RIASSUNTO DEI CAPITOLI PRECEDENTI: Draco ed Hermione sono riusciti a
fuggire dalla trappola tesa da Astoria, alias Summer Layton,
che si è alleata con Pucey e Montague, gli assassini di sua sorella Helena, per
uccidere entrambi dopo aver compreso il legame che unisce i due. Hermione,
ancora parzialmente sotto il controllo dello Zahir che Astoria, con l’inganno,
le ha fatto creare, è senza voce e sotto il pesante rischio di essere
nuovamente controllata dalla Greengrass, che vuole che uccida Draco. Quest’ultimo
l’ha portata a casa di Pansy Parkinson, per proteggerla, prima di recarsi in un
luogo sconosciuto, senza riuscire a parlare con Hermione e senza sapere che la
ragazza è innamorata di lui e che l’effetto dello Zahir è parzialmente sopito.
Draco per aiutare Hermione a tornare sé stessa, ha convocato una sua vecchia
conoscenza, la figlia di Igor Karkaroff, Raissa, che le ha detto che l’unico
modo per tornare libera, sarebbe concentrarsi sull’amore che Draco nutre per
lei. E per farlo, le mostra i ricordi che Draco ha su di lei, conservati da
Blaise Zabini per farli vedere a Serenity, qualora fosse accaduto qualcosa a
Draco stesso. Ma, mentre Hermione sta rivivendo i ricordi di Draco, essi
sembrano scomparire nel nulla. Al suo risveglio, Hermione apprende che cosa
Draco sta facendo: si è rivolto ad un demone, Adamar, per ottenere i poteri
necessari per difendere Hermione e Serenity da Astoria. Il prezzo per tale
demone sono i suoi ricordi di Hermione stessa, la cosa più preziosa che ha, per
questo essi sono scomparsi. Se Draco fallisse la prova oppure decidesse di
ritirarsi dalla stessa, Adamar gli restituirebbe i suoi ricordi. Ad Hermione,
non resta che aspettare che Draco ritorni. Insidiata da Dimitri il fratello di
Raissa ed oramai vicina a perdere le speranze, una sera di pioggia, Hermione
distingue un’ombra nel vialetto d’ingresso della casa di Pansy. È Draco che
misteriosamente è riuscito a tornare. I due finalmente si riuniscono e passano
la notte assieme. Trascorrono dieci giorni assieme di perfetta felicità:
decidono di contattare Harry per rivelargli la loro situazione, ma il Ministro
è ignaro che Astoria abbia una spia nella sua cerchia più fidata. Nonostante i
tentativi di Blaise e Draco, la spia non viene individuata e, quindi, sono
costretti ad usare Daphne Greengrass e una sua passata relazione con il
Ministro, per contattare Harry, in modo che non lo sappia nessuno. Daphne verrà
avvicinata da Pansy, la sera del suo compleanno, quando dà una festa a casa
sua. Nella stessa occasione, Draco chiede ad Hermione di sposarlo: la ragazza,
raggiante, sta per accettare, ma vedendo l’anello con cui Draco la chiede in
moglie, che è lo stesso anello di Helena, crolla e decide di prendersi del
tempo per pensare, dilaniata dal dubbio che Draco non la ami quanto abbia amato
Helena stessa. I due si lasciano momentaneamente, ed Hermione esce nel giardino
della villa. Intanto nel futuro, dopo cinque anni, Hermione è tornata a casa di
Pansy Parkinson assieme a Seth e a suo figlio Alex. Pansy, che adesso è sposata
con Dean, però, non sa dove Draco sia. Dean, però, le rivela che Draco,
cinque anni prima, è andato via da lì con Raissa Karkaroff, la sorella di
Dimitri. Hermione, sempre più vicina a perdere le speranze, ricordando gli
eventi degli anni passati, ripete che la sera del compleanno di Pansy è stata
l’ultima sera in cui ha visto Draco. Quella sera, infatti, Hermione venne
rapita da Dimitri Karkaroff che si era alleato con Astoria, Pucey e Montague,
proprio per separarla da Draco e farne la sua “regina”. La crudeltà e la
determinazione di Dimitri a fare sua Hermione, si spingono al punto di
catturare anche Hayden, l’amico babbano che Hermione frequentava
precedentemente, ferendolo gravemente e rendendolo incapace per sempre di
camminare. Nella sua prigionia nel castello di Dimitri, però, Hermione apprende
di essere incinta di Draco, cosa che spinge Astoria, sterile e desiderosa di
fare suo l’ultimo erede dei Malfoy, cosa che sicuramente le garantirebbe la
possibilità di riavere Draco, a prendere tempo con Dimitri e ad ingiungergli di
non toccare Hermione nel tempo della gravidanza. La ragazza, però, dopo dieci
giorni, viene liberata dalla prigionia da Helder, la sua amica Empatica, Harry
e Ron, ma durante la fuga, batte violentemente la testa, restando in coma per tre
mesi. Al suo risveglio, si trova in Italia, dove gli amici la tengono nascosta,
fingendo persino un matrimonio con Ron, fino a quando Hermione apprende della
morte di Dimitri ed Astoria, potendo tornare in Inghilterra con suo figlio per
cercare Draco. Una traccia per trovare Raissa risiede inaspettatamente in un
incontro che Draco, incalzato da Adamar durante la sua prova, aveva fatto
nell’aldilà: una donna di nome Tatia Krasova gli aveva chiesto di riferire ad
Hermione il suo nome in modo che si ricordasse di lei. Hermione, però, non la
conosce. Cinque anni dopo, tuttavia, Hermione, Dean, Pansy e Seth scoprono che
Tatia Krasova era una profetessa, il cui nome era stato celato e nascosto da
Raissa, strappando la pagina di un libro, testimoniando quindi un probabile
contatto tra le due. Tatia non voleva che Hermione si ricordasse di lei cinque
anni prima, ma in quel momento, alla scoperta del gesto di Raissa. Hermione
riesce a scoprire dell’ultima dimora di Tatia Krasova: era in Finlandia dove
era sposata con un uomo di nome Ilai Radcenko. A casa di Tatia, Hermione trova
una lettera destinata a lei dalla ragazza e scritta ben dieci anni e dove lei
le dice tutto quello che le è accaduto, rivelandole anche che Raissa sente
ancora Ilai di cui è innamorata. Tatia era un’amica d’infanzia di Dimitri e
Raissa, sebbene fosse più piccola di loro, i tre erano cresciuti assieme come
fratelli. Tatia da sempre dotata di un fortissimo potenziale magico, aveva da
sempre attratto l’indole scientificamente curiosa dei fratelli Karkaroff,
specialmente di Dimitri, che ne era ossessionato molto più che innamorato.
Quando però Tatia ed Ilai si erano innamorati, Raissa aveva finito per uccidere
casualmente Tatia e Dimitri le aveva fatto promettere di aiutarlo a fare sua
una donna che suscitasse in lui lo stesso interesse che gli aveva provocato
Tatia, altrimenti avrebbe rivelato ad Ilai il nome dell’omicida della moglie.
Hermione quindi, conosciuta la verità, ritorna in Inghilterra con Ilai, Dean,
Seth e Pansy, ma giunta a casa di Draco, scopre una cosa straziante: Serenity
chiama Raissa mamma. Interrogando con il Veritaserum la bambina, scopre che
Draco sta addirittura per sposare Raissa stessa; distrutta, Hermione decide di
andarsene senza incontrare Draco e di partire per la Finlandia con Ilai, a cui
la lega una complicità sempre più stretta. Ma, alla festa di paese dove è
andata con suo figlio e i suoi amici prima di partire, qualcuno dal palco
chiama il vincitore del secondo premio di una lotteria. Viene annunciato a gran
voce il nome di Serenity, facendo presagire che la bambina non sia ovviamente
da sola. Ma l’attesa di Hermione si rivela vana: Serenity non è con Draco, ma
con Raissa che, pazza di gelosia nell’aver intuito un legame tra Ilai ed
Hermione, usa un Incantesimo per far comparire Dimitri, mai morto e sempre più
ossessionato da Hermione. Le ordina di uccidere Draco ed Ilai e lega Alex a sé
stesso, di modo che qualsiasi cosa gli succeda, accada al bambino: Hermione ha
solo tre giorni per impedire che l’assimilazione diventi definitiva e che
Dimitri non si suicidi, trascinandosi dietro anche il figlio. Tornata a casa di
Draco, Hermione distrutta ricambia il bacio di Ilai, poco prima che Draco
ricompaia nella sua vita.
Capitolo 40 – You weren’t there part 1
Il sonno non mi salva, non mi porta sollievo. Nell’incoscienza ogni
respiro è una pugnalata e ogni sospiro è un ago conficcato nella mia pelle. Non
dimentico, non trovo pace. Continuo ad agitarmi come se fossi avvinta da
milioni di miliardi di tentacoli ombrosi che mi chiudono il fiato. Mi hanno
sepolta viva in una tomba di nebbia, dove non mi è risparmiato il dolore,
sebbene non ne ricordi il motivo. Inferno.
Devo essere all’inferno. Fa caldo, tanto, la pelle si attacca addosso come se
si fosse fatta piccola per il corpo e ho l’impressione di urlare come se mi
stessero lacerando viva.
Ma le parole non escono o peggio nessuno le ascolta.
Attorno a me ne sento altre, di parole. Tutte confuse, tutte ronzanti,
tutte ugualmente insignificanti ed inutili come stracci vecchi.
Ne distinguo solo una, misericordiosa, che si accompagna ad una lieve
pressione sulla mia fronte. Ha un tono duro, sconfitto, colmo di livore. Eppure
si stempera in un accento morbido, soffice, che ha l’odore dell’erba nel mese
di settembre. Dice solo Requiesco. L’incantesimo
per dormire per chi è troppo stanco, distrutto o triste per farlo.
E finalmente riesco a prendere sonno.
Forse cammino da ore, o da anni. Forse cammino
dall’inizio della mia stessa vita: la fronte si imperla di sudore freddo, non vedo
il sole, non sento la luce, eppure il caldo è torrido, soffocante,
insopportabile. Le gambe mi fanno male come se fossero elastici in tensione da
mesi, ho paura che un solo singolo movimento le faccia rompere del tutto,
fuscelli secchi nel vento polveroso.
La cosa peggiore è che non riesco nemmeno a
pensare di fermarmi, continuo a muovermi con l’urgenza della salvezza che
spinge il naufrago a galleggiare nel mare scuro.
Gli occhi sono incollati, non riesco ad
aprirli, le palpebre sono pesanti serrande di ferro ed acciaio calate sulle mie
iridi. Non riesco ad immaginare nulla di quello che avviene oltre i miei occhi
chiusi, ho la percezione confusa dell’aria stagnante di un deserto, quando non
so nemmeno come sia fatto un luogo del genere. Il mio stesso corpo continua a
muoversi, sballottolato a destra e sinistra, senza controllo come se fossi su
una specie di barca malferma. Mi sforzo ancora, ma gli occhi non si aprono. E
non mi fermo. Continuo a camminare, arsa dalla sete e bruciata dal caldo.
D’improvviso, qualcosa di freddo si poggia
sulla mia guancia. È un sollievo immediato, immenso, vitale. Riconosco le
fattezze di una mano piccola, sottile, da donna. Per quanto, però, mi sforzi,
non riesco comunque ad aprire gli occhi e questo mi comunica un ulteriore senso
d’angoscia. Però la mano sul mio viso mi fa fermare e mi dà sollievo, quindi mi
lascio andare al suo profumo di fragola, respirando di avido sollievo. Una voce
argentina, da ragazzina, sussurra con tono lamentoso: “Forse ce l’hai dentro
già adesso…”.
Le parole della donna fluiscono senza peso nel
mio cervello, le perdo appena le ho ascoltate. Le mie labbra spaccate si aprono
piano e biascico, sentendo di stare sanguinando: “Chi sei? Dove sono…? Questo…
è un sogno, vero?”. La mano della ragazza trema un pochino sul mio volto,
mentre dice piano: “Che sia un sogno o meno non implica che non sia reale,
no?”.
“Chi sei?” chiedo ancora, sgomenta, forzando
ancora gli occhi che restano chiusi.
“Sai perfettamente chi sono…”.
La consapevolezza mi avvolge come un manto
fresco, respiro ancora e mi sento più calma: “Tatia?”. La voce annuisce roca,
non lasciando il mio viso.
“Perché sei qui?” mormoro con un filo di voce,
pensando contemporaneamente che l’ultima volta che ho visto una persona defunta
in sogno, era un inganno di Astoria. E se adesso fosse lo stesso?
Se fosse stavolta Raissa ad ingannarmi?
Tatia, però, scioglie subito il mio dubbio,
ribattendo ai miei pensieri nascosti con decisione: “Raissa non ti direbbe mai
quello che sto per dirti adesso…”.
“Che cosa?”.
“Hai già tutto quello che serve, Hermione
Granger…” la voce prosegue senza rispondere alla mia domanda, la pressione sul
mio viso è tiepida e dolce “Hai sempre avuto tutto, Hermione Granger. Solo che
non lo sai, non l’hai mai saputo. Anche stavolta sarà così…”. Mi sento ancora
sbattuta avanti ed indietro come un giocattolo conteso, oscillo senza riuscirmi
quasi a tenere in equilibrio al punto di sentire la nausea. La mano di Tatia
sul mio viso è il solo punto fermo attorno a me. Gli occhi mi lacrimano dalla
voglia di aprirli, un tenue bagliore aranciato compare dietro le palpebre,
mentre l’odore di fragola si fa più forte.
“Io non capisco che cosa vuoi dire…” blatero
affannosamente, le labbra che si spaccano ad ogni mia parola, sento il sapore
metallico del sangue sulla lingua. La mano di Tatia aumenta la sua pressione
sulla mia guancia, come se stesse richiamando la mia attenzione su qualcosa
prima di aggiungere: “Questo luogo… è per i Profeti. Nessuna altra anima
avrebbe potuto incontrarti… ma tante avrebbero voluto farlo. Tantissime…
l’inferno echeggia del loro pianto…”. Continuo a non capire che cosa mi sta
dicendo, la bocca è impastata dalla sete e fatico a restare sveglia.
“Solutio damnationis…” bercia affannata Tatia, come se avesse poco
tempo ma le sue parole continuano a non avere alcun genere di senso per me.
“Non capisco…” ripeto ancora, sentendomi
maledettamente stupida. La polvere soffia addosso alla mia faccia, levandomi il
fiato, tossisco come se stessi per soffocare.
La voce di Tatia diventa improvvisamente
imponente, grave, rimbombante. Il vento aumenta di intensità, la presa della
sua mano sulla mia guancia viene meno e mi sento quasi spostare dal turbine
d’aria. Annaspo non riuscendo a respirare, mentre Tatia urla assieme alle voci
di quelle che mi sembrano centinaia, migliaia, milioni di persone.
“Solutio damnationis!
Solutio damnationis! Solutio damnationis!”.
La nenia infernale diventa ossessiva nel mio
cervello, cerco di ripararmi dal vento come meglio posso, ma alla fine mi sento
trascinare via.
Urlo, cercando di trovare un appiglio, mentre
gli echi di quel canto continuano a rimbombare.
Nell’ombra di un sonno senza pace, sento solo
Tatia dire: “La collana, Hermione… la collana… non togliertela mai…”.
Al risveglio mi accoglie una giornata calda ed afosa, dalla luce
ombrosa e scontenta di un’umidità soffocante. Gli occhi fanno fatica ad aprirsi
e la gola arde di sete repressa: non so per quanto tempo abbia dormito, un
tremendo cerchio alla testa e il tremore nelle membra mi avverte che comunque è
stato troppo poco. Gli echi del sogno fatto tornano ad ondate progressive,
sotto le palpebre ancora chiuse, ma non ricordo granché del contenuto. C’era
Tatia, una serie di voci che dicevano qualcosa che non riesco a ricordare… il
caldo, come quello di ora… e quell’avvertimento sulla collana.
D’istinto, la mia mano scatta al collo dove il ciondolo con la goccia
di sangue è ancora al suo posto.
Il desiderio di una madre per suo figlio.
Quell’associazione di idee mi riporta tutto alla memoria come un film
proiettato in un cinema oscuro: l’incontro con Raissa e Dimitri, il rapimento
di mio figlio. Mi si stringe il cuore come se me lo stessero stritolando,
tossisco come se effettivamente qualcuno mi stesse ammazzando dall’interno. Eppure,
nonostante tutto, ho l’impressione confusa di sentirmi meglio. Il dolore, la
preoccupazione e l’ansia sono sempre lì, basta che getti un’occhiata confusa
per rendermi conto che Alex non c’è ed andare in panico… ma tutto questo,
adesso, è una parte molto più piccola della rabbia enorme che provo. Immensa,
sterminata, da corrodere stomaco e fegato. E la rabbia diventa azione, diventa
volizione, diventa impossibilità assoluta che a mio figlio capiti qualcosa.
Non esiste nessun mondo, nessun universo e nessuna vita, dove a mio
figlio succeda qualcosa di brutto, senza che io non sia morta prima per
proteggerlo.
Respiro profondamente ancora ad occhi chiusi, sono uscita dalla guerra
ed avevo a che fare con il peggior mago oscuro della storia. Avevo da difendere
Harry e Ron, ce l’ho fatta ed avevo solo diciassette anni. Adesso ne ho molti
di più, sono l’ex Capo degli Auror e si tratta del mio bambino. Chiudo i pugni
con ferocia lungo i fianchi, arriverò ad uccidere chiunque si metta tra me e
mio figlio se ciò sarà necessario e non ne proverò nemmeno il minimo senso di
rammarico. Non dovevano farlo, non dovevano coinvolgere Alex… adesso hanno
firmato la loro condanna a morte.
Devo solo capire come riuscire a batterli, ci deve essere un modo
qualunque, deve esistere. Persino Voldemort aveva un punto debole, per loro non
può essere diverso.
Tatia ha detto… che ho già tutto quello che mi serve. E mi ha detto di
non togliermi mai la collana… la sola cosa che mi sembra di avere, adesso, è
questa. Forse c’è un modo per farla funzionare, per invocare il suo potere che
è legato al fatto che io sia la madre di Alex e che adesso ho il desiderio di
trovarlo e portarlo in salvo. Devo solo capire quale.
Un passo per volta, Hermione, un passo per
volta. Non pensare a nulla, non pensare ad Alex per ora, non pensare a quanto
la sua vita dipenda da questo.
È solo un’altra indagine, solo un’altra
ricerca come ne hai fatte tante: ce la farai anche questa volta. Pensa solo a
questo, adesso.
Ho tre giorni: ce la posso fare.
Riapro stancamente gli occhi, accorgendomi solo adesso di essere in
una stanza dalle pareti azzurro oltremare. Guardo distrattamente i muri, la
mente ingolfata da mille pensieri, non riconoscendo nulla che mi aiuti a capire
dove mi trovo. Sono stesa su un letto dalle lenzuola candide, che emanano un
gradevole odore di lavanda. Accanto al letto, un comodino di acero bianco con
sopra una lampada azzurra e un libro chiuso. Seminascosta dal lume, una cornice
dorata con dentro una foto. I miei occhi la guardano senza curiosità, ha i
contorni bruciacchiati e devo strizzare gli occhi nella luce del mattino per
capirne i soggetti. Con un groppo in gola, il cuore che fa un balzo sinistro,
riconosco l’immagine sorridente di Helena ed Amos Diggory.
Sono nella stanza di Draco.
È un attimo, sbagliato ed assolutamente inopportuno, ma non posso
fermare i miei occhi che vagano adesso attenti, nella stanza. È diversa,
completamente, dalla camera che aveva al Petite peste. Ogni cosa qui mi fa
sentire che ha ripreso a vivere, che non esiste per inerzia, che probabilmente
sta bene. Senza di me. Le tende sono
aperte e chiare, ha una finestra su un giardino di betulle, da lontano vede il
mare. Sulla parete di fronte, c’è una grandissima libreria di acero sempre
bianco. Ed anche se i libri non possono parlare, mi trasmettono calore,
vicinanza, abitudine consolidata di leggere ed imparare avidamente curioso.
Sotto alla libreria c’è una piccola scrivania, un computer e dei post it.
Chiamare Tim e confermare per partita venerdì.
Idraulico: 356897868
Pennarelli a cera per Serenity.
Ha degli amici con cui programmare delle partite. Ha delle piccole
scocciature come le riparazioni da fare in casa. Ha dei pastelli da comprare a
sua figlia e di cui magari si dimentica.
Ha una vita normale, serena, tranquilla. E vorrei che questo mi
rendesse felice, mi facesse piacere, mi comunicasse gioia… ma invece mi fa
sentire solo la bocca impastata. Nel fondo dello stomaco, la rabbia aumenta
esponenzialmente, come un turbine di vento che sta per esplodere. Perché di
Raissa non c’è traccia, ma io so che c’è, so che ha dormito qui, so che ha
visto quei libri.
So che c’è lei nei vuoti lasciati da me e da Helena: e io non posso
accettarlo, non ci riesco nemmeno a pensarlo, mi fa persino schifo questo letto
dove forse hanno dormito assieme.
Mi tiro bruscamente a sedere, appallottolando le lenzuola e
scagliandole lontano, chinandomi su me stessa nel cupo rigetto che mi fa venire
voglia di vomitare. Nella parete alla mia sinistra, a cui prima di fianco davo
le spalle, sono appese centinaia di fotografie in bianco e nero. Le guardo con
la coda dell’occhio, piegata in due, una mano premuta sulla bocca.
Ha persino una nuova passione: la fotografia babbana. Forse non
dipinge più. Sono tutte diverse e tutte a loro modo bellissime: lo scorcio di
un albero in giardino; il mare in tempesta; Serenity che si ingozza di
ciliegie… e, mescolate ad esse, come se non ci fosse nulla di strano, ce ne
sono altre che mi fanno stringere il cuore come se scoppiasse.
I suoi nonni. I suoi genitori. Qualche altro parente, distinguibile
per i tratti affilati del viso e i capelli biondi. Compagni di casa a
Serpeverde. Amos Diggory. Helena. Seth. Gli altri del Petite Peste.
Ma non io, assolutamente: non sono nemmeno sullo sfondo di quelle
fatte al Petite Peste. Una è stata fatta la sera del Tourquoise Party, ed io
non ci sono. Ci sono solo lui e Trey. E non c’è nemmeno Pansy in quelle di
scuola, come se con perfezione chirurgica ci avesse tagliate fuori dalla sua
vita. Si è riconciliato con tutto, con tutti, persino con i suoi genitori ed
Helena anche se non ci sono più.
Ma con me e con Pansy, no.
La nausea, se mai era possibile, cresce ancora di più e mi ricorda per
un parallelismo idiota, quando ero incinta di Alex e ne soffrivo parecchio, o
perlomeno per quel poco che ricordo mentre ero nella prigione di Dimitri. Io
ero dall’altra parte del mondo, a straziarmi l’anima per lui e a raccontare
storie su un padre che non aveva, a nostro
figlio… e lui se ne stava qui, ad appendere foto e a cancellarmi da ogni
ricordo. Vorrei strapparle una ad una, renderle carta straccia. E la sensazione
si acuisce quando noto degli spazi vuoti, dove la vernice appare scrostata.
Segno che c’erano altre foto, una decina forse, tolte di recente.
Se ci fossimo state io e Pansy, non avrebbe avuto motivo di toglierle,
specie ora. Ed invece probabilmente se le
ha tolte c’è solo un motivo.
Dovevano portarmi qui… e in quelle foto, c’era
anche Raissa.
C’era anche la donna che ha osato puntare una bacchetta contro mio
figlio, contro nostro figlio.
Se lo può tenere il suo letto comodo, la sua vita meravigliosa
sbandierata in faccia, la sua figlioletta adorabile, la sua pace dei sensi, la
sua pena e pietà da fiera addomesticata… non resterò qui un secondo di più, in
questa casa e sotto questo tetto. Mi tiro di colpo giù dal letto, registrando
sommariamente che indosso ancora i vestiti del giorno prima, anche se forse con
un banalissimo Gratta&Netta non appaiono più
sporchi come prima. Controllo ancora una volta di avere il ciondolo di Tatia al
collo, prima di apprestarmi ad uscire, quando piano la porta della camera si
apre, provocandomi uno spasmo al petto e facendomi rimettere seduta come se le
gambe si afflosciassero.
Nella stanza fa capolino a testa bassa Dean, cosa che mi fa respirare
daccapo. Ha l’aria stravolta, i capelli spettinati, gli occhi rossi e
cerchiati. Non appena mi vede sveglia, fa una smorfia sofferente e mi sorride
tirato: “Ti sei svegliata… come ti senti?”. La sua vista mi impedisce di
parlare normalmente, mi ricorda improvvisamente la mancanza di Alex e mi fa
desiderare che qualcuno mi stringa forte, fino a soffocarmi, fino a ridarmi il
calore che non so dove se ne sia andato lasciando il mio sangue freddo e
ghiacciato. Per un attimo goffo e confuso, rivedo Draco per come lo ricordo da
ieri sera: le spalle larghe, l’espressione seria, le braccia tese. E desidero
un suo abbraccio con una nettezza così sconvolgente da farmi tornare la nausea.
Come sempre, il mio cuore fa sempre i comodi suoi quando si tratta di lui, al
punto da farmi dimenticare tutto come se effettivamente fosse la sola persona
al mondo. Ma poi, la sensazione di amputazione che mi causa il fatto che Alex
non sia qui, mi fa tornare subito in me, gelando ogni altro istinto. Ed improvvisamente,
come un fulmine, mi ricordo anche dell’ultimo abbraccio che ho avuto. Ilai. E del bacio… la sola cosa
consolante è che sono talmente assorbita dal pensiero di mio figlio da non
potermi dibattere nel dissidio, solo accennato dal corpo e dalla mente, di
chiedermi se desidero di più un altro bacio da Ilai o un singolo abbraccio da
Draco. E’ facile rispondere, adesso: rinuncerei ad ognuno di loro con il
sorriso più chiaro ed aperto del mondo, se in cambio riavessi Alex.
Ma non alla maniera che suggerisce Dimitri… cioè che io li uccida.
Ovvio… anche se la parte più arcana del mio essere madre, ogni tanto, mi fa
interrogare su questa possibilità, subito la ricaccio con sdegno. Io posso
essere solo l’assassina dei Karkaroff, adesso, non di altri. Tantomeno di loro
due… specie considerando quanto, in un modo così diversamente scomodo, ami
tutti e due. Li amo alla maniera stupida di una bimba di cinque anni: basta che
esistano in qualche parte del mondo per farmi stare tranquilla. Ormai, però,
sono ben oltre i concetti banali di essere innamorata o altro.
Figuriamoci se mi interessa il mio destino sentimentale adesso: se non
avessi fatto di tutto per trovare Draco, mio figlio sarebbe ancora qui. E non
farò più l’errore di mettere me stessa davanti ad Alex, se avrò di nuovo la
possibilità di riaverlo indietro. Quindi, non mi pongo la benché minima domanda
con una così immensa serenità che vorrei solo non averla acquisita a causa
della perdita di mio figlio.
“Un pochino meglio… grazie…” biascico nervosamente, rispondendo a Dean
che intanto si è seduto sul letto poco distante da me. Si torce le mani in
grembo, quasi graffiandole, e non mi guarda in viso, cosa che non è decisamente
da lui. Non ricordo una sola singola volta in cui non mi ha guardato in faccia,
mentre mi parlava, nemmeno quando stavamo assieme ormai una vita fa. Non appena
apre bocca, respirando a lungo come per darsi coraggio, capisco il perché.
“Mi dispiace…” le sue parole sono graffiate e grevi come se
provenissero da qualcosa di più profondo della sua stessa voce “Mi dispiace
tanto, Hermione… io… non ho potuto fare niente… t-tu mi avevi affidato Alex ed
io invece… se io ti avessi affidato Charisma, tu l’avresti salvata… ne sono
certo… sono un emerito buono a niente…”.
Gli prendo subito le mani tra le mie, cosa che lo fa trasalire ed
alzare lo sguardo lucido su di me. Gli stringo forte le dita quasi facendogli
del male, prima di dire: “Dean, questo non lo devi nemmeno pensare… non è stata
colpa tua… non l’ho pensato nemmeno per un momento. Né io, né Ilai siamo
riusciti a fare nulla… ed eravamo lì, davanti a loro…”, la mia voce si spezza,
deglutisco rumorosamente cercando di calmarmi mentre Dean stringe più forte le
mie mani. Gli sorrido, grata, prima di proseguire: “Sono troppo forti, troppo potenti…
non abbiamo i mezzi per contrastarli… e non avresti potuto fare nulla, anche se
fossi stato lì…”. Sospiro, trattenendo un pensiero: se Raissa non avesse
impedito la Smaterializzazione e Dean fosse arrivato… adesso piangerei la sua
morte, ne sono certa.
Non si sarebbero fatti il benché minimo scrupolo a farlo fuori.
“Ho cercato di smaterializzarmi un sacco di volte…” prosegue Dean,
guardando fisso davanti a sé, le palpebre fremono di frustrazione “Poi ho
capito che c’era qualcosa che non andava… e ho cercato di smaterializzarmi nel
punto più vicino possibile a dove eravate voi… ma era a tre chilometri e quando
sono arrivato, voi non c’eravate già più… Ilai poi ci ha raccontato tutto…”.
Annuisco con il capo, ovviamente l’avevo immaginato, ma non ne fatto nella mia
testa alcuna colpa a Dean. Ha già rischiato la vita per me e per mio figlio e
lui non è propriamente solo al mondo: ha Pansy e Charisma, e comunque non
dovevo mettere nemmeno lui così a rischio. La sola responsabile, qui, sono io,
inutile girarci attorno.
“Non avresti potuto fare nulla, Dean…” mormoro stancamente, sospirando
“Davvero… te lo posso assicurare…”.
Lui annuisce a sua volta e mi appare un pochino più tranquillo, con
mio enorme sollievo. Al momento non posso sopportare che nessun altro stia male
per questa storia. Il rumore terso del mare in questa giornata di inizio estate
riempie il silenzio tra me e lui, mentre i miei occhi restano fissi sulla
parete bianca, cercando di non guardare nient’altro della vita di Draco, i cui
particolari trasudano da ogni piega dei muri. Resto cosciente di me stessa solo
per le mani che, spasmodicamente, sono chiuse in quelle calde di Dean.
“Nel caso te lo stessi chiedendo…” aggiunge Dean dopo un po’, con voce
quasi canzonatoria “… di sotto si gioca alla grande al gioco del silenzio,
credo che ne verrà fuori un bel torneo…”. Mi viene da sorridere come una scema
e mentalmente ringrazio Dean come sempre per essere la mia ancora di salvezza
in queste situazioni.
Farmi sorridere, adesso, è forse la cosa più impossibile che esista. E
lui ci riesce sempre.
“E chi vince?” aggiungo con un filo di voce, guardandolo di lato.
Finalmente il suo sguardo torna come sempre ha fatto su di me, suggerendomi che
almeno apparentemente non si sente più in colpa come prima. Inarca un
sopracciglio con flemma, prima di rispondermi schioccando la lingua:
“Certamente non vince Seth… sta
ciarlando da ore… ma vista la situazione, è meglio che ci sia lui…”.
“Di cosa sta parlando esattamente?” chiedo quasi spaventata, le mani
che mi tremano. Non lo perdonerò mai se osa dire qualcosa che non dovrebbe a
Draco.
Dean borbotta annoiato: “Di tutto… e di niente… del Petite Peste,
della gente che ci lavorava, di Kevin… ma Malfoy lo sta a sentire… quindi
insomma va tutto bene, almeno gli sta dando un intrattenimento…”. Rimango in
silenzio per qualche secondo, riflettendo tra me e me, prima che Dean risponda
alle mie domande silenti: “Nessuno ha parlato o sta parlando di te o di Alex,
Herm… credo che siamo tutti d’accordo nel dire che è una tua responsabilità e
scelta decidere che cosa dire o meno a lui… compreso il fatto che quello che è
stato rapito è anche suo figlio…”.
Annuisco con un profondo sospiro, una fitta poderosa al centro esatto
del petto che mi fa mancare il fiato prima che io replichi sommessamente:
“Grazie…”. Dean sorride lievemente, accarezzandomi il dorso della mano con il
pollice con affetto e calore. Prima che me ne renda compiutamente conto, chiudo
gli occhi e mi lascio andare all’enorme stanchezza e disperazione che mi attanagliano
il fiato, la colonna vertebrale si piega e poggio la testa sulla spalla di Dean
con un sospiro, gli occhi sempre serrati.
“Quello che so per certo, adesso, è solo che voglio andare via di
qui…” sussurro con un filo di voce, trattenendo con tutte le mie forze il
pianto che già si affaccia sotto le mie palpebre, pungendomi come centinaia di
aghi arroventati. Dean sospira ancora, sento il battito regolare del suo cuore
tramite le vene del collo e mi dice rassicurante: “Lo avevi già deciso in fondo,
no? Avevi già deciso che non volevi vederlo e non volevi dirgli di Alex… e i
tuoi motivi…”.
“… non sono cambiati…” lo interrompo con veemenza, schiarendomi la
voce “Tutto, in questa casa… dalle cose più piccole a quelle più grandi… mi è
estraneo, scomodo, ostile. È come se avesse svoltato un angolo cinque anni fa
ed adesso io fossi qui a pretendere di riportarlo indietro… e non c’è forse più
nulla di lui da riportare indietro davvero… è passato troppo tempo, si sta per
sposare, ha una figlia… e non gli direi mai adesso di Alex… non voglio che si
occupi di lui perché è in pericolo, perché glielo deve, perché adesso sono qui
e sono così maledettamente terrorizzata all’idea di perdere mio figlio da
vendere persino l’anima al diavolo… lo dovrebbe fare perché lo vuole, non per
altro… e certamente non gli permetterei di decidere della vita di mio figlio…
sono sua madre da cinque anni… lui sarebbe suo padre da cinque minuti… e poteva
sapere di lui se avesse voluto… ed invece… non mi ha mai cercato…”.
“Ma se lui, in fondo, potesse davvero aiutarti?” obietta Dean
debolmente, lasciando le mie mani per chiudermi le spalle con il suo braccio
come a sostenermi meglio. Sorrido amaramente: “Lui non sa niente di Raissa,
Dean… o di Dimitri, o di tutto il resto… non potrebbe fare nulla… ed adesso non
ho il tempo materiale, né la voglia, né la forza di affrontare anche lui… o di
metterlo di fronte al fatto che la sua… fidanzata…
è un’assassina… ed una bugiarda… meno che mai voglio metterlo di fronte al
fatto che è il padre del mio bambino… impazzirebbe, manderebbe tutto a ferro e
fuoco e credi che io adesso possa sopportarlo, in vista di un ipotetico aiuto
che potrebbe darmi? Mi darebbe solo il colpo di grazia… meglio che stia fuori
da questa storia, adesso… sa che Raissa è la responsabile della sparizione di
mio figlio… e quindi sa che non è una santa. Per adesso, ciò dovrebbe
bastargli… se mai questa storia finirà bene… allora penserò a me e a lui…
adesso non me lo possono chiedere…”. Per qualche secondo, Dean resta in silenzio,
i versi dei gabbiani fuori dalla finestra sono la sola cosa che rompe questo
manto di pensieri nascosti, poi lui bisbiglia con decisione: “Qualsiasi cosa tu
scelga… qualsiasi cosa tu decida… io sarò sempre dalla tua parte, Herm… e lo
sai…”.
Sorrido grata, staccandomi da lui e guardandolo in viso, ed annuisco
con il capo, incapace di parlare, la voce bloccata in gola.
“Troveremo Alex… e lo riporteremo a casa…” mi rassicura ancora,
accarezzandomi fraternamente il capo “In fondo deve diventare mio genero…”. Mi
viene ancora da ridere per questa storia di Alex e Charisma assieme che si è
infilato in testa, e scuoto il capo incredula.
“… ed anche Pans sarà dalla tua parte… te lo posso assicurare…”
aggiunge con convinzione, alzandosi in piedi e stiracchiandosi come un gatto.
“Questo lo vedo difficile… è più probabile che uno squalo diventi
vegetariano e si ingozzi di alghe da mattina a sera…” commento scettica,
guardandolo dal basso verso l’alto. Dean fissa il muro davanti a sé, gli occhi
gli si piegano in un accenno quasi triste prima che replichi con voce piatta:
“Hermione, tu sicuramente sei la persona che maggiormente ha sofferto in questa
storia. Non voglio minimamente contestare questo… stai soffrendo ancora,
terribilmente, e tuo figlio è la seconda vittima di questa vicenda… forse, e
concedimelo, Alex è chi ha subito e sta subendo più di tutti. Perché è un
bambino, è innocente ed è stato privato del padre… e credimi, so che cosa
significa… adesso forse anche di più, da quando sono padre anche io…”. Incasso il
colpo, sospirando, me lo ricordo il giorno in cui Dean ha scoperto finalmente
che il suo vero padre era un Mago, ucciso dai Mangiamorte dopo aver sposato una
babbana, a cui aveva sempre tenuto nascosta la sua vera identità per
proteggerla. Dopo la morte del padre sua madre si è risposata e Dean è vissuto
con molti fratellastri e sorellastre. Aveva ovviamente sempre avuto il sospetto
che suo padre fosse un mago dati i suoi poteri, ma non aveva potuto
dimostrarlo: qualche anno fa, poi, finalmente avevano trovato delle carte ad
Hogwarts in cui si indicava come studente Tassorosso un tale Christopher
Thomas, suo padre, appunto. Ricordo quanto pianse quel giorno, ricordo che
passammo la notte svegli a parlare dei ricordi che aveva del suo vero padre,
morto quando aveva solo tre anni, e di quanto amasse comunque il compagno di
sua madre, Mark, il padre delle sue sorellastre e fratellastri, ma che non
fosse mai riuscito a chiamarlo papà. E ricordo anche che, dopo quella volta,
Dean non volle mai più, nemmeno per scherzo, affrontare l’argomento di suo
padre. Adesso, che come mi ha sommariamente detto Pansy, anche sua mamma è
morta, il fatto che tiri fuori suo padre, è una cosa decisamente seria che
improvvisamente mi fa sobbalzare internamente nella mia decisione di non dire
nulla a Draco di Alex. Poi, ancora dentro di me, mi riprendo: sono casi diversi
e storie diverse. O meglio, sono la stessa cosa.
Il padre di Dean volle proteggere lui e sua madre, io sto cercando
disperatamente di proteggere mio figlio.
Ed anche me stessa. Ogni tanto, posso anche essere egoista se ciò
coincide con il benessere di mio figlio. Questa storia è troppo grigia e fosca
perché io ci butti dentro mio figlio, senza alcuna garanzia. Specie adesso… che neanche è qui accanto a
me. Annaspo ancora, chiudendomi il petto con le braccia, e riprendo ad
ascoltare Dean che prosegue: “Quindi non proverò a dirti che mia moglie ha
sofferto quanto te o quanto Alex… ma ha sofferto anche lei, Hermione. E molto.
Malfoy non si è fidato di lei, se ne è andato, non ha provato a contattarla per
cinque anni senza chiederle spiegazioni o chiarimenti. E in questi cinque anni,
lei ha affrontato un trasferimento in altro paese, un nuovo lavoro, una nuova
vita. Si è lasciata alle spalle Zabini e non ti sto a dire quanto questo sia
stato un tormento continuo per lei… e per me. Si è innamorata di un
Mezzosangue, ha avuto una bambina, si è sposata…”, Dean sospira e si scompiglia
i capelli ad arte, come quando è nervoso e agitato, poi soggiunge: “Lo voleva
accanto, lo voleva vicino… era il suo migliore amico… e non c’era. Specie
considerando che lui l’avrebbe aiutata a capire come affrontare l’onta di
essere innamorata di un Mezzosangue…”. La voce di Dean scimmiotta un tono
scandalizzato, che mi fa sorridere tristemente, prima che concluda: “Ce l’ha
fatta da sola e, se ci penso, magari è un bene. Ma a conti fatti, Hermione… è
normale che adesso sia tutta e completamente dalla tua parte… forse lo sarebbe
stata lo stesso, checché ne dica lei, perché sei madre come lei e la nascita di
Charisma l’ha resa empatica in queste cose… ma è anche perché si tratta di
Draco. Il suo egocentrismo potrebbe anche farle perdonare che lui abbia
abbandonato te, ma non che abbia abbandonato anche lei…”. Annuisco
sovrappensiero, rendendomi conto di quanto Dean abbia ragione. È vero, magari
poteva persino esistere un goffo e sciagurato universo in cui io perdonavo
Draco per quello che mi aveva fatto, accettavo che fosse stato ingannato da
Astoria e dimenticavo che sta per sposare Raissa, questo ovviamente prima che
lei rapisse mio figlio. Ma, anche se tutto questo fosse accaduto, per Pansy non
sarebbe cambiato niente. Se l’è lasciata alle spalle senza riserve, senza
pensieri e senza ripensamenti. Non l’ha cercata mai in cinque anni, convinto
che lei sia stata la creatrice del germe che mi ha separato da lui, come
Astoria gli ha fatto credere. E lui non ne ha mai dubitato, mai, neanche per un
istante.
Al posto di Pansy, anche io probabilmente non ne vorrei sapere nulla
di lui, specie considerando quanto invece lei abbia accettato la mia relazione
con lui.
Ne sta vivendo persino una identica, a sua volta.
“Certo, non credere che non faccia effetto…” asserisce Dean con un
sorriso tra il sardonico e il soddisfatto “Quando Ilai è entrato con te in
braccio e Draco che vi seguiva a ruota, Pansy è spuntata dalla cucina
sconvolta… e non ha fatto una piega quando l’ha visto, né quando lui ha provato
a parlarle, né quando ha autenticamente sbarrato gli occhi nel vedermi lì e
nell’intuire che siamo sposati ed abbiamo una figlia… ma quando Pansy resta
così indifferente è solo perché non lo è affatto. Gli ha solo detto, quando di
nuovo ha provato a parlarle: - Adesso
devo occuparmi di Hermione- … credimi, stavo per svenirci sul colpo… cosa
avvenuta dopo avermi baciato in modo decisamente plateale e dopo aver
apostrofato Charisma con il suo nome completo, comprensivo del cognome… se non
è arrabbiata, vuol dire solo che sta diventando ancora più bipolare, cosa che
mi porterebbe all’acquisto di un’autobotte di ansiolitici… e sto risparmiando
per mandare Char in una scuola privata, non voglio fucilarmi i risparmi… quindi
mi auguro caldamente che sia arrabbiata…”. Nonostante tutto, ancora, mi viene
da sorridere e vedo la tensione colpevole di Dean rilassarsi di minuto in
minuto. Sta cercando volutamente di prendere la cosa nella maniera più leggera
possibile, malgrado la questione decisamente seria di Alex, e lo ringrazio
enormemente per questo.
“Quindi che cosa devo aspettarmi, scendendo di sotto?” mormoro con un
sorriso stanco, stiracchiandomi e guardando Dean in attesa. Sono felice,
davvero, che ci sia lui qui, adesso. A parte cercare di farmi sorridere, Dean è
l’unico che al momento è davvero sincero con me: Pansy sarebbe troppo dura,
considerando che ce l’ha anche lei con Draco, e Seth sarebbe troppo morbido,
considerando che è fissato che io e lui ci apparteniamo a vicenda, eccetera,
eccetera. Dean è l’unico che adesso ha una visione lucida delle cose.
Ce l’avrebbe avuta anche Ilai una visione
lucida delle cose… anzi avrebbe avuto la visione che meglio leggeva dentro di
me… ma al momento, dopo essersi baciati, non credo proprio che sia il caso di
chiedere qualcosa del genere a lui.
Dean ci pensa su qualche secondo e poi dice: “Ilai non c’è… appena è
rientrato con te in braccio, ti ha portato qui e si è allontanato. Credo che si
sia accorto che Malfoy lo guarda come se lo volesse sbranare… ed in fin dei
conti siamo sempre a casa sua, di Malfoy intendo…”, ecco, perfetto, ci mancava
anche questa. Io ed Ilai non stiamo assieme, tecnicamente mi ha baciata lui e
sarebbe facile adesso rinnegare tutto quello che ho vissuto con lui fino ad
ora, visto che c’è Draco adesso. Ma non funziona così, non funziona affatto:
Ilai sia per me quello che è, Draco non deve permettersi di trattarlo come
trattava ai tempi Hayden. Qua è tutta diversa la faccenda… specie se sta pure
per sposare Raissa. La gelosia da ex tradito se la può benissimo tenere.
“Pansy al momento è con Charisma e Serenity… l’ho costretta ad uscire
di casa per portare le bambine al parco…” bofonchia Dean con una smorfia,
testimoniando che non è stato semplicissimo costringere la moglie ad andarsene
“Ma non credo che tornerà tardi… Serenity aveva scuola anche oggi…”.
Dean respira a fondo, e poi aggiunge: “E Seth è con Malfoy, te l’ho
detto… e difficilmente si schioderà da lì… quindi preparati ad affrontare anche
lui…”.
Certo, come se avessi la forza di affrontarli entrambi… ma Seth deve
capire che questa vicenda, sebbene lo coinvolga moltissimo, non lo riguarda. È
tra me e Draco. E non voglio alcuna intromissione, nemmeno da parte sua. Voglio
solo andarmene da qui quanto prima e salvare mio figlio. Non ho altri pensieri,
al momento. Diventerò una bestia con chiunque mi impedirà di pensare solo ed
esclusivamente ad Alex. Fosse anche Seth, a cui voglio un bene dell’anima.
“E riguardo a me sono a tua completa disposizione…” sorride ancora
Dean, dandomi una piccola spallata affettuosa. Ripensandoci, lo prendo
immediatamente in parola, è forse la sola persona in grado di velocizzare le
mie ricerche mentre io mi occupo di Draco.
Sommariamente gli spiego il contenuto del mio sogno, il messaggio di
Tatia sulla collana e il fatto che celerebbe la possibilità di realizzare il
desiderio di una madre, ma che non so assolutamente come possa essere
utilizzato. Non voglio correre il rischio di sprecare questo desiderio con un
uso sbagliato del ciondolo stesso. Cerco di ricordarmi il maledetto canto
infernale che sentivo nelle orecchie, ma al momento sono solo suoni confusi ed
inarticolati che ho dimenticato, quindi lascio perdere. Dean annuisce,
annotando mentalmente le mie istruzioni, prima di bofonchiare ironico: “Certo
che devi volermi proprio bene per affidarmi questa missione… cosa che
comporterà marcire sui libri che, come ben sai, io adoro…”.
“Se vuoi ti faccio affrontare il doppio plotone Malfoy – Green e vado
io a fare ricerca…”.
“Pensandoci bene, ho sempre adorato
leggere…”.
Sorrido ancora e saluto Dean con una mano, mentre si Smaterializza in
Diagon Alley per cercare notizie e libri al riguardo. Restiamo d’accordo che,
non appena lasciamo la casa, cosa che sarà a breve, lo avviserò in modo che lui
possa raggiungerci quando avrà finito.
Non appena Dean sparisce, l’aura di rabbia e dolore che mi avvolgeva
ritorna prepotentemente, accompagnata dalla neonata ansia al pensiero di dover
scendere di sotto ed affrontare Draco. Il ricordo di lui di ieri sera è ancora
scolpito nella mia testa: non mi è stato indifferente, affatto.
Adesso, a mente lucida e contorta dall’angoscia, chissà se sarà peggio
o meglio.
Decido di prendermi tutto il tempo di cui ho bisogno, sebbene il mio
cuore si maceri sempre dall’ansia per Alex: razionalmente, al momento, non
posso fare nulla se non affidarmi al ciondolo di Tatia. E di quello se ne sta
già occupando Dean. Devo stare calma e tranquilla, e sistemare quanto prima la
faccenda con Draco, che implica, per forza di cose, rinviare tutto a tempi
migliori. Noto una porta che evidentemente conduce al bagno di Draco, su una
sedia c’è la mia valigia e decido quindi di cambiarmi: trattengo il fiato di
fronte ai vestiti di Alex ancora confusi con i miei e stringo forte l’angolo
della scrivania per non scoppiare a piangere. Scelgo velocemente un vestito
azzurro dalla cintura bianca e corro in bagno, chiudendo la porta a chiave.
Dentro, l’odore di Draco è quasi soffocante: ha una nettezza così scandita
adesso, che faccio fatica a pensare che me ne fossi dimenticata in questi anni.
Con la solita ironia che la vita ha spesso con me, l’ho cercato tanto ed adesso
mi fa quasi venir voglia di rimettere.
Specie quando, su una mensola, noto un piccolo recipiente di vetro
screziato rosso: profumo all’ambra grigia, un profumo femminile, il profumo di
Raissa. Senza nemmeno prendere nozione di quello che sto facendo, afferro la
piccola bottiglietta ed, offuscata, la getto rovinosamente contro il pavimento,
rompendola in mille pezzi che provvedo a calpestare con rabbia sotto le mie
scarpe.
Il labbro che mi trema, il respiro manchevole, mi spoglio e mi infilo
sotto la doccia, lasciando che l’acqua lavi via tutti gli odori della giornata
precedente uno peggiore dell’altro; il bagnoschiuma di Serenity, ancora alla
ciliegia dopo tutti questi anni, mi ricorda Helena, ma lei, oggi, è la
benvenuta nella mia memoria. La sento forse più vicina di quanto sia stata mai.
In fondo ha tradito anche te.
Quando mi asciugo e mi rivesto, mi sento lievemente più calma, il
profumo distrutto di Raissa e quello di Draco si sono fusi in una miscela
innocua che mi consente di respirare più serenamente.
Faccio qualche passo nella stanza, in tondo, come un’anima in pena,
poi comprendo che forse si sono già resi conto che mi sono svegliata, quindi
decido finalmente di scendere di sotto.
La porta si apre con uno stridio che è peggio di quello registrato nei
film dell’orrore, sebbene abbia cercato di fare in silenzio. Maledicendomi, la
riaccosto con delicatezza e respiro profondamente, la nuca che gronda sudore
freddo. Se almeno ci fosse Ilai, adesso, con me… forse sarebbe più semplice. No, mi contraddico. Sarebbe più
complicato, ancora. Meglio essere sola, dopotutto.
Percorro il lungo corridoio bianco, affiancato da cinque porte di
acero bianco, tutte ugualmente chiuse, cosa che benedico perché ci mancherebbe
anche essere presa dalla curiosità di guardare dentro e di spiare altri
particolari della vita di Draco che, al momento, non mi è vitale conoscere.
Anzi che non mi è vitale conoscere proprio mai… chissenefrega di come diamine vive…
Avanzo nel corridoio fino alle scale, tenendomi raso al muro, peggio che
se fossi ubriaca, e reggendomi con la mano come se fossi cieca. Ad ogni passo
le voci provenienti da piano di sotto si fanno più chiare e nette,
costringendomi a deglutire in preda ad una sensazione simile al soffocamento.
Sento la risata di Seth, ed il tono di voce basso e profondo di Draco, che ha
l’effetto di farmi fermare in mezzo al corridoio con l’insano proposito di
tornare indietro, chiudermi a chiave e non uscire più. Poi, come lo scoppio di
un petardo, ricordo Alex ed il coraggio mi riavvolge velocemente, turbinando
come vento nello stomaco. In pochi passi, arrivo finalmente alla scala che mi
preparo a scendere, la sensazione di vertigine che continua a non passare.
E poi sento Seth scusarsi sommessamente e Draco rispondere che non c’è
problema. Lo sento terrorizzata dire che torna subito, ne odo distintamente i
passi all’interno del salone fino all’androne davanti alla porta d’ingresso,
proprio sotto la scala che sto iniziando a scendere io.
Non c’è modo di scappare, non c’è modo di nascondersi. Forse non ci
sarà mai.
È lì, sotto di me, ed è un attimo, un secondo, un fulmine prima che
sollevi il capo e si accorga di me, fermandosi di botto. Entrambi, senza
nemmeno rendercene conto, ci siamo aggrappati al corrimano della scala,
ovviamente in due punti diversi.
È inutile che uno anche provi a pensare che non faccia effetto: nello
sguardo ci ritroviamo ad inseguire le tracce che ci siamo lasciati
nell’espressione, nei gesti, nella postura, e cerchiamo con ossessione i segni
che qualcun altro possa avere scavato in nicchie e cavità, dove prima c’eravamo
noi. Non sono abituata più ad avere i suoi occhi così vicino; ieri sera ero in
parte convinta che fosse un sogno e poi ero così devastata che non ci ho fatto
caso. Ora che sono più lucida, mi rendo conto che è davvero qui, davanti a me,
adesso. E’ qui, Dio santo, non lo dividono da me mille chilometri e mille anni,
mille vite e mille giorni, è diviso da me solo da una scala, che adesso chissà
se saprei scendere senza rovinare al suolo. Ed è assurdo, incomparabilmente
illogico, che lui non sia cambiato, che sia sempre così biondo, sempre così
alto, sempre così elegante, sempre così bello da farmi girare la testa ed
accendere dentro anche solo guardandolo, al punto che la mano che stringo sul
corrimano si irrigidisce, si piega, diventa livida perché davvero è il solo
punto fermo attorno a me, il solo. E sarebbe così facile, così maledettamente
semplice e veloce, correre adesso su queste scale, piangere finalmente e
volargli tra le braccia, perché in quegli occhi, in quello sguardo, lui ce l’ha
ancora scolpito dentro ed addosso che mi stringerebbe, mi abbraccerebbe, mi
cullerebbe piano come ha fatto per soli dieci giorni della mia vita. E magari
fingeremmo entrambi che ci stringiamo perché in fondo siamo amici, quando io e
lui amici non lo saremo mai: nemici o amanti, non esiste via di mezzo. Però ce
lo diremmo, ci diremmo che è solo un abbraccio da ex nostalgici, ci
sorrideremmo imbarazzati perché i nostri corpi coincidono ancora e si
incastrano perfettamente, nonostante gli anni e i cambiamenti. Ma seguirei la
linea delle sue braccia desiderando che mi spogli, cingerei la sua schiena
implorandolo che mi baci, mi farei stringere solo sperando che sia lui il primo
a cedere.
Tra me e lui è sempre così: non è amore, adesso. Se penso all’amore,
io vedo Pansy che lascia andare Dean, confidando che torni. Tra me e lui, è
rimasto tutto fermo, immoto, congelato nel rogo di amarci inesauribilmente,
senza pensare a nulla. Lo capisco da lui che mi guarda e stringe le labbra, da
come accarezza il mio viso, da come tremino le sue mani, da come segue le linee
che il mio vestito tratteggia. E lo capisco da me stessa che quasi dismetto
orgoglio, dolore e rabbia perché mi prenda ancora.
Ma non funziona così: non avrebbe funzionato cinque anni fa, che prima
o poi avremmo dovuto fare i conti con il presente ed il futuro, e non funziona
adesso che io sono una madre, e tutto di me mi dice solo e soltanto che sono
una madre. Nulla di Hermione Granger deve sopravvivere.
Tra me e te non ha mai funzionato… basta
raccontarci frottole. Ed è un caso che mio figlio sia anche il tuo.
In quella piega degli occhi, si è annidata
Raissa, la vedo, la sento, la percepisco, me l’immagino che fa l’amore con te e
geme tra le tue braccia.
E tu, lo so, che cerchi Ilai nel mio viso, e
ti lascio cercarlo perché magari così siamo pari, magari così fa meno male,
magari così ti perdono.
Ed invece ancora non funziona, perché è
diverso, enormemente diverso.
Affastellando scuse su scuse, giustificandomi e
condannandoti, alla fine perdo solo tempo. E non ne ho. Devo pensare a mio
figlio.
Basta perdere tempo con una cosa che non
funziona.
Sospiro a fondo, dandomi ancora la forza che credo non avrò mai: se
ieri sera non riuscivo a guardare gli occhi di Draco, pensando a quelli di
Alex, oggi curiosamente sono scintilla e coraggio. Ripensando a mio figlio,
riesco a tenermi alla giusta distanza anche emozionale da Draco e a non
lasciarmi travolgere dalla nostalgia. Distolgo lo sguardo da lui, fissando un
quadro ai lati della scala, e mormoro nel tono meno acido che mi riesca: “Mi
dispiace esserti piombata in casa all’improvviso…”. Lo sento distintamente
accogliere le mie prime parole dopo cinque anni con un silenzio che ricordo
perfettamente che con lui non preannuncia mai nulla di gentile o piacevole.
Rotta la stasi dell’incantesimo muto di saperci di nuovo vicini, adesso
ovviamente dobbiamo tornare ad essere noi stessi. E il nervosismo alle mie
parole lo sento già mulinare dentro di lui. Fa qualche passo, salendo un solo
gradino, mentre io non lo guardo ancora, le spalle che mi tremano.
Poi prende e fiato e dice sarcastico: “Puoi anche chiedermi scusa
perché hai calpestato i tappeti, se è per questo…”. La sua voce è sempre la
stessa, identica: roca, severa, a tratti canzonatoria. Mi provoca un tremore
incontrollato lungo la schiena che mi fa stringere nelle spalle e tacere: non
so se sia voglia di cavargli gli occhi, o ancora voglia di farmi stringere. In
entrambi i casi, è una cosa che mi provoca un ulteriore travaso di bile,
spingendomi quasi a digrignare i denti per il nervoso.
“Stiamo davvero parlando di questo?” continua, duramente, la voce che
fa di tutto per costringermi a girarmi, richiamandomi a sé. Ma non c’è niente
di fare, tutto dello mio sguardo si aggrappa al quadro come un’ancora, le mani
che si stringono a pugno lungo i fianchi. Le unghie mi penetrano nella pelle,
vorrei graffiarmi via da me stessa, pur di smettere di stare qui.
Passa qualche secondo di frustrato silenzio, il suono dei gabbiani che
volano oltre la finestra sul mare è la sola cosa fisicamente ancora presente.
Lo sento fare ancora un altro passo, salire un altro gradino, avvicinarsi
ancora. Mi ritraggo contro il corrimano come se fossi spaventata, terrorizzata,
confusa, o chissà che altro. Ed invece so distintamente che il solo motivo per
cui non lo guardo in faccia e vorrei scappare via è che adesso lo prenderei a
schiaffi, urlando, per tutto quello che mi ha fatto. È l’amore, lercio e malato
che ho ancora per lui, che mi trattiene su questo gradino a guardare un quadro
come se fosse la cosa più interessante del mondo, a trattenermi mentre le
spalle mi franano, a non piangere mentre tutto sembra scoppiarmi dentro.
L’amore per lui, che è la mia maledizione… e quello per Alex, che è la mia
benedizione. Quest’uomo che mi ha rovinato la vita, è sempre suo padre. Anche
se da me, specie oggi, non lo saprà mai.
“Raissa ha portato via tuo figlio… perché?”.
Nel momento stesso in cui Draco finisce questa frase, capisco che sto
definitivamente crollando, capisco che non posso trattenermi più, capisco che
al momento non mi interessa che quest’uomo sia il padre di mio figlio. La
rabbia diventa un tutt’uno con l’angoscia per Alex, barcollo senza forze e mi
reggo ancora al corrimano. Non appena sento che si sta muovendo nella mia
direzione, sollevo il palmo della mano, imponendogli di restare dove diamine è.
Se si azzarda a toccarmi, è la volta buona che lo uccido. Respiro a fatica,
cercando di calmarmi, ma non c’è verso, non c’è alcuna possibile soluzione. In
una frase, nella mia mente ormai devastantemente irrazionale, ha compiuto e
siglato un errore fatale.
Hai messo al centro della frase quella
maledetta donna che ha rapito Alex. Come se fosse importante capire solo perché
lei l’abbia fatto, come se bisognerebbe capirla e giustificarla, indagare le
sue ragioni, magari comprenderla, parlarci e dirle che ha sbagliato. In modo
bonario… allo stesso modo che rimproverare un bambino perché ha rubato una
caramella.
Ed invece quella si è rubata mio figlio: mio
figlio. Mio figlio, dannazione, che c’avrà pure i tuoi occhi, ma è mio figlio.
Alex che detesta le carote, che mangerebbe
brownies ogni giorno, che ogni sera vuole che gli legga qualcosa, che ha
parlato per la prima volta ad un anno e due mesi, e ha detto mamma.
Si è presa il mio bambino.
…
…
Se ti azzardi anche solo ad avvicinarti, è la
volta buona che ti uccido.
La mia voce scivola fuori senza controllo, mentre il mio collo conosce
finalmente la torsione che mi porta ai suoi occhi.
“Perché non lo chiedi a lei, eh?!” sibilo, rantolando a fatica,
chiudendo i pugni con ferocia, cercando il suo viso come un cacciatore cerca la
preda “Si dice in ricchezza ed in povertà, in salute e in malattia… ma forse si
dovrebbe anche aggiungere nel bene e nel male… perché non le chiedi perché si è
portata via mio figlio? Conterà essere sinceri con il proprio… fidanzato…”.
Draco cerca di nascondere il sussulto che lo coglie alle mie parole,
ma non ci riesce troppo bene. Soddisfatta mi rendo immediatamente conto che le
sue spalle si sono contratte e ha serrato le labbra. Lo sguardo adamantino
occulta il riflesso di pietosa compassione che ha nel guardarmi e che mi rende
ancora più furiosa nei suoi confronti, sembra sempre sul punto di assecondare
una povera pazza che ha perso suo figlio. Ho sputato fuori la parola fidanzato, come se scottasse in bocca,
come se fosse una pietanza avariata, come se fosse veleno e fiele. Quella
parola rovina contro di lui con forza, ma non lo smuove, non lo tocca, non lo
tange. E ciò ancora di più, mi fa impazzire.
“Ci sei tu, qui, e lo sto chiedendo a te…” mormora serio, guardandomi
e spostando il peso da una parte all’altra “Perché si è presa tuo figlio?”.
La mia mente è una steppa devastata dalla tempesta: ogni volta che
pone Raissa come soggetto di una frase, sento lei nella testa ripetermi quanto
fosse bello andare a letto con lui, sento Serenity dirmi che si sposano, rivedo
tutte le volte in cui ho rifiutato Ron, riavverto il senso di colpa soffuso di
quando ho baciato Ilai. Tutto amplificato dalla lacerazione intima, come se mi
strappassero la carne dalle ossa, di non sentire Alex qui e di saperlo con lei
e Dimitri. La vista mi si offusca, vedo nero, rosso, tutto assieme. Io ho
provato lo Zahir, l’estasi dell’odio che dava, il desiderio di fare del male
solo perché faceva bene a me fare del male a lui… ma era una pallida carezza
smunta. Adesso, se mi sto trattenendo, non è nemmeno più per l’amore, volatile
ospite che ha lasciato il mio corpo. È solo perché non ho tempo da perdere appresso
a lui. Ne ho già perso troppo… e ne sto perdendo ancora troppo. Ogni secondo
che dedico a lui, invece che a mio figlio, mi riporta a questi cinque anni
maledetti, in cui potevo lasciarlo andare e non l’ho fatto, colmandomi di
rimorso da overdose. Non ce la faccio più… devo andarmene da qui e basta.
“Senti…” inizio con voce malferma, scendendo un gradino, mentre lui
segue i miei movimenti “Al momento non ho né tempo, né voglia di profondermi in
spiegazioni… ti ho riportato tua figlia, ho cercato di proteggerla per quanto
potevo e ti ho informato di che cosa ha fatto quella… donna…”, un sapore aspro mi riempie la bocca mentre aggiungo: “…
adesso sai che cosa aspettarti dalla tua fidanzata, è sempre stata in combutta
con suo fratello e non penso che tu abbia dimenticato che cosa lui volesse da
me… e penso anche che sia facile a quel punto capire che cosa vuole da mio
figlio. Adesso la mia priorità è lui…”, scendo un altro gradino, appoggiandomi
al corrimano, la voce mi si spezza “Quindi lasciami andare… per favore…”. Tutto di me mi spinge a
tenerlo fuori, tutto, la rabbia, il dolore, la preoccupazione. Forse una parte
di me, al di là dell’odio che provo perché sta con Raissa, cosa che mi rende
insopportabile persino guardarlo, lo vuole fuori da questa storia anche per un
altro motivo. Più importante, che va al di là di tutto. Se non ce la faccio… se
Dimitri dovesse riuscire a portarmi via… se Alex però si salvasse… se
rimanesse, per qualche motivo, solo… deve avere un altro genitore da cui
tornare. E questo è lui. Al momento non vorrei che fosse così, ma purtroppo è
questa la realtà. E Dimitri lo vuole morto. Quindi, deve starsene qui, buono,
ad occuparsi di Serenity e ad eventualmente, un giorno, a prendersi cura di
Alex.
Draco mi guarda con espressione indecifrabile, gli occhi attraversati
da meteore di luce. Scarta di lato, si sposta in modo beffardamente
cavalleresco e sibila glaciale, indicandomi la porta: “Prego, vai pure…”.
Ovviamente non ho dimenticato che le reazioni più comuni, in Draco Malfoy, significano
tutto il contrario di quello che pensa. Probabilmente non vorrebbe lasciarmi
andare. Ha un’espressione troppo rilassata per uno che è davvero convinto di
lasciarmi uscire dalla sua vita: la fronte si aggrotta per tutte le domande che
vorrebbe farmi e, nonostante tutto, so che vorrebbe fargliela pagare a Dimitri.
In fondo a sé stesso, credo che mi voglia bene, e ciò mi provoca uno spasmo
ulteriore alla bocca dello stomaco, che vorrei che fosse senso di colpa per
l’avversione che io invece ho per lui, ma che invece è in tutto e per tutto
simile a quel disgusto dolciastro che provi se vedi un sentimento che non
vorresti in una persona, a cui dedichi un’emozione diversa da quella che ti
viene riservata. Per intenderci, vorrei che mi odiasse anche lui. O che mi amasse ancora. Sempre. Invece
in tre frasi, mi ha solo chiesto di Raissa. Ed è uno strappo continuo, dentro.
Non so che farmene della sua pietà, del suo affetto.
Perciò di fronte alla sua apparente resa, penso automaticamente di non
dargli il tempo di reagire e di controbattere, approfittando invece per uscire
e per non tornare più qui dentro. Biascico un grazie traballante, scendo di
corsa gli ultimi gradini e lo sorpasso velocemente, non lasciando a me stessa
nemmeno il tempo di respirare, così che il suo odore non mi entri dentro più di
quanto non abbia già fatto. Seth, in fondo, può tornarsene da solo… e Pansy…
bè, vedrò di avvisarla in qualche modo.
Ho già la mano sulla maniglia della porta e lo sguardo bloccato
davanti a me, per paura di voltarmi ancora e guardarlo per l’ultima volta,
avida del suo ricordo, che la sua mano si chiude sul mio polso, bloccandomi. È
assurdo che, adesso, dopo cinque anni, la mia pelle riconosca la sua con tanta
precisa solerzia e pazienza da darmi l’impressione che non se ne sia mai
andato. Guardo senza fiato le dita artigliate poco sopra la mia mano, sono
sempre affusolate come le ricordavo ed ancora mi danno i brividi solo a
sfiorarmi piano. Mi concentro su quelle dita, perché so e sento dalla nuca che
agghiaccia che Draco mi sta guardando, che i suoi occhi sono puntati sul mio
viso, che se sollevo la testa improvvisamente non sarò più in grado di
concepire un pensiero minimamente consapevole. Guardo quelle dita e penso a
quante volte, a letto, in Italia, osservavo le mani di Ron mentre dormiva ed
era quello il momento in cui, nonostante il buio, non potevo illudermi che
fosse Draco. Un magone pesante mi scivola in gola e mi occlude il respiro,
queste dita, queste mani, mi hanno toccato in centinaia di modi possibili,
avanguardia di mesi e mesi per arrivarmi al cuore. Sono familiari in un modo
che ha tutto dell’anormale, dopo cinque anni. Come è familiare, la sua stretta:
calda, salda, tesa, nervosa. Perché so che è lui, adesso, ad essere teso e
nervoso.
Cosa che mi si conferma quando apre bocca e con voce tagliente mi
ingiunge: “Quello che nega di essere tuo
marito, comunque, se ne è andato… magari se lo aspetti qui ti trova prima,
al suo ritorno…”. Per un attimo, strabuzzo gli occhi e non capisco nemmeno che
abbia detto, un calore soffuso che dall’arto mi si irradia nel petto. Anche
però quando cerco di calmarmi e prudentemente sollevo lo sguardo,
ritrovandomelo vicino, ad un passo da me, con la mascella serrata e
l’espressione severa… devo comunque respirare ancora per decongestionare il
viso rosso, che non dovrei avere a quest’età e in questo momento della mia
vita. Ma anche quando sono certa di essere lucida e tollero la sua improvvisa
vicinanza in modo quasi normale, continuo a non capire. Lui mi guarda come se
mi volesse trapassare con lo sguardo, provocandomi un calore diffuso lungo
tutta la schiena, ed io ancora non capisco che diamine stia dicendo.
Aggrotto le sopracciglia e biascico stupidamente: “Ma che cosa stai
dicendo, scusa?! Puoi ripetere?!”.
Draco sbatte le palpebre un paio di volte, confuso a sua volta, guarda
il polso che ancora mi sta stringendo ed improvvisamente lo lascia andare come
se fosse rovente, facendo un passo indietro, cosa che consente al mio respiro
di decelerare e al mio annebbiamento di passare. Mormora, con la voce più
bassa: “Il tipo che era con te, ieri sera… ha detto che non è tuo marito, ma ho
capito che state tutti giocando al gioco dell’elusione con me… Seth che parla
per tre ore solo del Petite Peste, Thomas che non entra nella stanza dove sono
io… e Pansy che mi dice casualmente solo che si è sposata con lui… e Dio solo
sa che droga assuma, al momento…”, scuote la testa ancora incredulo e, di
riflesso, io serro la mascella, contrariata. Certo è anormale che Pansy abbia
sposato Dean… ma è perfettamente logico che lui stia per sposare Raissa. Certo,
come no. Trattengo comunque in gola le mie rimostranze e continuo ad
ascoltarlo: “… ho capito che aspettano il tuo sommo segnale per rendermi
partecipe di qualche minima informazione su cosa diamine stia succedendo… quindi deduco che il tipo che se ne è andato
e che dice di non essere tuo marito, in realtà lo sia…”.
“Stiamo davvero parlando di questo, adesso?” borbotto, incrociando le
braccia e guardandolo storto.
“Se deve piombare di nuovo in casa mia non appena te ne sarai andata
per cercare la sua mogliettina… sì, ne stiamo decisamente parlando…”.
Adesso ricordo anche che cosa diamine mi facesse venire voglia di
ucciderlo un giorno sì e l’altro pure. Con un rumoroso sussulto, mi rendo conto
anche in che cosa assomiglia ad Alex. Il modo in cui adesso mi guarda, gli
occhi grigi accesi e fissi che sembra che inseguano un bersaglio, i piedi
piantati al suolo, l’ostinata cocciutaggine nel non farsi mai evitare nemmeno
verbalmente… questo, Alex l’ha preso da lui. E’ così simile a mio figlio,
adesso, che un capogiro mi fa di nuovo tremare.
Nervosamente, senza pensarci eccessivamente su, rispondo frettolosa:
“Se stai parlando di Ilai, non è una persona che mente…”, contrariamente alla tua fidanzata “… quindi mi pare ovvio che
avesse ragione…”. Soffoco in gola la caterva di insulti che gli sto per
rovesciare addosso, mentre lui mi guarda con lo sguardo nebuloso ed aggiunge:
“… ma se non è lui… tuo marito dov’è?”.
Ma è cretino?! Ma che hanno messo una legge per cui, superati i
venticinque anni, uno deve essere per forza sposato?!
“Mio marito è nel meraviglioso paese delle favole a cavalcare gli
unicorni…” borbotto nervosa, aggiungendo infine: “Non so nemmeno perché ti sto
rispondendo… ma io non sono sposata… non so dove diamine tu la prenda sta
convinzione…”. Io conosco quest’uomo da diciassette anni, ho un figlio che gli
assomiglia come una goccia d’acqua, eppure ancora oggi non lo capisco, non lo
comprendo appieno. Draco, infatti, sgrana gli occhi esterrefatto, ne distinguo
ogni pagliuzza più chiara in quell’immenso mare d’argento fuso, e mi guarda
improvvisamente tremante, scosso, nervoso, come se qualcosa fosse vacillato e
crollato tutto dentro di lui. E’ come vedere un castello di carte e sabbia che
frana, si disintegra, si annienta.
Balbetta mentre mi chiede ancora: “Non sei sposata?!”.
Cerco di mantenere un contegno, mentre osservo ombre e luci inseguirsi
sul suo viso, giocando a cambiargli l’espressione da sorpresa, a terrorizzata,
a improvvisamente serena, a sconcertata, a di nuovo fredda ed apparentemente
insensibile. Gli rispondo tutto sommato ancora sarcastica, che l’ironia, come
sempre, è rimasta la mia sola difesa.
“No, non sono mai stata sposata…” biascico a denti stretti, spostando
il peso da una gamba all’altra “E credimi mi fanno persino votare alla Camera
dei Comuni, nonostante sia nubile…”.
Draco stringe i pugni, distoglie lo sguardo da me ed insegue il volo
di un gabbiano fuori dalla finestra. Per un attimo, nei suoi occhi, distinguo
una nota stonata che non riesco a qualificare, e non c’entra nulla che sono
cinque anni che non lo vedo e magari non sono più cosi rapida a decifrarlo. È
qualcosa che su di lui stride, cozza, perché non c’è nulla che giustifichi il
suo viso, articolato e congelato in quella che appare come sofferenza, angoscia. Non ha dipinto addosso il sollievo geloso
dell’ex che scopre sardonicamente soddisfatto che l’altra è ancora libera, non
ha più la pena e la compassione di quello che magari si rende conto che la mia
vita non è esattamente una passeggiata, non ha tantomeno la curiosità
sarcastica di chiedersi allora di chi sia mio figlio.
Soffre, invece, sta male e non capisco il perché. Forse è colpa,
concludo con le mani che mi tremano dalla voglia di prenderlo a schiaffi: forse
si sente in colpa perché, apparentemente, io sono rimasta ancorata alla fedeltà
tardiva verso di lui, mentre si sta per sposare con un’altra. Bè, se è di
questo che si tratta… ancora se la può tenere.
Capisco, però, che c’è dell’altro, quando parla ancora, non
guardandomi, gli occhi ostinatamente rivolti fuori dalla finestra. Le spalle
gli tremano, perpetuando nel silenzio segreti obliqui che evidentemente non
sono solo i miei: perché, sicuramente, ci deve essere un ragionamento a cui
sono esclusa, alla base della sua domanda angosciante ed angosciosa.
Quella che, per intenderci, mi fa sobbalzare ed arrossire come se
fossi una bimba colta in fallo.
“Granger… si può sapere che diamine è successo in questi cinque
anni?”.
Rabbrividisco quando torna inspiegabilmente a guardarmi, ha gli occhi
che implorano spiegazioni e spandono domande. Sta andando tutto esattamente
nella direzione in cui non volevo che andasse e non riesco a capire come siamo
giunti a questo, partendo dal mio stato civile, la cosa che consideravo più
innocua di tutte, al punto da rispondergli onestamente. C’è qualcosa… qualcosa
che non mi sta dicendo nemmeno lui, qualcosa che non so. Qualcosa per cui,
adesso, quello che gli sto dicendo ha messo in discussione qualcosa dentro di
lui che non riesce e non vuole ignorare.
Dovevo andarmene da qui, subito, appena ripresi i sensi. Il mio
residuo istinto alla fuga, magari con una bella Smaterializzazione, viene
sedato bruscamente da un’ombra comparsa sulla soglia del salotto e di cui
avverto immediatamente lo sguardo giada puntato su di me. Prima ancora che Seth
parli, comprendo già che mi vuole dire dalla sua postura e dal fatto che, per
la prima volta da quando lo conosco, non sta sorridendo. E la cosa non mi piace
affatto.
“Devi dirglielo, Hermione…” mormora, facendo un passo nella mia
direzione. Lo guardo agghiacciata, ignorando Draco alle mie spalle che sta
ovviamente guardando a sua volta Seth. Sento distintamente i suoi occhi grigi
perforarmi la nuca e vagare poi sul volto di Seth, di cui ora sa che conosce
tutta la storia come me. La sensazione di essere stata braccata e messa
all’angolo mi annebbia il cervello, provocandomi un vuoto d’aria nello stomaco
che è costrizione e minaccia. Io non ho
alcun obbligo di dire proprio nulla. Ho solo l’obbligo di andare a cercare
subito mio figlio.
“Non ci credo che mi stai facendo questo…” biascico, il labbro
inferiore che mi trema e gli occhi lucidi, guardando Seth che mi restituisce
uno sguardo addolorato, prima di rispondermi, ignorando del tutto Draco e
parlando come se ci fossi solo io nella stanza: “So che ci sono cose… che tu
non gli diresti mai, adesso. E sono cose di cui spetta a te parlare. Non mi
arrogherei mai questo diritto…”. Respiro lievemente di sollievo, almeno la
verità su Alex me la concede, mi lascia tenerla per me, eppure non riesco
ancora a calmarmi del tutto. Il respiro è comunque distonico, tremendamente
accelerato, angosciato: in realtà io, adesso, non vorrei davvero parlare di
questi cinque anni con lui. So che è stupido ed irrazionale, e non è
decisamente da me, ma il mio controllo mentale è sparito nel momento in cui ho
visto Raissa e Dimitri smaterializzarsi assieme ad Alex. Adesso, mi ritengo pienamente incapace di intendere e volere.
Ed adesso io non voglio che lui sappia niente di me. Come spiegare… ecco, lui
ha fatto delle scelte in questi cinque anni, in base a delle convinzioni
sicuramente radicate in lui. Ha probabilmente amato Raissa al punto di decidere
di sposarla, e nulla, niente di me, lo ha fermato. Non è venuto a cercarmi, non
ha raccontato a Serenity di me, non ha nemmeno cercato Pansy o Seth stesso.
Ora, cosa mi serve che lui sappia che cosa è accaduto? Che mi serve? Niente mi
riporterà indietro questi anni… e niente cambierà quello che è accaduto,
adesso. Che me ne faccio, adesso, che lui sappia la verità? Mi darebbe pena,
colpa, tenerezza, forse persino amore. Ma tutti in ritardo, e sulla base di
quello che gli ho detto. Io avrei voluto
che scegliesse me, anche senza sapere che cosa è successo. Avrei voluto che mi
avesse aspettato, come io ho aspettato lui. Draco ha fatto una scelta, io
ho esitato a farla, ma ora ci sono arrivata anche io. E pretendo che anche
Seth, con tutto il bene che gli voglio, rispetti questa mia scelta.
“No…” sollevo gli occhi e dico lapidaria a Seth, mordendomi il labbro
“No, Seth… adesso non è il momento per…”.
“Lui ha diritto di sapere, invece!” urla Seth, facendomi accapponare
la pelle. Non mi ha mai urlato contro, non mi è mai stato contrapposto, ha
sempre preso le mie parti. Ed adesso sceglie Draco, adesso sta scegliendo lui,
e non me. Questa consapevolezza mi apre dentro peggio di una mela spaccata a
metà. Seth continua a guardarmi e ad urlarmi contro, stringendo i pugni, il
volto che si fa violaceo, mentre Draco se ne sta in silenzio alle mie spalle:
“Lui ha diritto di sapere di Raissa! Io non ci sto, non ci sto che lasci che
lui si rovini la vita appresso a quella donna, che accetti di sposarla, che non
sappia che cosa è successo a te e che cosa ti è stato fatto in questi anni…
perché, maledizione, non riesci a fidarti di lui, non riesci a fidarti di
nessuno?! Perché devi fare tutto da sola?!”.
“Perché io sono da sola, Seth!” mi ritrovo a gridare, la voce tagliata
dal pianto, prima ancora che me ne renda conto, Seth si interrompe e mi fissa
ad occhi spalancati. Le lacrime prendono a scorrermi lungo il viso, mentre a
pugni chiusi mastico amaro e vomito con ferocia: “Io sono sola, Seth! Sono
cinque anni che sono sola! La sola cosa che ho e che non mi rende del tutto
tale, è mio figlio… voi, tutti voi, tu, Dean, Pansy…”, ruoto su me stessa ed
indico Draco, che continua a fissarmi, gli occhi spenti “… persino lui, persino
lui… tutti voi ce l’avete una stramaledetta vita a cui tornare! Io non ce l’ho,
Seth! E come faccia adesso tu a non capire questo… è assurdo… io ho solo me
stessa ed Alex… ed è tutta la mia stramaledettissima esistenza che faccio la
cosa giusta, che mi prendo a calci pur di fare la cosa giusta… e tutto questo,
tutto questo, a che cosa mi ha portato, Seth? A perdere mio figlio, che è la
sola cosa che conta al momento per me. Quindi me ne frego che lui abbia diritto
di sapere, me ne frego di te che pensi che lui abbia diritto di sapere… io
voglio solo andarmene da qui, e riprendermi il mio bambino. Dopo, un giorno,
quando mio figlio sarà qui con me e al sicuro, potrete farmi tutte le morali
che volete… ma adesso abbiate il sacrosanto diritto di stare fuori dalla mia
vita, che è mia e di mio figlio, e basta!”.
La carotide preme contro la mia pelle come se volesse schizzare fuori,
la faringe mi gratta come se ci fosse scivolato dentro dell’acido e le lacrime
mi bruciano il viso: non so nemmeno in che punto della conversazione sono
scivolata in basso, restando in ginocchio. So solo che il viso di Seth e la
tensione silente di Draco sono insopportabili, adesso. Tutto si mescola alla
mancanza di Alex, che è come l’amputazione di metà del mio corpo, quella più
vitale e necessaria, al punto che mi considero al momento un moncherino
sanguinolento, tenuto in vita da un perfido accanimento terapeutico. Soffoco il
viso e le lacrime tra i palmi della mano, cercando di non fare rumore ed
emettendo un’aura di distacco che spero che entrambi colgano. Non voglio, né
necessito che nessuno mi tocchi.
Ed è inconcepibile che ci pensi adesso, ma le sole persone che vorrei
al momento sono Dean o Ilai. Il primo che ha fiducia in me qualsiasi cosa
faccia, ben più di Seth, che si è così fissato che io e Draco ci apparteniamo
da non vedere nemmeno che cosa ci sia capitato adesso e in che persone ci siamo
trasformati. Il secondo che si è allontanato discreto, non appena ha saputo che
Draco era qui. Lo so, lo sento come sempre, che è andata così. Ed invece io,
ora, avrei bisogno di lui più che mai. Lui saprebbe spiegare questo squarcio
dentro, lui allontanerebbe le ombre da me, lui mi farebbe sentire in pace… e
lui conosce Alex. Draco Malfoy, suo padre, non sa nemmeno come è fatto. E so
che, almeno questo, non è colpa sua: ma al momento gli darei ogni
responsabilità del mondo. Perché tutto nasce e muore in questo: lui, Raissa,
non l’ha lasciata andare. Se l’avesse fatto, Alex sarebbe ancora qui. Qualsiasi
cosa accada, comunque vada a finire, io questo non riuscirò mai a
perdonarglielo. Mai.
Nel silenzio che adesso si spande venefico su di noi, interrotto solo
dal frinire triste di una cicala, lascio che i miei occhi se ne stiano dentro
le mie mani così da potersi riposare e sciogliere di lacrime, senza che nessuno
mi fissi, facendomi sentire compatita. Ma è ovvio che non posso stare così a
lungo: quando mi arrischio ad alzare lo sguardo, mi accorgo immediatamente che
Draco mi ha sorpassato e si è piantato accanto a Seth, che si morde l’unghia
del pollice a disagio, gli occhi lucidi. Draco, invece, ha l’espressione
indecifrabile, dura, chiusa, arcigna, ed ovviamente è me che guarda così.
Mi asciugo con il palmo della mano le lacrime ancora sparse sul viso e
sollevo il mento, a mo’ di sfida silente, così che dica quello che sta
pensando. Le parole ci sono sempre state nemiche, ma i gesti, le espressioni e
gli sguardi no; infatti, nonostante tutto, lui capisce subito che cosa gli sto
dicendo ed incrocia le braccia meccanicamente, sibilando freddo: “Sono davvero
lieto che, dopo cinque anni, siamo ancora a questo meraviglioso punto delle nostre
vite, per cui sei sempre presa dall’insano desiderio di punirmi per qualcosa
che non ho commesso… ed al contempo sei sempre presa dal tuo delirio di
onnipotenza per cui puoi fare tutto da sola… e sempre…”. Ansimo, la voglia di
prenderlo a schiaffi che mi sussurra nelle orecchie e mi infiamma le dita,
mentre lui prosegue disinteressato: “Sono cose che fanno riflettere, sei
rimasta esattamente quella che sei sempre stata… anche se sei madre, adesso…”,
mi alzo in piedi, facendo qualche passo, giuro che se non la smette
immediatamente lo uccido sul serio. Draco fa un sorriso beffardo, guardandomi
ed inclinando la testa di lato: “Da genitore si fa ogni sacrificio possibile,
credo che tu lo sappia… e se si fosse trattato di Serenity, io ti avrei
implorato di aiutarmi… anche se si fosse trattato di te…”. Chiudo i pugni lungo
i fianchi, l’odio che mi macina come se fossi dentro un ingranaggio, il volto
mi va a fuoco. Non le voglio lezioni sull’essere madre, tantomeno da lui che,
dopo chissà quanto, ha deciso di fare da padre a Serenity. L’ho lasciato che si
faceva ancora chiamare fratello da lei. Che diamine ne vuole sapere, lui, del
coraggio di essere un genitore sin dal primo momento, sin da quando tuo figlio
nasce, sin da quando lo vedi respirare accanto a te, e tu magari non ne volevi
sapere, non volevi essere madre, e raccogli la forza che hai, solo perché lo
hai visto quel bambino e adesso lo ami più di qualsiasi altra cosa al mondo?
Non le voglio lezioni da uno che ha deciso di essere padre, solo quando ha avuto
Raissa accanto.
Ma lui ovviamente prosegue, forse leggendo quelle parole nel mio viso
e, come sempre, non facendosene minimamente impensierire: “… e sai, posso anche
accettare che, nella tua mente non valgo al punto da avere una qualsiasi
spiegazione su quello che sta succedendo, soprattutto se riguarda la donna con
cui ho passato gli ultimi cinque anni…”, la solita fitta mi colpisce infida al
petto, cerco di dissimulare il dolore con una smorfia che spero suoni come
ironica “… ed ovviamente sei libera di fare quello che vuoi, riguardo a tuo
figlio. Ma qui si tratta anche della mia
di figlia…”, la sua espressione si indurisce, torna ghiaccio scavato e gli
occhi scintillano di furia: “… se mia figlia è stata messa in pericolo perché
Raissa era qui, se c’è anche una possibilità che lei ritorni e metta in
pericolo Serenity… io devo saperlo. E non sarai certo tu ad impedirmelo”. Il
suo volto diventa demoniaco, una maschera di odio deforme, mentre aggiunge
sardonicamente: “C’è una semplicissima parola che risolverebbe tutto questo,
Granger… se tu ancora non volessi parlare… e credo che anche tu la ricordi…”.
“Quale?!” sputo fuori con astio, la mia voce che tintinna di ira
repressa. Draco sorride, quasi comprensivo, ed improvvisamente ricordo che è il
traditore di Voldemort, un ex Mangiamorte. Negli anni, tutto di me lo aveva
scordato, ricordavo solo la tenerezza e l’amore che aveva per me. Ma Draco
Malfoy è anche questo, è anche minaccia, ricatto, furia e violenza, specie se
qualcuno attenta a ciò che ama. E come per me nulla adesso conta più di Alex,
per lui ora nulla conta più di Serenity.
“La parola magica, Granger…” sussurra suadente, lasciando cadere le
braccia lungo i fianchi e facendo un passo verso di me “E’ legilimens…”. Accompagna l’intimidazione ad usare la Legilimanzia,
sfoderando la bacchetta che punta subito nella mia direzione sotto lo sguardo
terrorizzato di Seth, che guarda prima lui e poi me ad occhi sgranati. Una
risata di gola, profonda, triste, mi fa tremare il torace mentre asserisco convinta:
“Credi forse che io sia la stessa di cinque anni fa? Che sia ancora senza
poteri? Se osi anche fare un solo passo nella mia mente… te ne farò pentire…”.
A mia volta, fremendo, sguaino la bacchetta dalla mia tasca e la punto a mia
volta verso di lui. Alcune scintille stanno già sfrigolando, quando Seth,
autenticamente terrorizzato, si para tra me e lui, gli occhi lucidi e le
braccia aperte.
“Smettetela!” urla a pieni polmoni, io e Draco già presi
dall’adrenalina e dalla rabbia sbattiamo le palpebre, come risvegliati, la mia
bacchetta trema nella mia mano “Non vi permetterò tutto questo!”. Seth mi
lancia uno sguardo storto, prima di sussurrare qualche parola che non intendo e
che assomiglia tremendamente ad una richiesta di scuse.
Poi, guardando Draco, prima che io glielo impedisca, biascica: “La
ragazza che ti ha lasciato cinque anni fa… non era lei, era Astoria… Hermione…
non l’avrebbe mai fatto…”.
La bacchetta di Draco scivola dalle sue mani, mentre lui, bianco, le
labbra livide, supera la spalla di Seth, cercando immediatamente i miei occhi.
Sono liquidi, morbidi, intensi, colmi di una sofferenza incredula che non credo
di avergli mai visto. Mi fanno riprendere a piangere prima che me ne renda
conto, mentre lui dice balbettando: “N-non è possibile…”.
Draco sa perfettamente come dissimulare le emozioni, l’ha sempre
saputo fare. Ma ora non ci riesce, non ce la fa.
Il solo sfogo al dolore che riesce a trovare, è guardare verso di me,
sbigottito, sconcertato, sconvolto, come se si aggrappasse a me.
La mia bacchetta ricade via dalle mie dita e, con un tonfo secco,
atterra sul pavimento.
Sgonfiata, senza forze, d’improvviso esausta, mormoro: “Ti dirò tutto…
ma alle mie condizioni…”.
La mia prima condizione è tempo.
Ne ho un tremendo bisogno.
Corro subito di sopra nella camera in cui mi sono svegliata, e la
prima cosa che faccio è rifugiarmi nel bagno, chiudere la porta a chiave e
scivolare al suolo. Piango, singhiozzo, lascio che tutta la tensione e il
dolore trovino almeno un sfogo che mi impedisca di esplodere come una bombola
di gas: premo forte le mani sulla bocca così che nessuno mi senta e soffoco le
lacrime in modo che muoiano qui, in me, senza che nessun altro le senta o le
veda. Quando giudico di essere più calma, mi alzo in piedi, mi lavo la faccia
con abbondante acqua fredda e mi pettino di nuovo i capelli. L’aspetto che lo
specchio mi rimanda, sebbene gli occhi rossi e le occhiaie, è quello di una
persona apparentemente più normale.
Uscita dal bagno, afferro il cellulare dalla mia borsa, ignorando con
un profondo sospiro lo screensaver che mostra Alex a pochi mesi di vita che
sorride dentro il box, e compongo dapprima il numero di Dean, poi quello di
Pansy, ed infine quello di Harry. Il primo mi dice che è sulla buona strada per
capire come funzioni il ciondolo di Tatia, ha trovato una negromante indiana
che ne capisce di queste cose e che sta consultando dei testi per capire come
non disperdere il potere del sangue di unicorno e se questo può essere
utilizzato anche contro un forte potere oscuro, come quello derivante da
Adamar. Ringrazio Dean profondamente, lui mi rassicura e tranquillizza, ed
effettivamente riprendo a respirare normalmente, sapendo che stiamo facendo di
tutto per sfruttare la sola risorsa che abbiamo al momento. Sono convinta che,
se Tatia mi ha lasciato questo ciondolo, aveva le sue motivazioni, come per
tutto il resto, senza contare il sogno che ho fatto dove mi ha ammonito di non
toglierlo.
È stata la prima vittima dei Karkaroff, non può essere tutto un caso.
Chiamo Pansy per sapere come stia, sommessamente, con una voce smunta
che non le appartiene, dice che ha accompagnato Serenity a scuola, e che adesso
è in giro con Charisma. Passerà in farmacia per delle commissioni, e poi
tornerà indietro. Mi prega di non “infierire
sul cadavere di Malfoy, che voglio averlo io questo onore”, e, mio malgrado, sorrido incredula,
riagganciando.
L’ultimo che chiamo, è Harry: gli racconto tutto di quello che è
accaduto, lo sento ascoltarmi rabbiosamente. Mi promette che cercherà nel modo
più discreto possibile di rintracciare i Karkaroff, anche se sa che non è
probabile che li trovi. La loro magia è troppo potente. Però mi promette che
farà di tutto per aiutarmi e che informerà Helder quanto prima, la sola forse
in grado di aiutarmi davvero.
Quando ho finito, chiudo gli occhi e mi abbandono sul letto ancora
sfatto. Sotto le palpebre, si inseguono i ricordi di questi cinque anni. Li
afferro, li sistemo velocemente, ne seleziono alcuni, ne tralascio altri.
Dovrò essere asettica, settoriale, precisa. Ridurre al minimo le
domande, parlare in modo veloce e chiaro, evitare ogni riferimento ad Alex,
alla sua età, al suo nome, al suo aspetto, al suo carattere.
Di lui, non deve sempre niente, l’ho già detto e non cambio idea. Non
così, non adesso.
L’ultima condizione che paleso una volta scesa, chiudendo la porta del
salone dopo che Draco è entrato, è semplice.
Io e lui. Basta.
Nessun altro.
Vedo lo sguardo di Seth oltre la porta, mentre si stringe nelle spalle
e distoglie gli occhi da me, ma lo ignoro. Mi ha tradito, non ha rispettato una
mia precisa scelta. Voleva questo, voleva che parlassimo? Benissimo. Lo faremo.
Ma da soli. E nella maniera più veloce e rapida possibile. Non ho bisogno
dell’arbitro degli aggettivi che userò, qualora non rendano abbastanza il
concetto.
Voglio bene a lui, a Dean, a Pansy… ma questa storia è mia e di Draco,
non di tutti loro.
Ho immaginato tante volte questo momento, nel corso degli anni, quello
in cui avrei detto a Draco la verità. Spesso nei miei sogni questo momento si
affacciava, prima di prendere sonno, ed aveva sempre un colore diverso, un
respiro diverso, un palpito diverso. Mi chiedevo spesso, quando ero ancora in
Italia, se avrei dovuto mostrargli Alex e lasciare che lui capisse, perché ero
convinta che Draco, vedendolo, avrebbe capito. Immaginavo il tremore che gli
avrebbe preso gli occhi, la piega emozionata delle labbra, la fossetta gentile
ai lati delle labbra di quando sorride e scoppia dalla gioia. Avrebbe inseguito
gli occhi di nostro figlio, e subito avrebbe intuito, ma mi avrebbe comunque
chiesto chi fosse, come si chiamasse, magari anche perché gli somigliasse
tanto. Ed ero certa, sicura, convinta che Alex non avrebbe taciuto, avrebbe
urlato una frase del tipo: “Ciao papà!” come quando lo salutava ogni mattina a
Favignana, dopo aver salutato me e Ron. Avrei maledetto il candore genuino di
Alex ed avrei pianto, guardando Draco, annuendo con il capo, lasciando che lui
lo guardasse bene e che si chinasse alla sua altezza per osservarlo negli occhi
gemelli dei suoi. Pensavo che avrei potuto lasciarli soli, e poi mi dicevo che
non era il caso, che Draco sarebbe stato traumatizzato, che Alex spesso parla
troppo e lo avrebbe rintronato. Meditavo su tutte queste cose ed era come
rilassarmi, mollare la presa, sentirmi felice dentro che tutto sarebbe andato a
posto, ed in ricompensa il sonno arrivava. Mentre mi addormentavo, però, mi
dicevo che l’incontro perfetto avrebbe visto Alex venire solo dopo che noi due
avessimo parlato, perché avevamo bisogno di un momento per noi, avevamo bisogno
di essere prima Draco ed Hermione, e poi i genitori di Alex. Ce lo doveva il
tempo, la vita, il destino e tutto quello che ci aveva divisi. Era facile
quindi decidere che avrei indossato qualcosa di rosso, come la sera del
compleanno di Pansy, e mi sarei tirata su i capelli, perché lui una volta mi
aveva detto che stavo bene così. Avrei avuto un passo leggero e, mentre gli
raccontavo ciò che era accaduto, avrei voluto tenergli la mano, stringergli le
dita o lasciare che mi stringesse lui. Avrei infarcito il racconto di aneddoti,
dei pensieri più vari, pentendomi se avessi scordato qualcosa. Gli avrei
consegnato le novecento tredici lettere che gli avevo scritto, i cinque regali
di Natale e i cinque regali di compleanno. E, ad un certo punto del racconto,
mi sarei fermata e l’avrei guardato fisso negli occhi. E sapevo che l’avrei
baciato, sapevo che mi avrebbe risposto, sapevo che avremmo fatto l’amore come
se non ci fosse domani, disperati, ma riuniti, riconciliati, riappacificati con
la vita stessa. Cadevo nel sonno, dicendomi che però stavolta dovevamo stare
attenti, basta con i bimbi non programmati, Alex aveva bisogno di averci per
noi almeno per un paio di anni, sarebbe stato già difficile avendo anche
Serenity, dovevano legare tra loro, e chissà se sarebbero andati d’accordo, e
potevamo mandarli assieme in palestra, oppure Serenity a danza ed Alex a scuola
calcio che adorava il calcio essendo cresciuto in Italia, e poi la domenica…
… pensavo davvero queste cose prima di andare a dormire. Ci credevo
profondamente, a tutte.
Non era fede e speranza, era per me previsione del futuro.
In tutto questo, Draco Malfoy andava a letto con Raissa Karkaroff,
Ilai Radcenko soffocava nella mancanza di sua moglie e Dimitri Karkaroff mi
cercava come una bestia dannata.
Adesso che ci sono arrivata, adesso che sono arrivata a questo
momento… mi siedo sul divano di fronte a Draco che mi guarda, stringendo i
pugni, e non c’è nulla di come doveva andare.
Ho un vestito azzurro spiegazzato, ho i capelli sciolti, ho gli occhi
rossi e stanchi. Mio figlio non dirà da un momento all’altro “ciao papà!”, non
racconterò nulla più del necessario, le mie novecento tredici lettere sono
nella mia valigia. Non lo bacerò, non lo stringerò, non voglio che mi tocchi
nemmeno per sbaglio.
La fantasia, la mia soprattutto, ha accartocciato il futuro, rendendo
questo momento insapore ed inconsistente come segatura.
Al momento, io… voglio solo che finisca.
Faccio un profondo respiro, Draco mi soppesa con lo sguardo come se
temesse d’improvviso che mi trasformi in qualcos’altro davanti ai suoi occhi.
Si è cambiato, porta una polo azzurra su dei jeans chiari ed ha i capelli
bagnati sulla nuca, come se si fosse fatto una doccia. Un raggio di sole
illumina e taglia a metà i suoi occhi, rendendo palese la tensione che permea
il suo corpo, visibile anche nelle mani chiuse a pugno e nei gomiti poggiati
parallelamente alle gambe. “Seth non ci capisce niente di magia…” inizia
impaziente, le mani che si sfregano nervose l’una sull’altra “Ma io e te
sappiamo che non è possibile quello che dice… la ragazza che ho visto quel
giorno… eri tu, eri indiscutibilmente tu… una Polisucco non avrebbe mai
potuto…”.
“Hai dimenticato di chi stiamo parlando?” lo interrompo subito, asciutta,
senza nemmeno alzare lo sguardo “O frequentare quella donna per cinque anni ti
ha ottenebrato la mente fino a questo punto?”.
“Potremmo lasciare fuori questa storia per il momento?” borbotta
nervosamente, le dita che tamburellano come se avesse un tic.
“Ah certo, lasciamo fuori questa storia…” commento acidamente,
sorridendo in modo forzato “Ovviamente, come sempre, è tutto un senso unico con
te… io devo parlare… ma tu puoi
startene zitto… comunque non mi interessa, basta che la finiamo…”. Concludo
stancamente, pentendomi del mio accesso di rabbia e gelosia, a cui Draco ha
risposto solo piegando le spalle ed appoggiandosi stancamente al divano. La sua
attenzione torna vigile, quando mormoro con tono ovvio: “La Conoscenza assoluta
l’hai dimenticata? Non ricordi che lei e suo fratello conoscono ogni singola
cosa scritta da uomo? E questa non era nemmeno tanto difficile da trovare… si
chiama Imitatio cordis,
imitazione del cuore… due persone unite dallo stesso sentimento entrano in
risonanza l’una con l’altra. Una delle due ne può rubare per qualche ora
aspetto, ricordi, emozioni. Io ed Astoria condividevamo le stesse sensazioni in
quel momento…”, distolgo lo sguardo da lui, non mi va proprio nemmeno di
ricordare quali fossero le sensazioni
che condividevamo “In tal modo, riuscirà una personificazione perfetta. A patto
che l’altra persona sia sufficientemente debole…”.
Draco assimila le mie parole per qualche secondo, appare ancora
incredulo e sconcertato, tormenta le dita delle mani in modo meccanico. Sembra
quasi voglioso di contraddirmi, convinto evidentemente contro ogni logica che
non poteva trattarsi di persona diversa da me. Poi qualcosa scivola sul suo
viso, un’ombra che gli sfiora i lineamenti e gli fa contrarre l’espressione
come se avesse avuto un calcio in pieno stomaco. Dismette il dubbio ed
abbraccia la paura. Sussurra solo, stringendo le labbra: “Se la persona da
impersonificare eri tu… ed era necessario che fossi debole per consentire ad
Astoria l’incantesimo…”, fa una pausa incredibilmente sofferta, scopro ancora
la stretta massiccia in fondo al ventre di tutte le volte che stava male ed ero
arsa dal desiderio di impedire qualsiasi cosa lo ferisse. La ricaccio nel fondo
di me con rabbia, ci manca solo addolcire la pillola adesso, lui intanto
conclude con un tremito: “Eri debole…
perché?”.
Per un attimo, guardo i suoi occhi e non vorrei fargli del male, so
che adesso si sentirà in colpa, so che starà male. So tutto quanto. Respiro a
fondo e capisco che però non potrei nemmeno volendo, rendergli le cose più
facili e meno dolorose: non a condizione di massacrarmi io. Tra noi è andata
male, anche perché accettavo di tacere pur di stare con lui, pur di non
diventare seccante. E pur di non esserlo, non gli confidai la mia paura di
Helena. È stato sbagliato. Doveva portare quella croce con me. Altrimenti,
perché stare assieme? Ora, certo, non importa più… ma siamo alla catarsi
finale. E voglio che questo lo sia anche per me: lui e Seth hanno voluto la
verità? Eccola. La verità fa schifo, farà male. Non ci posso fare assolutamente
nulla.
Decido di essere quanto più precisa possibile, in modo che mi faccia il
minor numero di domande, non voglio ricordare queste cose per un secondo di
più.
“La sera del compleanno di Pansy… è stata l’ultima vera volta in cui ci
siamo visti… dopo che…” prendo fiato, distolgo il viso e tengo a freno il
pianto idiota che mi assale al ricordo della sua proposta di matrimonio. Draco
si muove sul divano, fa un minuscolo accenno di assenso con la gola che sa di
tristezza raschiata via, e finalmente riesco a continuare: “Bè, quella sera… uscii in giardino per
prendere aria. Non avevo nessuna intenzione né di andarmene, né tantomeno…”,
ancora sono costretta a fermarmi, le parole sono diventare così infide che mi
pungolano per essere sincera e poi mi sgusciano tra le mani se mi arrivano
troppo vicine al cuore, che batte ancora maledettamente per l’uomo di fronte a
me.
“Fa male…” commenta Draco, le spalle piegate, e non è una domanda, è solo
una constatazione che sembra nascere dal profondo di sé per riverberarsi dritto
su di me. Lo guardo dritto negli occhi, ed una stupida lacrima mi cade
dall’angolo dell’occhio destro, l’asciugo rabbiosamente: “Ho raccontato questa
storia così tante volte… ed è assurdo che faccia ancora così male… i-io… non ne
volevo parlare adesso… non con Alex che… ed è sempre stata Raissa… fin da
allora…”. Le lacrime mi affannano di nuovo la vista, maledico la mia debolezza
e le asciugo meccanicamente.
“Ti prometto che sarà l’ultima volta che ne parli… per favore… dimmi che
cosa è successo…”. Un brivido caldo mi scuote la schiena, il contatto con i
suoi occhi mi fa ricordare in modo goffo che cosa amassi di lui… e che cosa amo
ancora di lui. Questo: la poderosa sicurezza che ti avvolge e che fonde ad ogni
parola che pronuncia. Sebbene sia passato tanto tempo, fa ancora effetto su di
me, rende il mio respiro più calmo e mi costringe a parlare normalmente, in
modo quasi freddo, pur di finire in fretta: “Non volevo lasciarti. Non l’avrei
mai fatto, e soprattutto non in quel modo... in giardino, fuori dal cancello,
vidi una sagoma supina, era Daphne Greengrass… corsi da lei, non avevo visto
chi fosse e temevo che fosse qualcuno che si fosse fatto male. Raissa aveva
fatto cadere la barriera… ed ovviamente non trovai alcuna resistenza. Lì… mi
aspettava Dimitri…”. Le mani di Draco si torcono a pugno, diventano livide, ma
mi sibila di continuare. “… mi ha minacciato, voleva che lo seguissi. Ed io
ovviamente mi sono rifiutata, avevo la bacchetta che mi avevi dato, l’ho attaccato…
ed avevo anche avuto la meglio. Ma appena ero riuscita a farcela, sono comparsi
Astoria, Pucey e Montague… si erano alleati con lui… io… non li avrei seguiti
lo stesso, sarei morta pur di non andare con lui… ma… avevano Hayden…”. Lo
stupore sul volto di Draco ad ogni parola del mio racconto si stempera nella
rabbia, nella furia. Sento distintamente che sta per perdere il controllo, sta
per cedere, sta per crollare. Le mani sono rosse a furia di sfregarle, mi
sforzo di proseguire deglutendo: “Lo avevano già ferito… tu avevi pensato a
difendere tutti, tranne lui… e io non potrò mai perdonarmi di non avertelo
ricordato, di non aver io stessa pensato che lui potesse essere messo in mezzo
a questa storia… per colpa loro, Hayden non camminerà mai più…”. Ancora le
lacrime mi impediscono di continuare, ho già raccontato questa storia decine di
volte, ma adesso con Draco ha un’impressione differente. Mi fa davvero più male
che tutte le altre volte. Quello che leggo in lui, nei suoi occhi, mi spinge a
sentire tutto più forte di prima. Seth pianse mentre parlavo, Pansy rimase
sconvolta, Dean mi abbracciò un paio di volte… ma con loro è diverso, è ovvio
che lo sia. Draco è vittima come me, in
me. Nel ricordo, lui soffre assieme a me per la prima volta da cinque anni.
Fa male, infinitamente male, ma forse fa anche bene. In un modo strano, sento
che forse è la sola occasione che ci è rimasta di sentirci uniti ed è
emblematico che ciò avvenga nel ricordo del dolore, della rabbia e dell’odio
che ci ha resi estranei.
Ormai, abbiamo dalla nostra solo questo e qualche granello di polvere di
una passione, che probabilmente, nostro malgrado, non andrà mai via. Ma è solo
sangue, carne, pelle. Non arriva più al cuore.
“Sono stata costretta a seguirli… ma mi sono accorta subito che Astoria non
era venuta assieme con noi…” proseguo inespressiva, forzandomi a trattenere le
lacrime e a non guardarlo “Ed ho intuito subito che avrebbero fatto qualcosa
per tenerti lontano da me… e ne ho avuto la prova quando Pansy mi ha mostrato i
suoi ricordi. Ero io in tutto per tutto, persino le cose che dicevo… erano cose
che avevo pensato… ma lei le stravolgeva come voleva, io non ho mai odiato me
stessa per essermi innamorata di te… ed anche se l’avevo fatto… poi era
cambiato tutto stando assieme, erano cose che risalivano allo Zahir ed oramai
era passato… ed io ero a pieno titolo un’altra persona. Non quella che poteva
stare con Ron, o con chi so io… ero fatta per stare con te…”, nascondo il
rossore delle guance , fingendo di portarmi indietro i capelli con le mani, ed
evito ancora di fissare Draco. Non prendo nemmeno fiato, riprendendo a parlare
con compostezza prima che mi interrompa, la tensione sta crescendo ancora,
dubito che resisterà ancora per molto: “… ed anche Pansy… era stata onesta parlandomi
di Helena… ma non mi ha mai, e dico mai, fatto pressioni per allontanarmi da
te. Non era colpa sua se avevo sempre lei in testa… e se vuoi ancora una prova,
chiedimi come sia con me adesso, come nonostante tutto posso dire persino di
essere legata a lei… mi ha sempre accettato nella tua vita perché amava te… ma
sarà lei a parlartene, se vorrà… e in quanto a me ed Helena… non credo che
conti molto parlarne adesso…”. Figuriamoci se conta parlarne adesso: non si è
fatto scrupolo nemmeno verso Helena.
Sento che Draco sta per alzarsi in piedi e sento distintamente che sta per
parlare, non glielo lascio fare. Se adesso mi fermo probabilmente non riuscirò
più a continuare.
“Sono stata prigioniera di Dimitri per dieci giorni, assieme ad Hayden… ho
tentato di curarlo in modo goffo, ma non c’è stato nulla da fare, è rimasto
paralizzato… e sebbene li abbia implorati di liberare almeno lui, non ne hanno
mai voluto sapere, era un modo per tenermi ancorata lì senza fare nulla di
stupido…”, non l’avrei fatto comunque
qualcosa di stupido, dato che ero incinta di tuo figlio. Quel pensiero
sfuggito per caso mi blocca il respiro e mi fa soffocare. Tossisco un paio di
volte, con forza, come a scacciarlo via, e riprendo con un filo di voce: “Ho
intuito subito che ci doveva essere un motivo… qualcosa… per cui tu non mi
cercavi… e allora non sospettavo minimamente della parte che Raissa aveva avuto
in questa faccenda… pensavo che fosse solo Dimitri… comunque, senza andare per
le lunghe, dieci giorni dopo Helder mi ha rintracciato… mi teneva d’occhio da
quando avevo distrutto lo Zahir e si era accorta che ci era qualcosa che non
andava…”, sono settimane che ho il
cervello che brucia; ancora devo fare ogni sforzo mentale e fisico per
gettare fuori dalla mia mente tutti i ricordi di che cosa è davvero accaduto
cinque anni fa, di Helder che mi diceva che si era accorta che c’era qualcosa
che non andava perché non sentiva più l’amore che legava me e Draco. Faccio
fatica a parlare ormai, la gola mi si chiude come se stessi sott’acqua: “Helder
ha avvisato Harry e Ron, mi hanno trovato nel castello di Dimitri, hanno
attaccato… ma quella notte… l’unico modo per fuggire era saltare da una
finestra. E non è andata esattamente come speravo… un incantesimo di Dimitri mi
ha colpito alla schiena, sono ruzzolata giù per qualche metro e ho avuto un
trauma cranico. Sono stata in coma tre mesi… e al mio risveglio ero in Italia…
avevano trovato tutti più sicuro nascondermi lì, perché Dimitri non era morto,
era fuggito, poteva ancora farmi del male… e mi è stato impossibile
rintracciarti in qualsiasi modo, non mi facevano venir via… e poi…”, faccio un
respiro profondo, l’ennesimo, sembra che debba impormi ogni tanto di inspirare
a rischio di dimenticarmene ed andare di nuovo in debito d’ossigeno “… poi è
nato Alex e per me è diventato prioritario proteggere lui. Per farlo, Ron ha
accettato di fingere di essere mio marito… ho vissuto con lui cinque anni…”. Il
silenzio di Draco cambia, mi arrischio ad alzare lievemente lo sguardo, le sue
mani sulle ginocchia sono distese, le dita sono come congelate e sembra essersi
immobilizzato dal moto ondoso che lo caratterizzava fino a poco fa. Prevedo
senza eccessiva fatica che cosa sta pensando, sento persino il veleno della
risposta che mi dedicherebbe e mi sento subito in dovere di specificare e di
discernere l’indubbia similitudine che sta facendo con la sua situazione con
Raissa: “So che al momento non sono affari tuoi… e dubito che lo saranno mai
più… ma io e Ron abbiamo solo finto di essere sposati… non c’è stato niente tra
me e lui, di alcun tipo, per cinque anni…”, è più forte di me poi aggiungere
come una cretina: “… ed Alex non è suo figlio, se te lo stai chiedendo in modo
del tutto inappropriato…”.
Immediatamente dopo aver finito di parlare, mi rendo conto della stupidaggine
che ho fatto. Accennare ad Alex significa automaticamente fargli venire la
curiosità sulla sua paternità… come farei a glissare se mi facesse una domanda
diretta? Specie se sto cercando, nel mio rancoroso modo, di fargli capire che
sono rimasta fedele a lui in tutto e per tutto, anche se in un modo
assolutamente patetico, visto come è andata… ma ovviamente Alex non può essere
nato sotto una foglia di cavolo.
Ma, con mia somma fortuna, Draco perde del tutto la connessione con il reale
quando sente parlare di matrimonio e capisce che non sono sposata. Non riesco
ancora a capire il perché, ma spiandolo con la coda dell’occhio, lo vedo
nervoso, crucciato, le sopracciglia aggrottate di uno che ancora sente qualcosa
che non può credere come reale. Non lo facevo così tradizionalista, cavolo,
forse non mi crede capace di avere un figlio anche se non sono sposata… boh…
comunque in ogni caso, per fortuna ha assimilato il riferimento ad Alex in modo
neutro, senza pensarci troppo su, cosa che mi consente di proseguire con
maggiore tranquillità: “Qualche settimana fa… mi hanno dato la notizia che
Dimitri era morto. In realtà, aveva solo finto di essere morto, ha assassinato
Astoria e dopo ha usato una pianta che inganna gli Empatici e nemmeno Helder ha
potuto capire nulla… quindi sono potuta tornare qui…”, deglutisco ancora a
fatica, quanta parte abbia lui nel mio ritorno non voglio nemmeno palesarla a
me stessa, solo che al momento per continuare nel mio racconto, devo
necessariamente fargli sapere che lo stavo cercando. Altrimenti perché
prendermi la briga di cercare Raissa, e tutto quanto?
Alla fine decido di mantenermi vaga, sostenendo che avevo un sospetto su
Raissa stessa, ed avevo cercato appunto di rintracciarla grazie a Seth, Pansy e
Dean. In breve racconto quindi la storia di Tatia, il viaggio in Finlandia,
l’incontro con Ilai e il voto Infrangibile tra Dimitri e Raissa, fino al
momento in cui li avevo incontrati entrambi. Ed accenno, ovviamente escludendo
che avevo precedentemente incontrato anche Serenity, che era stata Raissa
stessa a dirmi che si stavano per sposare e che erano fidanzati.
Quando finisco di parlare, ho il fiato corto e la sensazione di sentirmi
svuotata completamente da ogni forza ed energia: sono persino costretta ad afferrare
la bacchetta e a far comparire una brocca d’acqua ed un bicchiere, di cui
trangugio il contenuto in tre sorsi. Nelle ultime fasi del mio discorso, forse
presa dalla voglia di finire quanto prima e di condensare eventi, non ho molto
badato a Draco e a come stesse reagendo. Lui, del resto, non ha quasi più
respirato ed è come evaporato da qui, esattamente da quando ho raccontato di
essermi svegliata in Italia. Con una fitta di nervosismo, constato che
probabilmente non ha sentito una parola del racconto di Tatia e mi riprometto,
qualora mi chieda qualcosa, di mandarlo a quel paese, dato che su di lei sono
stata adeguatamente precisa e prolissa.
Ma Draco, appena finisco di parlare, non fa assolutamente nulla del genere.
Si alza in piedi, fa qualche passo attorno alla stanza per poi fermarsi dietro
la finestra, la schiena rivolta verso di me e le braccia piegate e poggiate sul
vetro. Finalmente posso guardarlo senza che ciò mi susciti alcuna emozione
palese: i muscoli delle spalle sono contratte, scattano sotto la polo
nervosamente, il respiro è rapido ed ansante. Le mani, chiuse a pugno, tremano
leggermente. Sembra, di nuovo, sul punto di scoppiare.
La sua voce sembra provenire da molto lontano, quando parla di nuovo,
sebbene sia solo ad un paio di metri da me. Ha un tono sarcastico, ma sfumato
in una specie di tenerezza collosa, che mi fa scendere un pesante groppo sullo
stomaco. Dice solo: “Mi ero dimenticato com’è parlare con te… che eludi e
scegli accuratamente che cosa dire e che cosa non dire, che cosa accentuare e
cosa lasciare sfuggire via… chissà quanto non mi stai dicendo…”. Sobbalzo a
disagio, ancorandomi al bracciolo del divano come se fossi stata appena
condannata alla pena capitale. Ritrovo il respiro solo quando parla di nuovo
con voce inespressiva: “Non ti chiederò di tuo figlio… l’ho capito che non ne
vuoi parlare… e ok, mi può anche stare bene…”, sospiro un po’ troppo
rumorosamente, calmandomi e ritrovando un ritmo più o meno normale del cuore “…
ma c’è altro che devo chiederti… devo farlo. E mi devi rispondere…”.
La sequenza di tutte quelle coniugazioni del verbo dovere mi provocano un
ulteriore bruciore lacerante allo stomaco, e sono tentata di incrociare le
braccia e di sbuffare rumorosamente. Poi tento di darmi un contegno e di ricordare
che tutto quello che gli ho detto avrebbe sconvolto anche me, se lo avessi
saputo solo adesso. Sentendomi cretina, dico alla sua schiena in tono truce:
“Non accetterò un terzo grado, Malfoy… non ne ho né la voglia, né il tempo…
condensa tutto in tre domande, ed andiamo avanti…”.
“Me ne bastano due, Granger…” mormora lui, e ha ad un tratto la voce così
triste che mi pento quasi del mio accesso di acidità di poco fa. Le viscere mi
si torcono dolorosamente, trovo sollievo solo dicendo in tono più gentile: “Due
domande… possono andare bene… che cosa vuoi sapere?”.
Si volta improvvisamente, e il contatto con i suoi occhi è così rapido e
subitaneo che mi trovo ad annaspare come un naufrago che non sa nuotare. La mia
schiena trova il divano, mentre mi spingo indietro, come a volergli sfuggire,
prima di rendermi conto di quanto sia inutile. Le pupille dilatate spingono il
grigio dell’iride verso il bianco degli occhi, il respiro accelerato crea
chiazze rosse sui suoi zigomi e le mani si contraggono a pugno, prima che se ne
renda conto. Ho quasi il terrore che voglia lanciarmi contro qualcosa. Poi
parla, e capisco. Ha la voce dolce e disperata, piena di rimorso, e pur non
volendo, pur non immaginandolo, pur non premeditandolo, la vecchia Hermione
trasale dentro di me, si slancia idealmente verso di lui, sogna di abbracciarlo
e di cancellargli quel pensiero dal cuore.
“Voglio sapere esattamente che
cosa ti ha fatto Dimitri…” biascica in tono affrettato, come se non potesse
nemmeno prendere fiato parlando “Tu sei stata molto elusiva nella tua piccola
conferenza stampa… ma io… ho bisogno di saperlo…”, la sua voce si abbassa
ancora, mentre i suoi occhi si assottigliano, come se non potesse nemmeno
sopportare la fioca luce della stanza, ed aggiunge, causandomi un’altra fitta
al cuore: “Io… ho bisogno di sapere fino a che punto ho mandato a puttane la
promessa che avevo fatto… quella di proteggerti…”.
Tre secondi, tre miseri e maledettissimi secondi, e io me lo ritrovo di
fronte, ad un passo da me, senza che me ne sia nemmeno accorta. Per un attimo,
penso di aver avuto una botta in testa, di essere svenuta, o che sia stato lui
ad avvicinarsi. Ma Draco ha l’espressione a sua volta troppo sorpresa perché
possa averlo fatto lui, ed al contempo, con angoscia, mi rendo conto di essere
io quella in piedi, quella lontana dal divano, quella rossa in viso e quella
che non ha ragionato agendo. Me ne ero dimenticata, mi ero dimenticata di come
perda sempre il controllo quando si tratta di lui, di come il mio cervello vada
in cortocircuito quando sento quel richiamo ancestrale come quello di una
conchiglia, di come d’improvviso faccia cose che razionalmente non farei. Ho
sorpreso persino lui stavolta, mi guarda in modo strano, indecifrabile, le
palpebre che tremano leggermente come se i suoi occhi fossero tesi dal
tentativo di capire perché adesso, dopo ore, io mi sia avvicinata così tanto.
In realtà, non lo so nemmeno io fino a quando non parlo, non apro bocca: per
qualche secondo mi sento così rintronata dal suo profumo, che credo di avere
ancora un annebbiamento. Ma le mie parole sono così lucide e chiare che mi
chiedo dove diamine stessero se la mia mente è così ottenebrata da non poterle
ragionevolmente averle formulate.
“Non potevi proteggermi…” sussurro con un filo di voce, un accenno di
pianto idiota che mi fa vergognare di me stessa, lui se ne accorge e fa un
minuscolo passo verso di me. Il mio corpo non reagisce come vorrei, non si
allontana, resta esattamente piantato al suolo dove sono, anzi ho persino
l’impressione di essermi spinta più sui piedi, scivolando più in avanti.
Proseguo, trattenendo un singhiozzo: “Io… non ho protetto Alex… non ho potuto
farlo. E per te è stato lo stesso cinque anni fa… non devi sentirti in colpa o
altro…”, sto quasi per aggiungere che potrebbe sentirsi in colpa per ben altre
questioni, ma mi trattengo, mordendomi le labbra e distogliendo il viso.
“Dimmelo lo stesso, però…” lo sento bisbigliare con un filo di voce, in un
respiro flebile che non gli appartiene “Dimmelo lo stesso… che ti ha fatto?”.
Respiro a fondo, cercando di ricordarmi quei terribili dieci giorni, e non
so perché improvvisamente sento che non voglio essere sincera. Voglio mentire,
nascondere, celare, cancellare quegli occhi che ha e che non volevo che avesse
mai più. Sono stati i giorni peggiori della mia vita, perché negarlo a me
stessa? Hayden che peggiorava, la scoperta della gravidanza, il terrore di
partorire lì, il disgusto per quello che mi poteva fare Dimitri, la paura che
Astoria mi portasse via Alex per usarlo contro Draco, l’angoscia per lui… e poi
il buio, la gabbia, le sbarre, la polvere. Senza dimenticare la sera della
fuga… le labbra di Dimitri, il suo corpo sul mio, il volo oltre la finestra, lo
schianto. Voglio davvero che sappia anche questo? Voglio davvero punirlo per
qualcosa di cui non ha colpa? No. Non lo voglio.
Voglio punirlo perché sposa e ama Raissa, non perché ha concesso che mi
accadesse questo.
Voglio che si possa difendere… e voglio anche che lui sia innocente, perché
così rende innocente me. Io… che non ho salvato nostro figlio.
Quel pensiero si traduce in un ulteriore scoppio di pianto, che reprimo in
gola, e che diventa un singhiozzo soffocato che però Draco ode lo stesso. E
forse, annebbiato anche lui, ostaggio dell’abitudine di sorreggersi sempre e
schiacciato dal pensiero di non vedermi soffrire ancora, mi prende per un
fianco e mi attira a sé, abbracciandomi, stringendomi, fino a farmi mancare il
respiro. Allaccia le braccia attorno alla mia vita ed affonda il viso tra i
miei capelli, piegandosi sulle ginocchia. Sento il suo respiro sul collo, il
calco delle labbra che mi resta impresso come se fossi creta, sebbene non mi
stia davvero baciando. Ma io già so com’è, ricordo com’era quando mi baciava, e
la mia mente mi ripropone l’anticipazione di quella fantasia, facendomi tremare
come una foglia. Rimango immobile tra le sue braccia, congelata, raggelata,
rendendomi conto che tutto quello che ho fatto fino ad ora, avrebbe dovuto
portarmi a restare seduta composta su quel divano, e non qui, tra le sue
braccia che ancora profumano di pioggia, di erba bagnata nel mese di settembre.
Il mio labbro inferiore trema, lo sguardo fisso nella finestra e nel cielo
placido qui fuori, e io resisto, resto ferma, fingo di non essere qui.
E poi, semplicemente, all’improvviso… non ce la faccio più.
È così caldo, così saldo, coì improvvisamente presente dopo anni in cui non
lo è stato… che, senza fretta, timorosamente, mi alzo in punta di piedi e
chiudo le mie braccia attorno alle sue spalle, reprimendo ancora le lacrime nel
fondo dei miei occhi. Non penso a nulla per un momento, a niente, solo che lo
voglio vicino, l’ho sempre voluto vicino in questi cinque anni, ed adesso c’è,
adesso a suo modo c’è. Chiudo gli occhi, le sue braccia che mi stringono più
forte e mi attirano più vicina, e Draco d’improvviso sorride nei miei capelli e
dice: “Hai sempre lo stesso odore… i tuoi capelli… usi sempre quel maledetto
shampoo alla vaniglia che sa di cupcakes…”. E non so perché è persino giusto
adesso che me lo dica, e mi chiedo perché non l’abbia fatto prima, ed è così
naturale che mi sembra normale, ed è così tranquillizzante che sorrida daccapo
che io sorrido a mia volta, e mi tengo più stretta a lui, perché tanto non mi
interessa più niente di niente, se è qui daccapo. E non so nemmeno io che dico,
a quel punto, lo rimprovero forse, lo prendo in giro sommessamente o racconto
daccapo l’aneddoto di quello shampoo, che è l’unico che ho la certezza assoluta
che non sia testato su nessun animale o pianta o elfo domestico. E lui mi dice
che se lo ricorda, al supermercato Serenity lo voleva comprare una volta, ma “Raissa odia quel profumo, peggio di come io
odiavo la ciliegia”. E per un attimo rido persino, sento solo il calore
delle sue dita sulla mia schiena e penso solo ad esso… e poi, così come è
arrivata quell’ondata di spontaneità ingenua, se ne va via.
Lasciandomi stupita e stupida, chiedendomi che diamine sto facendo.
Mi sento schiacciata dalle sue braccia, come se soffocassi tutt’un tratto,
mentre ricordo tutto quello che dovrebbe funzionare come muro e barriera tra me
e lui, ora. C’è Raissa e tutta la maledetta storia che ha con lei; c’è Alex ed
il fatto che lui non sappia che sia suo figlio; c’è Ilai e il bacio che ci
siamo dati stanotte; c’è il tempo che è scorso tra me e lui, rendendoci
estranei. Ed allora comprendo tutta la maledetta idiozia di stare qui a parlare
dello shampoo che uso, o delle preferenze che ha Serenity, o di quelle ancora
più aberranti alle mie orecchie di Raissa. Sento, d’un tratto, la sua vicinanza
come se mi mandasse a fuoco, come se fiamme intense mi corrodessero
dall’interno, mangiandomi e consumandomi viva. Al contempo, voglio che si
allontani da me… e voglio che mi stringa di più.
Ma siccome questo secondo desiderio è sconvenientemente idiota, mi stacco
da lui e mi divincolo con forza. Draco mi guarda senza capire, gli occhi
socchiusi e ridotti a due fessure, poi sbatte le palpebre e mette distanza tra
me e lui, facendo un passo all’indietro. Gli occhi lucidi che tornano a me e
quelli ghiacciati che tornano a lui, sono il segnale che siamo tornati noi
stessi.
Quelli formali, ovattati e poco sinceri che siamo dopo cinque anni: ma i
soli che, davvero, possiamo essere adesso.
“Dimitri non mi ha fatto nulla…” commento, riprendendo il discorso e portandomi
nervosamente i capelli dietro le orecchie, Draco per un attimo sembra che stia
per dirmi qualcosa, ma poi abbandona le braccia lungo i fianchi, ascoltandomi
apatico “Voleva che io lo desiderassi autenticamente, non voleva
costringermi…”, ed era disgustato dal
fatto che fossi incinta di te “… ovviamente in dieci giorni non ha ottenuto
che nulla di me cambiasse idea… e non l’avrebbe ottenuto nemmeno tra dieci
anni…”.
Draco fa un piccolo sorriso, storto, debole, che non gli arriva agli occhi.
Scuote il capo e mormora: “Ancora… c’è ancora
qualcosa che non mi stai dicendo…”.
“Con le cose che tu non mi hai detto… e che non mi dici ancora… si potrebbe
costruire una scala per l’Everest…” ribatto piccata, innervosita dalla
cristallinità che ho sempre davanti a lui. Draco fa una risata amara, di gola,
priva di allegria, prima di aggiungere: “Facciamo che ti credo… e facciamo che
fingo che tu mi abbia detto tutto… e facciamo anche che credo che io non avessi
il potere di impedire tutto questo…”, Draco solleva il palmo, fermando le mie
ovvie rimostranze, e prosegue, improvvisamente meno arrabbiato e più serio: “Mi
devi la seconda domanda…”.
Certo… me ne ero scordata… annuisco, incrociando le braccia nervosamente e
sperando che mantenga la promessa di non tirare fuori Alex.
Sono concentrata su un tale numero di possibili cose che avrebbe interesse
a chiedermi, che per un attimo, la domanda che mi fa, non raggiunge le mie
orecchie, scivola fuori come se fosse acqua. Registro solo la sua espressione
serissima, la mascella contratta, gli occhi intenti a trapassarmi da parte a
parte come se fossi burro.
“Radcenko… il marito di Tatia…” mormora lapidario, le dita che per un
attimo hanno un fremito involontario che tenta di calmare, serrandole “Che cosa
siete l’uno per l’altra?”.
Il cuore prende il volo, sbatte contro la gabbia toracica come se volesse
schizzare fuori, ed ancora temo di perdere il controllo davanti a lui. Ha
l’espressione scavata, gli occhi più chiari che mai, solo lievemente coperti
dalle ciocche di capelli bionde. E sembra più alto, improvvisamente, come se mi
schiacciasse al suolo, e sembra avere lo sguardo più intenso, come se si
divertisse a mettermi a soqquadro la testa. Istintivamente, come una bambina
che confessa non avendolo nemmeno pianificato, come se ingenuamente i gesti mi
sfuggissero dalle mani prima di rendermene conto, mi porto un dito alle labbra
e lo lascio lì, fermo, mentre la mia schiena ancora sussulta della sua domanda.
Lo legge subito Draco, lo capisce. Fa un respiro profondo, chiude gli occhi e
distoglie il viso, perché con quel gesto inconscio, è come se avessi
confessato. Scioccata, stacco la mano dalle mie labbra, la serro dietro la
schiena e fisso lo sguardo sul pavimento.
Potrei dirgli che non sono affari suoi… ma a che pro? Non mi interessa che
cosa pensa al momento… basta che quello su cui non esprima giudizi, sia la
verità. Non una bugia.
E la verità la vomito dalle labbra che conoscono Ilai e non più lui, come
se me ne volessi liberare nella maniera più veloce possibile.
“Non stiamo assieme…” dico velocemente, vedo con la coda dell’occhio che si
volta e torna a guardarmi “… ma anche se questo non deve interessarti e non
devi nemmeno permetterti di aprire bocca… specie adesso… specie per come stanno
le cose…”, sospiro ancora e biascico con voce malferma: “Non è un mio amico.
Non lo è affatto. E non lo so che cosa sia per me e cosa sia io per lui…”.
Ritengo che sia sufficiente, ritengo che basti: non parlo del bacio, o
della connessione che ho anche a livello magico con lui, e non accenno
minimamente al fatto che avevo pianificato di andare con lui in Finlandia,
prima che succedesse tutto questo. Però, d’improvviso, reputo vitale aggiungere
qualcosa e non so se, in questo, sia più forte quello che provo per Ilai o
quello che provo per lui. Non so se sto cercando di proteggere Ilai, punendo
lui, o se sto cercando di chiarire le cose per impedire che mi si ritorcano
contro. Non so nemmeno se è ancora la catarsi di cui parlavo prima.
So solo che, come ho ritenuto impossibile dirgli i particolari della mia
prigionia per non farlo sentire in colpa, e come ancora ritengo impensabile
dirgli di Alex in queste circostanze, adesso so che deve sapere altro… di me e
di Ilai. Perché ho finito di proteggere Draco, a discapito di me stessa. Non
dirgli nei particolari cosa mi ha fatto Dimitri, lo protegge ma non mi
danneggia, anzi mi fa anche bene non ricordare che cosa mi è successo. Non
dirgli di Alex, protegge mio figlio e tanto già basterebbe, se non fosse che
protegge anche me. Dirgli di Ilai, probabilmente, gli farà del male… ma a me
invece consentirà di riaverlo qui, di fargli sapere che io lo rivoglio qui.
Quindi, se mi fa bene, contrariamente a tutto quello che ho fatto in questi
anni, io devo dirlo, anche se farà del male a lui.
Alzo il mento con orgoglio e torno a guardarlo. Sebbene le mie intenzioni
siano nette, il mio corpo se ne va comunque per conto suo. Arrossisco e pigolo
qualcosa di incomprensibile, poi a voce più chiara scandisco: “Ho bisogno di
lui… io ho bisogno che Ilai sia qui, adesso…”. Chiudo e riapro la bocca un paio
di volte, incapace di proseguire oltre, e distolgo lo sguardo prima di leggere
qualcosa in quello di Draco: qualcosa che mi costringerebbe a ritrattare, a
mitigare, a accentuare quello che ho detto. Ma la verità, invece, è questa:
pura, semplice, netta ed, al contempo, scomoda e sgusciante.
Bisogno: ecco che cosa è, oggi, Ilai per me. E’
un bisogno, al pari di dormire, mangiare e bere. Un bisogno creato dalle
circostanze attuali, sicuramente, ma che non cambia natura. È fame di aria nei
polmoni, perché lui riesce a farmi respirare; è sete di calore allo stomaco,
perché lui riesce a farmi calmare; è insonnia di riposo della mente, perché lui
mi mantiene salda in me stessa.
Non so questo che significhi, non so questo che cosa sia, non so se possa
chiamarsi amore, affetto, ossessione, attrazione o semplice pazzia.
Ma è un bisogno, adesso, insormontabilmente realizzabile solo da Ilai. Nel
bene e nel male, lui è tutto quello che Draco non mi ha mai dato.
E che non ho mai cercato, intendiamoci… nonostante cinque anni fa le cose
non fossero facili, non sentivo la necessità di qualcuno che mi mettesse a
posto. Ero già a posto: disoccupata, con un brillante destino da cameriera,
sconquassata dal presente da babbana, separata dai miei amici e dalla mia vita,
e poi innamorata di quello che sarebbe sempre stato l’uomo sbagliato… ero
comunque a posto.
Non necessitavo di qualcuno che mi sorreggesse, o mettesse assieme i miei
pezzi, se non nel modo quotidiano in cui comunque si ha sempre necessità di
dividere la propria vita con qualcuno. E Draco, questo l’ha fatto… per dieci
giorni in cui mi sembrava comunque di non avere bisogno di nulla, tranne che di
lui, ma l’ha fatto. Però, Pansy aveva ragione: quello era l’inizio, era un
passo, ma era solo il primo. L’amore… quello sarebbe venuto dopo. E’ stato
sbagliato costruirmi la vita su quei dieci giorni… specie quando ho capito che,
adesso, da madre e da donna, io avevo un bisogno diverso. Più viscerale, più
intimo, maggiormente legato al fatto che non ero più forte come un tempo…
specie adesso. Ron non riusciva a vedermi diversa da quella che sono sempre
stata: la ragazzina saccente e sicura, che fingevo di essere. Per questo, lui
non placava quel mio bisogno che, per molto, non ho saputo nemmeno esistente,
concentrata com’ero su Alex. Draco, forse, potrebbe anche farlo, ma parliamo
ormai di ipotesi: avrei dovuto fare un atto di fiducia se Raissa non fosse mai
esistita, figuriamoci adesso. Ilai ci riesce, senza che nemmeno pensi di
chiederlo. Per questo, è la sola persona di cui sento davvero di avere
necessità estrema adesso. Anche Dean, ovvio, mi tratta così, contrariamente a
Seth… ma lui ha Pansy e Charisma. Ed è giusto che io non mi appoggi a lui.
Ilai, a sua volta, ha solo me.
Dopo qualche secondo, in cui Draco è rimasto in perfetto silenzio e io mi
sono limitata a seguire le linee concave del legno di frassino della libreria,
la sua voce mi richiama indietro. La tiene ferma, salda, apparentemente sicura,
ma dentro ci vibra qualcosa di sordo che stride nelle mie orecchie come unghie
sul ghiaccio.
“Bè, è naturale che tu abbia bisogno di
qualcuno…” dice quieto, provocandomi un sobbalzo nello stomaco. Lui… quieto non lo è mai. E difatti non lo è
nemmeno adesso, non ho neanche bisogno di guardarlo. La sua voce è chiara,
certo, ma ha accentuato la parola bisogno con un tale disgusto e nausea che mi
fa immediatamente stringere i pugni e contrarre la mascella.
“Mi chiedo solo come prenderà Weasley questo tuo attaccamento…” commenta con voce accorata, siglando ogni parola con
ulteriore malcelata antipatia “In fondo, da quello che mi hai detto… hai
vissuto con lui per cinque anni… e sono bastate, quanto, due o tre
settimane… e sei invece totalmente dipendente da uno che conosci appena… e
che era anche sposato…”.
In quattro secondi, Draco brucia come carta ogni mia resistenza ed ogni mio
tentativo di stare calma. Ha scelto ogni parola, ogni dannatissima parola, con
l’attenzione di un avvocato che fa un’orazione, cosa che mi fa gemere di
nervosismo e respirare come se temessi di prenderlo a schiaffi da un momento
all’altro. Ha tirato nella conversazione Ron, quando a lui non è mai fregato
niente di lui. Mi ha definita dipendente da Ilai, in modo che il mio orgoglio
d’istinto volesse sputargli contro che io non sono dipendente proprio da
nessuno. Ha accentuato e sminuito il tempo che è passato da quando ho
conosciuto Ilai, così che potessi chiaramente sentirmi un’imbecille che investe
tanto in un rapporto che dura da così poco. Ed ovviamente ha anche sottolineato
che lui era sposato, così che potessi sentirmi davvero una sciocca ragazzetta
cresciuta che si aggrappa a chiunque le stia vicino. L’arte mirata dell’insulto
travestito l’ha sempre padroneggiata meglio di me. Ed io, non ho mai nemmeno
pensato di impratichirmi con la dissimulazione: perché, difatti, ogni suo
insulto va dritto al punto, nella parte più morbida del mio cuore maciullato,
nella zona più esposta del mio rimpianto, nel fianco più scoperto del mio
ricordo.
Mi volto infuriata, stringendo i pugni, i capelli che mi fustigano il viso,
e per un attimo distinguo un sorriso becero e sardonico sul suo volto, come se
si aspettasse a breve la mia reazione. Ma ormai sono già sul piede di guerra e
nulla potrebbe fermarmi adesso, neanche quella sfumatura lievemente malinconica
che ha il fondo delle sue iridi grigie. Hai
bisogno di un altro… e non di me. Questo dice. Ma ovviamente è così sepolta
che faccio ben facilmente finta di ignorarla.
“Non credo che tu sia la persona più adatta a discutere dell’andamento
delle mie relazioni sentimentali…” biascico nervosamente, non preoccupandomi
nemmeno di tenere la voce bassa. Draco sorride, stringendo le palpebre, e mi
guarda di traverso: “Siamo già arrivati a relazioni
sentimentali? Se insisto qualche altro secondo, probabilmente arriverò a
sapere il colore delle bomboniere che avete scelto…”.
“L’unico qui che può parlare di bomboniere e relazioni, sei tu!” urlo
finalmente, graffiandomi la gola “O ci stiamo dimenticando che sei tu quello
che si sta per sposare…?!”.
Mi aspetterei, non senza una certa soddisfazione, che Draco assumesse
un’espressione colpita, offesa e vergognosa; che si chiudesse nell’angolo ed
incassasse il colpo. Incrocio persino le braccia, mettendo su un sorriso
appagato, ma ho ancora dimenticato che Malfoy non è la persona che asseconda le
mie aspettative. Mai. E difatti mi sorprende anche stavolta: senza battere
ciglio, senza manco cambiare espressione, si passa annoiato una mano tra i
capelli e blatera profondamente scocciato: “Ancora con questa storia? Sei
rimasta seccante come sempre… peggio di un martello pneumatico…”.
“Ancora con questa storia?!” biascico scandalizzata, guardandolo incredula
“Mi stai facendo un processo per Ilai… e tu… tu ti stai per sposare! Lasciamo
stare che non è nemmeno normale ed opportuno che tu mi faccia domande su me e
lui, e lasciamo anche stare come mi sia saltato in mente di risponderti… ma che
ti permetti anche di fare commenti?! Tu, che ti stai per sposare con quella?!”.
“C’è mai stato qualcosa di normale
ed opportuno tra me e te?” commenta
Draco serio, dismettendo l’espressione ironica ed indossandone una intensa e
desiderosa di frugarmi dentro, al punto che sono costretta a stringermi nelle
braccia, quasi per proteggermi dal flusso di ricordi che mi colpisce subdolo
“Sei sempre stata tu quella che badava a ciò che era giusto fare… a me non è
mai fregato nulla di questo… se ho una domanda da farti, te la faccio… allo
stesso modo, ora, ho una risposta da darti e te la darò… anche se tu, quella
delle cose opportune, non chiederesti
mai nulla…”.
“Una risposta?! Su che cosa?!”.
“Me e Raissa…” biascica con ovvietà, roteando gli occhi nervosamente “Ti
stai rodendo il fegato per saperlo, ma, come sempre, non ti azzarderesti a fare
una domanda diretta nemmeno se ti puntassero la bacchetta alla gola…”.
Punta sul vivo, mi rendo conto che effettivamente l’ho nominata troppe
volte per lasciargli intendere che sia indifferente alla questione. In ogni
caso, incrocio le braccia con rabbia e sputo fuori velenosa: “Forse perché me
ne frega poco di te e Raissa…”.
“O forse perché te ne frega troppo…”
commenta lui annoiato, guardandosi le unghie con un’espressione saputa che mi
manda il sangue alla testa “Te ne frega al punto che la nomini ogni tre
secondi, ma non sia mai che questo io lo capisca, no?”. Ovviamente ci ha preso
in tutto, è naturale che me ne freghi di lui e Raissa, ma non voglio
assolutamente che capisca fino a che punto. Odio essere rimasta così
dannatamente trasparente ai suoi occhi, ed odio anche e soprattutto parlare di
queste cose in un momento come adesso: dovrei solo correre fuori a cercare
Alex. Eppure, ho i piedi incollati al pavimento. Se poi contiamo che sono
vagamente e trucemente rassicurata dal fatto di non poter fare nulla per Alex fino
a quando Dean non torna… bè questo spiega perché il mio: “Non dire sciocchezze…
se non l’hai capito ho cose ben più importanti a cui pensare…” suoni così
debole e fiacco, mentre volto il capo dall’altra parte.
Draco, minimamente impensierito, fa qualche passo e torna a sedersi sul
divano, il sole che lambisce per un attimo i suoi occhi e li rende lucidi
specchi. Con voce monocolore, riprende: “Ok, d’accordo, lo accetto… diciamo che
sono io quello che sale sul palco e racconta la sua vita adesso, dopo che ti
sei lamentata per circa quarantacinque minuti… me lo devi un bel momento alla
“come eravamo”, no?”.
“Non ti devo un bel niente…” biascico ancora, stavolta più decisa,
incrociando meccanicamente le braccia.
“E allora io parlo alla credenza e tu semplicemente aspetti che torna quello di cui hai bisogno, ok?” dice
melenso, con la faccia da schiaffi peggiore di questa terra, specie nello
scimmiottare daccapo il modo che ho usato per chiamare il rapporto tra me ed
Ilai “È un bel compromesso… puoi persino fingere che non mi stai ascoltando e
io posso persino fingere di essere impazzito e di stare parlando da solo…”.
Rassegnata, sospiro a lungo e decido di tornare a sedermi al mio posto, non
prima di aver borbottato acida: “Fai come dannazione ti pare… basta che ti
spicci…”.
Draco, contrariamente alle premesse, si prende qualche minuto per formulare
le parole giuste: spio con la coda dell’occhio le sue ciglia biondissime
fremere e muoversi convulsamente, sopra gli occhi agitati, mentre resta
immobile a guardare il tavolino del salone con espressione concentrata ed, al
contempo, assente. Credo di essermi incantata qualche secondo, perché quando
riprende a parlare, sollevando lo sguardo e beccandomi a guardarlo, ho un
piccolo sobbalzo. Lui risponde con un sorriso che non riesce a cancellare, cosa
che mi fa sentire una ragazzina di cinque anni, poi si schiarisce la voce,
dicendo: “Cinque anni fa… quando ho incontrato te… anzi, quando ho incontrato Astoria che fingeva di essere te…
non è stato bello. Mettiamola così…”.
È incredibile come, nella sola parola bello
preceduta da una negazione, sia riuscito a mettere tutto quello che deve
aver provato: ho sentito la confusione, la rabbia, il dolore, la sofferenza,
tutto. Tutto, nel semplice tremito della voce nel formulare quell’aggettivo… mi
stringo nelle spalle e sposto senza necessità alcuna il peso da una gamba
all’altra.
Draco prosegue, come se non si fosse accorto dei miei movimenti,
apparentemente così perso nelle sue parole da non dare peso a me: “Lei ha detto
tutto quello che io temevo di sentirti dire ed, al contempo, tutto quello che
la parte peggiore di me sperava che tu dicessi, così da costringermi a vivere
nella maniera asettica in cui sono sempre vissuto da quando è morta Helena…
sono stato sollevato e devastato allo stesso modo. E sollevato di essere devastato e devastato
per essere sollevato… e sebbene mi sia successo tanto… tutto, in questa stramaledetta esistenza… non ero più me stesso”.
Fa una pausa che occupa lanciandomi una lunga occhiata obliqua, intrisa di
qualcosa che non riesco a spiegare, e che somiglia ad una dolcezza guasta che
mi scivola dentro, anche se non vorrei.
“Avrai sofferto di più tu, Granger, ovvio e naturale… ma io… come dirlo…”
lo vedo cercare a disagio le parole, fino a che si illumina e dice stoico:
“Ecco, mi sono perso…”.
Perso… quel maledetto aggettivo mi riporta
indietro di cinque anni. Alla sensazione che provavo al Petite peste, ai primi
contatti con lui, al momento in cui mi aveva parlato in terrazza, al nostro
primo bacio.
È una sensazione orribile, da stringere la gola e da farmi desiderare
fuggire dall’altra parte del globo.
Ma trattengo il fiato, respiro a lungo e cerco di calmarmi, imponendomi di
ascoltarlo. Dopo che mi hanno portato via Alex, la portata delle brutte sensazioni
si è decisamente attenuata.
Draco, intanto, prosegue, sbatto le palpebre e scaccio i ricordi,
ascoltandolo: “Quando Helena è morta, ero ben cosciente di chi ero: ero un
maledetto bastardo che l’aveva fatta morire e che doveva vendicarla. Quando tu
te ne sei andata, io non sapevo chi diamine fossi. L’apatia era un insulto a te
e ad Helena, che avete sempre voluto che io vivessi… la vita era una bestemmia
a me, che non volevo nemmeno sentirne parlare… e in tutto questo, in tutto
questo… la cosa migliore era bere, ubriacarsi, e non pensare, così da non dover
decidere...”.
Non sta indorando la pillola, ovviamente, ed immaginarlo così mi fa sentire
d’improvviso ancora peggio di quanto già non mi sentissi. Draco solleva lo
sguardo, mi incatena ai suoi occhi e mi obbliga a non fuggire, mentre dice
fermamente, non abbandonando il mio viso, il sole che lo illumina da dietro
come se fosse davvero su un palco: “Tre
mesi… ho passato così tre mesi. Nel sollievo di non dover decidere ancora…
e nel sollievo che Raissa era con Serenity…”. A quel nome, trasalgo, chiudo gli
occhi e mi serro nelle spalle, una spina nel fianco che riprende a pulsare.
Quando riapro gli occhi, Draco è ancora lì, di fronte a me, seduto sul
divano, i gomiti poggiati sulle ginocchia e le mani che, come prima, sfregano
l’una sull’altra. Vaga sul mio viso per un attimo, gli occhi leggermente
spalancati, poi sussurra velocemente: “Lei mi aveva seguito, si era presa cura
della bambina, mi portava a letto quando rientravo stravolto…e io… gli ero grato. E basta. Era solo gratitudine,
solo amicizia, solo… questo… e certo,
ora so che mi dirai che lei mi sorvegliava per Dimitri, che amava Radcenko… ma
in fondo, non mi interessa. L’ha fatto… e tanto basta. Mi ha usato e io ho
usato lei… sono almeno cosciente di questo… non come altri che si usano a
vicenda e nemmeno hanno l’accortezza di ammetterlo a sé stessi…”.
Quell’ultimo commento mi fa drizzare seduta come se fossi colpita da una
scarica elettrica: “Se stai parlando di me ed Ilai…”.
“Sto parlando di me, adesso, Granger… piantala con il tuo egocentrismo…”
mormora lui, rimettendosi seduto con la schiena poggiata al divano e le braccia
incrociate, prima di continuare con un sorriso sbruffone: “…ma la tua coda di
paglia è sommamente interessante…
giuro che ci tornerò sul punto…”. Non so che cosa mi trattenga dal gettargli
qualcosa contro, forse il fatto che il vaso di cristallo sul tavolo costerà
decine di sterline e non glielo ripagherei mai. Trattiene quel sorriso da
schiaffi per un po’, per poi proseguire atono: “Comunque, andiamo avanti, non
sia mai che la credenza si annoi e non mi ascolti più… dopo tre mesi, qualcosa
è cambiato. Non so nemmeno io quando e come… o forse lo ricordo ma non credo
che siano affari tuoi e te lo dico ben apertamente senza scivolarci sopra,
sperando che tu non te ne accorga, come hai fatto tu...”, ancora, sono presa
dall’insana voglia di lanciargli una scarpa appresso. Peraltro… tre mesi dopo…
facendo un po’ di calcoli, era ottobre, no? Più o meno quando mi sono svegliata
in Italia… ed era il periodo del compleanno di Serenity. Ecco che deve essere
successo, qualcosa al compleanno di Serenity. I suoi misteri li può decisamente
nascondere meglio. “Bè, tre mesi dopo, mi sono reso conto che non poteva andare
avanti così…” continua Draco, guardando le sue scarpe e non più me,
evidentemente maggiormente coinvolto da quello che mi sta dicendo “E non per
me, non per te, non per Helena… ma per Serenity, per mia figlia. Lei sarebbe cresciuta senza di me ed io sono la
sola famiglia che aveva e che ha. E lei è la sola famiglia che io ho. Potevo
esistere per lei, come avevo sempre fatto, ma vivere davvero questa volta… sforzandomi di farlo per lei. E sperare che
un giorno avrei potuto vivere anche per me stesso. All’inizio non sarebbe stato
facile, naturale… ma poi chissà, poteva anche venirmi più semplice nel corso
del tempo. E nel corso del tempo lo è stato… più semplice, intendo… ci sono giorni, momenti, attimi, in cui la vita
che ho fatto e che faccio… mi piace persino. Ed in questo, non c’entri tu, non
c’entra Raissa e non c’entra nemmeno Helena. C’entro io… e c’entra Serenity.
Sono… e credimi mi fa anche paura dirlo… sono felice di farle da padre…”. Nonostante tutto, nonostante abbia
sempre e comunque voglia di buttargli qualcosa contro, non posso fare a meno di
sentire una stretta piacevole allo stomaco. Ho sempre desiderato che
considerasse Serenity come sua figlia, ho sempre voluto che dicesse che aveva
desiderato vivere almeno per lei. Per un attimo, sciocco come tutto oggi, quando
si tratta di me e di lui e dell’altalena emotiva a cui ci stiamo sottoponendo,
mi sento persino fiera di lui. Sorrido per la prima volta autenticamente da
quando l’ho abbracciato, e sussurro incerta: “M-mi fa piacere… magari non ci
credi nemmeno, ma…”.
“Ho sempre saputo quando sei sincera e quando non lo sei, Granger…” mi
sorride a sua volta, timidamente, piano, come un’alba di gennaio. E mi fa
sciogliere il cuore, davvero. Dio, è
possibile amarlo ancora in questo modo? Basta che abbia solo un sorriso come
questo… e già mi devo attaccare i piedi al pavimento per trattenere l’impulso
di baciarlo? Seguo a disagio, il cuore che mi sfonda le orecchie, la linea
del suo sorriso, la forma delle sue labbra e mi ricordo distintamente il sapore
che avevano. Imbarazzata, arrossendo, distolgo lo sguardo e biascico duramente
quasi: “Avresti dovuto rendertene conto prima… ma è bello che adesso la
consideri a pieno diritto tua figlia…”.
“Non è stato facile…” sussurra in modo sofferto, respirando a lungo “Non lo
è mai, specie quando ricordo che la mia felicità… o quella che ci assomiglia,
mettila come vuoi… io l’ho strappata ad Amos. Ma in quei giorni… ed è qui che
arriviamo alla parte non normale e
non opportuna… quella dove ancora
dopo cinque anni, mi sento in vena di darti spiegazioni che non dovresti avere…
bè, in quei giorni, ecco…c’è o meglio c’era… Raissa…”.
Ed eccomi strappata di nuovo dal momento di miele, che mi ero erroneamente
dipinta addosso. Ma che strappata… violentata, cacciata fuori, gettata in mezzo
ad una strada in una notte di tempesta furiosa. Il volto mi va in fiamme e
torna l’impulso di scappare via lontana, non posso farcela, non credo di
farcela. Non voglio particolari, non so che farmene.
Se mi dice che ci è andato a letto, se me lo confermano le sue parole… non
potrei sopportare di sapere che io e Raissa abbiamo condiviso la sua pelle che
era solo mia.
Se mi dice che la ama, poi…
… non ci voglio nemmeno pensare a questo.
“Io non ho bisogno di sapere che c’è tra te e lei… vi sposate, no? Credo
che sia chiaro tutto… che altro devo sapere?” urlo con voce stridula, alzandomi
in piedi e facendo segno di volermi allontanare.
“Nemmeno io avevo bisogno di sapere di te e Radcenko…” schiocca lui la
lingua, parlando con voce torbida e tagliente. Si alza in piedi a sua volta,
dopo aver seguito i miei movimenti: “Ma si dà il caso che tu me l’abbia detto
lo stesso… quindi chiariamo le cose, adesso, come mai siamo stati in grado di
fare, Granger… non voglio incontrarti tra altri cinque anni e sapere, di nuovo,
che oggi non ti ho detto nulla e ti ho nascosto qualcosa…”, fa una pausa e
qualcosa sembra passargli rapido sul viso. Qualcosa che improvvisamente me lo
fa percepire più luminoso, più bello, meno arcigno. Sussurra: “…e poi in
fondo…”.
“Cosa?” dico con un filo di voce, aggrappandomi allo schienale del divano,
catturata dalle sue parole come una stupida falena con la fiamma.
Draco sospira e sembra quasi sconfitto, mentre soggiunge: “In fondo è
ancora stupidamente, maledettamente e dannatamente seccante parlare con te… eppure ancora stupidamente, maledettamente
e dannatamente… io non riesco ad
andarmene da qui…”.
Il cuore, ancora, mi schizza in gola. Perché,
secondo te, io riesco ad andarmene da qui? Annuisco e basta con il capo,
stringendo forte il tessuto del divano e piegando il collo, così da non
guardarlo in faccia.
“Non ti dirò bugie, verità plastificate o elusioni preconfezionate”
riprende dopo qualche secondo di silenzio, rotto solo dal rumore dell’orologio
“Eccotela la verità… sposare Raissa è una cosa ben diversa, lontana anni luce
da quello che c’è tra me e lei… non c’entra nulla. È firmare un pezzo di carta,
fare un po’ di scena… ed avere la certezza che Serenity resti mia figlia… anche
se lei, con me, non ha nulla in comune”. Resto immobile, come se mi avessero
messo in naftalina, improvvisamente la testa diventa nebulosa e fosca nei
pensieri che arrancano ed annaspano. Lo guardo senza capire, qualcosa di
assurdo che mi accende dentro una fiammella tremula, e che somiglia
clamorosamente alla… speranza. La
speranza… e io, adesso, non sapevo nemmeno che sapore potesse ancora avere nel
mio cervello. Ha dei contorni così malinconicamente dolcissimi da ispirarmi
curiosamente il pianto, al punto che sono costretta a nascondermi la bocca
dietro il palmo della mano, come se questa semplice mossa mi aiutasse a
respirare meglio e a reprimere le lacrime. Non so a che somiglia questa
speranza, somiglia d’improvviso alla sensazione calda di una casa dal tetto
rosso, di un vaso di gerani in giardino, di una mano stretta su un’altalena, di
una risata sfuggita nello stesso momento, di una torta bruciacchiata che si
mangia comunque. Assomiglia a quei farinosi ragionamenti che facevo in Italia,
che manco erano ragionamenti, ma fantasie… ed erano fantasie di famiglia. Io… Draco… Alex… Serenity.
Ritrovo un battito diverso del cuore, un colorito acceso, una foga
eccessiva nell’attendere che parli, un tremito convulso delle dita. Draco, a
quelle mie manovre, però, distoglie lo sguardo e continua inespressivo:
“Serenity non è una Malfoy, non è una Black. E’ una Diggory… ed è una
Greengrass. E tu forse l’hai dimenticato… ma quella famiglia… è alla canna del
gas. E se mettessero le mani su Serenity, sulla sua eredità come figlia di
Amos… io distruggerei l’ultimo desiderio di Helena, rovinerei la vita di mia
figlia… e distruggerei la sola cosa che davvero mi è rimasta…”.
“N-non capisco… spiegati…” chiedo esitante, la speranza cresce, diventa una
specie di pallone che si gonfia nel petto, mi sento sospesa su un ciglio da cui
so che potrei solo volare via o sfracellarmi al suolo.
Draco, inarcando un sopracciglio, mormora sarcastico, guardandomi di
traverso: “Adesso siamo allo spiegati
impaziente… non mi stava ascoltando solo la credenza?!”.
“Malfoy…” lo riprendo nervosamente, eppure un sorriso scemo mi scappa lo
stesso. Lo caccio subito via, cercando di recuperare il controllo… non mi ha
detto niente, in fondo. Ma Raissa… lei potrebbe anche aver mentito… e lui,
allora… basta, ascoltalo e basta,
Hermione.
“Non siamo diversi io e te…” sussurra Draco, dandomi d’improvviso le spalle
e guardando fuori dalla finestra “Ed è per questo che ci siamo anche…”,
sussulto, mi stringo nelle spalle, annegando nel suo silenzio imbarazzato che
delinea una sola parola: innamorati. Non
siamo poi così diversi, ecco perché ci siamo innamorati, questo stava dicendo.
Ma quella parola… amore… con tutte le sue coniugazioni e declinazioni, è sempre
stata così viscida tra me e lui, ed al contempo così distante dal descriverci
nonostante tutto, che l’abbiamo sempre evitata. Anche adesso… nulla è cambiato.
“…ma non è questo il punto…” Draco sospira e continua atono, rivolgendosi
al sole che ha raggiunto intanto lo zenit nel cielo, infiammando questa mattina
di luglio “Tu hai finto di essere sposata con Weasley, perché così proteggevi
anche tuo figlio e per me è sempre stato lo stesso… quando mi sono ripreso, ho
desiderato venire qui, nella casa che Helena amava guardare quando ci
incontravamo sulla spiaggia. Mi sembrava il giusto punto da cui ricominciare,
era come cucire uno strappo, o meglio aprire di più le ferite così da farne
uscire il pus. Cominciando qui, immergendomi nel dolore di averla persa… potevo
farci i conti con questa cosa. Finalmente. Avevo notato mesi fa… proprio il
giorno in cui sei piombata al Petite Peste… che la casa era in vendita… ed ho
deciso di comprarla. Il padrone di casa si ricordava distintamente di me e di
Helena, lei, poco prima di morire, aveva fatto un’offerta per la casa stessa,
quindi in sua memoria mi ha favorito nelle varie offerte, mi ha fatto un buon
prezzo, ha accettato un pagamento rateale dato che non ho più accettato nulla
dal Ministero. Mi sono stabilito qui con Serenity e Raissa… lei… restava con me perché diceva che
aveva problemi con Dimitri. E io l’ho lasciata fare… ebbene, qualche mese fa…
il padrone della villa è morto, sostituito da suo fratello nella proprietà
della dimora. Io ho sempre chiesto la cortesia al vecchio proprietario di
pagare le rate della villa a nome di Helena, allo scopo di non lasciare alcun
genere di informazione riguardo a me, né come Danny Ryan, né come Draco Malfoy.
Ma, mentre il vecchio padrone di casa accettava sommariamente la transazione,
suo fratello per delle irregolarità ha deciso di chiamare Helena, non sapendola
morta. Così inevitabilmente i Greengrass hanno saputo che qualcuno sta facendo
acquisti a nome di Helena. Non so quanto manchi prima della scoperta
dell’esistenza di Serenity. Sarei potuto scappare ancora, certo, ma io ormai….
volevo risolvere la questione una volta per tutte, adottando finalmente in modo
legale Serenity così che nessuno me la possa togliere. Ma per farlo, dovrei
dimostrare che la bambina, oltre a trattarmi come suo padre e ad essere
cresciuta in modo sano ed equilibrato, abbia anche una donna che considera sua madre:
in questo Raissa era al posto giusto al momento giusto. Le ho chiesto di
fingersi sua madre, e ho anche chiesto a Serenity di chiamarla così, in modo da
poter legalmente dimostrare che è cresciuta con noi…”. Tutto… tutto sembra
avere un posto adesso… le parole di Serenity sotto il Veritaserum, il fatto che
la chiamasse mamma, ma da poco tempo… era per… questo…
“Ho sperato così di poter prendere tempo con i Greengrass offrendoli del
denaro… fino a quando avrò sposato Raissa ed avrò adottato Serenity…” Draco si
volta finalmente a guardarmi, ha un sorriso un po’ più triste e qualcosa che,
ancora, tace nell’espressione. Ancora… c’è qualcosa che non mi sta dicendo
“Quindi… come vedi… non è esattamente la favola degli anni duemila… è una
persona che tiene a me e a Serenity… o ci teneva,
fai come ti pare… e ha accettato di farmi questo favore… vedila come diamine
vuoi. L’avrà fatto per tutti i motivi che credi… ma l’ha fatto, o meglio
l’avrebbe fatto. E a me tanto bastava. E basterebbe persino adesso… se non
avessi saputo di tuo figlio… e del fatto che potrebbe mettere in pericolo anche
Serenity…”.
“L’hai… usata… per questo… hai
fatto la stessa cosa che hai fatto con Astoria…” commento instupidita, non
sapendo d’improvviso che dire, la gola secca.
“Serenity è la cosa più importante della mia vita…” dice lapidario Draco
con sguardo sprezzante “Credi forse che non avrei sposato anche il diavolo in
persona se non avessi avuto la certezza di tenere lei?!”.
“… ma non era così, vero?” lo interrompo d’un tratto, la speranza che si
accuccia in un angolo della mia mente. Il paragone con Astoria ha messo
sinistramente in moto il mio cervello. Non era come con lei, non era come con
lei… Astoria… lei non avrebbe avuto foto sulle pareti, uno spazio nel suo
bagno, un posto nella sua vita. L’avverto subito… come una cosa diversa. Non
che mi sarebbe andato bene che avesse usato anche lei, ma considerando che
Raissa comunque l’avrebbe sposato, solo per controllarlo ed amando Ilai… bè, la
speranza mi avrebbe spinto persino a perdonarlo. Ma non è solo questo…
dannazione, non è solo questo. Astoria era un’inquilina mal sopportata nella
sua esistenza. Raissa era diventata padrona e regina, al punto da togliere
persino alla memoria di Helena il nome di mamma di quella bambina. E so che
Draco ci bada tanto, troppo, a queste cose. Non avrebbe mai… lasciato che
Serenity chiamasse una qualunque estranea così.
Non avrebbe mai lasciato che lei entrasse così tanto nella sua vita, solo
per un mero calcolo anche se indirizzato a proteggere sua figlia.
No… c’è dell’altro… le spalle mi si afflosciano, Draco mi guarda con
l’espressione dura, quasi di sfida, mentre biascico più a me stessa che a lui:
“Non stavamo parlando solo di un matrimonio interessato… o mi sbaglio? Hai
detto… che non c’entrava con quello che c’era tra voi, no?”.
“No…” mormora stentoreo, chiudendo i pugni “Non c’entrava e non c’entra…
probabilmente, se non ci fosse stata questa cosa…
la storia di Serenity e dei Greengrass… non avrei mai chiesto a Raissa di
sposarmi. O l’avrei fatto tra chissà quanto tempo… o l’avrei fatto con un’altra
donna… ma lei era qui, e quindi…”.
“Ma lei non era qui solo perché era superficialmente interessata alla tua
salute, o perché amava la spiaggia…” lo interrompo di nuovo, innervosita, sta
girando attorno alla questione ed è come essere una mosca che sbatte contro un
vetro. I palmi delle mani mi sudano, la testa mi scoppia e la speranza
incancrenisce, diventando un fango melmoso che mi nausea: “E non rimaneva qui,
nemmeno per controllarti con te che la pativi in modo insofferente… era qui
anche perché tu la volevi qui…”.
Concludo con un filo di voce, sapendo che ci ho azzeccato in pieno.
Aver bisogno di Ilai. Volere che Raissa
resti qui. La stessa cosa: siamo proprio uguali.
Ricaccio quel pensiero con rabbia, che idiozia… non sarà mai la stessa
cosa.
Draco annuisce spavaldo, guardandomi dall’alto in basso. Sì, la voleva qui.
“Ne sei innamorato?” chiedo nervosamente prima di rendermene conto, dopo
aver fatto qualche passo ansioso nella sua direzione ed essermi parata di
fronte a lui minacciosamente.
“Che vuol dire innamorato?!” ride lui, in tono derisorio, guardandomi come
se fossi un insetto o una bambina stupida “Mi chiedi se era come era con te? Stai diventando
improvvisamente prodiga di domande…”.
“Lasciamo stare me allora…” concedo con tono accondiscendente, ma credo che
in realtà io questa risposta non la voglio proprio, non sopporterei che mi
dicesse di sì. Ma che dico… non sopporterei nemmeno che paragonasse le due
cose. Borbotto pedantemente, irritata persino dalla mia voce: “Era come con
Helena?”.
“No…” risponde rapido, veloce, senza nemmeno pensarci su, poi prosegue
indifferente, come se stesse parlando del tempo, ogni sua parola mi si conficca
dentro come una scheggia “E’ sempre stato sesso
quando eravamo tristi, e tenerezza da
amici del cuore quando eravamo vicini alla felicità. Questo è stato…”. Le
gambe mi tremano, gli occhi mi si eclissano e le sue parole sbattono nella mia
testa come le onde del mare. Lo sapevo, me l’aveva già detto Raissa, l’avevo
già intuito da questa casa… ma, ora… non c’è appello, revisione, terzo grado,
grazia, perdono. Niente. Ora davvero sono conscia che sia tutto vero, ed ora
che lo so, ora che ce l’ho davanti con quegli occhi grigi pieni di provocazione
silente, provo una tale nausea che sento ogni parte di me contorcersi. Temo
persino di essere diventata bianca in viso. Ma lui non se ne accorge, non se ne
preoccupa, stringe solo le labbra sottili e mormora distaccato: “Che c’è? Non
capisci come sia possibile? Vuoi uno schemino? Non è lo stesso bisogno che tu
hai di Radcenko?”.
Il sangue che mi va al cervello, sibilo: “Non osare mettere a paragone le
due cose, non c’entra assolutamente n…”.
“Perché?! Eh, perché?” mi interrompe, e stavolta è lui ad urlare, è lui ad
avvicinarsi a me con aria di minaccia, è lui che non cerca nemmeno di
trattenere per un istante la sua rabbia “Perché lui ha l’aria da tenebroso e
dannato e ha perso sua moglie, e io invece sono uno stronzo della peggiore
specie?! O perché Raissa è un’assassina e tu sei un’eroina da guerra?! Eh,
perché sarebbe diverso?! Perché?! Me la sono scopata e mi è piaciuto farlo, mi
faceva stare bene, mi annullava il pensiero… e di giorno si prendeva cura di me
come una mogliettina affettuosa. Cosa c’è di diverso dal tuo bisogno? Cosa? Io
di te non mi sono preso cura… e neanche tu di me. Non ne abbiamo avuto il
tempo, benissimo… sarà anche non stata colpa nostra. Ma se Raissa è riuscita a
farsi strada dentro di me, e Radcenko ce l’ha fatta con te, perché credi che
sia successo? Eh, perché? Perché non ci siamo mai dati quello di cui avevamo
davvero bisogno, eccotela la realtà… e l’avrai pensato anche tu, no? Lo so, ci
scommetto, te lo leggo scritto in faccia…”.
Taccio, assimilando il colpo: ha ragione, ha maledettamente e stupidamente
ragione. Eppure non riesco ad accettarlo, non riesco a pensarlo, non riesco ad
immaginare… che io e lui… non siamo stati nulla di diverso da una storia
stupida di dieci giorni. Le lacrime mi sgorgano improvvise, scoppiando sul viso
come fuochi d’artificio, e d’un tratto vorrei ancora parlare, dirgli di più,
dirgli tutto, e non di Alex, ma di me, della vera me, delle notti con Ron,
delle novecento tredici lettere, dell’Italia che mi toglieva il fiato, della
paura dell’acqua, delle rose, della gelosia per Pansy e per Dean, di ogni
dannato momento in cui ho ripensato a quei dieci giorni e me li sono fatti
bastare come se fossero stati dieci anni. Dilatavo minuti, distorcevo ore e mi
bastava, mi bastava. Ed ora, invece… a che è servito? A che è servito tornare
qui? A far rapire mio figlio? Ad uccidermi il cuore… a cosa diamine è servito…
non è stato sesso con Raissa… quello… forse un giorno, con il mio bambino
vicino, lontana dalla repulsione per la rapitrice di nostro figlio… forse, dico
forse, l’avrei accettato… ma non… tenerezza da amici del cuore… cosa diamine
è? Forma edulcorata e stanca di amore? Patetico pudore di non chiamare le cose
con il loro nome? Ultima difesa del moribondo sentimento che ci ha uniti? Che
cosa diamine è?
Una parte di me, mentre singhiozzo, mentre lui mi guarda quasi digrignando
i denti, restando freddo e convinto che come sempre io stia facendo due pesi e
due misure, mi suggerisce che anche io ho fatto lo stesso. Anche io ho promesso
ad Ilai di stare con lui, anche io mi sono fatta abbracciare da lui, anche io
ho lasciato che mi entrasse nel cuore… ma è facile mandarla via questa parte
codarda di me stessa.
Io ho davvero ceduto solo ieri sera, baciando Ilai. Ieri sera… dopo cinque
anni.
Lui ha ceduto tre mesi dopo avermi lasciata… ed io… ero ancora in coma in
Italia, incinta di suo figlio.
Glielo vomito addosso, pazza, ormai non più conscia di me stessa in nulla:
“Con la differenza che per me questo è successo ieri sera… ieri sera,
maledizione, ieri sera ho lasciato che mi baciasse… non cinque anni fa…”.
“E invece tuo figlio è stata una scopata occasionale? O te l’ha portato la
cicogna?”.
Lo dice di nuovo con una risata sardonica, crudele, malvagia. E capisco che
mi ha mentito la sua faccia, il suo viso, i suoi occhi… ha notato di Alex, ha
notato che non è figlio di Ron, ha notato che non è nemmeno figlio di Ilai. Ma
non ha concluso per quella che era la soluzione più ovvia del rebus, se solo
davvero mi conoscesse, se solo davvero sapesse di me e di questi anni e quindi
potesse intuire che poteva essere solo il suo
di figlio.
No.
Stava con un’assassina che amava un altro e gli andava bene, gli andrebbe
anche bene adesso, se non avesse messo in pericolo Serenity.
Ma io… io che sono madre di suo figlio, io che ho baciato solo due uomini
dopo di lui ed entrambi, in modo diverso, per salvarmi la vita, perché anche
Ilai la vita me l’ha salvata…
Io… che l’ho amato sempre in cinque anni, senza dubbi, senza scappatoie e
senza incertezze.
Io, invece, sono una puttana che mi sono fatta qualcuno una sera, al punto
da concepire un figlio.
Lo schiaffeggio con tutte le forze che mi sono rimaste, sibilando poi,
colma di odio: “Non ti azzardare a nominare più mio figlio”.
Resta immobile, il mio schiaffo non lo sposta nemmeno di un passo. Si
massaggia solo la guancia arrossata, socchiude gli occhi e mi guarda come se
stesse per sputarmi in faccia: “E tu non ti azzardare a rimettere piede qui…
aspetta Radcenko, sposatelo, fai quello che ti pare… basta che te ne vai da
qui…”.
“Me ne sarei andata ore fa… se non fosse stato per te e Seth…” aggiungo,
facendo qualche passo indietro ed asciugandomi nervosamente il viso “Io non ti
perdonerò mai. Mai…”.
“Non mi pare di avertelo chiesto…” soggiunge a voce bassa, guardandomi con
sussiego “Non sei la dispensatrice del perdono universale, Granger… vattene via
di qui… e lasciami in pace una buona volta…”.
Non me lo faccio ripetere due volte: non lo guardo neppure un’altra mezza
volta, mi volto su me stessa ed attraverso correndo il salone, aprendo la porta
con rabbia e disperazione.
Vorrei solo scappare, fuggire fuori, prendere aria… ma invece vado a
sbattere contro una persona che stava aprendo la porta nello stesso momento.
L’odore delle violette mi avvisa subito di chi si tratta. Pansy.
La guardo per un attimo con la vista annebbiata, sconvolta, atterrita,
improvvisamente persino desiderosa di una sua parola mordace, che mi faccia
uscire fuori da queste sabbie mobili in cui si è trasformata poco a poco questa
giornata. So che lei capirebbe, so che magari mi rimprovererebbe, so che
comunque in ogni caso sarebbe qui con il suo sdegno algido da Serpeverde… lei
sola, al mondo, in questa stanza, è madre come me, è donna come me, è
innamorata come me. Resto immobile, guardandola, mi sento figlia anche se non
dovrei, ho gli occhi che non trattengono le lacrime, il labbro che sanguina per
la forza che ci ho messo mordendolo, e l’aria di una che è sopravvissuta ad un
disastro nucleare, nascondendosi sotto una pila di cadaveri.
Pansy ha i capelli spettinati, l’espressione stravolta, il volto rosso e
gli occhi accesi: persino il suo abito nero è spiegazzato e ha annodato
malamente il foulard con le rose attorno al collo. Ha parlato, ha detto
qualcosa, ma io non l’ho sentita. Non sono riuscita a capire che stesse dicendo
ed ora sembra più calma, meno agitata. Mi guarda e basta, nelle iridi di
ardesia scatta comprensione ed empatia, ma le ricaccia subito indietro,
gettando uno sguardo di ghiaccio nero alle sue spalle in direzione di Draco.
“Mi dispiace per Alex…” dice solamente, e la vedo stringere forte la mano
che tiene a Charisma, che non avevo notato e che è accanto a lei, intenta a
guardarmi fissa, gli occhi azzurri spalancati sul mio viso in lacrime. Mi
asciugo malamente le guance ed annuisco, tirando su un sorriso smunto che
tranquillizzi almeno la bambina.
“Lo so…” sussurro senza forze, mentre lei piano si ricompone e impacciata
mi mette una mano sulla spalla, dandomi una specie di goffa pacca “Lo troviamo…
stai tranquilla…”.
Annuisco ancora, improvvisamente la dimensione della scomparsa di mio
figlio mi prende daccapo, causandomi una vertigine indolente che controllo solo
chiudendo gli occhi.
“O Dio santissimo, ancora qui sei?” la voce di Pansy è tagliente e severa,
quando sfiora di nuovo le mie orecchie e si infrange alle mie spalle,
ricordandomi di Draco e del discorso appena avuto con lui. Un conato di vomito
mi fa trasalire e mi siedo pesantemente su uno sgabello basso, prendendomi la
testa tra le mani e cercando di calmarmi, isolando la mia mente dalle immagini
di lui e Raissa assieme, oltre che da quelle ormai celeberrime di Alex in
pericolo, che piange, sanguinante o connesso a Dimitri per sempre. Solo dopo un
po’, mi accorgo della manina di Charisma che stringe forte le mie dita. Sorrido,
alzando il capo, e la piccola mi sorride a sua volta in modo caloroso e
luminoso, al punto che mi sento rincuorata senza alcun motivo. Le stringo la
manina senza dire nulla, e lei ride felice.
Draco, dopo qualche secondo di silenzio, risponde acido a Pansy: “Questa
sarebbe casa mia, fino a prova contraria…”.
“Ti pagherò l’affitto per l’uso del tuo mefitico ossigeno da carogna…”
biascica per nulla impressionata Pansy, sollevando le sopracciglia con aria
fintamente innocente “La tua fidanzatina assassina e traditrice… dove potrebbe
essere? Lo sai?”.
“Certo che lo so… non sono corso
da lei solo perché avevo una terribile unghia incarnita al piede sinistro…”.
“Peccato che non ti sia incarnito anche altro, tipo… non lo so… la lingua…” riprende Pansy senza nemmeno
cambiare espressione “…dato che la Granger ha appena perso suo figlio… e
scommetto che a te è saltato in mente persino di raccontarle di te e della
consolatrice dei vedovi…”, giuro che
questa me la segno, Pansy Parkinson che mi difende davanti a Draco Malfoy “…
comunque visto che sei utile come un ombrello nel bel mezzo di uno tsunami, e
visto che a me del tuo raccontino porno soft da sfigato non interessa nulla,
potrei continuare la mia conversazione con la Granger con te che magari ti
eclissi e sparisci nel tuo giardino, nel tuo bagno o da qualche altra parte?
Prometto che lo pago l’affitto dell’aria che consumo… sarà insalubre, ma devo
pur sempre sopravvivere…”.
“Ma Thomas allora deve essere davvero impotente…” erompe ancora del tutto
indifferente Draco, guardando Pansy con una smorfia dispiaciuta che sembra
finta come una moneta da sette sterline “Questa si chiama frustrazione sessuale in piena regola…”.
“Se… questa, qualsiasi cosa tu
alludi, si chiama in qualche modo… si
chiama ormoni da seconda gravidanza in
quattro anni di un uomo che se la cava decisamente meglio del mio primo
fidanzato…”.
Per qualche secondo, sono certa di aver capito male: ho le orecchie che
fischiano, il cervello ingolfato e le lacrime che non ne vogliono sapere di
smettere di scendere.
Poi capisco, ed è come una specie di esplosione di suoni e parole che
provengono da ogni direzione, che intonano un coretto al quale tutto sommato mi
unisco anche io e che ripete che Pansy è incinta. Seth, che come era
prevedibile stava ascoltando tutto probabilmente da ore, entra nella stanza
saltellando, Pansy gli ingiunge di smetterla e mi chiede quando tornerà Dean e
se “tornerà tutto intero dalla missione che gli ho affibbiato” e io mi
congratulo con il primo vero sorriso senza pensieri della giornata.
Che ovviamente dura poco, pochissimo… perché Draco è ancora lì, dall’altra
parte della stanza, a braccia conserte che, per un attimo, guarda me in modo
indecifrabile e poi scappa via, gli occhi grigi lontani. E io ripenso che,
quando ho saputo che ero incinta di Alex, non c’erano palloncini, feste e
risate gioiose. C’era polvere, sangue e sbarre.
Alla fine, dopo la notizia, Pansy decide finalmente di dover parlare anche
lei con Draco. Non che lo faccia con la massima tranquillità, anzi storce il
naso, simula nausee mattutine da gravidanza che le sono spuntate solo adesso e
ripete ottanta volte “di quanto sarà
contento mio marito Dean Thomas, che è un vero ed autentico stallone, roba che
di notte non posso nemmeno dormire per un’ora consecutiva”, cosa che, mio
malgrado, mi provoca un accenno nervoso di risate che mi soffoco in gola,
represse solo quando vedo la faccia basita e schifata di Draco che evito
comunque di fissare.
Recuperata la calma, io, Seth e Charisma li lasciamo soli nella stanza,
chiudendo la porta. Seth, imbarazzato ed ancora impossibilitato a guardarmi in
faccia, mormora che va a telefonare a Kevin, dato che è da tempo che non si fa
sentire. E io resto sola con Charisma, meditando se non sia il caso di
andarmene e non tornare più.
Poi concludo che devo aspettare Dean per sapere della collana… e, adesso, a
maggior ragione, devo e voglio aspettare che Ilai torni. Quindi resto seduta
sulle scale che portano al piano superiore, i gomiti sulle ginocchia, mentre
Charisma gioca con qualcosa, seduta accanto a me.
“Zia!” la voce di Charisma mi fa sobbalzare, mi devo essere assopita senza
rendermene conto. Mi volto alla mia sinistra dove Charisma si è seduta sul
gradino sotto il mio, e mi guarda fisso con gli occhi azzurri accesi, che Dean
mi ha raccontato aver preso da sua madre. E’ impossibile non sorridere a questa
bambina, ti strappa pur non volendo pieghe delle labbra che non sapevi nemmeno
di avere. Per quello Alex la adora. Con un groppo in gola dico: “Dimmi Char…”.
Il groppo non passa, anzi diventa ancora peggiore, quando penso che ho chiamato
la bambina esattamente come la chiama Alex.
“Io e Biscotto abbiamo deciso che quando torna Alex, dobbiamo andare alla
spiaggia…” dice convinta, mettendo su un broncio che mi intenerisce come non
mai, sciogliendo il groppone del respiro “Perché Alex è proprio scemo, e non sa
nuotare! Quindi se parliamo al mago cattivo e gli diciamo che Alex non sa
nuotare, lui ce lo deve ridare per forzissima!”.
“Certo piccola… hai proprio ragione… ce lo deve ridare per forzissima…”
sussurro con un sorriso, nascondendomi una lacrima nel palmo della mano, mentre
Charisma batte le mani contenta.
Sono ancora in preda a quella strana sensazione di pace senza spiegazioni
che Charisma mi ha istillato, che sento un pop
provenire dalla cucina, pochi istanti prima che Dean compaia di nuovo
davanti a me.
“Ciao papà!” urla Charisma, alzandosi in piedi e correndo ad abbracciargli
la gamba sinistra, su cui cerca di arrampicarsi. Dean sorride, la prende in
braccio e le mormora canzonatorio: “Ciao ragnetta!”.
Li guardo con un sorriso mesto che vorrei davvero non avere, adesso:
immagino l’espressione che assumerà Dean quando saprà che sta per diventare
padre per la seconda volta. Lui è nato per essere genitore, l’ho sempre saputo,
credo che sia perché è un bambino anche lui, in fondo. Charisma, difatti, adora
suo padre, la vedo spesso intrattenersi in lunghissimi discorsi o giocare nelle
maniere più buffe con lui. Me la vedo già, frizzante adolescente, confidarsi
con più facilità con Dean che con sua madre. Quando stavamo assieme, una cosa
che mi tranquillizzava spesso se facevo progetti su me e lui, era pensarlo
padre dei miei figli. Sono contenta che questo non sia cambiato, che la mia
previsione si sia realizzata, anche se non per i miei di bambini.
Ho accostato tante figure all’immagine del padre che avrei voluto per Alex,
dicendomi sempre che nessuno sarebbe stato come Draco.
Adesso, oggi… vorrei davvero che Alex fosse nato da nulla, senza avere a
che fare con lui.
Dean, dopo qualche minuto, esorta Charisma ad andare a prendere Biscotto di
cui deve mostrargli un nuovo gioco, e si siede accanto a me, sospirando a
lungo. Mi guarda di sottecchi, sono ben certa che le ombre lunghe sul mio viso
mi stiano scavando i tratti di ulteriore stanchezza ed angoscia, dato che Dean
asserisce senza domandare, ma solo constatando: “E’ andata male…”.
Annuisco e basta, stringendomi nelle spalle, prima di aggiungere che non ho
voglia di parlarne al momento e che sono, invece, interessata a sapere che cosa
ha scoperto del ciondolo. Dean sorride in modo tirato, poi mi chiede: “Prima
che iniziamo a parlare… Pansy è tornata? Non stava benissimo in questi giorni,
sempre con la nausea, le vertigini… e quando esce di casa da sola… ho sempre
paura che svenga da qualche parte…”. Sorrido, dicendo che sta parlando con
Draco, e Dean si sistema meglio seduto, rincuorato, non sapendo ancora che il
malessere della moglie ha la migliore delle spiegazioni.
“Ovviamente non dirle che mi sono preoccupato per lei…” borbotta come un
adolescente scornato, che non vuole far sapere che si interessa ad una
coetanea, perché fa troppo poco figo.
Mi viene ancora da sorridere, mentre annuisco: sono una coppia, a loro modo,
fantastica. Scommetto che lei sa che lui si preoccupa, e scommetto anche che
lui sa che va esaltando le sue doti amatorie davanti agli ex fidanzati, ma non
sia mai che se lo dicano in faccia tra loro. Dopo la conversazione tra me e
Draco, dopo l’iceberg freddo che mi perfora lo stomaco convincendomi persino
che la sola cosa che ci unisce è il fatto di avere un figlio assieme, ma di cui
lui adesso non sa nulla… guardo Pansy e Dean con molta meno invidia, e molta
più tenerezza.
Per quello che hanno costruito, che adesso so che non sarebbe stata una
cosa scontata nemmeno restando con Draco; per l’equilibrio che li consente di
restare sé stessi, nonostante tutto; per la serenità allegra che ha Charisma,
che non ha paragoni, mio malgrado, con quella di Alex e nemmeno con quella di
Serenity. Sono tre bambini completamente diversi, sebbene amati allo stesso
modo.
Alex è un bambino allegro ed intelligente, ma sente quando sono triste, lo
percepisce e cambia quello che dice e che vuole in base a ciò che sento io.
Serenity, per quello che mi è parsa, è una bimba dolce ed educata, ma ha
dei gesti, dei modi, delle posture innaturali, ancora come una cresciuta nel
velluto di una protezione persino asfissiante.
Charisma è divertente, scanzonata, spontanea, spiritosa, in costante
scoperta del mondo, che esplora in un modo fiducioso ed aperto, come se Dean e
Pansy avessero davvero evitato per anni, nel modo più discreto possibile, che
qualcosa la toccasse senza che però lei se ne sentisse soffocare.
Giuro che, se mai un giorno avrò un altro figlio, ripenserò sempre a come
Pansy e Dean hanno cresciuto Charisma.
Finalmente Dean inizia nella sua spiegazione, borbottando che la negromante
che ha contattato, grazie a delle sue conoscenze sparse sempre in ambasciata,
aveva l’aspetto di un transessuale malaysiano e parlava pure per filastrocche,
però ha riconosciuto subito il ciondolo e ha detto immediatamente che è
qualcosa di molto potente, intriso di magia bianca.
“Così potente da andare anche contro il potere di Adamar?” chiedo
speranzosa, guardando meglio Dean. Lui arriccia il naso e spiega con voce
incerta: “Non ne sono sicuro… o meglio la negromante non ne era sicura. Cioè,
ovviamente, sai che in pochi sanno di Adamar… e difatti lei non sapeva chi
fosse. Ho parlato di una fortissima fonte di magia nera… e l’ho paragonata a
quella di Colui che non deve essere nominato… anche se…”.
“Voldemort non era nulla in confronto ad Adamar e a quello che può darti…”
completo sconfitta, le spalle che si afflosciano.
“Esattamente… però se almeno poteva andare contro di lui, possiamo intendere
che abbia degli effetti contro Adamar, no?”. Annuisco pensosamente, non del
tutto convinta, mentre Dean prosegue, cercando di dirmi tutto quello che sa nei
dettagli: “Lei dubitava che si potesse parlare di sconfitta o di morte, o di
grave menomazione… in breve non potresti ordinare al ciondolo di ammazzare
Dimitri e Raissa anche se per proteggere tuo figlio. Ogni desiderio
esprimibile, che è solo uno naturalmente, è in ordine alla protezione di Alex.
Ma anche se loro attaccassero direttamente lui, e tu volessi salvarlo, la
negromante dice che devierebbe il colpo, ma difficilmente compirebbe azioni
risolutive come quella di uccidere o privare quei due della loro Magia… specie
se ha un’origine oscura…”.
Ad ogni parola di Dean, mi sento sempre più tradita: è come se avessi
investito tanto, troppo, nel dono di Tatia ed adesso mi rendo conto che molto
probabilmente, non potrà fare nulla di che. Come faccio allora a salvare mio
figlio? L’ansia minaccia di sopraffarmi, quindi chiedo sbrigativa: “E quindi? Che
cosa può fare?”.
Dean si sistema meglio sul gradino e noto ancora lo sforzo che sta facendo,
per non tralasciare nulla: “Il potere del ciondolo è un catalizzatore di magia
bianca, per la protezione di un figlio da parte di una madre… ha la stessa base
della magia che salvò Harry, grazie all’intervento di Lily Potter… ma anche in
quel caso, se ben ricordi, salvò il figlio ma non uccise il Signore Oscuro o lo
privò dei suoi poteri. Lo pose in una forma innocua per il bambino… stavolta,
però, non si potrebbe nemmeno sperare in qualcosa del genere: là c’era più
squilibrio di forze, la magia di Lily fu veicolata con un sacrificio…”, Dean si
ferma e mi guarda seriamente, presagendo nei miei occhi il pensiero che sto
avendo e cioè che potrei anche io morire per Alex: “E no, non ci pensare
nemmeno a morire… sarebbe inutile, comunque… l’hai detto anche tu. Colui che
non deve essere nominato era un bimbetto dell’asilo in confronto al potere di
Adamar… stiamo parlando di un demone millenario, messo lì chissà da chi e
chissà perché… moriresti e a lui probabilmente provocheresti un dolore pari
alla rottura di un’unghia… ed Alex a quel punto non avrebbe nessuno che lo
salvasse…”.
Taccio con frustrazione, guardandomi le scarpe, ed annuisco controvoglia:
purtroppo ha ragione.
Certo, io non ho a che fare con Adamar, ma con Dimitri e Raissa: ma il loro
potere viene da lui. Ed è un potere malato, perverso, folle ed incomparabile.
Se solo Adamar fosse stato interessato a Voldemort… deglutisco con terrore,
difficilmente tre ragazzini come me, Harry e Ron, l’avremmo mai potuta avere
vinta su di lui.
“La negromante ha detto che anche desideri generici sono pericolosi…”
continua Dean, la voce più tranquilla dopo il mio cenno di assenso “Cose come salva mio figlio o portalo qui… è una Magia che ha una sua logica, una sua mente, un
suo destino… potrebbe concludere che salvare Alex è allontanarlo
definitivamente da te… o persino ucciderlo per impedire che soffra ancora… è
troppo instabile, catalizza appunto le emozioni materne… e tu sei preoccupata,
agitata, sconvolta. Realizzeresti una cosa negativa, pur non volendo, dando
adito alle voci nefaste che hai nel cuore… ”, gelo come se fossi immersa nel
ghiaccio, improvvisamente la superficie del ciondolo che mi tocca la pelle del
collo mi dà i brividi. L’avevo visto come qualcosa di rassicurante e caldo,
adesso mi pare un serpente pronto a strozzarmi.
“Per questo devi essere molto specifica, quando formulerai il desiderio…”
soggiunge Dean, guardandomi dritto negli occhi “In modo da isolare la tua mente
e renderla meno permeabile…”. Mi chiedo onestamente che cosa resti ancora da
chiedere. Pensavo di poter salvare Alex così, o di poterlo portare qui, oppure
di eliminare Dimitri e Raissa. L’ansia, ancora, mi chiude la gola, annaspo e cerco
di concentrarmi sul mio respiro come mi ha insegnato Ilai, per prevenire gli
attacchi di panico. A calmarmi davvero, però, sono le successive parole di Dean
che mi sorprende come non mai.
Nel miasma di agitazione che mi travolge, capisco quanto sia vitale avere
qualcuno vicino che pensi a mente fredda e lucida.
Difatti, Dean mi appare estremamente sicuro mentre dice: “Mi pare ovvio che
la sola cosa che possiamo chiedere al ciondolo è di liberare Alex dalla connessione con Dimitri…”.
Il volto mi va in fiamme per il sollievo e la gioia: ha ragione, è un
desiderio sufficientemente specifico, ha come fine la protezione di Alex e non
si scontra troppo con il potere oscuro dei Karkaroff. Se riuscissimo, infatti,
a liberarlo da questo collegamento, almeno avrei la certezza che,
smaterializzandomi con Alex, lui non possa subire conseguenze da Dimitri in
ritorsione. Ovviamente, mi resta da elaborare un piano su come trovare i
Karkaroff, ingannarli, prendere tempo, convincerli magari che ho anche ucciso
Ilai e Draco… ma se tutto questo mi riesce in qualche modo, Alex è salvo.
Abbraccio Dean di slancio, ringraziandolo, è la soluzione più giusta e
normale ed io sono davvero arrugginita per non averci pensato da sola. Dean
sorride e mi accarezza goffamente la testa, dicendo che non c’è problema, che
tutto si risolve e che riporteremo mio figlio a casa, costi quel che costi.
Poi, però, diventa improvvisamente serio, la mano che mi aveva poggiato sulla
nuca scivola via ed io mi sollevo a sedere, osservando i suoi occhi dorati che
tornano su di me un po’ tristi ed un po’ preoccupati.
“Cosa c’è?” chiedo, tornando a guardarlo e rabbrividendo leggermente,
mentre lui sorride in modo tirato e mi sussurra: “Adesso viene la parte
peggiore, Herm…”.
“Peggiore?!”.
“Il ciondolo… non ti ho detto come
funziona…”.
Mi artiglio alla manica della sua camicia, spaventata, immaginando tutti i
modi più neri e macabri per utilizzare questo ciondolo, cosa che alla fine
renderà la cura peggiore della malattia e mi porterà a considerare impossibile
l’uso dell’unica speranza di salvare Alex. Ma le prime parole di Dean mi
sconcertano per la sua semplicità, sebbene resti teso e nervoso: “Ci vuole solo
del sangue… e una formula magica…”.
Inarco un sopracciglio, ancora non riuscendo a seguirlo: certo, non mi ha detto
quanto sangue ci vuole, potrebbero anche voler dire che ci vogliono pinte di
sangue così da farmi restare dissanguata, ma, a parte in quel caso, non ci vedo
niente di strano o preoccupante.
Dean prosegue, evitando il mio sguardo, gli occhi nocciola che puntano
lontano, seguendo qualcosa che vede solo lui: “Ci vuole il sangue della madre,
ovvio… poche gocce, niente di che… ma ci vuole anche il sangue del figlio…”, mi
sgonfio e il petto diventa una lastra di ghiaccio, come una lapide che mi tiene
seppellita. Eccola la fregatura… il sangue di Alex… che non è qui, al momento.
Apro e chiudo la bocca un paio di volte, in apnea, pensando a qualche
soluzione, ma Dean mi precede e torna a guardarmi, un ulteriore piega
mortificata negli occhi: “La negromante ha detto che non è questo il problema…
il sangue del figlio può anche essere ricreato…
anzi forse, dice, la mistura sarebbe persino più potente e garantirebbe una
protezione maggiore…”.
“Ricreato? Che significa?”
chiedo, un terribile sospetto che mi si affaccia dentro, causandomi un tonfo al
cuore.
Dean mi stringe la mano e la tiene stretta forte nelle sue.
“Il sangue di Alex…” sussurra Dean a bassa voce, quasi temendo di farsi
sentire da qualcuno, le mie mani graffiano quasi le sue, mentre lo tengo
stretto: “Il sangue di un figlio è creato dall’unione del sangue di due
persone… la madre… e il padre…”, Dean
accentua quell’ultima parola con fermezza traballante, si rifrange su di me e
mi costringe al mutismo, mentre la testa pensa che ancora, quando decido
qualcosa, la vita ha sempre la consuetudine bastarda di lasciarmi prendere una
decisione solo per poi divertirsi a vedermela smontare.
La sola speranza di salvare mio figlio è il ciondolo di Tatia. Il solo modo
di far funzionare il ciondolo, anche senza Alex, è il sangue di suo padre.
Dovrò dire a Draco che Alex è anche suo figlio.
Sapete che di solito
da un bel di tempo, tendo a non scrivere nulla nei capitoli, diciamo che ho
altre vie, spesso, per comunicare con chi segue la mia storia e quindi spesso
me ne dimentico, presa dall’ansia di aggiornare con i miei soliti ritardi
mostruosi. Poi davvero certe volte mi auto-convinco che questa storia stia su
EFP quasi per caso, che nessuno la curi eccessivamente, che posso anche
limitarmi a parlarne solo con chi ne parla assieme sul gruppo di facebook… e
poi arriva una recensione improvvisa, un commento, e mi squaglio rendendomi
conto di quanto questa storia, che va avanti da anni, e di cui adesso mancano
circa 4/5 capitoli alla fine, sia seguita. Halft oggi
ha 40 capitoli, 466 recensioni, 273 preferiti, 100 da ricordare e 392 seguiti…
e quando l’ho iniziata a scrivere anni fa, per gioco, non immaginavo niente del
genere. Quindi il mio oggi è prima di tutto un grazie, enorme come una casa,
per chi legge questa storia, per chi la commenta, per chi fa tanto per me ogni
giorno, per la mia armata halftiana, per chi perdona
ed accetta i miei ritardi che vorrei che fossero minori, ma che purtroppo, mio
malgrado, sono sempre presenti. Halft sarà
completata, ma con i miei tempi, purtroppo: questo capitolo sarebbe arrivato
prima, se il mio pc non l’avesse distrutto. Metteteci anche un po’ di cattivo
umore e il mio desiderio di finire una dramione
incompleta… e i tempi si sono allungati al punto che sono stata costretta a
dividere questo capitolo in due. Sono perfezionista e pazza, perciò purtroppo
dovrò sempre dirvi che Halft non sarà mai aggiornata
celermente… ma spero davvero che resterete ugualmente con me…J
Per le recensioni, io spesso rispondo in ordine sparso, sono davvero un
disastro… o me ne dimentico… quindi cercherò di rispondere a quelle dello
scorso capitolo che mi mancano, in tempi brevissimi, specie di chi non frequenta
il gruppo… grazie davvero ancora dell’enorme pazienza che avete con me…L