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Autore: Cassie chan    05/08/2013    13 recensioni
ATTENZIONE: non tiene conto degli eventi del settimo libro...!!Sono passati alcuni anni dalla fine della guerra, ed Hermione Jane Granger vive estromessa dal suo mondo, quello della magia, a causa di una condanna ricevuta tempo prima. Fidanzata delusa, disoccupata cronica, cinica perenne, Hermione ormai dispera dell'arrivo del principe azzurro. Ma quando arriva, non è facile riconoscerlo nelle fattezze affascinanti ma DECISAMENTE irritanti di Draco Lucius Malfoy, specie se babbano anche lui... ma la vita è decisamente strana e può anche capitare che ci si imbatta in una piccola fiaba, proprio quando si credeva di vivere in un incubo...:) PUBBLICAZIONE CAPITOLO 51 : 14 LUGLIO 2020
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Genere: Comico, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ginny Weasley, Harry Potter, Lavanda Brown, Ron Weasley | Coppie: Draco/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'THE "HAVE A LITTLE FAIRY TALE" SAGA. '
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RIASSUNTO DEI CAPITOLI PRECEDENTI: Draco ed Hermione sono riusciti a fuggire dalla trappola tesa da Astoria, alias Summer Layton, che si è alleata con Pucey e Montague, gli assassini di sua sorella Helena, per uccidere entrambi dopo aver compreso il legame che unisce i due. Hermione, ancora parzialmente sotto il controllo dello Zahir che Astoria, con l’inganno, le ha fatto creare, è senza voce e sotto il pesante rischio di essere nuovamente controllata dalla Greengrass, che vuole che uccida Draco. Quest’ultimo l’ha portata a casa di Pansy Parkinson, per proteggerla, prima di recarsi in un luogo sconosciuto, senza riuscire a parlare con Hermione e senza sapere che la ragazza è innamorata di lui e che l’effetto dello Zahir è parzialmente sopito. Draco per aiutare Hermione a tornare sé stessa, ha convocato una sua vecchia conoscenza, la figlia di Igor Karkaroff, Raissa, che le ha detto che l’unico modo per tornare libera, sarebbe concentrarsi sull’amore che Draco nutre per lei. E per farlo, le mostra i ricordi che Draco ha su di lei, conservati da Blaise Zabini per farli vedere a Serenity, qualora fosse accaduto qualcosa a Draco stesso. Ma, mentre Hermione sta rivivendo i ricordi di Draco, essi sembrano scomparire nel nulla. Al suo risveglio, Hermione apprende che cosa Draco sta facendo: si è rivolto ad un demone, Adamar, per ottenere i poteri necessari per difendere Hermione e Serenity da Astoria. Il prezzo per tale demone sono i suoi ricordi di Hermione stessa, la cosa più preziosa che ha, per questo essi sono scomparsi. Se Draco fallisse la prova oppure decidesse di ritirarsi dalla stessa, Adamar gli restituirebbe i suoi ricordi. Ad Hermione, non resta che aspettare che Draco ritorni. Insidiata da Dimitri il fratello di Raissa ed oramai vicina a perdere le speranze, una sera di pioggia, Hermione distingue un’ombra nel vialetto d’ingresso della casa di Pansy. È Draco che misteriosamente è riuscito a tornare. I due finalmente si riuniscono e passano la notte assieme. Trascorrono dieci giorni assieme di perfetta felicità: decidono di contattare Harry per rivelargli la loro situazione, ma il Ministro è ignaro che Astoria abbia una spia nella sua cerchia più fidata. Nonostante i tentativi di Blaise e Draco, la spia non viene individuata e, quindi, sono costretti ad usare Daphne Greengrass e una sua passata relazione con il Ministro, per contattare Harry, in modo che non lo sappia nessuno. Daphne verrà avvicinata da Pansy, la sera del suo compleanno, quando dà una festa a casa sua. Nella stessa occasione, Draco chiede ad Hermione di sposarlo: la ragazza, raggiante, sta per accettare, ma vedendo l’anello con cui Draco la chiede in moglie, che è lo stesso anello di Helena, crolla e decide di prendersi del tempo per pensare, dilaniata dal dubbio che Draco non la ami quanto abbia amato Helena stessa. I due si lasciano momentaneamente, ed Hermione esce nel giardino della villa. Intanto nel futuro, dopo cinque anni, Hermione è tornata a casa di Pansy Parkinson assieme a Seth e a suo figlio Alex. Pansy, che adesso è sposata con Dean, però, non sa dove Draco sia. Dean, però, le rivela che Draco, cinque anni prima, è andato via da lì con Raissa Karkaroff, la sorella di Dimitri. Hermione, sempre più vicina a perdere le speranze, ricordando gli eventi degli anni passati, ripete che la sera del compleanno di Pansy è stata l’ultima sera in cui ha visto Draco. Quella sera, infatti, Hermione venne rapita da Dimitri Karkaroff che si era alleato con Astoria, Pucey e Montague, proprio per separarla da Draco e farne la sua “regina”. La crudeltà e la determinazione di Dimitri a fare sua Hermione, si spingono al punto di catturare anche Hayden, l’amico babbano che Hermione frequentava precedentemente, ferendolo gravemente e rendendolo incapace per sempre di camminare. Nella sua prigionia nel castello di Dimitri, però, Hermione apprende di essere incinta di Draco, cosa che spinge Astoria, sterile e desiderosa di fare suo l’ultimo erede dei Malfoy, cosa che sicuramente le garantirebbe la possibilità di riavere Draco, a prendere tempo con Dimitri e ad ingiungergli di non toccare Hermione nel tempo della gravidanza. La ragazza, però, dopo dieci giorni, viene liberata dalla prigionia da Helder, la sua amica Empatica, Harry e Ron, ma durante la fuga, batte violentemente la testa, restando in coma per tre mesi. Al suo risveglio, si trova in Italia, dove gli amici la tengono nascosta, fingendo persino un matrimonio con Ron, fino a quando Hermione apprende della morte di Dimitri ed Astoria, potendo tornare in Inghilterra con suo figlio per cercare Draco. Una traccia per trovare Raissa risiede inaspettatamente in un incontro che Draco, incalzato da Adamar durante la sua prova, aveva fatto nell’aldilà: una donna di nome Tatia Krasova gli aveva chiesto di riferire ad Hermione il suo nome in modo che si ricordasse di lei. Hermione, però, non la conosce. Cinque anni dopo, tuttavia, Hermione, Dean, Pansy e Seth scoprono che Tatia Krasova era una profetessa, il cui nome era stato celato e nascosto da Raissa, strappando la pagina di un libro, testimoniando quindi un probabile contatto tra le due. Tatia non voleva che Hermione si ricordasse di lei cinque anni prima, ma in quel momento, alla scoperta del gesto di Raissa. Hermione riesce a scoprire dell’ultima dimora di Tatia Krasova: era in Finlandia dove era sposata con un uomo di nome Ilai Radcenko. A casa di Tatia, Hermione trova una lettera destinata a lei dalla ragazza e scritta ben dieci anni e dove lei le dice tutto quello che le è accaduto, rivelandole anche che Raissa sente ancora Ilai di cui è innamorata. Tatia era un’amica d’infanzia di Dimitri e Raissa, sebbene fosse più piccola di loro, i tre erano cresciuti assieme come fratelli. Tatia da sempre dotata di un fortissimo potenziale magico, aveva da sempre attratto l’indole scientificamente curiosa dei fratelli Karkaroff, specialmente di Dimitri, che ne era ossessionato molto più che innamorato. Quando però Tatia ed Ilai si erano innamorati, Raissa aveva finito per uccidere casualmente Tatia e Dimitri le aveva fatto promettere di aiutarlo a fare sua una donna che suscitasse in lui lo stesso interesse che gli aveva provocato Tatia, altrimenti avrebbe rivelato ad Ilai il nome dell’omicida della moglie. Hermione quindi, conosciuta la verità, ritorna in Inghilterra con Ilai, Dean, Seth e Pansy, ma giunta a casa di Draco, scopre una cosa straziante: Serenity chiama Raissa mamma. Interrogando con il Veritaserum la bambina, scopre che Draco sta addirittura per sposare Raissa stessa; distrutta, Hermione decide di andarsene senza incontrare Draco e di partire per la Finlandia con Ilai, a cui la lega una complicità sempre più stretta. Ma, alla festa di paese dove è andata con suo figlio e i suoi amici prima di partire, qualcuno dal palco chiama il vincitore del secondo premio di una lotteria. Viene annunciato a gran voce il nome di Serenity, facendo presagire che la bambina non sia ovviamente da sola. Ma l’attesa di Hermione si rivela vana: Serenity non è con Draco, ma con Raissa che, pazza di gelosia nell’aver intuito un legame tra Ilai ed Hermione, usa un Incantesimo per far comparire Dimitri, mai morto e sempre più ossessionato da Hermione. Le ordina di uccidere Draco ed Ilai e lega Alex a sé stesso, di modo che qualsiasi cosa gli succeda, accada al bambino: Hermione ha solo tre giorni per impedire che l’assimilazione diventi definitiva e che Dimitri non si suicidi, trascinandosi dietro anche il figlio. Tornata a casa di Draco, Hermione distrutta ricambia il bacio di Ilai, poco prima che Draco ricompaia nella sua vita.

 

 

Capitolo 40 – You weren’t there part 1

 

Il sonno non mi salva, non mi porta sollievo. Nell’incoscienza ogni respiro è una pugnalata e ogni sospiro è un ago conficcato nella mia pelle. Non dimentico, non trovo pace. Continuo ad agitarmi come se fossi avvinta da milioni di miliardi di tentacoli ombrosi che mi chiudono il fiato. Mi hanno sepolta viva in una tomba di nebbia, dove non mi è risparmiato il dolore, sebbene non ne ricordi il motivo. Inferno. Devo essere all’inferno. Fa caldo, tanto, la pelle si attacca addosso come se si fosse fatta piccola per il corpo e ho l’impressione di urlare come se mi stessero lacerando viva.

Ma le parole non escono o peggio nessuno le ascolta.

Attorno a me ne sento altre, di parole. Tutte confuse, tutte ronzanti, tutte ugualmente insignificanti ed inutili come stracci vecchi.

Ne distinguo solo una, misericordiosa, che si accompagna ad una lieve pressione sulla mia fronte. Ha un tono duro, sconfitto, colmo di livore. Eppure si stempera in un accento morbido, soffice, che ha l’odore dell’erba nel mese di settembre. Dice solo Requiesco. L’incantesimo per dormire per chi è troppo stanco, distrutto o triste per farlo.

E finalmente riesco a prendere sonno.

 

 

Forse cammino da ore, o da anni. Forse cammino dall’inizio della mia stessa vita: la fronte si imperla di sudore freddo, non vedo il sole, non sento la luce, eppure il caldo è torrido, soffocante, insopportabile. Le gambe mi fanno male come se fossero elastici in tensione da mesi, ho paura che un solo singolo movimento le faccia rompere del tutto, fuscelli secchi nel vento polveroso.

La cosa peggiore è che non riesco nemmeno a pensare di fermarmi, continuo a muovermi con l’urgenza della salvezza che spinge il naufrago a galleggiare nel mare scuro.

Gli occhi sono incollati, non riesco ad aprirli, le palpebre sono pesanti serrande di ferro ed acciaio calate sulle mie iridi. Non riesco ad immaginare nulla di quello che avviene oltre i miei occhi chiusi, ho la percezione confusa dell’aria stagnante di un deserto, quando non so nemmeno come sia fatto un luogo del genere. Il mio stesso corpo continua a muoversi, sballottolato a destra e sinistra, senza controllo come se fossi su una specie di barca malferma. Mi sforzo ancora, ma gli occhi non si aprono. E non mi fermo. Continuo a camminare, arsa dalla sete e bruciata dal caldo.

D’improvviso, qualcosa di freddo si poggia sulla mia guancia. È un sollievo immediato, immenso, vitale. Riconosco le fattezze di una mano piccola, sottile, da donna. Per quanto, però, mi sforzi, non riesco comunque ad aprire gli occhi e questo mi comunica un ulteriore senso d’angoscia. Però la mano sul mio viso mi fa fermare e mi dà sollievo, quindi mi lascio andare al suo profumo di fragola, respirando di avido sollievo. Una voce argentina, da ragazzina, sussurra con tono lamentoso: “Forse ce l’hai dentro già adesso…”.

Le parole della donna fluiscono senza peso nel mio cervello, le perdo appena le ho ascoltate. Le mie labbra spaccate si aprono piano e biascico, sentendo di stare sanguinando: “Chi sei? Dove sono…? Questo… è un sogno, vero?”. La mano della ragazza trema un pochino sul mio volto, mentre dice piano: “Che sia un sogno o meno non implica che non sia reale, no?”.

“Chi sei?” chiedo ancora, sgomenta, forzando ancora gli occhi che restano chiusi.

“Sai perfettamente chi sono…”.

La consapevolezza mi avvolge come un manto fresco, respiro ancora e mi sento più calma: “Tatia?”. La voce annuisce roca, non lasciando il mio viso.

“Perché sei qui?” mormoro con un filo di voce, pensando contemporaneamente che l’ultima volta che ho visto una persona defunta in sogno, era un inganno di Astoria. E se adesso fosse lo stesso?

Se fosse stavolta Raissa ad ingannarmi?

Tatia, però, scioglie subito il mio dubbio, ribattendo ai miei pensieri nascosti con decisione: “Raissa non ti direbbe mai quello che sto per dirti adesso…”.

“Che cosa?”.

“Hai già tutto quello che serve, Hermione Granger…” la voce prosegue senza rispondere alla mia domanda, la pressione sul mio viso è tiepida e dolce “Hai sempre avuto tutto, Hermione Granger. Solo che non lo sai, non l’hai mai saputo. Anche stavolta sarà così…”. Mi sento ancora sbattuta avanti ed indietro come un giocattolo conteso, oscillo senza riuscirmi quasi a tenere in equilibrio al punto di sentire la nausea. La mano di Tatia sul mio viso è il solo punto fermo attorno a me. Gli occhi mi lacrimano dalla voglia di aprirli, un tenue bagliore aranciato compare dietro le palpebre, mentre l’odore di fragola si fa più forte.

“Io non capisco che cosa vuoi dire…” blatero affannosamente, le labbra che si spaccano ad ogni mia parola, sento il sapore metallico del sangue sulla lingua. La mano di Tatia aumenta la sua pressione sulla mia guancia, come se stesse richiamando la mia attenzione su qualcosa prima di aggiungere: “Questo luogo… è per i Profeti. Nessuna altra anima avrebbe potuto incontrarti… ma tante avrebbero voluto farlo. Tantissime… l’inferno echeggia del loro pianto…”. Continuo a non capire che cosa mi sta dicendo, la bocca è impastata dalla sete e fatico a restare sveglia.

Solutio damnationis…” bercia affannata Tatia, come se avesse poco tempo ma le sue parole continuano a non avere alcun genere di senso per me.

“Non capisco…” ripeto ancora, sentendomi maledettamente stupida. La polvere soffia addosso alla mia faccia, levandomi il fiato, tossisco come se stessi per soffocare.

La voce di Tatia diventa improvvisamente imponente, grave, rimbombante. Il vento aumenta di intensità, la presa della sua mano sulla mia guancia viene meno e mi sento quasi spostare dal turbine d’aria. Annaspo non riuscendo a respirare, mentre Tatia urla assieme alle voci di quelle che mi sembrano centinaia, migliaia, milioni di persone.

Solutio damnationis! Solutio damnationis! Solutio damnationis!”.

La nenia infernale diventa ossessiva nel mio cervello, cerco di ripararmi dal vento come meglio posso, ma alla fine mi sento trascinare via.

Urlo, cercando di trovare un appiglio, mentre gli echi di quel canto continuano a rimbombare.

Nell’ombra di un sonno senza pace, sento solo Tatia dire: “La collana, Hermione… la collana… non togliertela mai…”.

 

 

Al risveglio mi accoglie una giornata calda ed afosa, dalla luce ombrosa e scontenta di un’umidità soffocante. Gli occhi fanno fatica ad aprirsi e la gola arde di sete repressa: non so per quanto tempo abbia dormito, un tremendo cerchio alla testa e il tremore nelle membra mi avverte che comunque è stato troppo poco. Gli echi del sogno fatto tornano ad ondate progressive, sotto le palpebre ancora chiuse, ma non ricordo granché del contenuto. C’era Tatia, una serie di voci che dicevano qualcosa che non riesco a ricordare… il caldo, come quello di ora… e quell’avvertimento sulla collana.

D’istinto, la mia mano scatta al collo dove il ciondolo con la goccia di sangue è ancora al suo posto.

Il desiderio di una madre per suo figlio.

Quell’associazione di idee mi riporta tutto alla memoria come un film proiettato in un cinema oscuro: l’incontro con Raissa e Dimitri, il rapimento di mio figlio. Mi si stringe il cuore come se me lo stessero stritolando, tossisco come se effettivamente qualcuno mi stesse ammazzando dall’interno. Eppure, nonostante tutto, ho l’impressione confusa di sentirmi meglio. Il dolore, la preoccupazione e l’ansia sono sempre lì, basta che getti un’occhiata confusa per rendermi conto che Alex non c’è ed andare in panico… ma tutto questo, adesso, è una parte molto più piccola della rabbia enorme che provo. Immensa, sterminata, da corrodere stomaco e fegato. E la rabbia diventa azione, diventa volizione, diventa impossibilità assoluta che a mio figlio capiti qualcosa.

Non esiste nessun mondo, nessun universo e nessuna vita, dove a mio figlio succeda qualcosa di brutto, senza che io non sia morta prima per proteggerlo.

Respiro profondamente ancora ad occhi chiusi, sono uscita dalla guerra ed avevo a che fare con il peggior mago oscuro della storia. Avevo da difendere Harry e Ron, ce l’ho fatta ed avevo solo diciassette anni. Adesso ne ho molti di più, sono l’ex Capo degli Auror e si tratta del mio bambino. Chiudo i pugni con ferocia lungo i fianchi, arriverò ad uccidere chiunque si metta tra me e mio figlio se ciò sarà necessario e non ne proverò nemmeno il minimo senso di rammarico. Non dovevano farlo, non dovevano coinvolgere Alex… adesso hanno firmato la loro condanna a morte.

Devo solo capire come riuscire a batterli, ci deve essere un modo qualunque, deve esistere. Persino Voldemort aveva un punto debole, per loro non può essere diverso.

Tatia ha detto… che ho già tutto quello che mi serve. E mi ha detto di non togliermi mai la collana… la sola cosa che mi sembra di avere, adesso, è questa. Forse c’è un modo per farla funzionare, per invocare il suo potere che è legato al fatto che io sia la madre di Alex e che adesso ho il desiderio di trovarlo e portarlo in salvo. Devo solo capire quale.

Un passo per volta, Hermione, un passo per volta. Non pensare a nulla, non pensare ad Alex per ora, non pensare a quanto la sua vita dipenda da questo.

È solo un’altra indagine, solo un’altra ricerca come ne hai fatte tante: ce la farai anche questa volta. Pensa solo a questo, adesso.

Ho tre giorni: ce la posso fare.

Riapro stancamente gli occhi, accorgendomi solo adesso di essere in una stanza dalle pareti azzurro oltremare. Guardo distrattamente i muri, la mente ingolfata da mille pensieri, non riconoscendo nulla che mi aiuti a capire dove mi trovo. Sono stesa su un letto dalle lenzuola candide, che emanano un gradevole odore di lavanda. Accanto al letto, un comodino di acero bianco con sopra una lampada azzurra e un libro chiuso. Seminascosta dal lume, una cornice dorata con dentro una foto. I miei occhi la guardano senza curiosità, ha i contorni bruciacchiati e devo strizzare gli occhi nella luce del mattino per capirne i soggetti. Con un groppo in gola, il cuore che fa un balzo sinistro, riconosco l’immagine sorridente di Helena ed Amos Diggory.

Sono nella stanza di Draco.

È un attimo, sbagliato ed assolutamente inopportuno, ma non posso fermare i miei occhi che vagano adesso attenti, nella stanza. È diversa, completamente, dalla camera che aveva al Petite peste. Ogni cosa qui mi fa sentire che ha ripreso a vivere, che non esiste per inerzia, che probabilmente sta bene. Senza di me. Le tende sono aperte e chiare, ha una finestra su un giardino di betulle, da lontano vede il mare. Sulla parete di fronte, c’è una grandissima libreria di acero sempre bianco. Ed anche se i libri non possono parlare, mi trasmettono calore, vicinanza, abitudine consolidata di leggere ed imparare avidamente curioso. Sotto alla libreria c’è una piccola scrivania, un computer e dei post it.

Chiamare Tim e confermare per partita venerdì.

Idraulico: 356897868

Pennarelli a cera per Serenity.

Ha degli amici con cui programmare delle partite. Ha delle piccole scocciature come le riparazioni da fare in casa. Ha dei pastelli da comprare a sua figlia e di cui magari si dimentica.

Ha una vita normale, serena, tranquilla. E vorrei che questo mi rendesse felice, mi facesse piacere, mi comunicasse gioia… ma invece mi fa sentire solo la bocca impastata. Nel fondo dello stomaco, la rabbia aumenta esponenzialmente, come un turbine di vento che sta per esplodere. Perché di Raissa non c’è traccia, ma io so che c’è, so che ha dormito qui, so che ha visto quei libri.

So che c’è lei nei vuoti lasciati da me e da Helena: e io non posso accettarlo, non ci riesco nemmeno a pensarlo, mi fa persino schifo questo letto dove forse hanno dormito assieme.

Mi tiro bruscamente a sedere, appallottolando le lenzuola e scagliandole lontano, chinandomi su me stessa nel cupo rigetto che mi fa venire voglia di vomitare. Nella parete alla mia sinistra, a cui prima di fianco davo le spalle, sono appese centinaia di fotografie in bianco e nero. Le guardo con la coda dell’occhio, piegata in due, una mano premuta sulla bocca.

Ha persino una nuova passione: la fotografia babbana. Forse non dipinge più. Sono tutte diverse e tutte a loro modo bellissime: lo scorcio di un albero in giardino; il mare in tempesta; Serenity che si ingozza di ciliegie… e, mescolate ad esse, come se non ci fosse nulla di strano, ce ne sono altre che mi fanno stringere il cuore come se scoppiasse.

I suoi nonni. I suoi genitori. Qualche altro parente, distinguibile per i tratti affilati del viso e i capelli biondi. Compagni di casa a Serpeverde. Amos Diggory. Helena. Seth. Gli altri del Petite Peste.

Ma non io, assolutamente: non sono nemmeno sullo sfondo di quelle fatte al Petite Peste. Una è stata fatta la sera del Tourquoise Party, ed io non ci sono. Ci sono solo lui e Trey. E non c’è nemmeno Pansy in quelle di scuola, come se con perfezione chirurgica ci avesse tagliate fuori dalla sua vita. Si è riconciliato con tutto, con tutti, persino con i suoi genitori ed Helena anche se non ci sono più.

Ma con me e con Pansy, no.

La nausea, se mai era possibile, cresce ancora di più e mi ricorda per un parallelismo idiota, quando ero incinta di Alex e ne soffrivo parecchio, o perlomeno per quel poco che ricordo mentre ero nella prigione di Dimitri. Io ero dall’altra parte del mondo, a straziarmi l’anima per lui e a raccontare storie su un padre che non aveva, a nostro figlio… e lui se ne stava qui, ad appendere foto e a cancellarmi da ogni ricordo. Vorrei strapparle una ad una, renderle carta straccia. E la sensazione si acuisce quando noto degli spazi vuoti, dove la vernice appare scrostata.

Segno che c’erano altre foto, una decina forse, tolte di recente.

Se ci fossimo state io e Pansy, non avrebbe avuto motivo di toglierle, specie ora. Ed invece probabilmente se le ha tolte c’è solo un motivo.

Dovevano portarmi qui… e in quelle foto, c’era anche Raissa.

C’era anche la donna che ha osato puntare una bacchetta contro mio figlio, contro nostro figlio.

Se lo può tenere il suo letto comodo, la sua vita meravigliosa sbandierata in faccia, la sua figlioletta adorabile, la sua pace dei sensi, la sua pena e pietà da fiera addomesticata… non resterò qui un secondo di più, in questa casa e sotto questo tetto. Mi tiro di colpo giù dal letto, registrando sommariamente che indosso ancora i vestiti del giorno prima, anche se forse con un banalissimo Gratta&Netta non appaiono più sporchi come prima. Controllo ancora una volta di avere il ciondolo di Tatia al collo, prima di apprestarmi ad uscire, quando piano la porta della camera si apre, provocandomi uno spasmo al petto e facendomi rimettere seduta come se le gambe si afflosciassero.

Nella stanza fa capolino a testa bassa Dean, cosa che mi fa respirare daccapo. Ha l’aria stravolta, i capelli spettinati, gli occhi rossi e cerchiati. Non appena mi vede sveglia, fa una smorfia sofferente e mi sorride tirato: “Ti sei svegliata… come ti senti?”. La sua vista mi impedisce di parlare normalmente, mi ricorda improvvisamente la mancanza di Alex e mi fa desiderare che qualcuno mi stringa forte, fino a soffocarmi, fino a ridarmi il calore che non so dove se ne sia andato lasciando il mio sangue freddo e ghiacciato. Per un attimo goffo e confuso, rivedo Draco per come lo ricordo da ieri sera: le spalle larghe, l’espressione seria, le braccia tese. E desidero un suo abbraccio con una nettezza così sconvolgente da farmi tornare la nausea. Come sempre, il mio cuore fa sempre i comodi suoi quando si tratta di lui, al punto da farmi dimenticare tutto come se effettivamente fosse la sola persona al mondo. Ma poi, la sensazione di amputazione che mi causa il fatto che Alex non sia qui, mi fa tornare subito in me, gelando ogni altro istinto. Ed improvvisamente, come un fulmine, mi ricordo anche dell’ultimo abbraccio che ho avuto. Ilai. E del bacio… la sola cosa consolante è che sono talmente assorbita dal pensiero di mio figlio da non potermi dibattere nel dissidio, solo accennato dal corpo e dalla mente, di chiedermi se desidero di più un altro bacio da Ilai o un singolo abbraccio da Draco. E’ facile rispondere, adesso: rinuncerei ad ognuno di loro con il sorriso più chiaro ed aperto del mondo, se in cambio riavessi Alex.

Ma non alla maniera che suggerisce Dimitri… cioè che io li uccida. Ovvio… anche se la parte più arcana del mio essere madre, ogni tanto, mi fa interrogare su questa possibilità, subito la ricaccio con sdegno. Io posso essere solo l’assassina dei Karkaroff, adesso, non di altri. Tantomeno di loro due… specie considerando quanto, in un modo così diversamente scomodo, ami tutti e due. Li amo alla maniera stupida di una bimba di cinque anni: basta che esistano in qualche parte del mondo per farmi stare tranquilla. Ormai, però, sono ben oltre i concetti banali di essere innamorata o altro.

Figuriamoci se mi interessa il mio destino sentimentale adesso: se non avessi fatto di tutto per trovare Draco, mio figlio sarebbe ancora qui. E non farò più l’errore di mettere me stessa davanti ad Alex, se avrò di nuovo la possibilità di riaverlo indietro. Quindi, non mi pongo la benché minima domanda con una così immensa serenità che vorrei solo non averla acquisita a causa della perdita di mio figlio.

“Un pochino meglio… grazie…” biascico nervosamente, rispondendo a Dean che intanto si è seduto sul letto poco distante da me. Si torce le mani in grembo, quasi graffiandole, e non mi guarda in viso, cosa che non è decisamente da lui. Non ricordo una sola singola volta in cui non mi ha guardato in faccia, mentre mi parlava, nemmeno quando stavamo assieme ormai una vita fa. Non appena apre bocca, respirando a lungo come per darsi coraggio, capisco il perché.

“Mi dispiace…” le sue parole sono graffiate e grevi come se provenissero da qualcosa di più profondo della sua stessa voce “Mi dispiace tanto, Hermione… io… non ho potuto fare niente… t-tu mi avevi affidato Alex ed io invece… se io ti avessi affidato Charisma, tu l’avresti salvata… ne sono certo… sono un emerito buono a niente…”.

Gli prendo subito le mani tra le mie, cosa che lo fa trasalire ed alzare lo sguardo lucido su di me. Gli stringo forte le dita quasi facendogli del male, prima di dire: “Dean, questo non lo devi nemmeno pensare… non è stata colpa tua… non l’ho pensato nemmeno per un momento. Né io, né Ilai siamo riusciti a fare nulla… ed eravamo lì, davanti a loro…”, la mia voce si spezza, deglutisco rumorosamente cercando di calmarmi mentre Dean stringe più forte le mie mani. Gli sorrido, grata, prima di proseguire: “Sono troppo forti, troppo potenti… non abbiamo i mezzi per contrastarli… e non avresti potuto fare nulla, anche se fossi stato lì…”. Sospiro, trattenendo un pensiero: se Raissa non avesse impedito la Smaterializzazione e Dean fosse arrivato… adesso piangerei la sua morte, ne sono certa.

Non si sarebbero fatti il benché minimo scrupolo a farlo fuori.

“Ho cercato di smaterializzarmi un sacco di volte…” prosegue Dean, guardando fisso davanti a sé, le palpebre fremono di frustrazione “Poi ho capito che c’era qualcosa che non andava… e ho cercato di smaterializzarmi nel punto più vicino possibile a dove eravate voi… ma era a tre chilometri e quando sono arrivato, voi non c’eravate già più… Ilai poi ci ha raccontato tutto…”. Annuisco con il capo, ovviamente l’avevo immaginato, ma non ne fatto nella mia testa alcuna colpa a Dean. Ha già rischiato la vita per me e per mio figlio e lui non è propriamente solo al mondo: ha Pansy e Charisma, e comunque non dovevo mettere nemmeno lui così a rischio. La sola responsabile, qui, sono io, inutile girarci attorno.

“Non avresti potuto fare nulla, Dean…” mormoro stancamente, sospirando “Davvero… te lo posso assicurare…”.

Lui annuisce a sua volta e mi appare un pochino più tranquillo, con mio enorme sollievo. Al momento non posso sopportare che nessun altro stia male per questa storia. Il rumore terso del mare in questa giornata di inizio estate riempie il silenzio tra me e lui, mentre i miei occhi restano fissi sulla parete bianca, cercando di non guardare nient’altro della vita di Draco, i cui particolari trasudano da ogni piega dei muri. Resto cosciente di me stessa solo per le mani che, spasmodicamente, sono chiuse in quelle calde di Dean.

“Nel caso te lo stessi chiedendo…” aggiunge Dean dopo un po’, con voce quasi canzonatoria “… di sotto si gioca alla grande al gioco del silenzio, credo che ne verrà fuori un bel torneo…”. Mi viene da sorridere come una scema e mentalmente ringrazio Dean come sempre per essere la mia ancora di salvezza in queste situazioni.

Farmi sorridere, adesso, è forse la cosa più impossibile che esista. E lui ci riesce sempre.

“E chi vince?” aggiungo con un filo di voce, guardandolo di lato. Finalmente il suo sguardo torna come sempre ha fatto su di me, suggerendomi che almeno apparentemente non si sente più in colpa come prima. Inarca un sopracciglio con flemma, prima di rispondermi schioccando la lingua: “Certamente non vince Seth…  sta ciarlando da ore… ma vista la situazione, è meglio che ci sia lui…”.

“Di cosa sta parlando esattamente?” chiedo quasi spaventata, le mani che mi tremano. Non lo perdonerò mai se osa dire qualcosa che non dovrebbe a Draco.

Dean borbotta annoiato: “Di tutto… e di niente… del Petite Peste, della gente che ci lavorava, di Kevin… ma Malfoy lo sta a sentire… quindi insomma va tutto bene, almeno gli sta dando un intrattenimento…”. Rimango in silenzio per qualche secondo, riflettendo tra me e me, prima che Dean risponda alle mie domande silenti: “Nessuno ha parlato o sta parlando di te o di Alex, Herm… credo che siamo tutti d’accordo nel dire che è una tua responsabilità e scelta decidere che cosa dire o meno a lui… compreso il fatto che quello che è stato rapito è anche suo figlio…”.

Annuisco con un profondo sospiro, una fitta poderosa al centro esatto del petto che mi fa mancare il fiato prima che io replichi sommessamente: “Grazie…”. Dean sorride lievemente, accarezzandomi il dorso della mano con il pollice con affetto e calore. Prima che me ne renda compiutamente conto, chiudo gli occhi e mi lascio andare all’enorme stanchezza e disperazione che mi attanagliano il fiato, la colonna vertebrale si piega e poggio la testa sulla spalla di Dean con un sospiro, gli occhi sempre serrati.

“Quello che so per certo, adesso, è solo che voglio andare via di qui…” sussurro con un filo di voce, trattenendo con tutte le mie forze il pianto che già si affaccia sotto le mie palpebre, pungendomi come centinaia di aghi arroventati. Dean sospira ancora, sento il battito regolare del suo cuore tramite le vene del collo e mi dice rassicurante: “Lo avevi già deciso in fondo, no? Avevi già deciso che non volevi vederlo e non volevi dirgli di Alex… e i tuoi motivi…”.

“… non sono cambiati…” lo interrompo con veemenza, schiarendomi la voce “Tutto, in questa casa… dalle cose più piccole a quelle più grandi… mi è estraneo, scomodo, ostile. È come se avesse svoltato un angolo cinque anni fa ed adesso io fossi qui a pretendere di riportarlo indietro… e non c’è forse più nulla di lui da riportare indietro davvero… è passato troppo tempo, si sta per sposare, ha una figlia… e non gli direi mai adesso di Alex… non voglio che si occupi di lui perché è in pericolo, perché glielo deve, perché adesso sono qui e sono così maledettamente terrorizzata all’idea di perdere mio figlio da vendere persino l’anima al diavolo… lo dovrebbe fare perché lo vuole, non per altro… e certamente non gli permetterei di decidere della vita di mio figlio… sono sua madre da cinque anni… lui sarebbe suo padre da cinque minuti… e poteva sapere di lui se avesse voluto… ed invece… non mi ha mai cercato…”.

“Ma se lui, in fondo, potesse davvero aiutarti?” obietta Dean debolmente, lasciando le mie mani per chiudermi le spalle con il suo braccio come a sostenermi meglio. Sorrido amaramente: “Lui non sa niente di Raissa, Dean… o di Dimitri, o di tutto il resto… non potrebbe fare nulla… ed adesso non ho il tempo materiale, né la voglia, né la forza di affrontare anche lui… o di metterlo di fronte al fatto che la sua… fidanzata… è un’assassina… ed una bugiarda… meno che mai voglio metterlo di fronte al fatto che è il padre del mio bambino… impazzirebbe, manderebbe tutto a ferro e fuoco e credi che io adesso possa sopportarlo, in vista di un ipotetico aiuto che potrebbe darmi? Mi darebbe solo il colpo di grazia… meglio che stia fuori da questa storia, adesso… sa che Raissa è la responsabile della sparizione di mio figlio… e quindi sa che non è una santa. Per adesso, ciò dovrebbe bastargli… se mai questa storia finirà bene… allora penserò a me e a lui… adesso non me lo possono chiedere…”. Per qualche secondo, Dean resta in silenzio, i versi dei gabbiani fuori dalla finestra sono la sola cosa che rompe questo manto di pensieri nascosti, poi lui bisbiglia con decisione: “Qualsiasi cosa tu scelga… qualsiasi cosa tu decida… io sarò sempre dalla tua parte, Herm… e lo sai…”.

Sorrido grata, staccandomi da lui e guardandolo in viso, ed annuisco con il capo, incapace di parlare, la voce bloccata in gola.

“Troveremo Alex… e lo riporteremo a casa…” mi rassicura ancora, accarezzandomi fraternamente il capo “In fondo deve diventare mio genero…”. Mi viene ancora da ridere per questa storia di Alex e Charisma assieme che si è infilato in testa, e scuoto il capo incredula.

“… ed anche Pans sarà dalla tua parte… te lo posso assicurare…” aggiunge con convinzione, alzandosi in piedi e stiracchiandosi come un gatto.

“Questo lo vedo difficile… è più probabile che uno squalo diventi vegetariano e si ingozzi di alghe da mattina a sera…” commento scettica, guardandolo dal basso verso l’alto. Dean fissa il muro davanti a sé, gli occhi gli si piegano in un accenno quasi triste prima che replichi con voce piatta: “Hermione, tu sicuramente sei la persona che maggiormente ha sofferto in questa storia. Non voglio minimamente contestare questo… stai soffrendo ancora, terribilmente, e tuo figlio è la seconda vittima di questa vicenda… forse, e concedimelo, Alex è chi ha subito e sta subendo più di tutti. Perché è un bambino, è innocente ed è stato privato del padre… e credimi, so che cosa significa… adesso forse anche di più, da quando sono padre anche io…”. Incasso il colpo, sospirando, me lo ricordo il giorno in cui Dean ha scoperto finalmente che il suo vero padre era un Mago, ucciso dai Mangiamorte dopo aver sposato una babbana, a cui aveva sempre tenuto nascosta la sua vera identità per proteggerla. Dopo la morte del padre sua madre si è risposata e Dean è vissuto con molti fratellastri e sorellastre. Aveva ovviamente sempre avuto il sospetto che suo padre fosse un mago dati i suoi poteri, ma non aveva potuto dimostrarlo: qualche anno fa, poi, finalmente avevano trovato delle carte ad Hogwarts in cui si indicava come studente Tassorosso un tale Christopher Thomas, suo padre, appunto. Ricordo quanto pianse quel giorno, ricordo che passammo la notte svegli a parlare dei ricordi che aveva del suo vero padre, morto quando aveva solo tre anni, e di quanto amasse comunque il compagno di sua madre, Mark, il padre delle sue sorellastre e fratellastri, ma che non fosse mai riuscito a chiamarlo papà. E ricordo anche che, dopo quella volta, Dean non volle mai più, nemmeno per scherzo, affrontare l’argomento di suo padre. Adesso, che come mi ha sommariamente detto Pansy, anche sua mamma è morta, il fatto che tiri fuori suo padre, è una cosa decisamente seria che improvvisamente mi fa sobbalzare internamente nella mia decisione di non dire nulla a Draco di Alex. Poi, ancora dentro di me, mi riprendo: sono casi diversi e storie diverse. O meglio, sono la stessa cosa.

Il padre di Dean volle proteggere lui e sua madre, io sto cercando disperatamente di proteggere mio figlio.

Ed anche me stessa. Ogni tanto, posso anche essere egoista se ciò coincide con il benessere di mio figlio. Questa storia è troppo grigia e fosca perché io ci butti dentro mio figlio, senza alcuna garanzia. Specie adesso… che neanche è qui accanto a me. Annaspo ancora, chiudendomi il petto con le braccia, e riprendo ad ascoltare Dean che prosegue: “Quindi non proverò a dirti che mia moglie ha sofferto quanto te o quanto Alex… ma ha sofferto anche lei, Hermione. E molto. Malfoy non si è fidato di lei, se ne è andato, non ha provato a contattarla per cinque anni senza chiederle spiegazioni o chiarimenti. E in questi cinque anni, lei ha affrontato un trasferimento in altro paese, un nuovo lavoro, una nuova vita. Si è lasciata alle spalle Zabini e non ti sto a dire quanto questo sia stato un tormento continuo per lei… e per me. Si è innamorata di un Mezzosangue, ha avuto una bambina, si è sposata…”, Dean sospira e si scompiglia i capelli ad arte, come quando è nervoso e agitato, poi soggiunge: “Lo voleva accanto, lo voleva vicino… era il suo migliore amico… e non c’era. Specie considerando che lui l’avrebbe aiutata a capire come affrontare l’onta di essere innamorata di un Mezzosangue…”. La voce di Dean scimmiotta un tono scandalizzato, che mi fa sorridere tristemente, prima che concluda: “Ce l’ha fatta da sola e, se ci penso, magari è un bene. Ma a conti fatti, Hermione… è normale che adesso sia tutta e completamente dalla tua parte… forse lo sarebbe stata lo stesso, checché ne dica lei, perché sei madre come lei e la nascita di Charisma l’ha resa empatica in queste cose… ma è anche perché si tratta di Draco. Il suo egocentrismo potrebbe anche farle perdonare che lui abbia abbandonato te, ma non che abbia abbandonato anche lei…”. Annuisco sovrappensiero, rendendomi conto di quanto Dean abbia ragione. È vero, magari poteva persino esistere un goffo e sciagurato universo in cui io perdonavo Draco per quello che mi aveva fatto, accettavo che fosse stato ingannato da Astoria e dimenticavo che sta per sposare Raissa, questo ovviamente prima che lei rapisse mio figlio. Ma, anche se tutto questo fosse accaduto, per Pansy non sarebbe cambiato niente. Se l’è lasciata alle spalle senza riserve, senza pensieri e senza ripensamenti. Non l’ha cercata mai in cinque anni, convinto che lei sia stata la creatrice del germe che mi ha separato da lui, come Astoria gli ha fatto credere. E lui non ne ha mai dubitato, mai, neanche per un istante.

Al posto di Pansy, anche io probabilmente non ne vorrei sapere nulla di lui, specie considerando quanto invece lei abbia accettato la mia relazione con lui.

Ne sta vivendo persino una identica, a sua volta. 

“Certo, non credere che non faccia effetto…” asserisce Dean con un sorriso tra il sardonico e il soddisfatto “Quando Ilai è entrato con te in braccio e Draco che vi seguiva a ruota, Pansy è spuntata dalla cucina sconvolta… e non ha fatto una piega quando l’ha visto, né quando lui ha provato a parlarle, né quando ha autenticamente sbarrato gli occhi nel vedermi lì e nell’intuire che siamo sposati ed abbiamo una figlia… ma quando Pansy resta così indifferente è solo perché non lo è affatto. Gli ha solo detto, quando di nuovo ha provato a parlarle: - Adesso devo occuparmi di Hermione- … credimi, stavo per svenirci sul colpo… cosa avvenuta dopo avermi baciato in modo decisamente plateale e dopo aver apostrofato Charisma con il suo nome completo, comprensivo del cognome… se non è arrabbiata, vuol dire solo che sta diventando ancora più bipolare, cosa che mi porterebbe all’acquisto di un’autobotte di ansiolitici… e sto risparmiando per mandare Char in una scuola privata, non voglio fucilarmi i risparmi… quindi mi auguro caldamente che sia arrabbiata…”. Nonostante tutto, ancora, mi viene da sorridere e vedo la tensione colpevole di Dean rilassarsi di minuto in minuto. Sta cercando volutamente di prendere la cosa nella maniera più leggera possibile, malgrado la questione decisamente seria di Alex, e lo ringrazio enormemente per questo.

“Quindi che cosa devo aspettarmi, scendendo di sotto?” mormoro con un sorriso stanco, stiracchiandomi e guardando Dean in attesa. Sono felice, davvero, che ci sia lui qui, adesso. A parte cercare di farmi sorridere, Dean è l’unico che al momento è davvero sincero con me: Pansy sarebbe troppo dura, considerando che ce l’ha anche lei con Draco, e Seth sarebbe troppo morbido, considerando che è fissato che io e lui ci apparteniamo a vicenda, eccetera, eccetera. Dean è l’unico che adesso ha una visione lucida delle cose.

Ce l’avrebbe avuta anche Ilai una visione lucida delle cose… anzi avrebbe avuto la visione che meglio leggeva dentro di me… ma al momento, dopo essersi baciati, non credo proprio che sia il caso di chiedere qualcosa del genere a lui.

Dean ci pensa su qualche secondo e poi dice: “Ilai non c’è… appena è rientrato con te in braccio, ti ha portato qui e si è allontanato. Credo che si sia accorto che Malfoy lo guarda come se lo volesse sbranare… ed in fin dei conti siamo sempre a casa sua, di Malfoy intendo…”, ecco, perfetto, ci mancava anche questa. Io ed Ilai non stiamo assieme, tecnicamente mi ha baciata lui e sarebbe facile adesso rinnegare tutto quello che ho vissuto con lui fino ad ora, visto che c’è Draco adesso. Ma non funziona così, non funziona affatto: Ilai sia per me quello che è, Draco non deve permettersi di trattarlo come trattava ai tempi Hayden. Qua è tutta diversa la faccenda… specie se sta pure per sposare Raissa. La gelosia da ex tradito se la può benissimo tenere.

“Pansy al momento è con Charisma e Serenity… l’ho costretta ad uscire di casa per portare le bambine al parco…” bofonchia Dean con una smorfia, testimoniando che non è stato semplicissimo costringere la moglie ad andarsene “Ma non credo che tornerà tardi… Serenity aveva scuola anche oggi…”.

Dean respira a fondo, e poi aggiunge: “E Seth è con Malfoy, te l’ho detto… e difficilmente si schioderà da lì… quindi preparati ad affrontare anche lui…”.

Certo, come se avessi la forza di affrontarli entrambi… ma Seth deve capire che questa vicenda, sebbene lo coinvolga moltissimo, non lo riguarda. È tra me e Draco. E non voglio alcuna intromissione, nemmeno da parte sua. Voglio solo andarmene da qui quanto prima e salvare mio figlio. Non ho altri pensieri, al momento. Diventerò una bestia con chiunque mi impedirà di pensare solo ed esclusivamente ad Alex. Fosse anche Seth, a cui voglio un bene dell’anima.

“E riguardo a me sono a tua completa disposizione…” sorride ancora Dean, dandomi una piccola spallata affettuosa. Ripensandoci, lo prendo immediatamente in parola, è forse la sola persona in grado di velocizzare le mie ricerche mentre io mi occupo di Draco.

Sommariamente gli spiego il contenuto del mio sogno, il messaggio di Tatia sulla collana e il fatto che celerebbe la possibilità di realizzare il desiderio di una madre, ma che non so assolutamente come possa essere utilizzato. Non voglio correre il rischio di sprecare questo desiderio con un uso sbagliato del ciondolo stesso. Cerco di ricordarmi il maledetto canto infernale che sentivo nelle orecchie, ma al momento sono solo suoni confusi ed inarticolati che ho dimenticato, quindi lascio perdere. Dean annuisce, annotando mentalmente le mie istruzioni, prima di bofonchiare ironico: “Certo che devi volermi proprio bene per affidarmi questa missione… cosa che comporterà marcire sui libri che, come ben sai, io adoro…”.

“Se vuoi ti faccio affrontare il doppio plotone Malfoy – Green e vado io a fare ricerca…”.

“Pensandoci bene, ho sempre adorato leggere…”.

Sorrido ancora e saluto Dean con una mano, mentre si Smaterializza in Diagon Alley per cercare notizie e libri al riguardo. Restiamo d’accordo che, non appena lasciamo la casa, cosa che sarà a breve, lo avviserò in modo che lui possa raggiungerci quando avrà finito.

Non appena Dean sparisce, l’aura di rabbia e dolore che mi avvolgeva ritorna prepotentemente, accompagnata dalla neonata ansia al pensiero di dover scendere di sotto ed affrontare Draco. Il ricordo di lui di ieri sera è ancora scolpito nella mia testa: non mi è stato indifferente, affatto.

Adesso, a mente lucida e contorta dall’angoscia, chissà se sarà peggio o meglio.

Decido di prendermi tutto il tempo di cui ho bisogno, sebbene il mio cuore si maceri sempre dall’ansia per Alex: razionalmente, al momento, non posso fare nulla se non affidarmi al ciondolo di Tatia. E di quello se ne sta già occupando Dean. Devo stare calma e tranquilla, e sistemare quanto prima la faccenda con Draco, che implica, per forza di cose, rinviare tutto a tempi migliori. Noto una porta che evidentemente conduce al bagno di Draco, su una sedia c’è la mia valigia e decido quindi di cambiarmi: trattengo il fiato di fronte ai vestiti di Alex ancora confusi con i miei e stringo forte l’angolo della scrivania per non scoppiare a piangere. Scelgo velocemente un vestito azzurro dalla cintura bianca e corro in bagno, chiudendo la porta a chiave. Dentro, l’odore di Draco è quasi soffocante: ha una nettezza così scandita adesso, che faccio fatica a pensare che me ne fossi dimenticata in questi anni. Con la solita ironia che la vita ha spesso con me, l’ho cercato tanto ed adesso mi fa quasi venir voglia di rimettere.

Specie quando, su una mensola, noto un piccolo recipiente di vetro screziato rosso: profumo all’ambra grigia, un profumo femminile, il profumo di Raissa. Senza nemmeno prendere nozione di quello che sto facendo, afferro la piccola bottiglietta ed, offuscata, la getto rovinosamente contro il pavimento, rompendola in mille pezzi che provvedo a calpestare con rabbia sotto le mie scarpe.

Il labbro che mi trema, il respiro manchevole, mi spoglio e mi infilo sotto la doccia, lasciando che l’acqua lavi via tutti gli odori della giornata precedente uno peggiore dell’altro; il bagnoschiuma di Serenity, ancora alla ciliegia dopo tutti questi anni, mi ricorda Helena, ma lei, oggi, è la benvenuta nella mia memoria. La sento forse più vicina di quanto sia stata mai. In fondo ha tradito anche te.

Quando mi asciugo e mi rivesto, mi sento lievemente più calma, il profumo distrutto di Raissa e quello di Draco si sono fusi in una miscela innocua che mi consente di respirare più serenamente.

Faccio qualche passo nella stanza, in tondo, come un’anima in pena, poi comprendo che forse si sono già resi conto che mi sono svegliata, quindi decido finalmente di scendere di sotto.

La porta si apre con uno stridio che è peggio di quello registrato nei film dell’orrore, sebbene abbia cercato di fare in silenzio. Maledicendomi, la riaccosto con delicatezza e respiro profondamente, la nuca che gronda sudore freddo. Se almeno ci fosse Ilai, adesso, con me… forse sarebbe più semplice. No, mi contraddico. Sarebbe più complicato, ancora. Meglio essere sola, dopotutto.

Percorro il lungo corridoio bianco, affiancato da cinque porte di acero bianco, tutte ugualmente chiuse, cosa che benedico perché ci mancherebbe anche essere presa dalla curiosità di guardare dentro e di spiare altri particolari della vita di Draco che, al momento, non mi è vitale conoscere.

Anzi che non mi è vitale conoscere proprio mai… chissenefrega di come diamine vive…

Avanzo nel corridoio fino alle scale, tenendomi raso al muro, peggio che se fossi ubriaca, e reggendomi con la mano come se fossi cieca. Ad ogni passo le voci provenienti da piano di sotto si fanno più chiare e nette, costringendomi a deglutire in preda ad una sensazione simile al soffocamento. Sento la risata di Seth, ed il tono di voce basso e profondo di Draco, che ha l’effetto di farmi fermare in mezzo al corridoio con l’insano proposito di tornare indietro, chiudermi a chiave e non uscire più. Poi, come lo scoppio di un petardo, ricordo Alex ed il coraggio mi riavvolge velocemente, turbinando come vento nello stomaco. In pochi passi, arrivo finalmente alla scala che mi preparo a scendere, la sensazione di vertigine che continua a non passare.

E poi sento Seth scusarsi sommessamente e Draco rispondere che non c’è problema. Lo sento terrorizzata dire che torna subito, ne odo distintamente i passi all’interno del salone fino all’androne davanti alla porta d’ingresso, proprio sotto la scala che sto iniziando a scendere io.

Non c’è modo di scappare, non c’è modo di nascondersi. Forse non ci sarà mai.

È lì, sotto di me, ed è un attimo, un secondo, un fulmine prima che sollevi il capo e si accorga di me, fermandosi di botto. Entrambi, senza nemmeno rendercene conto, ci siamo aggrappati al corrimano della scala, ovviamente in due punti diversi.

È inutile che uno anche provi a pensare che non faccia effetto: nello sguardo ci ritroviamo ad inseguire le tracce che ci siamo lasciati nell’espressione, nei gesti, nella postura, e cerchiamo con ossessione i segni che qualcun altro possa avere scavato in nicchie e cavità, dove prima c’eravamo noi. Non sono abituata più ad avere i suoi occhi così vicino; ieri sera ero in parte convinta che fosse un sogno e poi ero così devastata che non ci ho fatto caso. Ora che sono più lucida, mi rendo conto che è davvero qui, davanti a me, adesso. E’ qui, Dio santo, non lo dividono da me mille chilometri e mille anni, mille vite e mille giorni, è diviso da me solo da una scala, che adesso chissà se saprei scendere senza rovinare al suolo. Ed è assurdo, incomparabilmente illogico, che lui non sia cambiato, che sia sempre così biondo, sempre così alto, sempre così elegante, sempre così bello da farmi girare la testa ed accendere dentro anche solo guardandolo, al punto che la mano che stringo sul corrimano si irrigidisce, si piega, diventa livida perché davvero è il solo punto fermo attorno a me, il solo. E sarebbe così facile, così maledettamente semplice e veloce, correre adesso su queste scale, piangere finalmente e volargli tra le braccia, perché in quegli occhi, in quello sguardo, lui ce l’ha ancora scolpito dentro ed addosso che mi stringerebbe, mi abbraccerebbe, mi cullerebbe piano come ha fatto per soli dieci giorni della mia vita. E magari fingeremmo entrambi che ci stringiamo perché in fondo siamo amici, quando io e lui amici non lo saremo mai: nemici o amanti, non esiste via di mezzo. Però ce lo diremmo, ci diremmo che è solo un abbraccio da ex nostalgici, ci sorrideremmo imbarazzati perché i nostri corpi coincidono ancora e si incastrano perfettamente, nonostante gli anni e i cambiamenti. Ma seguirei la linea delle sue braccia desiderando che mi spogli, cingerei la sua schiena implorandolo che mi baci, mi farei stringere solo sperando che sia lui il primo a cedere.

Tra me e lui è sempre così: non è amore, adesso. Se penso all’amore, io vedo Pansy che lascia andare Dean, confidando che torni. Tra me e lui, è rimasto tutto fermo, immoto, congelato nel rogo di amarci inesauribilmente, senza pensare a nulla. Lo capisco da lui che mi guarda e stringe le labbra, da come accarezza il mio viso, da come tremino le sue mani, da come segue le linee che il mio vestito tratteggia. E lo capisco da me stessa che quasi dismetto orgoglio, dolore e rabbia perché mi prenda ancora.

Ma non funziona così: non avrebbe funzionato cinque anni fa, che prima o poi avremmo dovuto fare i conti con il presente ed il futuro, e non funziona adesso che io sono una madre, e tutto di me mi dice solo e soltanto che sono una madre. Nulla di Hermione Granger deve sopravvivere.

Tra me e te non ha mai funzionato… basta raccontarci frottole. Ed è un caso che mio figlio sia anche il tuo.

In quella piega degli occhi, si è annidata Raissa, la vedo, la sento, la percepisco, me l’immagino che fa l’amore con te e geme tra le tue braccia.

E tu, lo so, che cerchi Ilai nel mio viso, e ti lascio cercarlo perché magari così siamo pari, magari così fa meno male, magari così ti perdono.

Ed invece ancora non funziona, perché è diverso, enormemente diverso.

Affastellando scuse su scuse, giustificandomi e condannandoti, alla fine perdo solo tempo. E non ne ho. Devo pensare a mio figlio.

Basta perdere tempo con una cosa che non funziona.

Sospiro a fondo, dandomi ancora la forza che credo non avrò mai: se ieri sera non riuscivo a guardare gli occhi di Draco, pensando a quelli di Alex, oggi curiosamente sono scintilla e coraggio. Ripensando a mio figlio, riesco a tenermi alla giusta distanza anche emozionale da Draco e a non lasciarmi travolgere dalla nostalgia. Distolgo lo sguardo da lui, fissando un quadro ai lati della scala, e mormoro nel tono meno acido che mi riesca: “Mi dispiace esserti piombata in casa all’improvviso…”. Lo sento distintamente accogliere le mie prime parole dopo cinque anni con un silenzio che ricordo perfettamente che con lui non preannuncia mai nulla di gentile o piacevole. Rotta la stasi dell’incantesimo muto di saperci di nuovo vicini, adesso ovviamente dobbiamo tornare ad essere noi stessi. E il nervosismo alle mie parole lo sento già mulinare dentro di lui. Fa qualche passo, salendo un solo gradino, mentre io non lo guardo ancora, le spalle che mi tremano.

Poi prende e fiato e dice sarcastico: “Puoi anche chiedermi scusa perché hai calpestato i tappeti, se è per questo…”. La sua voce è sempre la stessa, identica: roca, severa, a tratti canzonatoria. Mi provoca un tremore incontrollato lungo la schiena che mi fa stringere nelle spalle e tacere: non so se sia voglia di cavargli gli occhi, o ancora voglia di farmi stringere. In entrambi i casi, è una cosa che mi provoca un ulteriore travaso di bile, spingendomi quasi a digrignare i denti per il nervoso.

“Stiamo davvero parlando di questo?” continua, duramente, la voce che fa di tutto per costringermi a girarmi, richiamandomi a sé. Ma non c’è niente di fare, tutto dello mio sguardo si aggrappa al quadro come un’ancora, le mani che si stringono a pugno lungo i fianchi. Le unghie mi penetrano nella pelle, vorrei graffiarmi via da me stessa, pur di smettere di stare qui.

Passa qualche secondo di frustrato silenzio, il suono dei gabbiani che volano oltre la finestra sul mare è la sola cosa fisicamente ancora presente. Lo sento fare ancora un altro passo, salire un altro gradino, avvicinarsi ancora. Mi ritraggo contro il corrimano come se fossi spaventata, terrorizzata, confusa, o chissà che altro. Ed invece so distintamente che il solo motivo per cui non lo guardo in faccia e vorrei scappare via è che adesso lo prenderei a schiaffi, urlando, per tutto quello che mi ha fatto. È l’amore, lercio e malato che ho ancora per lui, che mi trattiene su questo gradino a guardare un quadro come se fosse la cosa più interessante del mondo, a trattenermi mentre le spalle mi franano, a non piangere mentre tutto sembra scoppiarmi dentro. L’amore per lui, che è la mia maledizione… e quello per Alex, che è la mia benedizione. Quest’uomo che mi ha rovinato la vita, è sempre suo padre. Anche se da me, specie oggi, non lo saprà mai.

“Raissa ha portato via tuo figlio… perché?”.

Nel momento stesso in cui Draco finisce questa frase, capisco che sto definitivamente crollando, capisco che non posso trattenermi più, capisco che al momento non mi interessa che quest’uomo sia il padre di mio figlio. La rabbia diventa un tutt’uno con l’angoscia per Alex, barcollo senza forze e mi reggo ancora al corrimano. Non appena sento che si sta muovendo nella mia direzione, sollevo il palmo della mano, imponendogli di restare dove diamine è. Se si azzarda a toccarmi, è la volta buona che lo uccido. Respiro a fatica, cercando di calmarmi, ma non c’è verso, non c’è alcuna possibile soluzione. In una frase, nella mia mente ormai devastantemente irrazionale, ha compiuto e siglato un errore fatale.

Hai messo al centro della frase quella maledetta donna che ha rapito Alex. Come se fosse importante capire solo perché lei l’abbia fatto, come se bisognerebbe capirla e giustificarla, indagare le sue ragioni, magari comprenderla, parlarci e dirle che ha sbagliato. In modo bonario… allo stesso modo che rimproverare un bambino perché ha rubato una caramella.

Ed invece quella si è rubata mio figlio: mio figlio. Mio figlio, dannazione, che c’avrà pure i tuoi occhi, ma è mio figlio.

Alex che detesta le carote, che mangerebbe brownies ogni giorno, che ogni sera vuole che gli legga qualcosa, che ha parlato per la prima volta ad un anno e due mesi, e ha detto mamma.

Si è presa il mio bambino.

Se ti azzardi anche solo ad avvicinarti, è la volta buona che ti uccido.

La mia voce scivola fuori senza controllo, mentre il mio collo conosce finalmente la torsione che mi porta ai suoi occhi.

“Perché non lo chiedi a lei, eh?!” sibilo, rantolando a fatica, chiudendo i pugni con ferocia, cercando il suo viso come un cacciatore cerca la preda “Si dice in ricchezza ed in povertà, in salute e in malattia… ma forse si dovrebbe anche aggiungere nel bene e nel male… perché non le chiedi perché si è portata via mio figlio? Conterà essere sinceri con il proprio… fidanzato…”.

Draco cerca di nascondere il sussulto che lo coglie alle mie parole, ma non ci riesce troppo bene. Soddisfatta mi rendo immediatamente conto che le sue spalle si sono contratte e ha serrato le labbra. Lo sguardo adamantino occulta il riflesso di pietosa compassione che ha nel guardarmi e che mi rende ancora più furiosa nei suoi confronti, sembra sempre sul punto di assecondare una povera pazza che ha perso suo figlio. Ho sputato fuori la parola fidanzato, come se scottasse in bocca, come se fosse una pietanza avariata, come se fosse veleno e fiele. Quella parola rovina contro di lui con forza, ma non lo smuove, non lo tocca, non lo tange. E ciò ancora di più, mi fa impazzire.

“Ci sei tu, qui, e lo sto chiedendo a te…” mormora serio, guardandomi e spostando il peso da una parte all’altra “Perché si è presa tuo figlio?”.

La mia mente è una steppa devastata dalla tempesta: ogni volta che pone Raissa come soggetto di una frase, sento lei nella testa ripetermi quanto fosse bello andare a letto con lui, sento Serenity dirmi che si sposano, rivedo tutte le volte in cui ho rifiutato Ron, riavverto il senso di colpa soffuso di quando ho baciato Ilai. Tutto amplificato dalla lacerazione intima, come se mi strappassero la carne dalle ossa, di non sentire Alex qui e di saperlo con lei e Dimitri. La vista mi si offusca, vedo nero, rosso, tutto assieme. Io ho provato lo Zahir, l’estasi dell’odio che dava, il desiderio di fare del male solo perché faceva bene a me fare del male a lui… ma era una pallida carezza smunta. Adesso, se mi sto trattenendo, non è nemmeno più per l’amore, volatile ospite che ha lasciato il mio corpo. È solo perché non ho tempo da perdere appresso a lui. Ne ho già perso troppo… e ne sto perdendo ancora troppo. Ogni secondo che dedico a lui, invece che a mio figlio, mi riporta a questi cinque anni maledetti, in cui potevo lasciarlo andare e non l’ho fatto, colmandomi di rimorso da overdose. Non ce la faccio più… devo andarmene da qui e basta.

“Senti…” inizio con voce malferma, scendendo un gradino, mentre lui segue i miei movimenti “Al momento non ho né tempo, né voglia di profondermi in spiegazioni… ti ho riportato tua figlia, ho cercato di proteggerla per quanto potevo e ti ho informato di che cosa ha fatto quella… donna…”, un sapore aspro mi riempie la bocca mentre aggiungo: “… adesso sai che cosa aspettarti dalla tua fidanzata, è sempre stata in combutta con suo fratello e non penso che tu abbia dimenticato che cosa lui volesse da me… e penso anche che sia facile a quel punto capire che cosa vuole da mio figlio. Adesso la mia priorità è lui…”, scendo un altro gradino, appoggiandomi al corrimano, la voce mi si spezza “Quindi lasciami andare… per favore…”. Tutto di me mi spinge a tenerlo fuori, tutto, la rabbia, il dolore, la preoccupazione. Forse una parte di me, al di là dell’odio che provo perché sta con Raissa, cosa che mi rende insopportabile persino guardarlo, lo vuole fuori da questa storia anche per un altro motivo. Più importante, che va al di là di tutto. Se non ce la faccio… se Dimitri dovesse riuscire a portarmi via… se Alex però si salvasse… se rimanesse, per qualche motivo, solo… deve avere un altro genitore da cui tornare. E questo è lui. Al momento non vorrei che fosse così, ma purtroppo è questa la realtà. E Dimitri lo vuole morto. Quindi, deve starsene qui, buono, ad occuparsi di Serenity e ad eventualmente, un giorno, a prendersi cura di Alex.

Draco mi guarda con espressione indecifrabile, gli occhi attraversati da meteore di luce. Scarta di lato, si sposta in modo beffardamente cavalleresco e sibila glaciale, indicandomi la porta: “Prego, vai pure…”. Ovviamente non ho dimenticato che le reazioni più comuni, in Draco Malfoy, significano tutto il contrario di quello che pensa. Probabilmente non vorrebbe lasciarmi andare. Ha un’espressione troppo rilassata per uno che è davvero convinto di lasciarmi uscire dalla sua vita: la fronte si aggrotta per tutte le domande che vorrebbe farmi e, nonostante tutto, so che vorrebbe fargliela pagare a Dimitri. In fondo a sé stesso, credo che mi voglia bene, e ciò mi provoca uno spasmo ulteriore alla bocca dello stomaco, che vorrei che fosse senso di colpa per l’avversione che io invece ho per lui, ma che invece è in tutto e per tutto simile a quel disgusto dolciastro che provi se vedi un sentimento che non vorresti in una persona, a cui dedichi un’emozione diversa da quella che ti viene riservata. Per intenderci, vorrei che mi odiasse anche lui. O che mi amasse ancora. Sempre. Invece in tre frasi, mi ha solo chiesto di Raissa. Ed è uno strappo continuo, dentro.

Non so che farmene della sua pietà, del suo affetto.

Perciò di fronte alla sua apparente resa, penso automaticamente di non dargli il tempo di reagire e di controbattere, approfittando invece per uscire e per non tornare più qui dentro. Biascico un grazie traballante, scendo di corsa gli ultimi gradini e lo sorpasso velocemente, non lasciando a me stessa nemmeno il tempo di respirare, così che il suo odore non mi entri dentro più di quanto non abbia già fatto. Seth, in fondo, può tornarsene da solo… e Pansy… bè, vedrò di avvisarla in qualche modo.

Ho già la mano sulla maniglia della porta e lo sguardo bloccato davanti a me, per paura di voltarmi ancora e guardarlo per l’ultima volta, avida del suo ricordo, che la sua mano si chiude sul mio polso, bloccandomi. È assurdo che, adesso, dopo cinque anni, la mia pelle riconosca la sua con tanta precisa solerzia e pazienza da darmi l’impressione che non se ne sia mai andato. Guardo senza fiato le dita artigliate poco sopra la mia mano, sono sempre affusolate come le ricordavo ed ancora mi danno i brividi solo a sfiorarmi piano. Mi concentro su quelle dita, perché so e sento dalla nuca che agghiaccia che Draco mi sta guardando, che i suoi occhi sono puntati sul mio viso, che se sollevo la testa improvvisamente non sarò più in grado di concepire un pensiero minimamente consapevole. Guardo quelle dita e penso a quante volte, a letto, in Italia, osservavo le mani di Ron mentre dormiva ed era quello il momento in cui, nonostante il buio, non potevo illudermi che fosse Draco. Un magone pesante mi scivola in gola e mi occlude il respiro, queste dita, queste mani, mi hanno toccato in centinaia di modi possibili, avanguardia di mesi e mesi per arrivarmi al cuore. Sono familiari in un modo che ha tutto dell’anormale, dopo cinque anni. Come è familiare, la sua stretta: calda, salda, tesa, nervosa. Perché so che è lui, adesso, ad essere teso e nervoso.

Cosa che mi si conferma quando apre bocca e con voce tagliente mi ingiunge: “Quello che nega di essere tuo marito, comunque, se ne è andato… magari se lo aspetti qui ti trova prima, al suo ritorno…”. Per un attimo, strabuzzo gli occhi e non capisco nemmeno che abbia detto, un calore soffuso che dall’arto mi si irradia nel petto. Anche però quando cerco di calmarmi e prudentemente sollevo lo sguardo, ritrovandomelo vicino, ad un passo da me, con la mascella serrata e l’espressione severa… devo comunque respirare ancora per decongestionare il viso rosso, che non dovrei avere a quest’età e in questo momento della mia vita. Ma anche quando sono certa di essere lucida e tollero la sua improvvisa vicinanza in modo quasi normale, continuo a non capire. Lui mi guarda come se mi volesse trapassare con lo sguardo, provocandomi un calore diffuso lungo tutta la schiena, ed io ancora non capisco che diamine stia dicendo.

Aggrotto le sopracciglia e biascico stupidamente: “Ma che cosa stai dicendo, scusa?! Puoi ripetere?!”.

Draco sbatte le palpebre un paio di volte, confuso a sua volta, guarda il polso che ancora mi sta stringendo ed improvvisamente lo lascia andare come se fosse rovente, facendo un passo indietro, cosa che consente al mio respiro di decelerare e al mio annebbiamento di passare. Mormora, con la voce più bassa: “Il tipo che era con te, ieri sera… ha detto che non è tuo marito, ma ho capito che state tutti giocando al gioco dell’elusione con me… Seth che parla per tre ore solo del Petite Peste, Thomas che non entra nella stanza dove sono io… e Pansy che mi dice casualmente solo che si è sposata con lui… e Dio solo sa che droga assuma, al momento…”, scuote la testa ancora incredulo e, di riflesso, io serro la mascella, contrariata. Certo è anormale che Pansy abbia sposato Dean… ma è perfettamente logico che lui stia per sposare Raissa. Certo, come no. Trattengo comunque in gola le mie rimostranze e continuo ad ascoltarlo: “… ho capito che aspettano il tuo sommo segnale per rendermi partecipe di qualche minima informazione su cosa diamine stia succedendo…  quindi deduco che il tipo che se ne è andato e che dice di non essere tuo marito, in realtà lo sia…”.

“Stiamo davvero parlando di questo, adesso?” borbotto, incrociando le braccia e guardandolo storto.

“Se deve piombare di nuovo in casa mia non appena te ne sarai andata per cercare la sua mogliettina… sì, ne stiamo decisamente parlando…”.

Adesso ricordo anche che cosa diamine mi facesse venire voglia di ucciderlo un giorno sì e l’altro pure. Con un rumoroso sussulto, mi rendo conto anche in che cosa assomiglia ad Alex. Il modo in cui adesso mi guarda, gli occhi grigi accesi e fissi che sembra che inseguano un bersaglio, i piedi piantati al suolo, l’ostinata cocciutaggine nel non farsi mai evitare nemmeno verbalmente… questo, Alex l’ha preso da lui. E’ così simile a mio figlio, adesso, che un capogiro mi fa di nuovo tremare.

Nervosamente, senza pensarci eccessivamente su, rispondo frettolosa: “Se stai parlando di Ilai, non è una persona che mente…”, contrariamente alla tua fidanzata “… quindi mi pare ovvio che avesse ragione…”. Soffoco in gola la caterva di insulti che gli sto per rovesciare addosso, mentre lui mi guarda con lo sguardo nebuloso ed aggiunge: “… ma se non è lui… tuo marito dov’è?”.

Ma è cretino?! Ma che hanno messo una legge per cui, superati i venticinque anni, uno deve essere per forza sposato?!

“Mio marito è nel meraviglioso paese delle favole a cavalcare gli unicorni…” borbotto nervosa, aggiungendo infine: “Non so nemmeno perché ti sto rispondendo… ma io non sono sposata… non so dove diamine tu la prenda sta convinzione…”. Io conosco quest’uomo da diciassette anni, ho un figlio che gli assomiglia come una goccia d’acqua, eppure ancora oggi non lo capisco, non lo comprendo appieno. Draco, infatti, sgrana gli occhi esterrefatto, ne distinguo ogni pagliuzza più chiara in quell’immenso mare d’argento fuso, e mi guarda improvvisamente tremante, scosso, nervoso, come se qualcosa fosse vacillato e crollato tutto dentro di lui. E’ come vedere un castello di carte e sabbia che frana, si disintegra, si annienta.

Balbetta mentre mi chiede ancora: “Non sei sposata?!”.

Cerco di mantenere un contegno, mentre osservo ombre e luci inseguirsi sul suo viso, giocando a cambiargli l’espressione da sorpresa, a terrorizzata, a improvvisamente serena, a sconcertata, a di nuovo fredda ed apparentemente insensibile. Gli rispondo tutto sommato ancora sarcastica, che l’ironia, come sempre, è rimasta la mia sola difesa.

“No, non sono mai stata sposata…” biascico a denti stretti, spostando il peso da una gamba all’altra “E credimi mi fanno persino votare alla Camera dei Comuni, nonostante sia nubile…”.

Draco stringe i pugni, distoglie lo sguardo da me ed insegue il volo di un gabbiano fuori dalla finestra. Per un attimo, nei suoi occhi, distinguo una nota stonata che non riesco a qualificare, e non c’entra nulla che sono cinque anni che non lo vedo e magari non sono più cosi rapida a decifrarlo. È qualcosa che su di lui stride, cozza, perché non c’è nulla che giustifichi il suo viso, articolato e congelato in quella che appare come sofferenza, angoscia. Non ha dipinto addosso il sollievo geloso dell’ex che scopre sardonicamente soddisfatto che l’altra è ancora libera, non ha più la pena e la compassione di quello che magari si rende conto che la mia vita non è esattamente una passeggiata, non ha tantomeno la curiosità sarcastica di chiedersi allora di chi sia mio figlio.

Soffre, invece, sta male e non capisco il perché. Forse è colpa, concludo con le mani che mi tremano dalla voglia di prenderlo a schiaffi: forse si sente in colpa perché, apparentemente, io sono rimasta ancorata alla fedeltà tardiva verso di lui, mentre si sta per sposare con un’altra. Bè, se è di questo che si tratta… ancora se la può tenere.

Capisco, però, che c’è dell’altro, quando parla ancora, non guardandomi, gli occhi ostinatamente rivolti fuori dalla finestra. Le spalle gli tremano, perpetuando nel silenzio segreti obliqui che evidentemente non sono solo i miei: perché, sicuramente, ci deve essere un ragionamento a cui sono esclusa, alla base della sua domanda angosciante ed angosciosa.

Quella che, per intenderci, mi fa sobbalzare ed arrossire come se fossi una bimba colta in fallo.

“Granger… si può sapere che diamine è successo in questi cinque anni?”.

Rabbrividisco quando torna inspiegabilmente a guardarmi, ha gli occhi che implorano spiegazioni e spandono domande. Sta andando tutto esattamente nella direzione in cui non volevo che andasse e non riesco a capire come siamo giunti a questo, partendo dal mio stato civile, la cosa che consideravo più innocua di tutte, al punto da rispondergli onestamente. C’è qualcosa… qualcosa che non mi sta dicendo nemmeno lui, qualcosa che non so. Qualcosa per cui, adesso, quello che gli sto dicendo ha messo in discussione qualcosa dentro di lui che non riesce e non vuole ignorare.

Dovevo andarmene da qui, subito, appena ripresi i sensi. Il mio residuo istinto alla fuga, magari con una bella Smaterializzazione, viene sedato bruscamente da un’ombra comparsa sulla soglia del salotto e di cui avverto immediatamente lo sguardo giada puntato su di me. Prima ancora che Seth parli, comprendo già che mi vuole dire dalla sua postura e dal fatto che, per la prima volta da quando lo conosco, non sta sorridendo. E la cosa non mi piace affatto.

“Devi dirglielo, Hermione…” mormora, facendo un passo nella mia direzione. Lo guardo agghiacciata, ignorando Draco alle mie spalle che sta ovviamente guardando a sua volta Seth. Sento distintamente i suoi occhi grigi perforarmi la nuca e vagare poi sul volto di Seth, di cui ora sa che conosce tutta la storia come me. La sensazione di essere stata braccata e messa all’angolo mi annebbia il cervello, provocandomi un vuoto d’aria nello stomaco che è costrizione e minaccia. Io non ho alcun obbligo di dire proprio nulla. Ho solo l’obbligo di andare a cercare subito mio figlio.

“Non ci credo che mi stai facendo questo…” biascico, il labbro inferiore che mi trema e gli occhi lucidi, guardando Seth che mi restituisce uno sguardo addolorato, prima di rispondermi, ignorando del tutto Draco e parlando come se ci fossi solo io nella stanza: “So che ci sono cose… che tu non gli diresti mai, adesso. E sono cose di cui spetta a te parlare. Non mi arrogherei mai questo diritto…”. Respiro lievemente di sollievo, almeno la verità su Alex me la concede, mi lascia tenerla per me, eppure non riesco ancora a calmarmi del tutto. Il respiro è comunque distonico, tremendamente accelerato, angosciato: in realtà io, adesso, non vorrei davvero parlare di questi cinque anni con lui. So che è stupido ed irrazionale, e non è decisamente da me, ma il mio controllo mentale è sparito nel momento in cui ho visto Raissa e Dimitri smaterializzarsi assieme ad Alex. Adesso, mi ritengo pienamente incapace di intendere e volere. Ed adesso io non voglio che lui sappia niente di me. Come spiegare… ecco, lui ha fatto delle scelte in questi cinque anni, in base a delle convinzioni sicuramente radicate in lui. Ha probabilmente amato Raissa al punto di decidere di sposarla, e nulla, niente di me, lo ha fermato. Non è venuto a cercarmi, non ha raccontato a Serenity di me, non ha nemmeno cercato Pansy o Seth stesso. Ora, cosa mi serve che lui sappia che cosa è accaduto? Che mi serve? Niente mi riporterà indietro questi anni… e niente cambierà quello che è accaduto, adesso. Che me ne faccio, adesso, che lui sappia la verità? Mi darebbe pena, colpa, tenerezza, forse persino amore. Ma tutti in ritardo, e sulla base di quello che gli ho detto. Io avrei voluto che scegliesse me, anche senza sapere che cosa è successo. Avrei voluto che mi avesse aspettato, come io ho aspettato lui. Draco ha fatto una scelta, io ho esitato a farla, ma ora ci sono arrivata anche io. E pretendo che anche Seth, con tutto il bene che gli voglio, rispetti questa mia scelta.

“No…” sollevo gli occhi e dico lapidaria a Seth, mordendomi il labbro “No, Seth… adesso non è il momento per…”.

“Lui ha diritto di sapere, invece!” urla Seth, facendomi accapponare la pelle. Non mi ha mai urlato contro, non mi è mai stato contrapposto, ha sempre preso le mie parti. Ed adesso sceglie Draco, adesso sta scegliendo lui, e non me. Questa consapevolezza mi apre dentro peggio di una mela spaccata a metà. Seth continua a guardarmi e ad urlarmi contro, stringendo i pugni, il volto che si fa violaceo, mentre Draco se ne sta in silenzio alle mie spalle: “Lui ha diritto di sapere di Raissa! Io non ci sto, non ci sto che lasci che lui si rovini la vita appresso a quella donna, che accetti di sposarla, che non sappia che cosa è successo a te e che cosa ti è stato fatto in questi anni… perché, maledizione, non riesci a fidarti di lui, non riesci a fidarti di nessuno?! Perché devi fare tutto da sola?!”.

“Perché io sono da sola, Seth!” mi ritrovo a gridare, la voce tagliata dal pianto, prima ancora che me ne renda conto, Seth si interrompe e mi fissa ad occhi spalancati. Le lacrime prendono a scorrermi lungo il viso, mentre a pugni chiusi mastico amaro e vomito con ferocia: “Io sono sola, Seth! Sono cinque anni che sono sola! La sola cosa che ho e che non mi rende del tutto tale, è mio figlio… voi, tutti voi, tu, Dean, Pansy…”, ruoto su me stessa ed indico Draco, che continua a fissarmi, gli occhi spenti “… persino lui, persino lui… tutti voi ce l’avete una stramaledetta vita a cui tornare! Io non ce l’ho, Seth! E come faccia adesso tu a non capire questo… è assurdo… io ho solo me stessa ed Alex… ed è tutta la mia stramaledettissima esistenza che faccio la cosa giusta, che mi prendo a calci pur di fare la cosa giusta… e tutto questo, tutto questo, a che cosa mi ha portato, Seth? A perdere mio figlio, che è la sola cosa che conta al momento per me. Quindi me ne frego che lui abbia diritto di sapere, me ne frego di te che pensi che lui abbia diritto di sapere… io voglio solo andarmene da qui, e riprendermi il mio bambino. Dopo, un giorno, quando mio figlio sarà qui con me e al sicuro, potrete farmi tutte le morali che volete… ma adesso abbiate il sacrosanto diritto di stare fuori dalla mia vita, che è mia e di mio figlio, e basta!”.

La carotide preme contro la mia pelle come se volesse schizzare fuori, la faringe mi gratta come se ci fosse scivolato dentro dell’acido e le lacrime mi bruciano il viso: non so nemmeno in che punto della conversazione sono scivolata in basso, restando in ginocchio. So solo che il viso di Seth e la tensione silente di Draco sono insopportabili, adesso. Tutto si mescola alla mancanza di Alex, che è come l’amputazione di metà del mio corpo, quella più vitale e necessaria, al punto che mi considero al momento un moncherino sanguinolento, tenuto in vita da un perfido accanimento terapeutico. Soffoco il viso e le lacrime tra i palmi della mano, cercando di non fare rumore ed emettendo un’aura di distacco che spero che entrambi colgano. Non voglio, né necessito che nessuno mi tocchi.

Ed è inconcepibile che ci pensi adesso, ma le sole persone che vorrei al momento sono Dean o Ilai. Il primo che ha fiducia in me qualsiasi cosa faccia, ben più di Seth, che si è così fissato che io e Draco ci apparteniamo da non vedere nemmeno che cosa ci sia capitato adesso e in che persone ci siamo trasformati. Il secondo che si è allontanato discreto, non appena ha saputo che Draco era qui. Lo so, lo sento come sempre, che è andata così. Ed invece io, ora, avrei bisogno di lui più che mai. Lui saprebbe spiegare questo squarcio dentro, lui allontanerebbe le ombre da me, lui mi farebbe sentire in pace… e lui conosce Alex. Draco Malfoy, suo padre, non sa nemmeno come è fatto. E so che, almeno questo, non è colpa sua: ma al momento gli darei ogni responsabilità del mondo. Perché tutto nasce e muore in questo: lui, Raissa, non l’ha lasciata andare. Se l’avesse fatto, Alex sarebbe ancora qui. Qualsiasi cosa accada, comunque vada a finire, io questo non riuscirò mai a perdonarglielo. Mai.

Nel silenzio che adesso si spande venefico su di noi, interrotto solo dal frinire triste di una cicala, lascio che i miei occhi se ne stiano dentro le mie mani così da potersi riposare e sciogliere di lacrime, senza che nessuno mi fissi, facendomi sentire compatita. Ma è ovvio che non posso stare così a lungo: quando mi arrischio ad alzare lo sguardo, mi accorgo immediatamente che Draco mi ha sorpassato e si è piantato accanto a Seth, che si morde l’unghia del pollice a disagio, gli occhi lucidi. Draco, invece, ha l’espressione indecifrabile, dura, chiusa, arcigna, ed ovviamente è me che guarda così.

Mi asciugo con il palmo della mano le lacrime ancora sparse sul viso e sollevo il mento, a mo’ di sfida silente, così che dica quello che sta pensando. Le parole ci sono sempre state nemiche, ma i gesti, le espressioni e gli sguardi no; infatti, nonostante tutto, lui capisce subito che cosa gli sto dicendo ed incrocia le braccia meccanicamente, sibilando freddo: “Sono davvero lieto che, dopo cinque anni, siamo ancora a questo meraviglioso punto delle nostre vite, per cui sei sempre presa dall’insano desiderio di punirmi per qualcosa che non ho commesso… ed al contempo sei sempre presa dal tuo delirio di onnipotenza per cui puoi fare tutto da sola… e sempre…”. Ansimo, la voglia di prenderlo a schiaffi che mi sussurra nelle orecchie e mi infiamma le dita, mentre lui prosegue disinteressato: “Sono cose che fanno riflettere, sei rimasta esattamente quella che sei sempre stata… anche se sei madre, adesso…”, mi alzo in piedi, facendo qualche passo, giuro che se non la smette immediatamente lo uccido sul serio. Draco fa un sorriso beffardo, guardandomi ed inclinando la testa di lato: “Da genitore si fa ogni sacrificio possibile, credo che tu lo sappia… e se si fosse trattato di Serenity, io ti avrei implorato di aiutarmi… anche se si fosse trattato di te…”. Chiudo i pugni lungo i fianchi, l’odio che mi macina come se fossi dentro un ingranaggio, il volto mi va a fuoco. Non le voglio lezioni sull’essere madre, tantomeno da lui che, dopo chissà quanto, ha deciso di fare da padre a Serenity. L’ho lasciato che si faceva ancora chiamare fratello da lei. Che diamine ne vuole sapere, lui, del coraggio di essere un genitore sin dal primo momento, sin da quando tuo figlio nasce, sin da quando lo vedi respirare accanto a te, e tu magari non ne volevi sapere, non volevi essere madre, e raccogli la forza che hai, solo perché lo hai visto quel bambino e adesso lo ami più di qualsiasi altra cosa al mondo? Non le voglio lezioni da uno che ha deciso di essere padre, solo quando ha avuto Raissa accanto.

Ma lui ovviamente prosegue, forse leggendo quelle parole nel mio viso e, come sempre, non facendosene minimamente impensierire: “… e sai, posso anche accettare che, nella tua mente non valgo al punto da avere una qualsiasi spiegazione su quello che sta succedendo, soprattutto se riguarda la donna con cui ho passato gli ultimi cinque anni…”, la solita fitta mi colpisce infida al petto, cerco di dissimulare il dolore con una smorfia che spero suoni come ironica “… ed ovviamente sei libera di fare quello che vuoi, riguardo a tuo figlio. Ma qui si tratta anche della mia di figlia…”, la sua espressione si indurisce, torna ghiaccio scavato e gli occhi scintillano di furia: “… se mia figlia è stata messa in pericolo perché Raissa era qui, se c’è anche una possibilità che lei ritorni e metta in pericolo Serenity… io devo saperlo. E non sarai certo tu ad impedirmelo”. Il suo volto diventa demoniaco, una maschera di odio deforme, mentre aggiunge sardonicamente: “C’è una semplicissima parola che risolverebbe tutto questo, Granger… se tu ancora non volessi parlare… e credo che anche tu la ricordi…”.

“Quale?!” sputo fuori con astio, la mia voce che tintinna di ira repressa. Draco sorride, quasi comprensivo, ed improvvisamente ricordo che è il traditore di Voldemort, un ex Mangiamorte. Negli anni, tutto di me lo aveva scordato, ricordavo solo la tenerezza e l’amore che aveva per me. Ma Draco Malfoy è anche questo, è anche minaccia, ricatto, furia e violenza, specie se qualcuno attenta a ciò che ama. E come per me nulla adesso conta più di Alex, per lui ora nulla conta più di Serenity.

“La parola magica, Granger…” sussurra suadente, lasciando cadere le braccia lungo i fianchi e facendo un passo verso di me “E’ legilimens…”. Accompagna l’intimidazione ad usare la Legilimanzia, sfoderando la bacchetta che punta subito nella mia direzione sotto lo sguardo terrorizzato di Seth, che guarda prima lui e poi me ad occhi sgranati. Una risata di gola, profonda, triste, mi fa tremare il torace mentre asserisco convinta: “Credi forse che io sia la stessa di cinque anni fa? Che sia ancora senza poteri? Se osi anche fare un solo passo nella mia mente… te ne farò pentire…”. A mia volta, fremendo, sguaino la bacchetta dalla mia tasca e la punto a mia volta verso di lui. Alcune scintille stanno già sfrigolando, quando Seth, autenticamente terrorizzato, si para tra me e lui, gli occhi lucidi e le braccia aperte.

“Smettetela!” urla a pieni polmoni, io e Draco già presi dall’adrenalina e dalla rabbia sbattiamo le palpebre, come risvegliati, la mia bacchetta trema nella mia mano “Non vi permetterò tutto questo!”. Seth mi lancia uno sguardo storto, prima di sussurrare qualche parola che non intendo e che assomiglia tremendamente ad una richiesta di scuse.

Poi, guardando Draco, prima che io glielo impedisca, biascica: “La ragazza che ti ha lasciato cinque anni fa… non era lei, era Astoria… Hermione… non l’avrebbe mai fatto…”.

La bacchetta di Draco scivola dalle sue mani, mentre lui, bianco, le labbra livide, supera la spalla di Seth, cercando immediatamente i miei occhi. Sono liquidi, morbidi, intensi, colmi di una sofferenza incredula che non credo di avergli mai visto. Mi fanno riprendere a piangere prima che me ne renda conto, mentre lui dice balbettando: “N-non è possibile…”.

Draco sa perfettamente come dissimulare le emozioni, l’ha sempre saputo fare. Ma ora non ci riesce, non ce la fa.

Il solo sfogo al dolore che riesce a trovare, è guardare verso di me, sbigottito, sconcertato, sconvolto, come se si aggrappasse a me.

La mia bacchetta ricade via dalle mie dita e, con un tonfo secco, atterra sul pavimento.

Sgonfiata, senza forze, d’improvviso esausta, mormoro: “Ti dirò tutto… ma alle mie condizioni…”.

 

 

La mia prima condizione è tempo. Ne ho un tremendo bisogno.

Corro subito di sopra nella camera in cui mi sono svegliata, e la prima cosa che faccio è rifugiarmi nel bagno, chiudere la porta a chiave e scivolare al suolo. Piango, singhiozzo, lascio che tutta la tensione e il dolore trovino almeno un sfogo che mi impedisca di esplodere come una bombola di gas: premo forte le mani sulla bocca così che nessuno mi senta e soffoco le lacrime in modo che muoiano qui, in me, senza che nessun altro le senta o le veda. Quando giudico di essere più calma, mi alzo in piedi, mi lavo la faccia con abbondante acqua fredda e mi pettino di nuovo i capelli. L’aspetto che lo specchio mi rimanda, sebbene gli occhi rossi e le occhiaie, è quello di una persona apparentemente più normale.

Uscita dal bagno, afferro il cellulare dalla mia borsa, ignorando con un profondo sospiro lo screensaver che mostra Alex a pochi mesi di vita che sorride dentro il box, e compongo dapprima il numero di Dean, poi quello di Pansy, ed infine quello di Harry. Il primo mi dice che è sulla buona strada per capire come funzioni il ciondolo di Tatia, ha trovato una negromante indiana che ne capisce di queste cose e che sta consultando dei testi per capire come non disperdere il potere del sangue di unicorno e se questo può essere utilizzato anche contro un forte potere oscuro, come quello derivante da Adamar. Ringrazio Dean profondamente, lui mi rassicura e tranquillizza, ed effettivamente riprendo a respirare normalmente, sapendo che stiamo facendo di tutto per sfruttare la sola risorsa che abbiamo al momento. Sono convinta che, se Tatia mi ha lasciato questo ciondolo, aveva le sue motivazioni, come per tutto il resto, senza contare il sogno che ho fatto dove mi ha ammonito di non toglierlo.

È stata la prima vittima dei Karkaroff, non può essere tutto un caso.

Chiamo Pansy per sapere come stia, sommessamente, con una voce smunta che non le appartiene, dice che ha accompagnato Serenity a scuola, e che adesso è in giro con Charisma. Passerà in farmacia per delle commissioni, e poi tornerà indietro. Mi prega di non “infierire sul cadavere di Malfoy, che voglio averlo io questo onore”,  e, mio malgrado, sorrido incredula, riagganciando.

L’ultimo che chiamo, è Harry: gli racconto tutto di quello che è accaduto, lo sento ascoltarmi rabbiosamente. Mi promette che cercherà nel modo più discreto possibile di rintracciare i Karkaroff, anche se sa che non è probabile che li trovi. La loro magia è troppo potente. Però mi promette che farà di tutto per aiutarmi e che informerà Helder quanto prima, la sola forse in grado di aiutarmi davvero.

Quando ho finito, chiudo gli occhi e mi abbandono sul letto ancora sfatto. Sotto le palpebre, si inseguono i ricordi di questi cinque anni. Li afferro, li sistemo velocemente, ne seleziono alcuni, ne tralascio altri.

Dovrò essere asettica, settoriale, precisa. Ridurre al minimo le domande, parlare in modo veloce e chiaro, evitare ogni riferimento ad Alex, alla sua età, al suo nome, al suo aspetto, al suo carattere.

Di lui, non deve sempre niente, l’ho già detto e non cambio idea. Non così, non adesso.

L’ultima condizione che paleso una volta scesa, chiudendo la porta del salone dopo che Draco è entrato, è semplice.

Io e lui. Basta.

Nessun altro.

Vedo lo sguardo di Seth oltre la porta, mentre si stringe nelle spalle e distoglie gli occhi da me, ma lo ignoro. Mi ha tradito, non ha rispettato una mia precisa scelta. Voleva questo, voleva che parlassimo? Benissimo. Lo faremo. Ma da soli. E nella maniera più veloce e rapida possibile. Non ho bisogno dell’arbitro degli aggettivi che userò, qualora non rendano abbastanza il concetto.

Voglio bene a lui, a Dean, a Pansy… ma questa storia è mia e di Draco, non di tutti loro.

Ho immaginato tante volte questo momento, nel corso degli anni, quello in cui avrei detto a Draco la verità. Spesso nei miei sogni questo momento si affacciava, prima di prendere sonno, ed aveva sempre un colore diverso, un respiro diverso, un palpito diverso. Mi chiedevo spesso, quando ero ancora in Italia, se avrei dovuto mostrargli Alex e lasciare che lui capisse, perché ero convinta che Draco, vedendolo, avrebbe capito. Immaginavo il tremore che gli avrebbe preso gli occhi, la piega emozionata delle labbra, la fossetta gentile ai lati delle labbra di quando sorride e scoppia dalla gioia. Avrebbe inseguito gli occhi di nostro figlio, e subito avrebbe intuito, ma mi avrebbe comunque chiesto chi fosse, come si chiamasse, magari anche perché gli somigliasse tanto. Ed ero certa, sicura, convinta che Alex non avrebbe taciuto, avrebbe urlato una frase del tipo: “Ciao papà!” come quando lo salutava ogni mattina a Favignana, dopo aver salutato me e Ron. Avrei maledetto il candore genuino di Alex ed avrei pianto, guardando Draco, annuendo con il capo, lasciando che lui lo guardasse bene e che si chinasse alla sua altezza per osservarlo negli occhi gemelli dei suoi. Pensavo che avrei potuto lasciarli soli, e poi mi dicevo che non era il caso, che Draco sarebbe stato traumatizzato, che Alex spesso parla troppo e lo avrebbe rintronato. Meditavo su tutte queste cose ed era come rilassarmi, mollare la presa, sentirmi felice dentro che tutto sarebbe andato a posto, ed in ricompensa il sonno arrivava. Mentre mi addormentavo, però, mi dicevo che l’incontro perfetto avrebbe visto Alex venire solo dopo che noi due avessimo parlato, perché avevamo bisogno di un momento per noi, avevamo bisogno di essere prima Draco ed Hermione, e poi i genitori di Alex. Ce lo doveva il tempo, la vita, il destino e tutto quello che ci aveva divisi. Era facile quindi decidere che avrei indossato qualcosa di rosso, come la sera del compleanno di Pansy, e mi sarei tirata su i capelli, perché lui una volta mi aveva detto che stavo bene così. Avrei avuto un passo leggero e, mentre gli raccontavo ciò che era accaduto, avrei voluto tenergli la mano, stringergli le dita o lasciare che mi stringesse lui. Avrei infarcito il racconto di aneddoti, dei pensieri più vari, pentendomi se avessi scordato qualcosa. Gli avrei consegnato le novecento tredici lettere che gli avevo scritto, i cinque regali di Natale e i cinque regali di compleanno. E, ad un certo punto del racconto, mi sarei fermata e l’avrei guardato fisso negli occhi. E sapevo che l’avrei baciato, sapevo che mi avrebbe risposto, sapevo che avremmo fatto l’amore come se non ci fosse domani, disperati, ma riuniti, riconciliati, riappacificati con la vita stessa. Cadevo nel sonno, dicendomi che però stavolta dovevamo stare attenti, basta con i bimbi non programmati, Alex aveva bisogno di averci per noi almeno per un paio di anni, sarebbe stato già difficile avendo anche Serenity, dovevano legare tra loro, e chissà se sarebbero andati d’accordo, e potevamo mandarli assieme in palestra, oppure Serenity a danza ed Alex a scuola calcio che adorava il calcio essendo cresciuto in Italia, e poi la domenica…

… pensavo davvero queste cose prima di andare a dormire. Ci credevo profondamente, a tutte.

Non era fede e speranza, era per me previsione del futuro.

In tutto questo, Draco Malfoy andava a letto con Raissa Karkaroff, Ilai Radcenko soffocava nella mancanza di sua moglie e Dimitri Karkaroff mi cercava come una bestia dannata.

Adesso che ci sono arrivata, adesso che sono arrivata a questo momento… mi siedo sul divano di fronte a Draco che mi guarda, stringendo i pugni, e non c’è nulla di come doveva andare.

Ho un vestito azzurro spiegazzato, ho i capelli sciolti, ho gli occhi rossi e stanchi. Mio figlio non dirà da un momento all’altro “ciao papà!”, non racconterò nulla più del necessario, le mie novecento tredici lettere sono nella mia valigia. Non lo bacerò, non lo stringerò, non voglio che mi tocchi nemmeno per sbaglio.

La fantasia, la mia soprattutto, ha accartocciato il futuro, rendendo questo momento insapore ed inconsistente come segatura.

Al momento, io… voglio solo che finisca.

Faccio un profondo respiro, Draco mi soppesa con lo sguardo come se temesse d’improvviso che mi trasformi in qualcos’altro davanti ai suoi occhi. Si è cambiato, porta una polo azzurra su dei jeans chiari ed ha i capelli bagnati sulla nuca, come se si fosse fatto una doccia. Un raggio di sole illumina e taglia a metà i suoi occhi, rendendo palese la tensione che permea il suo corpo, visibile anche nelle mani chiuse a pugno e nei gomiti poggiati parallelamente alle gambe. “Seth non ci capisce niente di magia…” inizia impaziente, le mani che si sfregano nervose l’una sull’altra “Ma io e te sappiamo che non è possibile quello che dice… la ragazza che ho visto quel giorno… eri tu, eri indiscutibilmente tu… una Polisucco non avrebbe mai potuto…”.

“Hai dimenticato di chi stiamo parlando?” lo interrompo subito, asciutta, senza nemmeno alzare lo sguardo “O frequentare quella donna per cinque anni ti ha ottenebrato la mente fino a questo punto?”.

“Potremmo lasciare fuori questa storia per il momento?” borbotta nervosamente, le dita che tamburellano come se avesse un tic.

“Ah certo, lasciamo fuori questa storia…” commento acidamente, sorridendo in modo forzato “Ovviamente, come sempre, è tutto un senso unico con te… io devo parlare… ma tu puoi startene zitto… comunque non mi interessa, basta che la finiamo…”. Concludo stancamente, pentendomi del mio accesso di rabbia e gelosia, a cui Draco ha risposto solo piegando le spalle ed appoggiandosi stancamente al divano. La sua attenzione torna vigile, quando mormoro con tono ovvio: “La Conoscenza assoluta l’hai dimenticata? Non ricordi che lei e suo fratello conoscono ogni singola cosa scritta da uomo? E questa non era nemmeno tanto difficile da trovare… si chiama Imitatio cordis, imitazione del cuore… due persone unite dallo stesso sentimento entrano in risonanza l’una con l’altra. Una delle due ne può rubare per qualche ora aspetto, ricordi, emozioni. Io ed Astoria condividevamo le stesse sensazioni in quel momento…”, distolgo lo sguardo da lui, non mi va proprio nemmeno di ricordare quali fossero le sensazioni che condividevamo “In tal modo, riuscirà una personificazione perfetta. A patto che l’altra persona sia sufficientemente debole…”.  

Draco assimila le mie parole per qualche secondo, appare ancora incredulo e sconcertato, tormenta le dita delle mani in modo meccanico. Sembra quasi voglioso di contraddirmi, convinto evidentemente contro ogni logica che non poteva trattarsi di persona diversa da me. Poi qualcosa scivola sul suo viso, un’ombra che gli sfiora i lineamenti e gli fa contrarre l’espressione come se avesse avuto un calcio in pieno stomaco. Dismette il dubbio ed abbraccia la paura. Sussurra solo, stringendo le labbra: “Se la persona da impersonificare eri tu… ed era necessario che fossi debole per consentire ad Astoria l’incantesimo…”, fa una pausa incredibilmente sofferta, scopro ancora la stretta massiccia in fondo al ventre di tutte le volte che stava male ed ero arsa dal desiderio di impedire qualsiasi cosa lo ferisse. La ricaccio nel fondo di me con rabbia, ci manca solo addolcire la pillola adesso, lui intanto conclude con un tremito: “Eri debole… perché?”.

Per un attimo, guardo i suoi occhi e non vorrei fargli del male, so che adesso si sentirà in colpa, so che starà male. So tutto quanto. Respiro a fondo e capisco che però non potrei nemmeno volendo, rendergli le cose più facili e meno dolorose: non a condizione di massacrarmi io. Tra noi è andata male, anche perché accettavo di tacere pur di stare con lui, pur di non diventare seccante. E pur di non esserlo, non gli confidai la mia paura di Helena. È stato sbagliato. Doveva portare quella croce con me. Altrimenti, perché stare assieme? Ora, certo, non importa più… ma siamo alla catarsi finale. E voglio che questo lo sia anche per me: lui e Seth hanno voluto la verità? Eccola. La verità fa schifo, farà male. Non ci posso fare assolutamente nulla.

Decido di essere quanto più precisa possibile, in modo che mi faccia il minor numero di domande, non voglio ricordare queste cose per un secondo di più.

“La sera del compleanno di Pansy… è stata l’ultima vera volta in cui ci siamo visti… dopo che…” prendo fiato, distolgo il viso e tengo a freno il pianto idiota che mi assale al ricordo della sua proposta di matrimonio. Draco si muove sul divano, fa un minuscolo accenno di assenso con la gola che sa di tristezza raschiata via, e finalmente riesco a continuare: “Bè, quella sera… uscii in giardino per prendere aria. Non avevo nessuna intenzione né di andarmene, né tantomeno…”, ancora sono costretta a fermarmi, le parole sono diventare così infide che mi pungolano per essere sincera e poi mi sgusciano tra le mani se mi arrivano troppo vicine al cuore, che batte ancora maledettamente per l’uomo di fronte a me.

“Fa male…” commenta Draco, le spalle piegate, e non è una domanda, è solo una constatazione che sembra nascere dal profondo di sé per riverberarsi dritto su di me. Lo guardo dritto negli occhi, ed una stupida lacrima mi cade dall’angolo dell’occhio destro, l’asciugo rabbiosamente: “Ho raccontato questa storia così tante volte… ed è assurdo che faccia ancora così male… i-io… non ne volevo parlare adesso… non con Alex che… ed è sempre stata Raissa… fin da allora…”. Le lacrime mi affannano di nuovo la vista, maledico la mia debolezza e le asciugo meccanicamente.

“Ti prometto che sarà l’ultima volta che ne parli… per favore… dimmi che cosa è successo…”. Un brivido caldo mi scuote la schiena, il contatto con i suoi occhi mi fa ricordare in modo goffo che cosa amassi di lui… e che cosa amo ancora di lui. Questo: la poderosa sicurezza che ti avvolge e che fonde ad ogni parola che pronuncia. Sebbene sia passato tanto tempo, fa ancora effetto su di me, rende il mio respiro più calmo e mi costringe a parlare normalmente, in modo quasi freddo, pur di finire in fretta: “Non volevo lasciarti. Non l’avrei mai fatto, e soprattutto non in quel modo... in giardino, fuori dal cancello, vidi una sagoma supina, era Daphne Greengrass… corsi da lei, non avevo visto chi fosse e temevo che fosse qualcuno che si fosse fatto male. Raissa aveva fatto cadere la barriera… ed ovviamente non trovai alcuna resistenza. Lì… mi aspettava Dimitri…”. Le mani di Draco si torcono a pugno, diventano livide, ma mi sibila di continuare. “… mi ha minacciato, voleva che lo seguissi. Ed io ovviamente mi sono rifiutata, avevo la bacchetta che mi avevi dato, l’ho attaccato… ed avevo anche avuto la meglio. Ma appena ero riuscita a farcela, sono comparsi Astoria, Pucey e Montague… si erano alleati con lui… io… non li avrei seguiti lo stesso, sarei morta pur di non andare con lui… ma… avevano Hayden…”. Lo stupore sul volto di Draco ad ogni parola del mio racconto si stempera nella rabbia, nella furia. Sento distintamente che sta per perdere il controllo, sta per cedere, sta per crollare. Le mani sono rosse a furia di sfregarle, mi sforzo di proseguire deglutendo: “Lo avevano già ferito… tu avevi pensato a difendere tutti, tranne lui… e io non potrò mai perdonarmi di non avertelo ricordato, di non aver io stessa pensato che lui potesse essere messo in mezzo a questa storia… per colpa loro, Hayden non camminerà mai più…”. Ancora le lacrime mi impediscono di continuare, ho già raccontato questa storia decine di volte, ma adesso con Draco ha un’impressione differente. Mi fa davvero più male che tutte le altre volte. Quello che leggo in lui, nei suoi occhi, mi spinge a sentire tutto più forte di prima. Seth pianse mentre parlavo, Pansy rimase sconvolta, Dean mi abbracciò un paio di volte… ma con loro è diverso, è ovvio che lo sia. Draco è vittima come me, in me. Nel ricordo, lui soffre assieme a me per la prima volta da cinque anni. Fa male, infinitamente male, ma forse fa anche bene. In un modo strano, sento che forse è la sola occasione che ci è rimasta di sentirci uniti ed è emblematico che ciò avvenga nel ricordo del dolore, della rabbia e dell’odio che ci ha resi estranei.

Ormai, abbiamo dalla nostra solo questo e qualche granello di polvere di una passione, che probabilmente, nostro malgrado, non andrà mai via. Ma è solo sangue, carne, pelle. Non arriva più al cuore.

“Sono stata costretta a seguirli… ma mi sono accorta subito che Astoria non era venuta assieme con noi…” proseguo inespressiva, forzandomi a trattenere le lacrime e a non guardarlo “Ed ho intuito subito che avrebbero fatto qualcosa per tenerti lontano da me… e ne ho avuto la prova quando Pansy mi ha mostrato i suoi ricordi. Ero io in tutto per tutto, persino le cose che dicevo… erano cose che avevo pensato… ma lei le stravolgeva come voleva, io non ho mai odiato me stessa per essermi innamorata di te… ed anche se l’avevo fatto… poi era cambiato tutto stando assieme, erano cose che risalivano allo Zahir ed oramai era passato… ed io ero a pieno titolo un’altra persona. Non quella che poteva stare con Ron, o con chi so io… ero fatta per stare con te…”, nascondo il rossore delle guance , fingendo di portarmi indietro i capelli con le mani, ed evito ancora di fissare Draco. Non prendo nemmeno fiato, riprendendo a parlare con compostezza prima che mi interrompa, la tensione sta crescendo ancora, dubito che resisterà ancora per molto: “… ed anche Pansy… era stata onesta parlandomi di Helena… ma non mi ha mai, e dico mai, fatto pressioni per allontanarmi da te. Non era colpa sua se avevo sempre lei in testa… e se vuoi ancora una prova, chiedimi come sia con me adesso, come nonostante tutto posso dire persino di essere legata a lei… mi ha sempre accettato nella tua vita perché amava te… ma sarà lei a parlartene, se vorrà… e in quanto a me ed Helena… non credo che conti molto parlarne adesso…”. Figuriamoci se conta parlarne adesso: non si è fatto scrupolo nemmeno verso Helena.

Sento che Draco sta per alzarsi in piedi e sento distintamente che sta per parlare, non glielo lascio fare. Se adesso mi fermo probabilmente non riuscirò più a continuare.

“Sono stata prigioniera di Dimitri per dieci giorni, assieme ad Hayden… ho tentato di curarlo in modo goffo, ma non c’è stato nulla da fare, è rimasto paralizzato… e sebbene li abbia implorati di liberare almeno lui, non ne hanno mai voluto sapere, era un modo per tenermi ancorata lì senza fare nulla di stupido…”, non l’avrei fatto comunque qualcosa di stupido, dato che ero incinta di tuo figlio. Quel pensiero sfuggito per caso mi blocca il respiro e mi fa soffocare. Tossisco un paio di volte, con forza, come a scacciarlo via, e riprendo con un filo di voce: “Ho intuito subito che ci doveva essere un motivo… qualcosa… per cui tu non mi cercavi… e allora non sospettavo minimamente della parte che Raissa aveva avuto in questa faccenda… pensavo che fosse solo Dimitri… comunque, senza andare per le lunghe, dieci giorni dopo Helder mi ha rintracciato… mi teneva d’occhio da quando avevo distrutto lo Zahir e si era accorta che ci era qualcosa che non andava…”, sono settimane che ho il cervello che brucia; ancora devo fare ogni sforzo mentale e fisico per gettare fuori dalla mia mente tutti i ricordi di che cosa è davvero accaduto cinque anni fa, di Helder che mi diceva che si era accorta che c’era qualcosa che non andava perché non sentiva più l’amore che legava me e Draco. Faccio fatica a parlare ormai, la gola mi si chiude come se stessi sott’acqua: “Helder ha avvisato Harry e Ron, mi hanno trovato nel castello di Dimitri, hanno attaccato… ma quella notte… l’unico modo per fuggire era saltare da una finestra. E non è andata esattamente come speravo… un incantesimo di Dimitri mi ha colpito alla schiena, sono ruzzolata giù per qualche metro e ho avuto un trauma cranico. Sono stata in coma tre mesi… e al mio risveglio ero in Italia… avevano trovato tutti più sicuro nascondermi lì, perché Dimitri non era morto, era fuggito, poteva ancora farmi del male… e mi è stato impossibile rintracciarti in qualsiasi modo, non mi facevano venir via… e poi…”, faccio un respiro profondo, l’ennesimo, sembra che debba impormi ogni tanto di inspirare a rischio di dimenticarmene ed andare di nuovo in debito d’ossigeno “… poi è nato Alex e per me è diventato prioritario proteggere lui. Per farlo, Ron ha accettato di fingere di essere mio marito… ho vissuto con lui cinque anni…”. Il silenzio di Draco cambia, mi arrischio ad alzare lievemente lo sguardo, le sue mani sulle ginocchia sono distese, le dita sono come congelate e sembra essersi immobilizzato dal moto ondoso che lo caratterizzava fino a poco fa. Prevedo senza eccessiva fatica che cosa sta pensando, sento persino il veleno della risposta che mi dedicherebbe e mi sento subito in dovere di specificare e di discernere l’indubbia similitudine che sta facendo con la sua situazione con Raissa: “So che al momento non sono affari tuoi… e dubito che lo saranno mai più… ma io e Ron abbiamo solo finto di essere sposati… non c’è stato niente tra me e lui, di alcun tipo, per cinque anni…”, è più forte di me poi aggiungere come una cretina: “… ed Alex non è suo figlio, se te lo stai chiedendo in modo del tutto inappropriato…”. Immediatamente dopo aver finito di parlare, mi rendo conto della stupidaggine che ho fatto. Accennare ad Alex significa automaticamente fargli venire la curiosità sulla sua paternità… come farei a glissare se mi facesse una domanda diretta? Specie se sto cercando, nel mio rancoroso modo, di fargli capire che sono rimasta fedele a lui in tutto e per tutto, anche se in un modo assolutamente patetico, visto come è andata… ma ovviamente Alex non può essere nato sotto una foglia di cavolo.

Ma, con mia somma fortuna, Draco perde del tutto la connessione con il reale quando sente parlare di matrimonio e capisce che non sono sposata. Non riesco ancora a capire il perché, ma spiandolo con la coda dell’occhio, lo vedo nervoso, crucciato, le sopracciglia aggrottate di uno che ancora sente qualcosa che non può credere come reale. Non lo facevo così tradizionalista, cavolo, forse non mi crede capace di avere un figlio anche se non sono sposata… boh… comunque in ogni caso, per fortuna ha assimilato il riferimento ad Alex in modo neutro, senza pensarci troppo su, cosa che mi consente di proseguire con maggiore tranquillità: “Qualche settimana fa… mi hanno dato la notizia che Dimitri era morto. In realtà, aveva solo finto di essere morto, ha assassinato Astoria e dopo ha usato una pianta che inganna gli Empatici e nemmeno Helder ha potuto capire nulla… quindi sono potuta tornare qui…”, deglutisco ancora a fatica, quanta parte abbia lui nel mio ritorno non voglio nemmeno palesarla a me stessa, solo che al momento per continuare nel mio racconto, devo necessariamente fargli sapere che lo stavo cercando. Altrimenti perché prendermi la briga di cercare Raissa, e tutto quanto?

Alla fine decido di mantenermi vaga, sostenendo che avevo un sospetto su Raissa stessa, ed avevo cercato appunto di rintracciarla grazie a Seth, Pansy e Dean. In breve racconto quindi la storia di Tatia, il viaggio in Finlandia, l’incontro con Ilai e il voto Infrangibile tra Dimitri e Raissa, fino al momento in cui li avevo incontrati entrambi. Ed accenno, ovviamente escludendo che avevo precedentemente incontrato anche Serenity, che era stata Raissa stessa a dirmi che si stavano per sposare e che erano fidanzati.

Quando finisco di parlare, ho il fiato corto e la sensazione di sentirmi svuotata completamente da ogni forza ed energia: sono persino costretta ad afferrare la bacchetta e a far comparire una brocca d’acqua ed un bicchiere, di cui trangugio il contenuto in tre sorsi. Nelle ultime fasi del mio discorso, forse presa dalla voglia di finire quanto prima e di condensare eventi, non ho molto badato a Draco e a come stesse reagendo. Lui, del resto, non ha quasi più respirato ed è come evaporato da qui, esattamente da quando ho raccontato di essermi svegliata in Italia. Con una fitta di nervosismo, constato che probabilmente non ha sentito una parola del racconto di Tatia e mi riprometto, qualora mi chieda qualcosa, di mandarlo a quel paese, dato che su di lei sono stata adeguatamente precisa e prolissa.

Ma Draco, appena finisco di parlare, non fa assolutamente nulla del genere. Si alza in piedi, fa qualche passo attorno alla stanza per poi fermarsi dietro la finestra, la schiena rivolta verso di me e le braccia piegate e poggiate sul vetro. Finalmente posso guardarlo senza che ciò mi susciti alcuna emozione palese: i muscoli delle spalle sono contratte, scattano sotto la polo nervosamente, il respiro è rapido ed ansante. Le mani, chiuse a pugno, tremano leggermente. Sembra, di nuovo, sul punto di scoppiare.

La sua voce sembra provenire da molto lontano, quando parla di nuovo, sebbene sia solo ad un paio di metri da me. Ha un tono sarcastico, ma sfumato in una specie di tenerezza collosa, che mi fa scendere un pesante groppo sullo stomaco. Dice solo: “Mi ero dimenticato com’è parlare con te… che eludi e scegli accuratamente che cosa dire e che cosa non dire, che cosa accentuare e cosa lasciare sfuggire via… chissà quanto non mi stai dicendo…”. Sobbalzo a disagio, ancorandomi al bracciolo del divano come se fossi stata appena condannata alla pena capitale. Ritrovo il respiro solo quando parla di nuovo con voce inespressiva: “Non ti chiederò di tuo figlio… l’ho capito che non ne vuoi parlare… e ok, mi può anche stare bene…”, sospiro un po’ troppo rumorosamente, calmandomi e ritrovando un ritmo più o meno normale del cuore “… ma c’è altro che devo chiederti… devo farlo. E mi devi rispondere…”.

La sequenza di tutte quelle coniugazioni del verbo dovere mi provocano un ulteriore bruciore lacerante allo stomaco, e sono tentata di incrociare le braccia e di sbuffare rumorosamente. Poi tento di darmi un contegno e di ricordare che tutto quello che gli ho detto avrebbe sconvolto anche me, se lo avessi saputo solo adesso. Sentendomi cretina, dico alla sua schiena in tono truce: “Non accetterò un terzo grado, Malfoy… non ne ho né la voglia, né il tempo… condensa tutto in tre domande, ed andiamo avanti…”.

“Me ne bastano due, Granger…” mormora lui, e ha ad un tratto la voce così triste che mi pento quasi del mio accesso di acidità di poco fa. Le viscere mi si torcono dolorosamente, trovo sollievo solo dicendo in tono più gentile: “Due domande… possono andare bene… che cosa vuoi sapere?”.

Si volta improvvisamente, e il contatto con i suoi occhi è così rapido e subitaneo che mi trovo ad annaspare come un naufrago che non sa nuotare. La mia schiena trova il divano, mentre mi spingo indietro, come a volergli sfuggire, prima di rendermi conto di quanto sia inutile. Le pupille dilatate spingono il grigio dell’iride verso il bianco degli occhi, il respiro accelerato crea chiazze rosse sui suoi zigomi e le mani si contraggono a pugno, prima che se ne renda conto. Ho quasi il terrore che voglia lanciarmi contro qualcosa. Poi parla, e capisco. Ha la voce dolce e disperata, piena di rimorso, e pur non volendo, pur non immaginandolo, pur non premeditandolo, la vecchia Hermione trasale dentro di me, si slancia idealmente verso di lui, sogna di abbracciarlo e di cancellargli quel pensiero dal cuore.

“Voglio sapere esattamente che cosa ti ha fatto Dimitri…” biascica in tono affrettato, come se non potesse nemmeno prendere fiato parlando “Tu sei stata molto elusiva nella tua piccola conferenza stampa… ma io… ho bisogno di saperlo…”, la sua voce si abbassa ancora, mentre i suoi occhi si assottigliano, come se non potesse nemmeno sopportare la fioca luce della stanza, ed aggiunge, causandomi un’altra fitta al cuore: “Io… ho bisogno di sapere fino a che punto ho mandato a puttane la promessa che avevo fatto… quella di proteggerti…”. 

Tre secondi, tre miseri e maledettissimi secondi, e io me lo ritrovo di fronte, ad un passo da me, senza che me ne sia nemmeno accorta. Per un attimo, penso di aver avuto una botta in testa, di essere svenuta, o che sia stato lui ad avvicinarsi. Ma Draco ha l’espressione a sua volta troppo sorpresa perché possa averlo fatto lui, ed al contempo, con angoscia, mi rendo conto di essere io quella in piedi, quella lontana dal divano, quella rossa in viso e quella che non ha ragionato agendo. Me ne ero dimenticata, mi ero dimenticata di come perda sempre il controllo quando si tratta di lui, di come il mio cervello vada in cortocircuito quando sento quel richiamo ancestrale come quello di una conchiglia, di come d’improvviso faccia cose che razionalmente non farei. Ho sorpreso persino lui stavolta, mi guarda in modo strano, indecifrabile, le palpebre che tremano leggermente come se i suoi occhi fossero tesi dal tentativo di capire perché adesso, dopo ore, io mi sia avvicinata così tanto. In realtà, non lo so nemmeno io fino a quando non parlo, non apro bocca: per qualche secondo mi sento così rintronata dal suo profumo, che credo di avere ancora un annebbiamento. Ma le mie parole sono così lucide e chiare che mi chiedo dove diamine stessero se la mia mente è così ottenebrata da non poterle ragionevolmente averle formulate.

“Non potevi proteggermi…” sussurro con un filo di voce, un accenno di pianto idiota che mi fa vergognare di me stessa, lui se ne accorge e fa un minuscolo passo verso di me. Il mio corpo non reagisce come vorrei, non si allontana, resta esattamente piantato al suolo dove sono, anzi ho persino l’impressione di essermi spinta più sui piedi, scivolando più in avanti. Proseguo, trattenendo un singhiozzo: “Io… non ho protetto Alex… non ho potuto farlo. E per te è stato lo stesso cinque anni fa… non devi sentirti in colpa o altro…”, sto quasi per aggiungere che potrebbe sentirsi in colpa per ben altre questioni, ma mi trattengo, mordendomi le labbra e distogliendo il viso.

“Dimmelo lo stesso, però…” lo sento bisbigliare con un filo di voce, in un respiro flebile che non gli appartiene “Dimmelo lo stesso… che ti ha fatto?”.

Respiro a fondo, cercando di ricordarmi quei terribili dieci giorni, e non so perché improvvisamente sento che non voglio essere sincera. Voglio mentire, nascondere, celare, cancellare quegli occhi che ha e che non volevo che avesse mai più. Sono stati i giorni peggiori della mia vita, perché negarlo a me stessa? Hayden che peggiorava, la scoperta della gravidanza, il terrore di partorire lì, il disgusto per quello che mi poteva fare Dimitri, la paura che Astoria mi portasse via Alex per usarlo contro Draco, l’angoscia per lui… e poi il buio, la gabbia, le sbarre, la polvere. Senza dimenticare la sera della fuga… le labbra di Dimitri, il suo corpo sul mio, il volo oltre la finestra, lo schianto. Voglio davvero che sappia anche questo? Voglio davvero punirlo per qualcosa di cui non ha colpa? No. Non lo voglio.

Voglio punirlo perché sposa e ama Raissa, non perché ha concesso che mi accadesse questo.

Voglio che si possa difendere… e voglio anche che lui sia innocente, perché così rende innocente me. Io… che non ho salvato nostro figlio.

Quel pensiero si traduce in un ulteriore scoppio di pianto, che reprimo in gola, e che diventa un singhiozzo soffocato che però Draco ode lo stesso. E forse, annebbiato anche lui, ostaggio dell’abitudine di sorreggersi sempre e schiacciato dal pensiero di non vedermi soffrire ancora, mi prende per un fianco e mi attira a sé, abbracciandomi, stringendomi, fino a farmi mancare il respiro. Allaccia le braccia attorno alla mia vita ed affonda il viso tra i miei capelli, piegandosi sulle ginocchia. Sento il suo respiro sul collo, il calco delle labbra che mi resta impresso come se fossi creta, sebbene non mi stia davvero baciando. Ma io già so com’è, ricordo com’era quando mi baciava, e la mia mente mi ripropone l’anticipazione di quella fantasia, facendomi tremare come una foglia. Rimango immobile tra le sue braccia, congelata, raggelata, rendendomi conto che tutto quello che ho fatto fino ad ora, avrebbe dovuto portarmi a restare seduta composta su quel divano, e non qui, tra le sue braccia che ancora profumano di pioggia, di erba bagnata nel mese di settembre. Il mio labbro inferiore trema, lo sguardo fisso nella finestra e nel cielo placido qui fuori, e io resisto, resto ferma, fingo di non essere qui.

E poi, semplicemente, all’improvviso… non ce la faccio più.

È così caldo, così saldo, coì improvvisamente presente dopo anni in cui non lo è stato… che, senza fretta, timorosamente, mi alzo in punta di piedi e chiudo le mie braccia attorno alle sue spalle, reprimendo ancora le lacrime nel fondo dei miei occhi. Non penso a nulla per un momento, a niente, solo che lo voglio vicino, l’ho sempre voluto vicino in questi cinque anni, ed adesso c’è, adesso a suo modo c’è. Chiudo gli occhi, le sue braccia che mi stringono più forte e mi attirano più vicina, e Draco d’improvviso sorride nei miei capelli e dice: “Hai sempre lo stesso odore… i tuoi capelli… usi sempre quel maledetto shampoo alla vaniglia che sa di cupcakes…”. E non so perché è persino giusto adesso che me lo dica, e mi chiedo perché non l’abbia fatto prima, ed è così naturale che mi sembra normale, ed è così tranquillizzante che sorrida daccapo che io sorrido a mia volta, e mi tengo più stretta a lui, perché tanto non mi interessa più niente di niente, se è qui daccapo. E non so nemmeno io che dico, a quel punto, lo rimprovero forse, lo prendo in giro sommessamente o racconto daccapo l’aneddoto di quello shampoo, che è l’unico che ho la certezza assoluta che non sia testato su nessun animale o pianta o elfo domestico. E lui mi dice che se lo ricorda, al supermercato Serenity lo voleva comprare una volta, ma “Raissa odia quel profumo, peggio di come io odiavo la ciliegia”. E per un attimo rido persino, sento solo il calore delle sue dita sulla mia schiena e penso solo ad esso… e poi, così come è arrivata quell’ondata di spontaneità ingenua, se ne va via.

Lasciandomi stupita e stupida, chiedendomi che diamine sto facendo.

Mi sento schiacciata dalle sue braccia, come se soffocassi tutt’un tratto, mentre ricordo tutto quello che dovrebbe funzionare come muro e barriera tra me e lui, ora. C’è Raissa e tutta la maledetta storia che ha con lei; c’è Alex ed il fatto che lui non sappia che sia suo figlio; c’è Ilai e il bacio che ci siamo dati stanotte; c’è il tempo che è scorso tra me e lui, rendendoci estranei. Ed allora comprendo tutta la maledetta idiozia di stare qui a parlare dello shampoo che uso, o delle preferenze che ha Serenity, o di quelle ancora più aberranti alle mie orecchie di Raissa. Sento, d’un tratto, la sua vicinanza come se mi mandasse a fuoco, come se fiamme intense mi corrodessero dall’interno, mangiandomi e consumandomi viva. Al contempo, voglio che si allontani da me… e voglio che mi stringa di più.

Ma siccome questo secondo desiderio è sconvenientemente idiota, mi stacco da lui e mi divincolo con forza. Draco mi guarda senza capire, gli occhi socchiusi e ridotti a due fessure, poi sbatte le palpebre e mette distanza tra me e lui, facendo un passo all’indietro. Gli occhi lucidi che tornano a me e quelli ghiacciati che tornano a lui, sono il segnale che siamo tornati noi stessi.

Quelli formali, ovattati e poco sinceri che siamo dopo cinque anni: ma i soli che, davvero, possiamo essere adesso.

“Dimitri non mi ha fatto nulla…” commento, riprendendo il discorso e portandomi nervosamente i capelli dietro le orecchie, Draco per un attimo sembra che stia per dirmi qualcosa, ma poi abbandona le braccia lungo i fianchi, ascoltandomi apatico “Voleva che io lo desiderassi autenticamente, non voleva costringermi…”, ed era disgustato dal fatto che fossi incinta di te “… ovviamente in dieci giorni non ha ottenuto che nulla di me cambiasse idea… e non l’avrebbe ottenuto nemmeno tra dieci anni…”.

Draco fa un piccolo sorriso, storto, debole, che non gli arriva agli occhi. Scuote il capo e mormora: “Ancora… c’è ancora qualcosa che non mi stai dicendo…”.

“Con le cose che tu non mi hai detto… e che non mi dici ancora… si potrebbe costruire una scala per l’Everest…” ribatto piccata, innervosita dalla cristallinità che ho sempre davanti a lui. Draco fa una risata amara, di gola, priva di allegria, prima di aggiungere: “Facciamo che ti credo… e facciamo che fingo che tu mi abbia detto tutto… e facciamo anche che credo che io non avessi il potere di impedire tutto questo…”, Draco solleva il palmo, fermando le mie ovvie rimostranze, e prosegue, improvvisamente meno arrabbiato e più serio: “Mi devi la seconda domanda…”.

Certo… me ne ero scordata… annuisco, incrociando le braccia nervosamente e sperando che mantenga la promessa di non tirare fuori Alex.

Sono concentrata su un tale numero di possibili cose che avrebbe interesse a chiedermi, che per un attimo, la domanda che mi fa, non raggiunge le mie orecchie, scivola fuori come se fosse acqua. Registro solo la sua espressione serissima, la mascella contratta, gli occhi intenti a trapassarmi da parte a parte come se fossi burro.

“Radcenko… il marito di Tatia…” mormora lapidario, le dita che per un attimo hanno un fremito involontario che tenta di calmare, serrandole “Che cosa siete l’uno per l’altra?”.

Il cuore prende il volo, sbatte contro la gabbia toracica come se volesse schizzare fuori, ed ancora temo di perdere il controllo davanti a lui. Ha l’espressione scavata, gli occhi più chiari che mai, solo lievemente coperti dalle ciocche di capelli bionde. E sembra più alto, improvvisamente, come se mi schiacciasse al suolo, e sembra avere lo sguardo più intenso, come se si divertisse a mettermi a soqquadro la testa. Istintivamente, come una bambina che confessa non avendolo nemmeno pianificato, come se ingenuamente i gesti mi sfuggissero dalle mani prima di rendermene conto, mi porto un dito alle labbra e lo lascio lì, fermo, mentre la mia schiena ancora sussulta della sua domanda. Lo legge subito Draco, lo capisce. Fa un respiro profondo, chiude gli occhi e distoglie il viso, perché con quel gesto inconscio, è come se avessi confessato. Scioccata, stacco la mano dalle mie labbra, la serro dietro la schiena e fisso lo sguardo sul pavimento.

Potrei dirgli che non sono affari suoi… ma a che pro? Non mi interessa che cosa pensa al momento… basta che quello su cui non esprima giudizi, sia la verità. Non una bugia.

E la verità la vomito dalle labbra che conoscono Ilai e non più lui, come se me ne volessi liberare nella maniera più veloce possibile.

“Non stiamo assieme…” dico velocemente, vedo con la coda dell’occhio che si volta e torna a guardarmi “… ma anche se questo non deve interessarti e non devi nemmeno permetterti di aprire bocca… specie adesso… specie per come stanno le cose…”, sospiro ancora e biascico con voce malferma: “Non è un mio amico. Non lo è affatto. E non lo so che cosa sia per me e cosa sia io per lui…”.

Ritengo che sia sufficiente, ritengo che basti: non parlo del bacio, o della connessione che ho anche a livello magico con lui, e non accenno minimamente al fatto che avevo pianificato di andare con lui in Finlandia, prima che succedesse tutto questo. Però, d’improvviso, reputo vitale aggiungere qualcosa e non so se, in questo, sia più forte quello che provo per Ilai o quello che provo per lui. Non so se sto cercando di proteggere Ilai, punendo lui, o se sto cercando di chiarire le cose per impedire che mi si ritorcano contro. Non so nemmeno se è ancora la catarsi di cui parlavo prima.

So solo che, come ho ritenuto impossibile dirgli i particolari della mia prigionia per non farlo sentire in colpa, e come ancora ritengo impensabile dirgli di Alex in queste circostanze, adesso so che deve sapere altro… di me e di Ilai. Perché ho finito di proteggere Draco, a discapito di me stessa. Non dirgli nei particolari cosa mi ha fatto Dimitri, lo protegge ma non mi danneggia, anzi mi fa anche bene non ricordare che cosa mi è successo. Non dirgli di Alex, protegge mio figlio e tanto già basterebbe, se non fosse che protegge anche me. Dirgli di Ilai, probabilmente, gli farà del male… ma a me invece consentirà di riaverlo qui, di fargli sapere che io lo rivoglio qui. Quindi, se mi fa bene, contrariamente a tutto quello che ho fatto in questi anni, io devo dirlo, anche se farà del male a lui.

Alzo il mento con orgoglio e torno a guardarlo. Sebbene le mie intenzioni siano nette, il mio corpo se ne va comunque per conto suo. Arrossisco e pigolo qualcosa di incomprensibile, poi a voce più chiara scandisco: “Ho bisogno di lui… io ho bisogno che Ilai sia qui, adesso…”. Chiudo e riapro la bocca un paio di volte, incapace di proseguire oltre, e distolgo lo sguardo prima di leggere qualcosa in quello di Draco: qualcosa che mi costringerebbe a ritrattare, a mitigare, a accentuare quello che ho detto. Ma la verità, invece, è questa: pura, semplice, netta ed, al contempo, scomoda e sgusciante.

Bisogno: ecco che cosa è, oggi, Ilai per me. E’ un bisogno, al pari di dormire, mangiare e bere. Un bisogno creato dalle circostanze attuali, sicuramente, ma che non cambia natura. È fame di aria nei polmoni, perché lui riesce a farmi respirare; è sete di calore allo stomaco, perché lui riesce a farmi calmare; è insonnia di riposo della mente, perché lui mi mantiene salda in me stessa.

Non so questo che significhi, non so questo che cosa sia, non so se possa chiamarsi amore, affetto, ossessione, attrazione o semplice pazzia.

Ma è un bisogno, adesso, insormontabilmente realizzabile solo da Ilai. Nel bene e nel male, lui è tutto quello che Draco non mi ha mai dato.

E che non ho mai cercato, intendiamoci… nonostante cinque anni fa le cose non fossero facili, non sentivo la necessità di qualcuno che mi mettesse a posto. Ero già a posto: disoccupata, con un brillante destino da cameriera, sconquassata dal presente da babbana, separata dai miei amici e dalla mia vita, e poi innamorata di quello che sarebbe sempre stato l’uomo sbagliato… ero comunque a posto.

Non necessitavo di qualcuno che mi sorreggesse, o mettesse assieme i miei pezzi, se non nel modo quotidiano in cui comunque si ha sempre necessità di dividere la propria vita con qualcuno. E Draco, questo l’ha fatto… per dieci giorni in cui mi sembrava comunque di non avere bisogno di nulla, tranne che di lui, ma l’ha fatto. Però, Pansy aveva ragione: quello era l’inizio, era un passo, ma era solo il primo. L’amore… quello sarebbe venuto dopo. E’ stato sbagliato costruirmi la vita su quei dieci giorni… specie quando ho capito che, adesso, da madre e da donna, io avevo un bisogno diverso. Più viscerale, più intimo, maggiormente legato al fatto che non ero più forte come un tempo… specie adesso. Ron non riusciva a vedermi diversa da quella che sono sempre stata: la ragazzina saccente e sicura, che fingevo di essere. Per questo, lui non placava quel mio bisogno che, per molto, non ho saputo nemmeno esistente, concentrata com’ero su Alex. Draco, forse, potrebbe anche farlo, ma parliamo ormai di ipotesi: avrei dovuto fare un atto di fiducia se Raissa non fosse mai esistita, figuriamoci adesso. Ilai ci riesce, senza che nemmeno pensi di chiederlo. Per questo, è la sola persona di cui sento davvero di avere necessità estrema adesso. Anche Dean, ovvio, mi tratta così, contrariamente a Seth… ma lui ha Pansy e Charisma. Ed è giusto che io non mi appoggi a lui. Ilai, a sua volta, ha solo me.

Dopo qualche secondo, in cui Draco è rimasto in perfetto silenzio e io mi sono limitata a seguire le linee concave del legno di frassino della libreria, la sua voce mi richiama indietro. La tiene ferma, salda, apparentemente sicura, ma dentro ci vibra qualcosa di sordo che stride nelle mie orecchie come unghie sul ghiaccio.

“Bè, è naturale che tu abbia bisogno di qualcuno…” dice quieto, provocandomi un sobbalzo nello stomaco. Lui… quieto non lo è mai. E difatti non lo è nemmeno adesso, non ho neanche bisogno di guardarlo. La sua voce è chiara, certo, ma ha accentuato la parola bisogno con un tale disgusto e nausea che mi fa immediatamente stringere i pugni e contrarre la mascella.

“Mi chiedo solo come prenderà Weasley questo tuo attaccamento…” commenta con voce accorata, siglando ogni parola con ulteriore malcelata antipatia “In fondo, da quello che mi hai detto… hai vissuto con lui per cinque anni… e sono bastate, quanto, due o tre settimane…  e sei invece totalmente dipendente da uno che conosci appena… e che era anche sposato…”.

In quattro secondi, Draco brucia come carta ogni mia resistenza ed ogni mio tentativo di stare calma. Ha scelto ogni parola, ogni dannatissima parola, con l’attenzione di un avvocato che fa un’orazione, cosa che mi fa gemere di nervosismo e respirare come se temessi di prenderlo a schiaffi da un momento all’altro. Ha tirato nella conversazione Ron, quando a lui non è mai fregato niente di lui. Mi ha definita dipendente da Ilai, in modo che il mio orgoglio d’istinto volesse sputargli contro che io non sono dipendente proprio da nessuno. Ha accentuato e sminuito il tempo che è passato da quando ho conosciuto Ilai, così che potessi chiaramente sentirmi un’imbecille che investe tanto in un rapporto che dura da così poco. Ed ovviamente ha anche sottolineato che lui era sposato, così che potessi sentirmi davvero una sciocca ragazzetta cresciuta che si aggrappa a chiunque le stia vicino. L’arte mirata dell’insulto travestito l’ha sempre padroneggiata meglio di me. Ed io, non ho mai nemmeno pensato di impratichirmi con la dissimulazione: perché, difatti, ogni suo insulto va dritto al punto, nella parte più morbida del mio cuore maciullato, nella zona più esposta del mio rimpianto, nel fianco più scoperto del mio ricordo.

Mi volto infuriata, stringendo i pugni, i capelli che mi fustigano il viso, e per un attimo distinguo un sorriso becero e sardonico sul suo volto, come se si aspettasse a breve la mia reazione. Ma ormai sono già sul piede di guerra e nulla potrebbe fermarmi adesso, neanche quella sfumatura lievemente malinconica che ha il fondo delle sue iridi grigie. Hai bisogno di un altro… e non di me. Questo dice. Ma ovviamente è così sepolta che faccio ben facilmente finta di ignorarla.

“Non credo che tu sia la persona più adatta a discutere dell’andamento delle mie relazioni sentimentali…” biascico nervosamente, non preoccupandomi nemmeno di tenere la voce bassa. Draco sorride, stringendo le palpebre, e mi guarda di traverso: “Siamo già arrivati a relazioni sentimentali? Se insisto qualche altro secondo, probabilmente arriverò a sapere il colore delle bomboniere che avete scelto…”.

“L’unico qui che può parlare di bomboniere e relazioni, sei tu!” urlo finalmente, graffiandomi la gola “O ci stiamo dimenticando che sei tu quello che si sta per sposare…?!”.

Mi aspetterei, non senza una certa soddisfazione, che Draco assumesse un’espressione colpita, offesa e vergognosa; che si chiudesse nell’angolo ed incassasse il colpo. Incrocio persino le braccia, mettendo su un sorriso appagato, ma ho ancora dimenticato che Malfoy non è la persona che asseconda le mie aspettative. Mai. E difatti mi sorprende anche stavolta: senza battere ciglio, senza manco cambiare espressione, si passa annoiato una mano tra i capelli e blatera profondamente scocciato: “Ancora con questa storia? Sei rimasta seccante come sempre… peggio di un martello pneumatico…”.

“Ancora con questa storia?!” biascico scandalizzata, guardandolo incredula “Mi stai facendo un processo per Ilai… e tu… tu ti stai per sposare! Lasciamo stare che non è nemmeno normale ed opportuno che tu mi faccia domande su me e lui, e lasciamo anche stare come mi sia saltato in mente di risponderti… ma che ti permetti anche di fare commenti?! Tu, che ti stai per sposare con quella?!”.

“C’è mai stato qualcosa di normale ed opportuno tra me e te?” commenta Draco serio, dismettendo l’espressione ironica ed indossandone una intensa e desiderosa di frugarmi dentro, al punto che sono costretta a stringermi nelle braccia, quasi per proteggermi dal flusso di ricordi che mi colpisce subdolo “Sei sempre stata tu quella che badava a ciò che era giusto fare… a me non è mai fregato nulla di questo… se ho una domanda da farti, te la faccio… allo stesso modo, ora, ho una risposta da darti e te la darò… anche se tu, quella delle cose opportune, non chiederesti mai nulla…”.

“Una risposta?! Su che cosa?!”.

“Me e Raissa…” biascica con ovvietà, roteando gli occhi nervosamente “Ti stai rodendo il fegato per saperlo, ma, come sempre, non ti azzarderesti a fare una domanda diretta nemmeno se ti puntassero la bacchetta alla gola…”.

Punta sul vivo, mi rendo conto che effettivamente l’ho nominata troppe volte per lasciargli intendere che sia indifferente alla questione. In ogni caso, incrocio le braccia con rabbia e sputo fuori velenosa: “Forse perché me ne frega poco di te e Raissa…”.

“O forse perché te ne frega troppo…” commenta lui annoiato, guardandosi le unghie con un’espressione saputa che mi manda il sangue alla testa “Te ne frega al punto che la nomini ogni tre secondi, ma non sia mai che questo io lo capisca, no?”. Ovviamente ci ha preso in tutto, è naturale che me ne freghi di lui e Raissa, ma non voglio assolutamente che capisca fino a che punto. Odio essere rimasta così dannatamente trasparente ai suoi occhi, ed odio anche e soprattutto parlare di queste cose in un momento come adesso: dovrei solo correre fuori a cercare Alex. Eppure, ho i piedi incollati al pavimento. Se poi contiamo che sono vagamente e trucemente rassicurata dal fatto di non poter fare nulla per Alex fino a quando Dean non torna… bè questo spiega perché il mio: “Non dire sciocchezze… se non l’hai capito ho cose ben più importanti a cui pensare…” suoni così debole e fiacco, mentre volto il capo dall’altra parte.

Draco, minimamente impensierito, fa qualche passo e torna a sedersi sul divano, il sole che lambisce per un attimo i suoi occhi e li rende lucidi specchi. Con voce monocolore, riprende: “Ok, d’accordo, lo accetto… diciamo che sono io quello che sale sul palco e racconta la sua vita adesso, dopo che ti sei lamentata per circa quarantacinque minuti… me lo devi un bel momento alla “come eravamo”, no?”.

“Non ti devo un bel niente…” biascico ancora, stavolta più decisa, incrociando meccanicamente le braccia.

“E allora io parlo alla credenza e tu semplicemente aspetti che torna quello di cui hai bisogno, ok?” dice melenso, con la faccia da schiaffi peggiore di questa terra, specie nello scimmiottare daccapo il modo che ho usato per chiamare il rapporto tra me ed Ilai “È un bel compromesso… puoi persino fingere che non mi stai ascoltando e io posso persino fingere di essere impazzito e di stare parlando da solo…”. Rassegnata, sospiro a lungo e decido di tornare a sedermi al mio posto, non prima di aver borbottato acida: “Fai come dannazione ti pare… basta che ti spicci…”.

Draco, contrariamente alle premesse, si prende qualche minuto per formulare le parole giuste: spio con la coda dell’occhio le sue ciglia biondissime fremere e muoversi convulsamente, sopra gli occhi agitati, mentre resta immobile a guardare il tavolino del salone con espressione concentrata ed, al contempo, assente. Credo di essermi incantata qualche secondo, perché quando riprende a parlare, sollevando lo sguardo e beccandomi a guardarlo, ho un piccolo sobbalzo. Lui risponde con un sorriso che non riesce a cancellare, cosa che mi fa sentire una ragazzina di cinque anni, poi si schiarisce la voce, dicendo: “Cinque anni fa… quando ho incontrato te… anzi, quando ho incontrato Astoria che fingeva di essere te… non è stato bello. Mettiamola così…”.

È incredibile come, nella sola parola bello preceduta da una negazione, sia riuscito a mettere tutto quello che deve aver provato: ho sentito la confusione, la rabbia, il dolore, la sofferenza, tutto. Tutto, nel semplice tremito della voce nel formulare quell’aggettivo… mi stringo nelle spalle e sposto senza necessità alcuna il peso da una gamba all’altra.

Draco prosegue, come se non si fosse accorto dei miei movimenti, apparentemente così perso nelle sue parole da non dare peso a me: “Lei ha detto tutto quello che io temevo di sentirti dire ed, al contempo, tutto quello che la parte peggiore di me sperava che tu dicessi, così da costringermi a vivere nella maniera asettica in cui sono sempre vissuto da quando è morta Helena… sono stato sollevato e devastato allo stesso modo. E sollevato di essere devastato e devastato per essere sollevato… e sebbene mi sia successo tanto… tutto, in questa stramaledetta esistenza… non ero più me stesso”. Fa una pausa che occupa lanciandomi una lunga occhiata obliqua, intrisa di qualcosa che non riesco a spiegare, e che somiglia ad una dolcezza guasta che mi scivola dentro, anche se non vorrei.

“Avrai sofferto di più tu, Granger, ovvio e naturale… ma io… come dirlo…” lo vedo cercare a disagio le parole, fino a che si illumina e dice stoico: “Ecco, mi sono perso…”.

Perso… quel maledetto aggettivo mi riporta indietro di cinque anni. Alla sensazione che provavo al Petite peste, ai primi contatti con lui, al momento in cui mi aveva parlato in terrazza, al nostro primo bacio.

È una sensazione orribile, da stringere la gola e da farmi desiderare fuggire dall’altra parte del globo.

Ma trattengo il fiato, respiro a lungo e cerco di calmarmi, imponendomi di ascoltarlo. Dopo che mi hanno portato via Alex, la portata delle brutte sensazioni si è decisamente attenuata.

Draco, intanto, prosegue, sbatto le palpebre e scaccio i ricordi, ascoltandolo: “Quando Helena è morta, ero ben cosciente di chi ero: ero un maledetto bastardo che l’aveva fatta morire e che doveva vendicarla. Quando tu te ne sei andata, io non sapevo chi diamine fossi. L’apatia era un insulto a te e ad Helena, che avete sempre voluto che io vivessi… la vita era una bestemmia a me, che non volevo nemmeno sentirne parlare… e in tutto questo, in tutto questo… la cosa migliore era bere, ubriacarsi, e non pensare, così da non dover decidere...”.

Non sta indorando la pillola, ovviamente, ed immaginarlo così mi fa sentire d’improvviso ancora peggio di quanto già non mi sentissi. Draco solleva lo sguardo, mi incatena ai suoi occhi e mi obbliga a non fuggire, mentre dice fermamente, non abbandonando il mio viso, il sole che lo illumina da dietro come se fosse davvero su un palco: “Tre mesi… ho passato così tre mesi. Nel sollievo di non dover decidere ancora… e nel sollievo che Raissa era con Serenity…”. A quel nome, trasalgo, chiudo gli occhi e mi serro nelle spalle, una spina nel fianco che riprende a pulsare.

Quando riapro gli occhi, Draco è ancora lì, di fronte a me, seduto sul divano, i gomiti poggiati sulle ginocchia e le mani che, come prima, sfregano l’una sull’altra. Vaga sul mio viso per un attimo, gli occhi leggermente spalancati, poi sussurra velocemente: “Lei mi aveva seguito, si era presa cura della bambina, mi portava a letto quando rientravo stravolto…e io… gli ero grato. E basta. Era solo gratitudine, solo amicizia, solo… questo… e certo, ora so che mi dirai che lei mi sorvegliava per Dimitri, che amava Radcenko… ma in fondo, non mi interessa. L’ha fatto… e tanto basta. Mi ha usato e io ho usato lei… sono almeno cosciente di questo… non come altri che si usano a vicenda e nemmeno hanno l’accortezza di ammetterlo a sé stessi…”.

Quell’ultimo commento mi fa drizzare seduta come se fossi colpita da una scarica elettrica: “Se stai parlando di me ed Ilai…”.

“Sto parlando di me, adesso, Granger… piantala con il tuo egocentrismo…” mormora lui, rimettendosi seduto con la schiena poggiata al divano e le braccia incrociate, prima di continuare con un sorriso sbruffone: “…ma la tua coda di paglia è sommamente interessante… giuro che ci tornerò sul punto…”. Non so che cosa mi trattenga dal gettargli qualcosa contro, forse il fatto che il vaso di cristallo sul tavolo costerà decine di sterline e non glielo ripagherei mai. Trattiene quel sorriso da schiaffi per un po’, per poi proseguire atono: “Comunque, andiamo avanti, non sia mai che la credenza si annoi e non mi ascolti più… dopo tre mesi, qualcosa è cambiato. Non so nemmeno io quando e come… o forse lo ricordo ma non credo che siano affari tuoi e te lo dico ben apertamente senza scivolarci sopra, sperando che tu non te ne accorga, come hai fatto tu...”, ancora, sono presa dall’insana voglia di lanciargli una scarpa appresso. Peraltro… tre mesi dopo… facendo un po’ di calcoli, era ottobre, no? Più o meno quando mi sono svegliata in Italia… ed era il periodo del compleanno di Serenity. Ecco che deve essere successo, qualcosa al compleanno di Serenity. I suoi misteri li può decisamente nascondere meglio. “Bè, tre mesi dopo, mi sono reso conto che non poteva andare avanti così…” continua Draco, guardando le sue scarpe e non più me, evidentemente maggiormente coinvolto da quello che mi sta dicendo “E non per me, non per te, non per Helena… ma per Serenity, per mia figlia. Lei sarebbe cresciuta senza di me ed io sono la sola famiglia che aveva e che ha. E lei è la sola famiglia che io ho. Potevo esistere per lei, come avevo sempre fatto, ma vivere davvero questa volta… sforzandomi di farlo per lei. E sperare che un giorno avrei potuto vivere anche per me stesso. All’inizio non sarebbe stato facile, naturale… ma poi chissà, poteva anche venirmi più semplice nel corso del tempo. E nel corso del tempo lo è stato… più semplice, intendo… ci sono giorni, momenti, attimi, in cui la vita che ho fatto e che faccio… mi piace persino. Ed in questo, non c’entri tu, non c’entra Raissa e non c’entra nemmeno Helena. C’entro io… e c’entra Serenity. Sono… e credimi mi fa anche paura dirlo… sono felice di farle da padre…”. Nonostante tutto, nonostante abbia sempre e comunque voglia di buttargli qualcosa contro, non posso fare a meno di sentire una stretta piacevole allo stomaco. Ho sempre desiderato che considerasse Serenity come sua figlia, ho sempre voluto che dicesse che aveva desiderato vivere almeno per lei. Per un attimo, sciocco come tutto oggi, quando si tratta di me e di lui e dell’altalena emotiva a cui ci stiamo sottoponendo, mi sento persino fiera di lui. Sorrido per la prima volta autenticamente da quando l’ho abbracciato, e sussurro incerta: “M-mi fa piacere… magari non ci credi nemmeno, ma…”.

“Ho sempre saputo quando sei sincera e quando non lo sei, Granger…” mi sorride a sua volta, timidamente, piano, come un’alba di gennaio. E mi fa sciogliere il cuore, davvero. Dio, è possibile amarlo ancora in questo modo? Basta che abbia solo un sorriso come questo… e già mi devo attaccare i piedi al pavimento per trattenere l’impulso di baciarlo? Seguo a disagio, il cuore che mi sfonda le orecchie, la linea del suo sorriso, la forma delle sue labbra e mi ricordo distintamente il sapore che avevano. Imbarazzata, arrossendo, distolgo lo sguardo e biascico duramente quasi: “Avresti dovuto rendertene conto prima… ma è bello che adesso la consideri a pieno diritto tua figlia…”.

“Non è stato facile…” sussurra in modo sofferto, respirando a lungo “Non lo è mai, specie quando ricordo che la mia felicità… o quella che ci assomiglia, mettila come vuoi… io l’ho strappata ad Amos. Ma in quei giorni… ed è qui che arriviamo alla parte non normale e non opportuna… quella dove ancora dopo cinque anni, mi sento in vena di darti spiegazioni che non dovresti avere… bè, in quei giorni, ecco…c’è o meglio c’era… Raissa…”.

Ed eccomi strappata di nuovo dal momento di miele, che mi ero erroneamente dipinta addosso. Ma che strappata… violentata, cacciata fuori, gettata in mezzo ad una strada in una notte di tempesta furiosa. Il volto mi va in fiamme e torna l’impulso di scappare via lontana, non posso farcela, non credo di farcela. Non voglio particolari, non so che farmene.

Se mi dice che ci è andato a letto, se me lo confermano le sue parole… non potrei sopportare di sapere che io e Raissa abbiamo condiviso la sua pelle che era solo mia.

Se mi dice che la ama, poi…

… non ci voglio nemmeno pensare a questo.

“Io non ho bisogno di sapere che c’è tra te e lei… vi sposate, no? Credo che sia chiaro tutto… che altro devo sapere?” urlo con voce stridula, alzandomi in piedi e facendo segno di volermi allontanare.

“Nemmeno io avevo bisogno di sapere di te e Radcenko…” schiocca lui la lingua, parlando con voce torbida e tagliente. Si alza in piedi a sua volta, dopo aver seguito i miei movimenti: “Ma si dà il caso che tu me l’abbia detto lo stesso… quindi chiariamo le cose, adesso, come mai siamo stati in grado di fare, Granger… non voglio incontrarti tra altri cinque anni e sapere, di nuovo, che oggi non ti ho detto nulla e ti ho nascosto qualcosa…”, fa una pausa e qualcosa sembra passargli rapido sul viso. Qualcosa che improvvisamente me lo fa percepire più luminoso, più bello, meno arcigno. Sussurra: “…e poi in fondo…”.

“Cosa?” dico con un filo di voce, aggrappandomi allo schienale del divano, catturata dalle sue parole come una stupida falena con la fiamma.

Draco sospira e sembra quasi sconfitto, mentre soggiunge: “In fondo è ancora stupidamente, maledettamente e dannatamente seccante parlare con te… eppure ancora stupidamente, maledettamente e dannatamente… io non riesco ad andarmene da qui…”.

Il cuore, ancora, mi schizza in gola. Perché, secondo te, io riesco ad andarmene da qui? Annuisco e basta con il capo, stringendo forte il tessuto del divano e piegando il collo, così da non guardarlo in faccia.

“Non ti dirò bugie, verità plastificate o elusioni preconfezionate” riprende dopo qualche secondo di silenzio, rotto solo dal rumore dell’orologio “Eccotela la verità… sposare Raissa è una cosa ben diversa, lontana anni luce da quello che c’è tra me e lei… non c’entra nulla. È firmare un pezzo di carta, fare un po’ di scena… ed avere la certezza che Serenity resti mia figlia… anche se lei, con me, non ha nulla in comune”. Resto immobile, come se mi avessero messo in naftalina, improvvisamente la testa diventa nebulosa e fosca nei pensieri che arrancano ed annaspano. Lo guardo senza capire, qualcosa di assurdo che mi accende dentro una fiammella tremula, e che somiglia clamorosamente alla… speranza. La speranza… e io, adesso, non sapevo nemmeno che sapore potesse ancora avere nel mio cervello. Ha dei contorni così malinconicamente dolcissimi da ispirarmi curiosamente il pianto, al punto che sono costretta a nascondermi la bocca dietro il palmo della mano, come se questa semplice mossa mi aiutasse a respirare meglio e a reprimere le lacrime. Non so a che somiglia questa speranza, somiglia d’improvviso alla sensazione calda di una casa dal tetto rosso, di un vaso di gerani in giardino, di una mano stretta su un’altalena, di una risata sfuggita nello stesso momento, di una torta bruciacchiata che si mangia comunque. Assomiglia a quei farinosi ragionamenti che facevo in Italia, che manco erano ragionamenti, ma fantasie… ed erano fantasie di famiglia. Io… Draco… Alex… Serenity.

Ritrovo un battito diverso del cuore, un colorito acceso, una foga eccessiva nell’attendere che parli, un tremito convulso delle dita. Draco, a quelle mie manovre, però, distoglie lo sguardo e continua inespressivo: “Serenity non è una Malfoy, non è una Black. E’ una Diggory… ed è una Greengrass. E tu forse l’hai dimenticato… ma quella famiglia… è alla canna del gas. E se mettessero le mani su Serenity, sulla sua eredità come figlia di Amos… io distruggerei l’ultimo desiderio di Helena, rovinerei la vita di mia figlia… e distruggerei la sola cosa che davvero mi è rimasta…”.

“N-non capisco… spiegati…” chiedo esitante, la speranza cresce, diventa una specie di pallone che si gonfia nel petto, mi sento sospesa su un ciglio da cui so che potrei solo volare via o sfracellarmi al suolo.

Draco, inarcando un sopracciglio, mormora sarcastico, guardandomi di traverso: “Adesso siamo allo spiegati impaziente… non mi stava ascoltando solo la credenza?!”.

“Malfoy…” lo riprendo nervosamente, eppure un sorriso scemo mi scappa lo stesso. Lo caccio subito via, cercando di recuperare il controllo… non mi ha detto niente, in fondo. Ma Raissa… lei potrebbe anche aver mentito… e lui, allora… basta, ascoltalo e basta, Hermione.

“Non siamo diversi io e te…” sussurra Draco, dandomi d’improvviso le spalle e guardando fuori dalla finestra “Ed è per questo che ci siamo anche…”, sussulto, mi stringo nelle spalle, annegando nel suo silenzio imbarazzato che delinea una sola parola: innamorati. Non siamo poi così diversi, ecco perché ci siamo innamorati, questo stava dicendo. Ma quella parola… amore… con tutte le sue coniugazioni e declinazioni, è sempre stata così viscida tra me e lui, ed al contempo così distante dal descriverci nonostante tutto, che l’abbiamo sempre evitata. Anche adesso… nulla è cambiato.

“…ma non è questo il punto…” Draco sospira e continua atono, rivolgendosi al sole che ha raggiunto intanto lo zenit nel cielo, infiammando questa mattina di luglio “Tu hai finto di essere sposata con Weasley, perché così proteggevi anche tuo figlio e per me è sempre stato lo stesso… quando mi sono ripreso, ho desiderato venire qui, nella casa che Helena amava guardare quando ci incontravamo sulla spiaggia. Mi sembrava il giusto punto da cui ricominciare, era come cucire uno strappo, o meglio aprire di più le ferite così da farne uscire il pus. Cominciando qui, immergendomi nel dolore di averla persa… potevo farci i conti con questa cosa. Finalmente. Avevo notato mesi fa… proprio il giorno in cui sei piombata al Petite Peste… che la casa era in vendita… ed ho deciso di comprarla. Il padrone di casa si ricordava distintamente di me e di Helena, lei, poco prima di morire, aveva fatto un’offerta per la casa stessa, quindi in sua memoria mi ha favorito nelle varie offerte, mi ha fatto un buon prezzo, ha accettato un pagamento rateale dato che non ho più accettato nulla dal Ministero. Mi sono stabilito qui con Serenity e Raissa… lei… restava con me perché diceva che aveva problemi con Dimitri. E io l’ho lasciata fare… ebbene, qualche mese fa… il padrone della villa è morto, sostituito da suo fratello nella proprietà della dimora. Io ho sempre chiesto la cortesia al vecchio proprietario di pagare le rate della villa a nome di Helena, allo scopo di non lasciare alcun genere di informazione riguardo a me, né come Danny Ryan, né come Draco Malfoy. Ma, mentre il vecchio padrone di casa accettava sommariamente la transazione, suo fratello per delle irregolarità ha deciso di chiamare Helena, non sapendola morta. Così inevitabilmente i Greengrass hanno saputo che qualcuno sta facendo acquisti a nome di Helena. Non so quanto manchi prima della scoperta dell’esistenza di Serenity. Sarei potuto scappare ancora, certo, ma io ormai…. volevo risolvere la questione una volta per tutte, adottando finalmente in modo legale Serenity così che nessuno me la possa togliere. Ma per farlo, dovrei dimostrare che la bambina, oltre a trattarmi come suo padre e ad essere cresciuta in modo sano ed equilibrato, abbia anche una donna che considera sua madre: in questo Raissa era al posto giusto al momento giusto. Le ho chiesto di fingersi sua madre, e ho anche chiesto a Serenity di chiamarla così, in modo da poter legalmente dimostrare che è cresciuta con noi…”. Tutto… tutto sembra avere un posto adesso… le parole di Serenity sotto il Veritaserum, il fatto che la chiamasse mamma, ma da poco tempo… era per… questo…

“Ho sperato così di poter prendere tempo con i Greengrass offrendoli del denaro… fino a quando avrò sposato Raissa ed avrò adottato Serenity…” Draco si volta finalmente a guardarmi, ha un sorriso un po’ più triste e qualcosa che, ancora, tace nell’espressione. Ancora… c’è qualcosa che non mi sta dicendo “Quindi… come vedi… non è esattamente la favola degli anni duemila… è una persona che tiene a me e a Serenity… o ci teneva, fai come ti pare… e ha accettato di farmi questo favore… vedila come diamine vuoi. L’avrà fatto per tutti i motivi che credi… ma l’ha fatto, o meglio l’avrebbe fatto. E a me tanto bastava. E basterebbe persino adesso… se non avessi saputo di tuo figlio… e del fatto che potrebbe mettere in pericolo anche Serenity…”.

“L’hai… usata… per questo… hai fatto la stessa cosa che hai fatto con Astoria…” commento instupidita, non sapendo d’improvviso che dire, la gola secca.

“Serenity è la cosa più importante della mia vita…” dice lapidario Draco con sguardo sprezzante “Credi forse che non avrei sposato anche il diavolo in persona se non avessi avuto la certezza di tenere lei?!”.

“… ma non era così, vero?” lo interrompo d’un tratto, la speranza che si accuccia in un angolo della mia mente. Il paragone con Astoria ha messo sinistramente in moto il mio cervello. Non era come con lei, non era come con lei… Astoria… lei non avrebbe avuto foto sulle pareti, uno spazio nel suo bagno, un posto nella sua vita. L’avverto subito… come una cosa diversa. Non che mi sarebbe andato bene che avesse usato anche lei, ma considerando che Raissa comunque l’avrebbe sposato, solo per controllarlo ed amando Ilai… bè, la speranza mi avrebbe spinto persino a perdonarlo. Ma non è solo questo… dannazione, non è solo questo. Astoria era un’inquilina mal sopportata nella sua esistenza. Raissa era diventata padrona e regina, al punto da togliere persino alla memoria di Helena il nome di mamma di quella bambina. E so che Draco ci bada tanto, troppo, a queste cose. Non avrebbe mai… lasciato che Serenity chiamasse una qualunque estranea così.

Non avrebbe mai lasciato che lei entrasse così tanto nella sua vita, solo per un mero calcolo anche se indirizzato a proteggere sua figlia.

No… c’è dell’altro… le spalle mi si afflosciano, Draco mi guarda con l’espressione dura, quasi di sfida, mentre biascico più a me stessa che a lui: “Non stavamo parlando solo di un matrimonio interessato… o mi sbaglio? Hai detto… che non c’entrava con quello che c’era tra voi, no?”.

“No…” mormora stentoreo, chiudendo i pugni “Non c’entrava e non c’entra… probabilmente, se non ci fosse stata questa cosa… la storia di Serenity e dei Greengrass… non avrei mai chiesto a Raissa di sposarmi. O l’avrei fatto tra chissà quanto tempo… o l’avrei fatto con un’altra donna… ma lei era qui, e quindi…”.

“Ma lei non era qui solo perché era superficialmente interessata alla tua salute, o perché amava la spiaggia…” lo interrompo di nuovo, innervosita, sta girando attorno alla questione ed è come essere una mosca che sbatte contro un vetro. I palmi delle mani mi sudano, la testa mi scoppia e la speranza incancrenisce, diventando un fango melmoso che mi nausea: “E non rimaneva qui, nemmeno per controllarti con te che la pativi in modo insofferente… era qui anche perché tu la volevi qui…”. Concludo con un filo di voce, sapendo che ci ho azzeccato in pieno.

Aver bisogno di Ilai. Volere che Raissa resti qui. La stessa cosa: siamo proprio uguali.

Ricaccio quel pensiero con rabbia, che idiozia… non sarà mai la stessa cosa.

Draco annuisce spavaldo, guardandomi dall’alto in basso. Sì, la voleva qui.

“Ne sei innamorato?” chiedo nervosamente prima di rendermene conto, dopo aver fatto qualche passo ansioso nella sua direzione ed essermi parata di fronte a lui minacciosamente.

“Che vuol dire innamorato?!” ride lui, in tono derisorio, guardandomi come se fossi un insetto o una bambina stupida “Mi chiedi se era come era con te? Stai diventando improvvisamente prodiga di domande…”.

“Lasciamo stare me allora…” concedo con tono accondiscendente, ma credo che in realtà io questa risposta non la voglio proprio, non sopporterei che mi dicesse di sì. Ma che dico… non sopporterei nemmeno che paragonasse le due cose. Borbotto pedantemente, irritata persino dalla mia voce: “Era come con Helena?”.

“No…” risponde rapido, veloce, senza nemmeno pensarci su, poi prosegue indifferente, come se stesse parlando del tempo, ogni sua parola mi si conficca dentro come una scheggia “E’ sempre stato sesso quando eravamo tristi, e tenerezza da amici del cuore quando eravamo vicini alla felicità. Questo è stato…”. Le gambe mi tremano, gli occhi mi si eclissano e le sue parole sbattono nella mia testa come le onde del mare. Lo sapevo, me l’aveva già detto Raissa, l’avevo già intuito da questa casa… ma, ora… non c’è appello, revisione, terzo grado, grazia, perdono. Niente. Ora davvero sono conscia che sia tutto vero, ed ora che lo so, ora che ce l’ho davanti con quegli occhi grigi pieni di provocazione silente, provo una tale nausea che sento ogni parte di me contorcersi. Temo persino di essere diventata bianca in viso. Ma lui non se ne accorge, non se ne preoccupa, stringe solo le labbra sottili e mormora distaccato: “Che c’è? Non capisci come sia possibile? Vuoi uno schemino? Non è lo stesso bisogno che tu hai di Radcenko?”.

Il sangue che mi va al cervello, sibilo: “Non osare mettere a paragone le due cose, non c’entra assolutamente n…”.

“Perché?! Eh, perché?” mi interrompe, e stavolta è lui ad urlare, è lui ad avvicinarsi a me con aria di minaccia, è lui che non cerca nemmeno di trattenere per un istante la sua rabbia “Perché lui ha l’aria da tenebroso e dannato e ha perso sua moglie, e io invece sono uno stronzo della peggiore specie?! O perché Raissa è un’assassina e tu sei un’eroina da guerra?! Eh, perché sarebbe diverso?! Perché?! Me la sono scopata e mi è piaciuto farlo, mi faceva stare bene, mi annullava il pensiero… e di giorno si prendeva cura di me come una mogliettina affettuosa. Cosa c’è di diverso dal tuo bisogno? Cosa? Io di te non mi sono preso cura… e neanche tu di me. Non ne abbiamo avuto il tempo, benissimo… sarà anche non stata colpa nostra. Ma se Raissa è riuscita a farsi strada dentro di me, e Radcenko ce l’ha fatta con te, perché credi che sia successo? Eh, perché? Perché non ci siamo mai dati quello di cui avevamo davvero bisogno, eccotela la realtà… e l’avrai pensato anche tu, no? Lo so, ci scommetto, te lo leggo scritto in faccia…”.

Taccio, assimilando il colpo: ha ragione, ha maledettamente e stupidamente ragione. Eppure non riesco ad accettarlo, non riesco a pensarlo, non riesco ad immaginare… che io e lui… non siamo stati nulla di diverso da una storia stupida di dieci giorni. Le lacrime mi sgorgano improvvise, scoppiando sul viso come fuochi d’artificio, e d’un tratto vorrei ancora parlare, dirgli di più, dirgli tutto, e non di Alex, ma di me, della vera me, delle notti con Ron, delle novecento tredici lettere, dell’Italia che mi toglieva il fiato, della paura dell’acqua, delle rose, della gelosia per Pansy e per Dean, di ogni dannato momento in cui ho ripensato a quei dieci giorni e me li sono fatti bastare come se fossero stati dieci anni. Dilatavo minuti, distorcevo ore e mi bastava, mi bastava. Ed ora, invece… a che è servito? A che è servito tornare qui? A far rapire mio figlio? Ad uccidermi il cuore… a cosa diamine è servito… non è stato sesso con Raissa… quello… forse un giorno, con il mio bambino vicino, lontana dalla repulsione per la rapitrice di nostro figlio… forse, dico forse, l’avrei accettato…  ma non… tenerezza da amici del cuore… cosa diamine è? Forma edulcorata e stanca di amore? Patetico pudore di non chiamare le cose con il loro nome? Ultima difesa del moribondo sentimento che ci ha uniti? Che cosa diamine è?

Una parte di me, mentre singhiozzo, mentre lui mi guarda quasi digrignando i denti, restando freddo e convinto che come sempre io stia facendo due pesi e due misure, mi suggerisce che anche io ho fatto lo stesso. Anche io ho promesso ad Ilai di stare con lui, anche io mi sono fatta abbracciare da lui, anche io ho lasciato che mi entrasse nel cuore… ma è facile mandarla via questa parte codarda di me stessa.

Io ho davvero ceduto solo ieri sera, baciando Ilai. Ieri sera… dopo cinque anni.

Lui ha ceduto tre mesi dopo avermi lasciata… ed io… ero ancora in coma in Italia, incinta di suo figlio.

Glielo vomito addosso, pazza, ormai non più conscia di me stessa in nulla: “Con la differenza che per me questo è successo ieri sera… ieri sera, maledizione, ieri sera ho lasciato che mi baciasse… non cinque anni fa…”.

“E invece tuo figlio è stata una scopata occasionale? O te l’ha portato la cicogna?”.

Lo dice di nuovo con una risata sardonica, crudele, malvagia. E capisco che mi ha mentito la sua faccia, il suo viso, i suoi occhi… ha notato di Alex, ha notato che non è figlio di Ron, ha notato che non è nemmeno figlio di Ilai. Ma non ha concluso per quella che era la soluzione più ovvia del rebus, se solo davvero mi conoscesse, se solo davvero sapesse di me e di questi anni e quindi potesse intuire che poteva essere solo il suo di figlio.

No.

Stava con un’assassina che amava un altro e gli andava bene, gli andrebbe anche bene adesso, se non avesse messo in pericolo Serenity.

Ma io… io che sono madre di suo figlio, io che ho baciato solo due uomini dopo di lui ed entrambi, in modo diverso, per salvarmi la vita, perché anche Ilai la vita me l’ha salvata…

Io… che l’ho amato sempre in cinque anni, senza dubbi, senza scappatoie e senza incertezze.

Io, invece, sono una puttana che mi sono fatta qualcuno una sera, al punto da concepire un figlio.

Lo schiaffeggio con tutte le forze che mi sono rimaste, sibilando poi, colma di odio: “Non ti azzardare a nominare più mio figlio”.

Resta immobile, il mio schiaffo non lo sposta nemmeno di un passo. Si massaggia solo la guancia arrossata, socchiude gli occhi e mi guarda come se stesse per sputarmi in faccia: “E tu non ti azzardare a rimettere piede qui… aspetta Radcenko, sposatelo, fai quello che ti pare… basta che te ne vai da qui…”.

“Me ne sarei andata ore fa… se non fosse stato per te e Seth…” aggiungo, facendo qualche passo indietro ed asciugandomi nervosamente il viso “Io non ti perdonerò mai. Mai…”.

“Non mi pare di avertelo chiesto…” soggiunge a voce bassa, guardandomi con sussiego “Non sei la dispensatrice del perdono universale, Granger… vattene via di qui… e lasciami in pace una buona volta…”.

Non me lo faccio ripetere due volte: non lo guardo neppure un’altra mezza volta, mi volto su me stessa ed attraverso correndo il salone, aprendo la porta con rabbia e disperazione.

Vorrei solo scappare, fuggire fuori, prendere aria… ma invece vado a sbattere contro una persona che stava aprendo la porta nello stesso momento.

L’odore delle violette mi avvisa subito di chi si tratta. Pansy.

La guardo per un attimo con la vista annebbiata, sconvolta, atterrita, improvvisamente persino desiderosa di una sua parola mordace, che mi faccia uscire fuori da queste sabbie mobili in cui si è trasformata poco a poco questa giornata. So che lei capirebbe, so che magari mi rimprovererebbe, so che comunque in ogni caso sarebbe qui con il suo sdegno algido da Serpeverde… lei sola, al mondo, in questa stanza, è madre come me, è donna come me, è innamorata come me. Resto immobile, guardandola, mi sento figlia anche se non dovrei, ho gli occhi che non trattengono le lacrime, il labbro che sanguina per la forza che ci ho messo mordendolo, e l’aria di una che è sopravvissuta ad un disastro nucleare, nascondendosi sotto una pila di cadaveri.

Pansy ha i capelli spettinati, l’espressione stravolta, il volto rosso e gli occhi accesi: persino il suo abito nero è spiegazzato e ha annodato malamente il foulard con le rose attorno al collo. Ha parlato, ha detto qualcosa, ma io non l’ho sentita. Non sono riuscita a capire che stesse dicendo ed ora sembra più calma, meno agitata. Mi guarda e basta, nelle iridi di ardesia scatta comprensione ed empatia, ma le ricaccia subito indietro, gettando uno sguardo di ghiaccio nero alle sue spalle in direzione di Draco.

“Mi dispiace per Alex…” dice solamente, e la vedo stringere forte la mano che tiene a Charisma, che non avevo notato e che è accanto a lei, intenta a guardarmi fissa, gli occhi azzurri spalancati sul mio viso in lacrime. Mi asciugo malamente le guance ed annuisco, tirando su un sorriso smunto che tranquillizzi almeno la bambina.

“Lo so…” sussurro senza forze, mentre lei piano si ricompone e impacciata mi mette una mano sulla spalla, dandomi una specie di goffa pacca “Lo troviamo… stai tranquilla…”.

Annuisco ancora, improvvisamente la dimensione della scomparsa di mio figlio mi prende daccapo, causandomi una vertigine indolente che controllo solo chiudendo gli occhi.

“O Dio santissimo, ancora qui sei?” la voce di Pansy è tagliente e severa, quando sfiora di nuovo le mie orecchie e si infrange alle mie spalle, ricordandomi di Draco e del discorso appena avuto con lui. Un conato di vomito mi fa trasalire e mi siedo pesantemente su uno sgabello basso, prendendomi la testa tra le mani e cercando di calmarmi, isolando la mia mente dalle immagini di lui e Raissa assieme, oltre che da quelle ormai celeberrime di Alex in pericolo, che piange, sanguinante o connesso a Dimitri per sempre. Solo dopo un po’, mi accorgo della manina di Charisma che stringe forte le mie dita. Sorrido, alzando il capo, e la piccola mi sorride a sua volta in modo caloroso e luminoso, al punto che mi sento rincuorata senza alcun motivo. Le stringo la manina senza dire nulla, e lei ride felice.

Draco, dopo qualche secondo di silenzio, risponde acido a Pansy: “Questa sarebbe casa mia, fino a prova contraria…”.

“Ti pagherò l’affitto per l’uso del tuo mefitico ossigeno da carogna…” biascica per nulla impressionata Pansy, sollevando le sopracciglia con aria fintamente innocente “La tua fidanzatina assassina e traditrice… dove potrebbe essere? Lo sai?”.

Certo che lo so… non sono corso da lei solo perché avevo una terribile unghia incarnita al piede sinistro…”.

“Peccato che non ti sia incarnito anche altro, tipo… non lo so… la lingua…” riprende Pansy senza nemmeno cambiare espressione “…dato che la Granger ha appena perso suo figlio… e scommetto che a te è saltato in mente persino di raccontarle di te e della consolatrice dei vedovi…”, giuro che questa me la segno, Pansy Parkinson che mi difende davanti a Draco Malfoy “… comunque visto che sei utile come un ombrello nel bel mezzo di uno tsunami, e visto che a me del tuo raccontino porno soft da sfigato non interessa nulla, potrei continuare la mia conversazione con la Granger con te che magari ti eclissi e sparisci nel tuo giardino, nel tuo bagno o da qualche altra parte? Prometto che lo pago l’affitto dell’aria che consumo… sarà insalubre, ma devo pur sempre sopravvivere…”.

“Ma Thomas allora deve essere davvero impotente…” erompe ancora del tutto indifferente Draco, guardando Pansy con una smorfia dispiaciuta che sembra finta come una moneta da sette sterline “Questa si chiama frustrazione sessuale in piena regola…”.

“Se… questa, qualsiasi cosa tu alludi, si chiama in qualche modo… si chiama ormoni da seconda gravidanza in quattro anni di un uomo che se la cava decisamente meglio del mio primo fidanzato…”.

Per qualche secondo, sono certa di aver capito male: ho le orecchie che fischiano, il cervello ingolfato e le lacrime che non ne vogliono sapere di smettere di scendere.

Poi capisco, ed è come una specie di esplosione di suoni e parole che provengono da ogni direzione, che intonano un coretto al quale tutto sommato mi unisco anche io e che ripete che Pansy è incinta. Seth, che come era prevedibile stava ascoltando tutto probabilmente da ore, entra nella stanza saltellando, Pansy gli ingiunge di smetterla e mi chiede quando tornerà Dean e se “tornerà tutto intero dalla missione che gli ho affibbiato” e io mi congratulo con il primo vero sorriso senza pensieri della giornata.

Che ovviamente dura poco, pochissimo… perché Draco è ancora lì, dall’altra parte della stanza, a braccia conserte che, per un attimo, guarda me in modo indecifrabile e poi scappa via, gli occhi grigi lontani. E io ripenso che, quando ho saputo che ero incinta di Alex, non c’erano palloncini, feste e risate gioiose. C’era polvere, sangue e sbarre.

Alla fine, dopo la notizia, Pansy decide finalmente di dover parlare anche lei con Draco. Non che lo faccia con la massima tranquillità, anzi storce il naso, simula nausee mattutine da gravidanza che le sono spuntate solo adesso e ripete ottanta volte “di quanto sarà contento mio marito Dean Thomas, che è un vero ed autentico stallone, roba che di notte non posso nemmeno dormire per un’ora consecutiva”, cosa che, mio malgrado, mi provoca un accenno nervoso di risate che mi soffoco in gola, represse solo quando vedo la faccia basita e schifata di Draco che evito comunque di fissare.

Recuperata la calma, io, Seth e Charisma li lasciamo soli nella stanza, chiudendo la porta. Seth, imbarazzato ed ancora impossibilitato a guardarmi in faccia, mormora che va a telefonare a Kevin, dato che è da tempo che non si fa sentire. E io resto sola con Charisma, meditando se non sia il caso di andarmene e non tornare più.

Poi concludo che devo aspettare Dean per sapere della collana… e, adesso, a maggior ragione, devo e voglio aspettare che Ilai torni. Quindi resto seduta sulle scale che portano al piano superiore, i gomiti sulle ginocchia, mentre Charisma gioca con qualcosa, seduta accanto a me.

“Zia!” la voce di Charisma mi fa sobbalzare, mi devo essere assopita senza rendermene conto. Mi volto alla mia sinistra dove Charisma si è seduta sul gradino sotto il mio, e mi guarda fisso con gli occhi azzurri accesi, che Dean mi ha raccontato aver preso da sua madre. E’ impossibile non sorridere a questa bambina, ti strappa pur non volendo pieghe delle labbra che non sapevi nemmeno di avere. Per quello Alex la adora. Con un groppo in gola dico: “Dimmi Char…”. Il groppo non passa, anzi diventa ancora peggiore, quando penso che ho chiamato la bambina esattamente come la chiama Alex.

“Io e Biscotto abbiamo deciso che quando torna Alex, dobbiamo andare alla spiaggia…” dice convinta, mettendo su un broncio che mi intenerisce come non mai, sciogliendo il groppone del respiro “Perché Alex è proprio scemo, e non sa nuotare! Quindi se parliamo al mago cattivo e gli diciamo che Alex non sa nuotare, lui ce lo deve ridare per forzissima!”.

“Certo piccola… hai proprio ragione… ce lo deve ridare per forzissima…” sussurro con un sorriso, nascondendomi una lacrima nel palmo della mano, mentre Charisma batte le mani contenta.

Sono ancora in preda a quella strana sensazione di pace senza spiegazioni che Charisma mi ha istillato, che sento un pop provenire dalla cucina, pochi istanti prima che Dean compaia di nuovo davanti a me. 

“Ciao papà!” urla Charisma, alzandosi in piedi e correndo ad abbracciargli la gamba sinistra, su cui cerca di arrampicarsi. Dean sorride, la prende in braccio e le mormora canzonatorio: “Ciao ragnetta!”.

Li guardo con un sorriso mesto che vorrei davvero non avere, adesso: immagino l’espressione che assumerà Dean quando saprà che sta per diventare padre per la seconda volta. Lui è nato per essere genitore, l’ho sempre saputo, credo che sia perché è un bambino anche lui, in fondo. Charisma, difatti, adora suo padre, la vedo spesso intrattenersi in lunghissimi discorsi o giocare nelle maniere più buffe con lui. Me la vedo già, frizzante adolescente, confidarsi con più facilità con Dean che con sua madre. Quando stavamo assieme, una cosa che mi tranquillizzava spesso se facevo progetti su me e lui, era pensarlo padre dei miei figli. Sono contenta che questo non sia cambiato, che la mia previsione si sia realizzata, anche se non per i miei di bambini.

Ho accostato tante figure all’immagine del padre che avrei voluto per Alex, dicendomi sempre che nessuno sarebbe stato come Draco.

Adesso, oggi… vorrei davvero che Alex fosse nato da nulla, senza avere a che fare con lui.

Dean, dopo qualche minuto, esorta Charisma ad andare a prendere Biscotto di cui deve mostrargli un nuovo gioco, e si siede accanto a me, sospirando a lungo. Mi guarda di sottecchi, sono ben certa che le ombre lunghe sul mio viso mi stiano scavando i tratti di ulteriore stanchezza ed angoscia, dato che Dean asserisce senza domandare, ma solo constatando: “E’ andata male…”.

Annuisco e basta, stringendomi nelle spalle, prima di aggiungere che non ho voglia di parlarne al momento e che sono, invece, interessata a sapere che cosa ha scoperto del ciondolo. Dean sorride in modo tirato, poi mi chiede: “Prima che iniziamo a parlare… Pansy è tornata? Non stava benissimo in questi giorni, sempre con la nausea, le vertigini… e quando esce di casa da sola… ho sempre paura che svenga da qualche parte…”. Sorrido, dicendo che sta parlando con Draco, e Dean si sistema meglio seduto, rincuorato, non sapendo ancora che il malessere della moglie ha la migliore delle spiegazioni.

“Ovviamente non dirle che mi sono preoccupato per lei…” borbotta come un adolescente scornato, che non vuole far sapere che si interessa ad una coetanea, perché fa troppo poco figo. Mi viene ancora da sorridere, mentre annuisco: sono una coppia, a loro modo, fantastica. Scommetto che lei sa che lui si preoccupa, e scommetto anche che lui sa che va esaltando le sue doti amatorie davanti agli ex fidanzati, ma non sia mai che se lo dicano in faccia tra loro. Dopo la conversazione tra me e Draco, dopo l’iceberg freddo che mi perfora lo stomaco convincendomi persino che la sola cosa che ci unisce è il fatto di avere un figlio assieme, ma di cui lui adesso non sa nulla… guardo Pansy e Dean con molta meno invidia, e molta più tenerezza.

Per quello che hanno costruito, che adesso so che non sarebbe stata una cosa scontata nemmeno restando con Draco; per l’equilibrio che li consente di restare sé stessi, nonostante tutto; per la serenità allegra che ha Charisma, che non ha paragoni, mio malgrado, con quella di Alex e nemmeno con quella di Serenity. Sono tre bambini completamente diversi, sebbene amati allo stesso modo.

Alex è un bambino allegro ed intelligente, ma sente quando sono triste, lo percepisce e cambia quello che dice e che vuole in base a ciò che sento io.

Serenity, per quello che mi è parsa, è una bimba dolce ed educata, ma ha dei gesti, dei modi, delle posture innaturali, ancora come una cresciuta nel velluto di una protezione persino asfissiante.

Charisma è divertente, scanzonata, spontanea, spiritosa, in costante scoperta del mondo, che esplora in un modo fiducioso ed aperto, come se Dean e Pansy avessero davvero evitato per anni, nel modo più discreto possibile, che qualcosa la toccasse senza che però lei se ne sentisse soffocare.

Giuro che, se mai un giorno avrò un altro figlio, ripenserò sempre a come Pansy e Dean hanno cresciuto Charisma.

Finalmente Dean inizia nella sua spiegazione, borbottando che la negromante che ha contattato, grazie a delle sue conoscenze sparse sempre in ambasciata, aveva l’aspetto di un transessuale malaysiano e parlava pure per filastrocche, però ha riconosciuto subito il ciondolo e ha detto immediatamente che è qualcosa di molto potente, intriso di magia bianca.

“Così potente da andare anche contro il potere di Adamar?” chiedo speranzosa, guardando meglio Dean. Lui arriccia il naso e spiega con voce incerta: “Non ne sono sicuro… o meglio la negromante non ne era sicura. Cioè, ovviamente, sai che in pochi sanno di Adamar… e difatti lei non sapeva chi fosse. Ho parlato di una fortissima fonte di magia nera… e l’ho paragonata a quella di Colui che non deve essere nominato… anche se…”.

“Voldemort non era nulla in confronto ad Adamar e a quello che può darti…” completo sconfitta, le spalle che si afflosciano.

“Esattamente… però se almeno poteva andare contro di lui, possiamo intendere che abbia degli effetti contro Adamar, no?”. Annuisco pensosamente, non del tutto convinta, mentre Dean prosegue, cercando di dirmi tutto quello che sa nei dettagli: “Lei dubitava che si potesse parlare di sconfitta o di morte, o di grave menomazione… in breve non potresti ordinare al ciondolo di ammazzare Dimitri e Raissa anche se per proteggere tuo figlio. Ogni desiderio esprimibile, che è solo uno naturalmente, è in ordine alla protezione di Alex. Ma anche se loro attaccassero direttamente lui, e tu volessi salvarlo, la negromante dice che devierebbe il colpo, ma difficilmente compirebbe azioni risolutive come quella di uccidere o privare quei due della loro Magia… specie se ha un’origine oscura…”.

Ad ogni parola di Dean, mi sento sempre più tradita: è come se avessi investito tanto, troppo, nel dono di Tatia ed adesso mi rendo conto che molto probabilmente, non potrà fare nulla di che. Come faccio allora a salvare mio figlio? L’ansia minaccia di sopraffarmi, quindi chiedo sbrigativa: “E quindi? Che cosa può fare?”.

Dean si sistema meglio sul gradino e noto ancora lo sforzo che sta facendo, per non tralasciare nulla: “Il potere del ciondolo è un catalizzatore di magia bianca, per la protezione di un figlio da parte di una madre… ha la stessa base della magia che salvò Harry, grazie all’intervento di Lily Potter… ma anche in quel caso, se ben ricordi, salvò il figlio ma non uccise il Signore Oscuro o lo privò dei suoi poteri. Lo pose in una forma innocua per il bambino… stavolta, però, non si potrebbe nemmeno sperare in qualcosa del genere: là c’era più squilibrio di forze, la magia di Lily fu veicolata con un sacrificio…”, Dean si ferma e mi guarda seriamente, presagendo nei miei occhi il pensiero che sto avendo e cioè che potrei anche io morire per Alex: “E no, non ci pensare nemmeno a morire… sarebbe inutile, comunque… l’hai detto anche tu. Colui che non deve essere nominato era un bimbetto dell’asilo in confronto al potere di Adamar… stiamo parlando di un demone millenario, messo lì chissà da chi e chissà perché… moriresti e a lui probabilmente provocheresti un dolore pari alla rottura di un’unghia… ed Alex a quel punto non avrebbe nessuno che lo salvasse…”.

Taccio con frustrazione, guardandomi le scarpe, ed annuisco controvoglia: purtroppo ha ragione.

Certo, io non ho a che fare con Adamar, ma con Dimitri e Raissa: ma il loro potere viene da lui. Ed è un potere malato, perverso, folle ed incomparabile.

Se solo Adamar fosse stato interessato a Voldemort… deglutisco con terrore, difficilmente tre ragazzini come me, Harry e Ron, l’avremmo mai potuta avere vinta su di lui.

“La negromante ha detto che anche desideri generici sono pericolosi…” continua Dean, la voce più tranquilla dopo il mio cenno di assenso “Cose come salva mio figlio o portalo qui… è una Magia che ha una sua logica, una sua mente, un suo destino… potrebbe concludere che salvare Alex è allontanarlo definitivamente da te… o persino ucciderlo per impedire che soffra ancora… è troppo instabile, catalizza appunto le emozioni materne… e tu sei preoccupata, agitata, sconvolta. Realizzeresti una cosa negativa, pur non volendo, dando adito alle voci nefaste che hai nel cuore… ”, gelo come se fossi immersa nel ghiaccio, improvvisamente la superficie del ciondolo che mi tocca la pelle del collo mi dà i brividi. L’avevo visto come qualcosa di rassicurante e caldo, adesso mi pare un serpente pronto a strozzarmi.

“Per questo devi essere molto specifica, quando formulerai il desiderio…” soggiunge Dean, guardandomi dritto negli occhi “In modo da isolare la tua mente e renderla meno permeabile…”. Mi chiedo onestamente che cosa resti ancora da chiedere. Pensavo di poter salvare Alex così, o di poterlo portare qui, oppure di eliminare Dimitri e Raissa. L’ansia, ancora, mi chiude la gola, annaspo e cerco di concentrarmi sul mio respiro come mi ha insegnato Ilai, per prevenire gli attacchi di panico. A calmarmi davvero, però, sono le successive parole di Dean che mi sorprende come non mai.

Nel miasma di agitazione che mi travolge, capisco quanto sia vitale avere qualcuno vicino che pensi a mente fredda e lucida.

Difatti, Dean mi appare estremamente sicuro mentre dice: “Mi pare ovvio che la sola cosa che possiamo chiedere al ciondolo è di liberare Alex dalla connessione con Dimitri…”.

Il volto mi va in fiamme per il sollievo e la gioia: ha ragione, è un desiderio sufficientemente specifico, ha come fine la protezione di Alex e non si scontra troppo con il potere oscuro dei Karkaroff. Se riuscissimo, infatti, a liberarlo da questo collegamento, almeno avrei la certezza che, smaterializzandomi con Alex, lui non possa subire conseguenze da Dimitri in ritorsione. Ovviamente, mi resta da elaborare un piano su come trovare i Karkaroff, ingannarli, prendere tempo, convincerli magari che ho anche ucciso Ilai e Draco… ma se tutto questo mi riesce in qualche modo, Alex è salvo.

Abbraccio Dean di slancio, ringraziandolo, è la soluzione più giusta e normale ed io sono davvero arrugginita per non averci pensato da sola. Dean sorride e mi accarezza goffamente la testa, dicendo che non c’è problema, che tutto si risolve e che riporteremo mio figlio a casa, costi quel che costi. Poi, però, diventa improvvisamente serio, la mano che mi aveva poggiato sulla nuca scivola via ed io mi sollevo a sedere, osservando i suoi occhi dorati che tornano su di me un po’ tristi ed un po’ preoccupati.

“Cosa c’è?” chiedo, tornando a guardarlo e rabbrividendo leggermente, mentre lui sorride in modo tirato e mi sussurra: “Adesso viene la parte peggiore, Herm…”.

“Peggiore?!”.

“Il ciondolo… non ti ho detto come funziona…”.

Mi artiglio alla manica della sua camicia, spaventata, immaginando tutti i modi più neri e macabri per utilizzare questo ciondolo, cosa che alla fine renderà la cura peggiore della malattia e mi porterà a considerare impossibile l’uso dell’unica speranza di salvare Alex. Ma le prime parole di Dean mi sconcertano per la sua semplicità, sebbene resti teso e nervoso: “Ci vuole solo del sangue… e una formula magica…”. Inarco un sopracciglio, ancora non riuscendo a seguirlo: certo, non mi ha detto quanto sangue ci vuole, potrebbero anche voler dire che ci vogliono pinte di sangue così da farmi restare dissanguata, ma, a parte in quel caso, non ci vedo niente di strano o preoccupante.

Dean prosegue, evitando il mio sguardo, gli occhi nocciola che puntano lontano, seguendo qualcosa che vede solo lui: “Ci vuole il sangue della madre, ovvio… poche gocce, niente di che… ma ci vuole anche il sangue del figlio…”, mi sgonfio e il petto diventa una lastra di ghiaccio, come una lapide che mi tiene seppellita. Eccola la fregatura… il sangue di Alex… che non è qui, al momento.

Apro e chiudo la bocca un paio di volte, in apnea, pensando a qualche soluzione, ma Dean mi precede e torna a guardarmi, un ulteriore piega mortificata negli occhi: “La negromante ha detto che non è questo il problema… il sangue del figlio può anche essere ricreato… anzi forse, dice, la mistura sarebbe persino più potente e garantirebbe una protezione maggiore…”.

Ricreato? Che significa?” chiedo, un terribile sospetto che mi si affaccia dentro, causandomi un tonfo al cuore.

Dean mi stringe la mano e la tiene stretta forte nelle sue.

“Il sangue di Alex…” sussurra Dean a bassa voce, quasi temendo di farsi sentire da qualcuno, le mie mani graffiano quasi le sue, mentre lo tengo stretto: “Il sangue di un figlio è creato dall’unione del sangue di due persone… la madre… e il padre…”, Dean accentua quell’ultima parola con fermezza traballante, si rifrange su di me e mi costringe al mutismo, mentre la testa pensa che ancora, quando decido qualcosa, la vita ha sempre la consuetudine bastarda di lasciarmi prendere una decisione solo per poi divertirsi a vedermela smontare.

La sola speranza di salvare mio figlio è il ciondolo di Tatia. Il solo modo di far funzionare il ciondolo, anche senza Alex, è il sangue di suo padre.

Dovrò dire a Draco che Alex è anche suo figlio.

 

Sapete che di solito da un bel di tempo, tendo a non scrivere nulla nei capitoli, diciamo che ho altre vie, spesso, per comunicare con chi segue la mia storia e quindi spesso me ne dimentico, presa dall’ansia di aggiornare con i miei soliti ritardi mostruosi. Poi davvero certe volte mi auto-convinco che questa storia stia su EFP quasi per caso, che nessuno la curi eccessivamente, che posso anche limitarmi a parlarne solo con chi ne parla assieme sul gruppo di facebook… e poi arriva una recensione improvvisa, un commento, e mi squaglio rendendomi conto di quanto questa storia, che va avanti da anni, e di cui adesso mancano circa 4/5 capitoli alla fine, sia seguita. Halft oggi ha 40 capitoli, 466 recensioni, 273 preferiti, 100 da ricordare e 392 seguiti… e quando l’ho iniziata a scrivere anni fa, per gioco, non immaginavo niente del genere. Quindi il mio oggi è prima di tutto un grazie, enorme come una casa, per chi legge questa storia, per chi la commenta, per chi fa tanto per me ogni giorno, per la mia armata halftiana, per chi perdona ed accetta i miei ritardi che vorrei che fossero minori, ma che purtroppo, mio malgrado, sono sempre presenti. Halft sarà completata, ma con i miei tempi, purtroppo: questo capitolo sarebbe arrivato prima, se il mio pc non l’avesse distrutto. Metteteci anche un po’ di cattivo umore e il mio desiderio di finire una dramione incompleta… e i tempi si sono allungati al punto che sono stata costretta a dividere questo capitolo in due. Sono perfezionista e pazza, perciò purtroppo dovrò sempre dirvi che Halft non sarà mai aggiornata celermente… ma spero davvero che resterete ugualmente con me…J Per le recensioni, io spesso rispondo in ordine sparso, sono davvero un disastro… o me ne dimentico… quindi cercherò di rispondere a quelle dello scorso capitolo che mi mancano, in tempi brevissimi, specie di chi non frequenta il gruppo… grazie davvero ancora dell’enorme pazienza che avete con me…L

   
 
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