Le
voci della terra
(Cheyenne)
Ascolto le voci
che parlano nel vento
e cantano nell' acqua del torrente.
Dicono:
Ecco, è arrivato il giorno
in cui sarai falco e serpente,
oggi è quel giorno
in cui i tuoi avi
grideranno di gioia,
guardando il tuo cuore.
Preghiera di pace
(indiana)
"Oh grande spirito
che regna nel cielo,
Guidaci al sentiero di pace e comprensione,
Fa in modo che possiamo vivere tutti insieme come Fratelli"
Capitolo 1
Emain Macha.
D’accordo, come
inizio non era il massimo, ma almeno era un nome.
Non che mi
dicesse qualcosa ma, grazie alla moderna tecnologia – Dio benedica Google Maps
– , sapevamo che quel luogo esisteva
veramente e non faceva parte soltanto della mitologia classica nordica.
Il punto era un
altro.
Neanche a dirlo,
Emain Macha o Armagh, il nome attuale della vecchia dimora dei re dell’Ulster,
si trovava nel bel mezzo del territorio appartenente a uno dei Fenrir della Libera
Irlanda.1
E, ovviamente,
noi non potevamo mettere piede lì senza il suo consenso.
A volte,
ammettevo di rimpiangere la mia vecchia vita.
Da umana, mi
sarebbe bastato prendere un aereo per raggiungere quel luogo e controllare ciò
che restava dell’antica capitale dell’Ulster, dove aveva dimorato il suo più
famoso guerriero; Setanta, il Mastino di Chulainn.
La ricerca dei
berserkir doveva pur cominciare da qualche parte e, grazie alla soffiata di
Gordon, eravamo approdati a Cu Chulainn,
il Mastino dell’Ulster.
Il mito parlava
della sua forza sovrumana e dell’aspetto animalesco che assumeva in battaglia.
Grazie a queste
leggende, eravamo approdati a quel misterioso quanto impronunciabile paesino da
cui procedere per tentare di capire dove si trovassero gli uomini-orso.
L’idea era di
partire quanto prima, onde evitare che i berserkir si riversassero come uno
sciame di cavallette sul mio branco per distruggere ogni cosa, e al solo scopo
di uccidermi.
Il punto però era
un altro; non potevamo entrare in un territorio controllato da un Fenrir senza
averne preventivamente chiesto il consenso.
Quindi, la cosa
più urgente rimaneva trovarli prima che loro scoprissero ciò che era accaduto a
Lot, i suoi compagni e Loki, e decidessero di scatenare l’inferno su Matlock.
Speravo solo che
la risposta del Consiglio dei Fenrir irlandesi non tardasse troppo a giungere.
La legge dei
licantropi parlava chiaro, e io avevo sperimentato sulla pelle cosa
significasse passarvi sopra, per cui era vitale stare calmi – come, dovevo
ancora scoprirlo – e aspettare notizie da Erin, Fenrir di Belfast.
Non sapevo molto
di lei, tranne che era una donna e che era al potere da poco meno di un anno.
L’unica cosa
veramente chiara era che, grazie ai buoni
uffici di Sebastian, ci era stato vietato di mettere piede su suolo
irlandese previo permesso di tutti e
sette i clan presenti sull’isola.
Cosa avesse
combinato di così tremendo non lo sapevo – Duncan era reticente, su questo
punto – ma di sicuro, conoscendo il tipo e i suoi modi strafottenti, non
faticavo a immaginarmelo mentre insultava qualche Fenrir solo perché aveva la
luna storta.
Anche senza
essere fisicamente presente, Sebastian era riuscito in un solo colpo a
rovinarmi l’intera giornata, non appena ero venuta a sapere di quel piccolo,
insignificante, tremendo particolare.
A complicare il
tutto – neanche Loki, dall’oltretomba, si stesse divertendo a macchinare contro
di me – Alec aveva telefonato dicendo che, volente o nolente, lui avrebbe
intrapreso la Cerca assieme a noi.
Essendosi reso
disponibile per venirmi a salvare dall’orrenda fine che Loki aveva deciso di
propinarmi, e con la quale aveva avuto intenzione di far esplodere il mondo, non
voleva essere lasciato fuori dalla questione quando realmente poteva vederne la fine.
E niente di
quello che avremmo potuto dire per farlo desistere l’avrebbe convinto a non
seguirci.
Così, oltre a
dover aspettare il benestare di tutti i clan irlandesi prima di poter mettere
piede a Belfast, dovevo anche prepararmi psicologicamente all’idea di viaggiare
assieme ad Alec.
Ciliegina sulla
torta, quel pazzo scatenato di Gordon mi aveva detto, a pochi giorni dalla mia
liberazione, di voler diventare un licantropo come me.
E come se non
fosse bastato tutto questo a rendermi acida come uno yogurt andato a male,
dovevo tentare di risolvere tutti questi annosi problemi prima dell’inizio
dell’università, prevista per ottobre.
La vita è bella.
“Sai di avere
una faccia da spavento, sorellina?” celiò Gordon facendo il suo ingresso in
salotto, dove me ne stavo seduta con il mio portatile posato sulle cosce.
Lo salutai con
uno sbuffo e un’occhiataccia – la sua richiesta mi aveva talmente sconvolto
che, tutte le volte che lo vedevo, avevo un tuffo al cuore – e lui, sedendosi
accanto a me e sbirciando in direzione dello schermo, sollevò divertito un
sopracciglio. “Uhm, ti stai erudendo sul mito di Cu Chulainn?”
“Sei tu
l’esperto di ‘sta roba, non io” brontolai, chiudendo il portatile per dedicarmi
completamente a lui. “Ho anche chiesto a Elspeth di mandarmi qualcosa tramite
mail e, da quel che ho visto nella casella di posta, avrò di che divertirmi,
nei prossimi giorni. Sembra che mi abbia mandato la Bibbia dei Mostri. Sono più
di ottocento pagine!”
Gordon fischiò
divertito e, dandomi una pacca sulla spalla, decretò con falsa commiserazione:
“Auguri, ragazza; non ti invidio.”
“Come sei
comprensivo” ironizzai acida.
Ridacchiando, il
mio fratellino intrecciò le mani dietro la nuca e mi prese bonariamente in
giro. “Se continui così, potrei decidere di usarti per scrostare i rubinetti.”
“Ah ah. Davvero
divertente” sbottai, prima passarmi nervosamente le mani tra i capelli
rilasciati sulle spalle. “Scusa, Gordon, ma questa faccenda mi sta snervando.
Non fosse che dobbiamo muoverci come se dovessimo camminare sulle uova, avrei
già preso un aereo per Belfast senza neppure lasciar dire ‘bah’ a Duncan.”
“Cose da lupi” ciangottò
Gordon, gioviale.
Lo fissai
malissimo – si divertiva un mondo quando le regole dei lupi mi complicavano la
vita – e brontolai: “Perché hai quel sorriso idiota stampato sulla faccia? Cosa
c’è di tanto divertente? Non puoi essere solo sadicamente soddisfatto per il
mio malumore. E poi, se proprio vogliamo essere precisi, di queste cose dovrai
occuparti anche tu, casomai io decidessi di accontentarti!”
Il suo buonumore
scemò di colpo tramutandosi in ansia ed io, calmandomi subito, sospirai pesantemente.
A volte, me le
andavo proprio a cercare. “Ti ho chiesto un po’ di tempo, Gordon. Concedimelo
senza farmi apparire una strega cattiva. Non ho davvero né il tempo né la
maniera di pensare a ciò che mi hai chiesto.”
“Potrei chiedere
a…” tentennò lui, prima di venire bloccato da un gesto della mia mano.
“Non puoi
chiedere a nessuno del branco. Ho detto a tutti di non mutarti prima di una
decisione mia e di Duncan in merito” replicai lesta, guadagnandomi per diretta
conseguenza un’occhiata gelida da parte sua.
“Non hai il
potere di dirmi ciò che devo fare della mia vita!” protestò vibratamente,
alterandosi e stringendo i pugni.
“Tutto bene, lì?” mi chiese all’improvviso Duncan, entrando
nella mia mente come un fruscio di brezza.
“Tutto regolare. Stiamo discutendo come
al solito, niente di nuovo”
replicai serafica, continuando a fissare gelida mio fratello.
“Ho sentito tuo fratello perdere le
staffe fin qui dalla clinica. Deve essere davvero frustrato, stavolta, per
alzare così tanto la voce”
mi spiegò Duncan, mettendo comprensione nel suo tono di voce.
“Gli ho detto della mia decisione di
vietargli la mutazione fino a nuovo ordine e, a quanto pare, non l’ha presa
bene” lo aggiornai
stancamente.
“E’ maturato molto in questo anno passato
qui da noi, perciò si sente in dovere di prendere decisioni indipendenti dalle
tue, o da quelle di Mary Beth. Cerca di capirlo.”
“Mai detto di non volerlo capire. Ma deve
attenersi a ciò che dico visto che, se muterà, io sarò anche la
sua Prima Lupa, oltre a essere sua sorella.”
“Vero. Lo lascio nelle tue sagge mani,
allora.”
“Fifone” brontolai, prima di dedicarmi a Gordon.
“Ho il potere di
dirtelo, invece, visto che hai deciso di voler diventare un mio lupo” precisai
a quel punto, assottigliando gli occhi fino a renderli due esili fessure d’oro
brunito.
Imitandomi,
Gordon continuò a fissarmi malamente prima di esclamare: “Non è giusto che, per
una cosa del genere, io debba essere condizionato dalla tua decisione!”
“La mia
mutazione è avvenuta per un caso fortuito, Gordon. Diversamente, chi sceglie di
mutare viene messo davanti a tutti i pro e i contro dell’essere licantropo. Tu,
questo passaggio l’hai voluto saltare a piè pari rivolgendoti direttamente a me
perché sono tua sorella, sperando così di passarla liscia. Ma così non è. Ne
parlerai in primis con Duncan, e solo dopo con me. Non ammetto repliche
di sorta. Lui è Fenrir, e io la sua Prima Lupa. Lui è primo in gerarchia, non
io. Se invece ti vorrai rivolgere alla wicca
del branco, vieni pure da me quando avrai le idee veramente chiare, ma anche in questo caso, dopo parlerai con
Duncan. In un modo o nell’altro, ci affronterai entrambi” gli rammentai con
voce abbastanza dura da apparire quasi metallica anche alle mie orecchie.
Imprecando tra i
denti, lui si levò in piedi e, muovendo nervosamente le braccia come per
sfogare l’energia repressa che sfrigolava dentro di lui, inveì contro di me sibilando
a denti stretti: “Lo fai solo perché ti sei sempre divertita a comandarmi a
bacchetta, fin da piccola!”
Lo imitai,
alzandomi con la grazia ferina propria dei licantropi e, sfidandolo con lo
sguardo nonostante fossi ben più bassa di lui, mormorai gelida: “Non osare
accusarmi di una cosa simile, Gordon. E presta orecchio, perché ti si imprima
bene nella mente. Dovrai sottostare a molti ordini e obblighi, all’interno del
branco, poiché io sono la Signora di questo clan e ne sono anche la guida
spirituale. Non ci saranno più silenzi di fronte alle tue intemperanze, una
volta divenuto lupo, come invece avviene ora. Ti sarà richiesta obbedienza e
devozione e, più di tutto, ti sarà chiesto di accettare ogni regola del branco, anche quelle che tu ritieni più assurde o
inutili. Sarai l’ultimo tra i lupi finché non risalirai la gerarchia
all’interno del branco mediante sfide al primo sangue, quindi dovrai adattarti
a subire, i primi mesi, quando ti verranno chiesti i compiti più umili. Sei in
grado di accettarlo?”
Di fronte a
quella mia arringa si azzittì, lo sguardo ora percorso da un’ira profonda,
mescolata all’indecisione e alla paura, paura che io avevo contribuito a far
affiorare.
Mi spiaceva
tremendamente essere così dura con lui, specialmente pensando a quanto era
stato in ansia per me durante il mio rapimento, ma non potevo comportarmi
diversamente.
Non se volevo
che comprendesse appieno cosa volesse dire essere
un licantropo.
Non c’erano solo
la forza, la velocità, l’eleganza e la scaltrezza nei movimenti. C’erano anche
obblighi e doveri molto più pressanti di quelli che si potevano avere nella
comune vita degli esseri umani.
Le leggi di un
branco di licantropi somigliavano per molti versi a quelle vigenti in un vero
branco di lupi, e questo era difficile da accettare per chi non vi era nato e
cresciuto.
Persino dopo
esserne divenuta la guida, faticavo a comprendere, ed accettare, determinate regole.
Insistere perché
capisse era mio dovere.
Doveva comprendere ogni fardello e ogni onore di questa nuova vita
prima di chiedere di diventare un licantropo, perché non ci sarebbe stata una
scappatoia una volta che il mio sangue e il suo si fossero mescolati assieme.
Sembrò volermi
dire qualcosa di veramente brutto, almeno a giudicare dal suo sguardo livido
ma, come una candela spenta da un colpo di vento, si chetò nel giro di pochi
attimi e tornò a sedersi.
Le uniche tracce
di tutta la sua frustrazione furono il profondo e lungo sospiro che emise, e le
palpebre tremanti calate sui chiari occhi cristallini.
Le spalle
reclinate in avanti e gli avambracci posati sulle cosce, Gordon mi promise:
“Vedrò di calmarmi e di parlarne con Duncan, okay?”
“Bene” annuii,
liberandomi a mia volta in un sospiro.
Non mi ero
accorta di aver trattenuto il respiro, né di essermi irrigidita al punto di
avere le braccia informicolate per la tensione.
Cristo! Dovevo
darmi una calmata, o le mie coronarie sarebbero esplose come una pentola a
pressione con la valvola otturata.
Inginocchiandomi
dinanzi a lui dopo aver preso un bel respiro liberatorio, poggiai le mani sulle
sue, gli sorrisi e chiesi: “Eri venuto solo per intavolare una lite con me,
oppure c’era dell’altro?”
“Non arrivo a
tanto neppure io” mi ritorse contro lui, sollevando le palpebre per scoccarmi
un’occhiata in tralice. Non era ancora calmo, ma ci si avvicinava molto.
“Volevo solo dirti che Mary B non ha dormito a casa, ieri notte.”
Immaginai senza
tanti problemi come la mia faccia apparisse allibita ai suoi occhi, perciò non
me la presi quando Gordon cominciò a ridacchiare, cancellando di fatto la sua
aria ombrosa per sostituirla con il suo consueto sorrisino ironico.
Oh, bella!
Questa sì che era una notizia!
Sbattendo più
volte le palpebre, come per essere certa di non stare dormendo davanti al
computer, riuscii in qualche modo a dire: “E dove… cioè, posso immaginarlo,
però…”
Gordon venne in
mio soccorso e mi confessò: “Sono usciti a cena e poi, da quel che so, sono
andati a vedere un film. Ma, da quel che le mie orecchie hanno captato, o non captato in questo caso, la nostra
Mary B non è rientrata a dormire ed è sgattaiolata in casa poco prima delle sei
del mattino, giusto per cambiarsi d’abito e andare al lavoro.”
Storsi il naso,
indecisa se essere irritata per la spiata di Gordon o felice per la ritrovata
serenità di Mary B ma, alla fine, la gioia ebbe il sopravvento e, sorridendo, dichiarai:
“Sono davvero contenta per lei. Sono convinta che Lance le restituirà la
serenità che aveva perduto con il tradimento di Patrick.”
Gordon tornò
serio a quell’accenno, e mormorò irritato: “E’ stato tremendo, i primi mesi,
vederla piangere di nascosto quando pensava che non la guardassi, e sentirla
lamentarsi con Sarah per la sua stupidità. Ho visto piangere Erika più di una
volta, dopo aver sentito Mary B parlare di ciò che le aveva fatto Patrick nel
corso degli anni, di come avesse ucciso un po’ per volta l’amore che provava
per lui.”
Sospirai,
scuotendo il capo con rassegnazione.
Niente avrebbe
cancellato quell’amore divorato dalle bugie e dalla freddezza perpetrate da
Patrick negli anni, ma Lance poteva essere la speranza di un nuovo avvenire,
per lei. “Mary B è buona e generosa e, di certo, le menzogne di Patrick non
l’hanno aiutata. Ma è anche una donna forte, e ha saputo rialzare la testa e
farsi coraggio. Inoltre, Lance è un uomo comprensivo e gentile, e saprà farla
felice.”
“Anche perché,
se non lo fa, Hati o non Hati, io lo ammazzo. Non permetterò più a nessuno
di farla soffrire” poi, guardandomi con un mesto sorriso, aggiunse: “E’ l’unica
mamma che abbiamo.”
Gli scompigliai
i capelli – se lo avessi abbracciato, saremmo scoppiati a piangere come bambini
o, paradossalmente, ci saremmo accapigliati – e annuii. “Lo so. Ma vedrai che
Lance è il tipo giusto per lei.”
“Spero solo che
non le faccia male… insomma, sai…” a quel punto arrossì ed io, ridacchiando,
gli tappai la bocca con la mano per evitare che proseguisse.
“Saranno affari
loro, fratellino” gli rammentai, prima di avvertire il potere morbido e
avvolgente di Jerome raggiungermi come una carezza di velluto.
Un attimo dopo,
la porta di casa si aprì e, in neppure un paio di secondi, entrambi scrutammo
Jerome entrare con una borsa enorme in mano e un sorriso stampato sul volto
affascinante.
“Ehi, ciao,
quasi cognato. Come te la passi?” esordì Jerome, facendo arrossire ancora di
più Gordon.
Era un asso nel
mettere a disagio la gente quando voleva fare il pestifero ma, in quel caso, lo
ringraziai mentalmente. Il suo intervento aveva cancellato del tutto la possibilità
di tornare sull’argomento mutazione.
Per un po’, ero salva.
Mi alzai, dando
una pacca sulla spalla a Gordon mentre lui grugniva un saluto e, con aria
pacifica, chiesi al mio Sköll: “Ti hanno messo a fare il fattorino? Cosa c’è lì
dentro a parte, a quanto pare, il pranzo di oggi?”
Jerome
ridacchiò, posando la borsa sul tavolino del salotto e, sedendosi sul bracciolo
di una poltrona, mi confidò: “Mamma è convinta che non ti nutri a sufficienza,
così ti ha mandato una scorta di cibo degna di un esercito, mentre Erika ha
infilato in borsa alcuni CD che ha fatto lei. Dice che è tutta musica che ti
aiuterà a rilassarti.”
Rimuginando sui
suoi gruppi preferiti – Metallica, Linkin
Park e Nirvana – tremai al
pensiero di cosa potessero contenere quei CD ma, non volendo apparire pignola,
sorrisi e feci buon viso a cattivo gioco. “Ringraziala da parte mia.”
“Porterò il
messaggio” annuì Jerome, prima di chiedermi: “Ancora nessuna novità dai nostri
fratelli d’Irlanda?”
“No, ancora
nulla” esalai con tono petulante, lanciando un’occhiata raggelante
all’incolpevole telefono. “Anzi, penso che comincerò subito a dare fondo alla
scorta di cibo di tua madre. Ho i nervi a fior di pelle.”
“Povero papino”
ridacchiò Jerome, ghignando al mio indirizzo.
Da quando aveva
scoperto che dentro di me risiedeva l’anima di Fenrir, mentre lui aveva
ereditato quella del figlio Sköll, non era più stato possibile fermarlo.
Ogni volta che
gliene capitava l’occasione, mi chiamava pomposamente ‘papino’ mentre, con Duncan, si esibiva in mielosi quanto irritanti
‘mammina cara’.
Non ero sicura
che io o Duncan l’avremmo sopportato ancora per molto ma conoscevamo Jerome
perciò, se avessimo continuato a fare finta di niente, prima o poi – forse tra
mille anni – avrebbe smesso di stressarci.
In ogni caso,
potevo sopportare le sue battute, specialmente quando mi servivano come via di
fuga da argomenti che, in quel momento, non avevo nessunissima voglia di
affrontare.
***
La riunione
svoltasi durante il plenilunio d’agosto non aveva portato con sé solo buoni
frutti, ma anche ulteriori attriti.
Pochi giorni
prima di quella riunione straordinaria, Duncan si era messo nuovamente in
contatto con Erin, esponendole i motivi della nostra fretta e chiedendole di
parlare in nostro favore al Consiglio dei Clan Irlandesi.
Lei si era
limitata a prendere nota senza promettere nulla dichiarando che, entro la fine
di agosto, avrebbe saputo darci una risposta.
Avevo sperato
fin dal nostro primo contatto che non intendessero aspettare la luna piena come
noi, prima di affrontare il problema.
Io mi ero
vista praticamente costretta ad attendere più di due settimane dal mio ritorno
dalle Svalbard, prima di incontrare tutti.
Non avrei mai
potuto affrontare degnamente tutti gli alfa invitati al nostro Vigrond, conciata
com’ero, ed era vitale che mi vedessero ancora forte e presente, o sarebbe
stato il caos.
Gli irlandesi,
invece, non avevano avuto nessun motivo per tardare così tanto, eppure ancora
nessuna nuova era giunta dalla terra del trifoglio, e noi ci eravamo dovuti
presentare al Vigrond senza una risposta.
I nostri confratelli irlandesi ancora non
hanno risposto?
La voce della
quercia sacra irruppe nei miei pensieri, distogliendomi dall’apatia in cui ero
caduta subito dopo aver messo piede nel Vigrond.
In quel luogo
potevo ancora percepire i residui energetici delle auree degli alfa che, solo
pochi giorni prima, si erano trovati lì per discutere su come agire per il
meglio ed evitare una carneficina.
“Erin non si è ancora fatta sentire” ammisi, sedendomi a terra e poggiando la
schiena contro il tronco ruvido della pianta.
La brezza si
levò lieve come una fresca e delicata carezza sulla pelle, portando con sé i
profumi dei fiori boschivi, delle creature viventi che dimoravano in quei
meandri sicuri e dell’azione incessante di morte e rigenerazione che il
sottosuolo compiva ad ogni mio battito cardiaco.
Chiusi gli
occhi, ascoltando e percependo ogni movimento, ogni respiro, ogni fruscio, ogni
schiocco, facendo miei il canto dell’allodola, lo stormire delle piante, il
picchiettare delle formiche sulle foglie, il veloce risalire della linfa lungo
i tronchi degli alberi.
Sebastian si è mostrato caparbio come al
solito.
Il commento
della quercia mi fece sorridere. Era raro che esprimesse dei giudizi ma, con
Sebastian, si era dichiarata fin da subito sconcertata dal suo agire.
Avevo ancora
ben chiara in mente la sua accusa per nulla velata, e neppure venire a sapere
della verità che le mie carni celavano lo aveva fatto desistere dal comportarsi
in maniera assurda.
Per poter
chiarire al meglio il problema ai vari capoclan, avevo dovuto spiegare chi fosse rinato in me e perché fosse così importante trovare i
berserkir prima che ci attaccassero in massa.
La notizia che
Fenrir, il primo Fenrir, era rinato
nel mio corpo conferendomi i poteri che tanto, in passato, li avevano confusi e
preoccupati, era stata accompagnata da un coro di ‘ah’ sorpresi e ammirati.
Ma,
soprattutto, dal riottoso dissenso di Sebastian che, non appena terminata
l’esposizione dei fatti, aveva subito cominciato ad attaccarmi verbalmente.
A quel punto,
fermare la discussione tra capiclan era stato impossibile.
Cecily si era
imbestialita al punto di rizzare il pelo sulla schiena e ringhiare
prepotentemente contro Sebastian, mentre Pascal e Duncan l’avevano trattenuta
dall’affondare le zanne nelle carni dell’altro Fenrir.
Alec aveva
riso di fronte alla presa di posizione di Sebastian, dandogli dell’idiota e
scatenando così le ire dell’Hati del capoclan dell’Isola di Man, che aveva per
diretta conseguenza aggredito a male parole l’irrispettoso Fenrir di Bradford.
Bright, Fred e
Joshua erano rimasti ai margini delle due discussioni, cercando nel contempo di
capire quali fossero le intenzioni di Eric, Gilbert e Bryan, basiti di fronte
alla confusione che si era venuta a creare nel Vigrond.
Io e Kate
Alexander - la wicca di Aberdeen -
infine, ci eravamo accomodate ai piedi della quercia finché essa, stanca di
tutte le male parole scagliate al vento, non aveva scaricato sul Vigrond una
ventata di energia così potente da stordire i sensi di tutti i lupi presenti.
Questo aveva
zittito ogni licantropo, permettendomi così di chiedere a ciascuno dei Fenrir
presenti cosa avesse intenzione di fare in merito a ciò che avevo loro esposto.
Quasi tutti
avevano dichiarato di essere dalla mia parte, e Cecily e Joshua avevano messo a
disposizione parte delle loro sentinelle per rinforzare i nostri confini
nell’eventualità di un attacco fortuito da parte dei berserkir.
L’unico ad
allontanarsi stizzito e offeso dal Vigrond era stato Sebastian che, con parole
di fiele e sguardo adamantino, mi aveva accusato di portare solo sventura.
Detto ciò, se
n’era andato con l’orgoglio offeso e la promessa di non rivolgere più la parola
a Duncan che, con un mezzo sorriso e un sopracciglio levato con ironia, mi
aveva detto: “Perché, pensa che la cosa possa spiacermi?”
Io avevo riso
e, con me, molti altri lupi. Cecily se n’era uscita con una battutaccia e
Joshua, nel passarsi una mano tra i
cortissimi capelli – ora di un bel color rosso ciliegia – aveva asserito che
Sebastian si sarebbe fatto venire un ictus, con tutte quelle incazzature.
Ma la faccenda
rimaneva.
Sebastian ci
aveva voltato le spalle e, pur essendo il capoclan di un piccolo branco, poteva
fare più danni di un’inondazione su un terreno arido, con i suoi modi di fare
così maleducati.
Riaprendo gli
occhi, scrutai in lontananza le mie guardie del corpo – immerse nel bosco e ad
una distanza che, a loro modo di vedere, era sufficiente per darmi una parvenza
di privacy – e, sorridendo appena, celiai: “Forse, se avessi lasciato che i
miei lupi ammazzassero Sebastian, ora starebbero più tranquilli.”
Pensi che il pericolo possa giungere
anche da lui?
“Siamo lupi,
in parte, e il predominio sugli altri fa parte della nostra natura animale…” ammisi,
scrollando le spalle. “…per cui non mi stupirei di veder comparire i suoi
lupacchiotti al confine con il nostro territorio. Ma no, non penso che lo
farebbe. Can che abbaia non morde, no? Lui sa solo fare lo strafottente, ma non
ha il coraggio di attaccare la coalizione che si è venuta a formare tra noi
tutti. Inoltre, non vuole inimicarsi Joshua, che è apertamente nostro amico,
per cui farà l’ombroso e poco altro. E’ stato l’unico ad andarsene senza
accettare il patto di mutuo soccorso e, se non vuole rogne da parte degli
altri, farà come la Svizzera; rimarrà neutrale.”
Quindi, eliminare Sebastian a cosa
sarebbe servito?
Sogghignando,
dissi semplicemente: “A farli divertire. Dopotutto, un po’ di svago serve a
tutti.”
La quercia,
ovviamente, non mi rispose. Non era famosa per il suo umorismo.
Alzatami in
piedi prima di spazzolarmi i pantaloni da foglie e terriccio, dissi alla
quercia con rinnovata serietà: “Quando Erin si deciderà a chiamare, desidero tu
faccia una cosa per me.”
Se è in mio potere, ne sarò lieta,
Signora dei Lupi.
Sorridendo
appena nell’udire quel titolo – di cui mi aveva omaggiata da quando ero tornata
dal mio rapimento – le esposi la mia richiesta. “Desidero che tu avvolga il
Vigrond di energia. La mia gente dovrà avere un luogo sicuro dove rifugiarsi,
qualora i berserkir decidessero di attaccare e le sentinelle non bastassero a
proteggerli. Se tu innalzerai uno scudo di puro potere, neppure loro potranno
entrare. Sono legati alla Madre non meno di noi, e non potranno spezzare la tua
barriera. Se avessi pensato prima a fartela erigere, nulla di tutto ciò sarebbe
successo, ma a che pro rivangare il passato? Ora posso solo chiedere il tuo
appoggio, se vorrai darmelo.”
Sarò onorata di proteggere la tua gente
in vece della coppia reale. Consideralo già fatto.
“Grazie” le
sussurrai, avvolgendo per quanto mi fu possibile il tronco della quercia. “Ti
voglio bene, sai?”
Mi onori.
Mi limitai a
sorridere, prima di rizzare le orecchie non appena udii distintamente la
suoneria del mio cellulare.
Afferrandolo
in fretta, lo aprii e dissi telegrafica: “Ebbene?”
“Erin ha
chiamato” mormorò Duncan, serio non meno di me.
“Quindi?”
“Si parte.”
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N.d.A.: E da qui parte la terza parte della storia di Brie e Duncan! Di certo, almeno per il momento, non hanno una vita tranquilla.