Le Stelle di Lei

La luce rimbalzava sui tetti dei grattacieli più alti. Un caleidoscopio di colori che rivaleggiava con il pallido, latteo riflesso della luna.
L’intensità delle vibrazioni offuscava l’oscurità del cielo e le stelle si perdevano di fronte al roseo riflesso che aveva sostituito il ricco velluto indaco.
La natura si era dovuta inchinare di fronte alla vorace dominazione umana, ancora una volta, e l’unica luce che rifletteva era quella dei led degli schermi e delle insegne luminose.
Lei era in piedi di fronte alla vetrata del loro soggiorno, la suite più lussuosa dell’hotel più prestigioso di Tokyo, i suoi occhi persi in quel mare di luce che riflettevano senza nemmeno vedere.
Solo una decina di anni prima il suo sguardo si sarebbe illuminato di fronte all’ostentazione di tanto potere e le sue labbra si sarebbero dischiuse davanti alle luci intermittenti della grande ruota panoramica.
Lo aveva fatto, oh certamente, c’erano stati anni della sua vita di ragazza durante i quali l’amore che provava nel cuore aveva alimentato la luce del suo sguardo, e questo aveva fatto definitivamente capitolare quel frammento di cuore che Kuchiki Byakuya ancora possedeva.
Quello, e l’ordine impartito dagli anziani della potente e nobile famiglia che avevano visto nella giovane Inoue il mezzo perfetto per far riacquistare visibilità e consenso al casato.
Da troppo tempo tacciati di snobismo al limite della misoginia il clan Kuchiki non poteva avere migliore pubblicità di un matrimonio con una ragazza di umili origini: Inoue Orihime.
La favola della moderna Cenerentola era rimbalzata su tutti i media, il nobile e l’orfana, la cerimonia nel tempio di famiglia, la nascita un paio di anni dopo di un primogenito maschio avevano sicuramente contribuito alla sottoscrizione da parte del magnate del petrolio Genryusai Yamamoto, di un contratto di collaborazione ventennale con l’azienda del giovane neopadre Byakuya.
Tuttavia ogni favola nasconde una tragica realtà, quella stessa che, negli anni, aveva spento quella luce brillante negli occhi della ragazza, ormai donna, che osservava la città di notte.
Il giovane rampollo dei Kuchiki era stato un ragazzo forte, pieno di energia e dal carattere incendiario.
Quelle qualità che l’avevano attratta ai tempi del loro fidanzamento, si erano tramutate nel corso degli anni, risultato della severa educazione di famiglia, arrivando plasmarlo in un uomo arrogante e freddo.
I suoi sorrisi sempre più rari e tirati, le sue notti sempre più lontane ed accompagnate da donne, compagnie che la ricchezza del casato aveva prontamente insabbiato.
“Mi ritiro per la notte, Kuchiki-san” aveva mormorato a mezza voce Yuzu, la sua cameriera personale, ricevendo solo il silenzio come risposta.
“Dovreste. Dovreste coricarvi anche voi, Kuchiki-san.” aggiunse quindi la giovane donna sistemandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
A quelle parole lei si voltò lentamente, gli occhi stanchi la misero a fuoco assieme al mezzo sorriso che le stirò le labbra.
Annuì assente.
“Ecco, lasciate che vi accompagni” si offrì l’altra porgendole il braccio, il suo tocco così leggero da risultare piacevole come un refolo di brezza d’estate.
I colori che richiamavano la terra al tramonto della camera da letto padronale investirono i suoi sensi prima che lei si rendesse conto di dove realmente fosse.
“Yuzu.” mormorò a mezza voce, poco più di un bisbiglio
“No, Kuchiki-sama non tornerà stanotte”
Un leggero bussare le interruppe, la porta si aprì piano rivelando il sorriso aperto e l’improbabile capigliatura del colore del tramonto di Ichigo Kurosaki.
“Ehi Inoue, Yuzu!” le salutò con un sorriso scanzonato che cozzava con l’uniforme scura. Lo stemma dei Kuchiki impreso sulla giacca sembrava quasi un sigillo e lei si trovò a ricordare di come era stata la sua vita ai tempi in cui Ichigo non era un addetto alla sicurezza della villa ma un semplice compagno di classe.
“Andiamo?” esordì con un cenno alla sorella minore che annuì prontamente
“Buonanotte” bisbigliò Orihime tornando alla solitudine del grande letto bianco, immacolato. Le coperte ancora perfettamente lisce e pulite, le lenzuola profumavano ancora del gelsomino dell’ammorbidente utilizzato dall’albergo.

Il vento che l’altezza del 57esimo piano faceva costantemente spirare le scompigliava le ciocche disordinate, a malapena costrette dalle mollette a forma di fiore che Byakuya le aveva regalato durante il loro primo appuntamento e che lei ancora si ostinava a portare.
Sorrise, stanca, guardando la strada sotto l’ampia balconata dell’attico.
Come sarebbe stato semplice.
Fece un passo.
Il ghiaccio nel whisky del bicchiere tintinnò contro il vetro.
Ne fece un altro.
Il fumo della sigaretta esalò nel cielo notturno.
Il vestito bianco frusciò contro le sue gambe, mentre cercava di scavalcare la ringhiera.
Un secondo, in cui immaginò di spiccare il volo e perdersi per sempre nella miriade di stelle che si aprivano sopra di lei.
Poi un singhiozzo la scosse, i piedi, nudi, tornarono ad avvertire le irregolarità delle piastrelle della balconata.
Il respiro tornò a farsi regolare e gli occhi si velarono di lacrime.
Vigliacca.
Solo per il bambino che portava i suoi lineamenti e che dormiva nella stanza attigua.
Gettò il mozzicone nella piccola piscina. Se ne sarebbe occupato più tardi qualcuno dell’albergo.
SI addormentò sulla comoda sdraio distrutta dall’alcool al quale era stata così poco avvezza in passato.
Le lacrime asciugarono da sole sulle sue guance.