore dei suoi passi che riecheggiava nelle vie. Attraversò tutta la città, fino al gelso. Accanto alla tomba dell’uomo che avevano seppellito lì chissà quanto tempo prima. Vicino alla bella fonte d’acqua, fresca e sicura.
Si sedette sotto il grande fusto dell’albero e aspettò.
Fu il fruscio delle foglie a metterla in guardia. Foglie spostate da qualcuno, o qualcosa.
«Piramo?». Nessuno rispose. In pochi attimi un ringhio decisamente non umano uscì dal fogliame.
Una leonessa si fece strada verso la fonte. Le fauci erano imbrattate di sangue. Tisbe, spaventata, cercò di scappare senza far rumore.
Aiuto, pensò, sapendo che non sarebbe mai arrivato. Eppure, lì vicino scorse un antro. Ringraziò gli dei e corse via, senza curarsi del velo che il vento le aveva strappato. Non era importante quanto la vita, in quel momento.
La leonessa finì di bere. Quando vide il velo che il vento aveva portato da lei, con ferocia cominciò a graffiarlo e a sporcarlo di sangue, del sangue delle sue fauci che l’acqua non aveva lavato via. Poi se ne andò, ma Tisbe, non potendolo sapere, non osò uscire dal suo antro.
 
Piramo giunse al gelso, ma di Tisbe non c’era traccia. Per terra, notò delle impronte. Erano impronte facili da riconoscere. Impronte di leonessa. Impallidì, con un brutto presentimento nel cuore.
Quando vide il velo, il bel velo di Tisbe stracciato e macchiato di sangue, la disperazione prese il controllo del suo cuore. Lo baciò più volte, lo bagnò delle sue lacrime; implorò il perdono, perché era stato lui a chiederle di venire in un luogo buio, senza la possibilità di vedere i pericoli.
Affranto, portò il velo sotto l’albero stabilito. Implorando il perdono, trasse la spada e si trafisse il ventre, bagnando il velo anche del suo sangue. Le bianche bacche di gelso che erano a terra si colorarono di rosso, e il ragazzo giacque supino per terra.
 
Tisbe uscì dal suo antro, timorosa di incontrare ancora l’animale. Ma doveva vedere Piramo, in ogni caso, per fuggire con lui e raccontargli i pericoli che aveva incontrato.
Giunse all’albero, e il suo cuore perse un battito.
 
Piramo era lì disteso, che sussultava. Del sangue usciva copioso dal suo ventre. Tisbe corse da lui, pensando alla leonessa. Ma poi vide il velo, il suo velo, e capì.
«Piramo… Piramo… è la tua amata Tisbe che ti chiama… svegliati! Solleva il tuo volto! Apri gli occhi!» disse, baciando il volto dell’amato, mescolando il sangue alle lacrime.
Piramo, al suono della voce di Tisbe, gemette e aprì gli occhi. Riconobbe la sua amata, e poi rimase immobile.
La donna pianse, e pregò.
«Oh infelice, che per il mio amore hai trovato la forza di sollevare la spada! Ma anch’io sono forte, per un colpo mortale. Io seguirò il morto, e diranno che io sono l’infelicissima causa e compagna della tua morte. Miserabili parenti, che in ogni modo ostacolarono il nostro amore, adesso saranno costretti a vederci morire vicini! E tu, albero testimone della morte di uno, adesso sarai testimone della morte di due; fa’ che i tuoi bianchi frutti ricordino a tutti la morte di entrambi, dipingili del colore del nostro sangue, in modo che siano frutti adatti al dolore!».
Detto questo, prese la spada ancora calda del sangue di Piramo, e si trafisse il petto con la punta; e giacque accanto all’amato.
Gli dei ebbero pietà dei due giovani, e trasformarono le bacche del gelso da bianche a vermiglie, in ricordo perpetuo del loro amore e della loro morte.
 
 
 

***
Angolo autrice
Salve a tutti, spero che questa storia vi sia piaciuta. Non è un granché, ho solo riscritto il mito di Piramo e Tisbe a parole mie.
Grazie per l’attenzione
HeartSoul97
  
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