C’era una volta un sasso
di voglia.
Un sasso di nome celato. Ed esso sostava nel prato
d’argento. La voglia bagnava anche il vento.
Descritto l’ambiente, non parlo del tempo. Là, c’erano
schegge d’inverno, e clessidre con dentro
pagliacci d’incenso.
Piangevano reti di nebbia.
Nell’aria giaceva un relitto d’opale, pirati baffuti
[immobili] incrociavano, belluini, crocchi di corallo.
Coltelli di barbarici deliri facevano a striscioline l’
alba.
Che non arrivava mai.
Continuava a spuntare, ma non riusciva a finire, e
doveva finire tutta intera, così continuava a
provare.
Il sasso di voglia scintillava appena, di sussurri e
frattaglie.
Nessuno passava mai nel prato. Nessuno aveva il
permesso. Il Sogno soltanto, ci passeggiava.
Il sogno mio, spesso.
Con una mano di buio, e un occhio di luce (cieco), e
labbra di dolore, il mio sogno non veniva a vedere il
sasso. Aveva un amico nel prato.
C’erano due gatti. Uno di metallo, l’altro d’acqua.
Dormivano vicini.
Quando, nel sonno, il gatto di metallo faceva le fusa,
il gatto d’acqua (salata) s’increspava tutto, senza
svegliarsi.
[Il mio sogno è amico del gatto d’acqua. L’accarezza
e, prima di svegliarmi, mi regala il suo profumo d’
oceano].
Ora sguinzagliami i tuoi cani dietro,
mi sbraneranno, ogni momento e metro,
quando saranno all’osso, Ah! Vedranno
chiodi d’inchiostro, e non midollo candido.
Mi scioglierò e gli marcirò le gole.
Mi sperderò in suoni e alambicchi d’ambra.
Mi si cancelli da memoria, come
celia dell’occhio, o un greve abbaglio, o inganno.
Frumento di grandine, e mani innamorate. Canzoni
frinite infinite. E pace di lame scarlatte.
[Il mio sogno lo sapeva, che il sasso non lo doveva
toccare, che sarebbe stato pianto e malanno]
Dal sasso di voglia, nel prato d’argento, si alzano
storie e rosai, carrucole di guai, e tutti gli amori che
sai.
C’era una volta un sasso di voglia.
C’era una volta un passo di foglia.
Quel passo, furtivo, quieto, d’abisso, sarebbe caduto giù
dall’inganno stesso...
ma basta.
Adesso fatemi poggiar la testa:
del mare nostalgia è questa .