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Autore: northernlight    08/08/2013    6 recensioni
‘Mio figlio’ pensò ed era davvero figlio suo, figlio di uno che da piccolo ha passato tanta di quella merda da bastargli per dieci vite e non poteva affatto arrendersi.
Genere: Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Dominic Howard, Kate Hudson, Matthew Bellamy
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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I will always protect you, my love.



 
“Novità, Bells?”
Stanco come non mai, Matt si passò debolmente tra i capelli la mano che non reggeva il suo cellulare, poi la passò sugli occhi, stropicciandoli con le dita nell’inutile speranza di svegliarsi.

“Non so ancora niente, Dom, l’hanno portata via più o meno quattro ore fa” replicò guardando l’orologio che segnava le sei di pomeriggio “l’hanno portata non so dove e non ho notizie. Se non mi hanno detto niente evidentemente è ancora lì al calduccio!”

“Chissà da chi dei due avrà preso se ci sta mettendo così tanto!” ridacchiò il batterista dall’altro capo del telefono “oh e ricordati di stare lontano da lei, ricordi cosa ha detto mentre la portavamo lì?”

“Certo che me lo ricordo! ‘Se osi presentarti in sala parto ti prendo per le palle e ti crocifiggo a testa in giù cosparso di miele vicino a dieci alveari’ è stata la minaccia di morte più bella che io abbia mai ricevuto” ricordò il frontman con occhi sognanti.

“Ecco e mi sembrava abbastanza seria e arrabbiata o a pensarci bene magari erano solo le contrazioni molto forti visto che per poco non mi partoriva in macchina, tuttavia io non correrei il rischio” disse Dom “comunque, io adesso sto andando a Teignmouth da Kelly, dovremmo essere lì per mezzanotte, credo, okay?”

“Okay, Dom, però fai presto” rispose Matt enfatizzando il fatto di aver bisogno dell’amico accanto a sé, Dom sorrise sentendo quella nota d’ansia nella nota dell’amico.

“Tranquillo, tu però prova a dormire!” consigliò il batterista chiudendo la telefonata. Matt fissò per un attimo il cellulare, in stato quasi catatonico, pensando che forse aveva davvero bisogno di riposare. Erano giorni che era in ansia per via di Kate; la “scadenza” era giunta, il suo erede stava arrivando, avevano la borsa preparata da tempo in modo da precipitarsi in ospedale al minimo segnale. Quella mattina le si erano rotte le acque mentre Matt le portava la colazione a letto e aveva prontamente chiamato Dom - perché lui in quelle condizioni non era in grado di guidare da solo con la sua compagna agonizzante accanto - che li aveva portati alla clinica dove Kate avrebbe partorito. Dopo un po’ le contrazioni si erano fatte più forti sebbene restassero ancora irregolari ma avevano comunque deciso di spostarla altrove per tenere sott’occhio l’attività del fagiolino in arrivo e lui era ancora lì ad aspettare nella camera dove Kate era stata ricoverata in precedenza.  Dopo aver bevuto un bicchiere d’acqua e perso un po’ di tempo con il suo iPhone decise di stendersi un attimo sul letto; due minuti dopo si addormentò respirando dal cuscino il profumo della sua donna. Sognò di essere in una fabbrica di pannolini dove continuava a riempirne una borsa ma quest’ultima si svuotava immediatamente non permettendogli di tornare a casa; il suo torpore fu interrotto da qualcuno che lo scuoteva delicatamente.

“Si-signor Bellamy?”

“Mmmmh” mugugnò lui scuotendo la spalla appena toccata per allontanare la mano. La voce lo chiamò altre due volte ma lui continuava imperterrito a dormire.

“Signor Bellamy?”

“Mmmh, lasciami dormire in pace, Dom..” blaterò Matt ancora mezzo addormentato.

“Oh, cielo! Signor Bellamy, si svegli!” ripeté la voce con un tono più alto e irritato pungolando la spalla di Matt. Il cantante aprì lentamente un occhio e si alzò di scatto notando che no, per quanto quella donna fosse bionda e femminile quasi quanto lui, non era Dominic che stava cercando di svegliarlo. Si pulì il piccolo rivolo di bava all’angolo della bocca e realizzò che si trovava ancora in ospedale e Kate non era tornata.

“Oddio, Kate! È successo qualcosa?” chiese alla donna “io..io mi sono addormentato, cristo santo, non dovevo! Io..i-io..”
Prese a girare per la stanza in preda al panico, prendendo l’iPhone e controllando l’orario e leggendo un sms di Dom che lo avvisava, tra una bestemmia e l’altra, di un loro pesante ritardo poiché avevano bucato a un centinaio di kilometri da Londra e stavano cercando di rimediare.

Sono le ventuno e tre minuti, ho dormito un sacco, dannazione’ pensò guardando l’infermiera spaesato.

“Io..cos’è successo?” chiese cercando di calmarsi.

“Niente, signor Bellamy, è soltanto diventato papà” gli comunicò la donna sorridendogli dolcemente.

“Io... cosa?!”

Papà. Io’ pensò ‘e certo, cretino, la compagna è tua mica del tuo vicino di casa!

“Devo ricordarle che è nel reparto maternità? Sa, in genere qui si fanno nascere i bambini” azzardò lei.

“Sì, ehm, mi pare ovvio però me l’ha detto così... di botto” borbottò Matt grattandosi la testa.

“Non so, ha aspettato nove mesi più un bel po’ di ore di travaglio, la cicogna avrebbe dovuto portarle anche un bigliettino?” ironizzò l’infermiera annotando qualcosa sulla cartella clinica di Kate.

Kate!
La sua mente di solito raziocinante e analitica si era bloccata per un momento mentre parlava con l’infermiera tanto da dimenticarsi per un nanosecondo del perché era effettivamente lì. Infilò il cellulare in tasca e si passò le dita tra i capelli.

“Okay, io... io ho bisogno di sapere tutto, io...” iniziò a blaterare nuovamente confuso. L’infermiera gli si avvicinò, lo prese per il gomito e lo fece accomodare sulla poltroncina beige accanto al letto di Kate.

“Signor Bellamy, lei ora si accomoda qui, prende un bel respiro e beve un bel bicchiere di acqua e prova a calmarsi. Tra qualche momento la dottoressa che ha in cura sua moglie verrà a parlare con lei e le dirà tutto, va bene?” disse con tono pacato mentre Matt si afflosciava sulla annuendo. L’infermiera uscì, nell’attesa iniziò a tamburellare nervosamente sul bracciolo della poltrona. Aveva una nuova melodia bloccata in testa e si accorse di stare “suonando” esattamente quella, era un buon segno. Dopo qualche minuto una dottoressa dai lunghissimi capelli ramati entrò nella stanza, Matt scattò in piedi osservandola con circospezione, poco dopo le tese lentamente la mano.

“Signor Bellamy, sono contenta di fare la sua conoscenza finalmente” esordì  lei.

“Mi chiami Matt e mi dia del tu, la prego” rispose sorridendo stancamente.

“Con piacere. Matt, sono la dottoressa Allen, ho avuto in cura la signora Hudson anche per il suo primo parto” spiegò la dottoressa.

“Come sta Kate? E-e il bambino?” chiese Matt ansioso.

“Matt...” iniziò la dottoressa cambiando impercettibilmente espressione, ma lui se ne accorse abituato com’era ad analizzare i comportamenti delle persone che aveva di fronte. Si era trattato di un brevissimo lampo negli occhi verdissimi della dottoressa Allen, un lampo non molto positivo.

Merda.’
Questa fu l’unica cosa che la sua vocina interiore riuscì a pensare ma riuscì anche non dirlo ad alta voce, attese in religioso silenzio la spiegazione della dottoressa.

“Kate ha partorito circa due ore fa, lei sta bene anche se è ancora intontita per via dell’anestesia. Per quanto riguarda il bambino ci sono state delle complicazioni durante il parto, il piccolo ha avuto dei problemi” disse lei pesando le parole attentamente.

Complicazioni. Problemi. Bambino. Piccolo. Quindi è un maschio.

“Problemi. Che tipo di problemi?” chiese lui in tono asciutto.

“Abbiamo dovuto intubare ed incubare il bambino perché appena nato non respirava. Ha avuto un deficit respiratorio che gli ha impedito il flusso di ossigeno al cervello” spiegò con calma la dottoressa, brutale ma efficace. Il cuore di Matt smise di battere appena lei terminò la frase; sentiva le gambe cedere lentamente perciò si sedette sul letto continuando a mantenere il contatto visivo con la dottoressa che gli si sedette accanto posandogli una mano sulla spalla.

No.

“Non è una cosa molto frequente, Matt” proseguì lei “ma può succedere. C’è un dato che si annota quando un bambino nasce, l’indice APGAR, ovvero l’indice di vitalità di un neonato e... e nel piccolo era di poco superiore allo zero, quindi molto basso. Abbiamo dovuto intubarlo per permettergli di respirare ed evitare danni permanenti al cervello.”

Matt sbiancò di colpo, il suo già pallido colorito si fece ancora più bianco, sentiva gli occhi pungere. Voleva piangere ma doveva resistere.

“Ho aspettato così tanto prima di darti la notizia perché in genere ad una cosa del genere, una volta intubato, se il bambino non sopravvive entro le prime due ore di vita...” la voce le morì in gola, non aveva coraggio di continuare e Matt la ringraziò mentalmente per questo, per non aver dato voce alla cosa che più temeva.

Poi la dottoressa proseguì: “è nell’incubatrice da quando è venuto fuori, sono passata prima a controllare e si sta riprendendo alla grande, è un combattente!”
La dottoressa Allen gli sorrise provando a fargli coraggio ma Matt non riusciva a proferire parola, ricambiò debolmente il sorriso chiudendo gli occhi per un istante, inspirando profondamente.

“Matt, si riprenderà, stai tranquillo. Dovrete solo restare in clinica qualche giorno in più per essere sicuri che sia tutto a posto, okay? Poi potrete portarlo a casa senza nessun problema.”

No, non è tutto okay. Come può essere tutto okay? Mio figlio, il mio primo figlio, ha rischiato di morire appena nato e lei mi dice che è tutto okay’ blaterò la mente di Matt avendo l’accortezza di tacere, dopotutto quella dottoressa stava facendo il suo meglio per rassicurarlo. La sua mente volò alla registrazione del battito cardiaco del feto nelle sue prime settimane di vita, era la cosa più preziosa che avesse in quel momento. Inspirò profondamente, chiuse gli occhi provando ad organizzare il casino che aveva in testa; trattenne il fiato per una decina di secondi.

“Kate?” chiese nuovamente con calma.

“Kate sta bene, tra poco la porteranno qui. Però...”

“Però cosa?”

“Matt, Kate non ha sentito il bambino piangere quando è nato. Durante l’operazione non era molto cosciente, ma non ha sentito il bambino piangere, continuava a chiamare il tuo nome e a chiedere del bambino” disse la dottoressa “per evitare ulteriore stress fisico durante l’operazione, non le abbiamo detto niente perciò ti pregherei di starle accanto e di tranquillizzarla, non sarà una cosa facile da mandar giù.”

Il cantante annuì debolmente; la remota possibilità che suo figlio potesse morire sfiorò il suo pensiero per qualche istante facendolo rabbrividire. Il solo pensiero dell’ aver cresciuto quel bambino per nove mesi in attesa di stringerlo tra le braccia e di coccolarlo e di crescerlo insieme, il solo pensiero che tutto ciò potesse svanire in un istante fu come ricevere dieci lentissime pugnalate nello stomaco. Cacciò indietro le lacrime e ingoiò il magone che sentiva in gola e la bile che gli ribolliva nello stomaco. Strinse i pugni, affondò le unghie nella carne del suo palmo e cercò di tenere un respiro regolare. Si concentrò sulla registrazione del battito cardiaco del piccolo, ormai quel beat lo conosceva a memoria e per un istante riuscì a dimenticare tutto, sentì quel bambino ancora più suo, più loro. Col beat di quel cuoricino minuscolo ancora nella testa, prese un gran respiro e si costrinse a parlare.

“Posso vederlo?” chiese “cioè, vederlo... lei prima ha detto bambino, ho supposto fosse un maschio.”

“Per il momento preferirei tenerlo sotto osservazione ancora un po’, ma entro sera potrete vederlo e toccarlo. E sì, Matt, è un bel maschietto e anche abbastanza paffuto” ridacchiò la dottoressa notando l’espressione più leggera di Matt, per fortuna pareva essersi calmato, Kate l’aveva avvisata che il suo compagno avrebbe potuto dare di matto davanti ad una qualsiasi complicazione.

“Oh” fu l’unica cosa che riuscì ad esclamare, visibilmente compiaciuto della cosa.

Un Bellamy a tutti gli effettiNon che se fosse stata femmina le avrei voluto meno bene, però... un maschio!’ e pensò a tutte le cose che avrebbe potuto insegnargli, a tutte le cose che avrebbero potuto fare insieme. La dottoressa Allen si congedò rapidamente dicendo che sarebbe tornata più tardi. Qualche minuto dopo, Kate venne riportata in camera e rimessa a letto. Era sveglia, l’anestesia stava andando via lentamente, pareva essere cosciente e lucida. Matt si precipitò subito accanto al suo letto, accarezzandole i capelli delicatamente. Si girò piano verso di lui, cercò la sua mano e i suoi occhi azzurri.

“Ehi” sussurrò Matt dolcemente sorridendole.

“Matt” gracchiò Kate, la voce roca e bassa “Matt, il bambino..”

“Sssh, è tutto okay” provò a rassicurarla lui mentre sentiva gli occhi riempirsi di lacrime. Matt si avvicinò ancora di più alla sua donna e le sfregò il naso contro il collo; profumava di... beh, di Kate e di quello strano odoraccio chimico che si sente negli ospedali, ma non importava. Gli occhi della sua donna si riempirono di lacrime.

“Matt...” sussurrò Kate.

“Sssh, riposa adesso” disse Matt; odiava il non poterla abbracciare come si deve perciò corse a controllare che non ci fossero fastidiose infermiere nelle vicinanze, chiuse la porta, si tolse le Vans grigie rapidamente e si stese sulle coperte accanto a Kate che gli si raggomitolò contro.

Così inerme, così indifesa, l’ennesimo boccone amaro da mandare giù’ pensò Matt stringendola a sé. Amava proteggerla col suo corpo proprio perché non era un gigante nella altezza e nella corporatura, tuttavia riusciva sempre ad avvolgerla tutta quando la abbracciava e lei amava rifugiarsi in lui in quel modo. Le mise le braccia attorno alle spalle e la attirò a sé facendole poggiare la testa sul suo petto. Kate chiuse gli occhi e si abbandonò ad un estenuante e silenzioso pianto, il respiro mozzato dai singhiozzi. Matt stava zitto, continuava a stringerla e ad accarezzarle i capelli dolcemente finché parve essersi leggermente calmata. Contò diciotto suoi respiri prima che lei aprisse bocca.

“Non ha pianto” affermò con un sibilo silenzioso.

“No, non ha pianto” ammise con calma Matt e sentì Kate irrigidirsi contro il suo corpo “ma sta bene.”

“Cosa vuol dire che sta bene? Non ha pianto, quel silenzio lo porterò con me nella tomba, mi perseguiterà a vita.”

“Hanno dovuto metterlo nell’incubatrice ed intubarlo perché aveva problemi di respirazione e rischiava di non superare le prime ore di vita. La dottoressa è andata via poco prima che arrivassi tu e mi ha spiegato tutto. Il bambino sta bene, poi ti spiegherà meglio lei quando tornerà, ma mi ha assicurato che è fuori pericolo.”

“Voglio andare via da qui, io de-devo...” disse Kate provando ad alzarsi dal letto per andare chissà dove, ma le gelide mani del suo compagno glielo impedirono.

“Ehi, frena, dove vai? Non puoi, non adesso. Più tardi possiamo andare dal bambino e toccarlo e stare con lui, dopo ma non adesso” spiegò Matt sistemandola nuovamente a letto. Rimasero qualche minuto in silenzio, ognuno nei suoi pensieri probabilmente rivolti verso la stessa cosa.

“Bambino. Quindi è...?” chiese lei improvvisamente spostandosi leggermente per guardarlo negli occhi.

“Sì, è Bingham” confermò lui sorridendo e prendendole il viso tra le mani, con i pollici le tolse via due enormi lacrime appena scese. Matt la osservò in silenzio per qualche istante, era bellissima tutta scompigliata e sconvolta e stanca, dopo mesi di attesa e ore di dolore. Le stampò un lunghissimo bacio sulle labbra, un bacio che sapeva di lacrime.

“Bingham Hawn Bellamy” disse Kate tutto d’un fiato appena Matt le liberò le labbra “suona bene.”

E Matt rise, la sua risata acuta e cristallina riempì la stanza; rise con la sua donna per la leggerezza di quel momento in mezzo a tutta quella sofferenza, rise per Kate che stava bene, rise per suo figlio e per il nome di cui entrambi erano fieri, rise per se stesso perché era stato capace di gestire con calma una cosa del genere e - in un flash improvviso, ricordando l’sms di qualche ora prima - rise perfino di Dom immaginandolo mentre cercava di cambiare la ruota della sua macchina. Strinse Kate ancora più forte, la cullò dolcemente canticchiando quella melodia che l’aveva tormentato per tutto il pomeriggio e poco dopo, esausti, si addormentarono entrambi.


***

Matt riaprì gli occhi constatando con rammarico che aveva dormito meno di un’ora mentre Kate sembrava ancora dormire profondamente. Voleva alzarsi dal letto, aveva bisogno di cambiare aria perciò le scoccò un leggero bacio sulla fronte e si alzò cercando di non svegliarla facendo rumore, lui che aveva l’agilità ed il fisico di un lanciatore di coriandoli. Uscì dalla stanza, era ormai mezzanotte passata e aveva decisamente bisogno di un caffè. Rispose rapidamente ad un sms di Dominic che lo informava che sarebbero arrivati di lì a poco. Allontanandosi dal reparto passò davanti la nursery e decise di dare un’occhiata. C’erano un paio di bambini nelle incubatrici tuttavia lo individuò subito pur non avendolo ancora visto, segno che il suo istinto paterno si era già impossessato del suo eterno animo da adolescente.

“Bingham” disse Matt assaporando quello strano nome, deciso mesi prima nell'eventualità che fosse un maschio, e poggiando la fronte contro il vetro che lo separava da suo figlio.

Mio figlio’ pensò ed era davvero figlio suo, figlio di uno che da piccolo ha passato tanta di quella merda da bastargli per dieci vite e non poteva affatto arrendersi. Sembrava un pesciolino in un acquario: dormiva beatamente come se fosse una meritata ricompensa dopo quel suo lungo viaggio, per assurdo, appena iniziato. Il minuscolo petto andava rapido su e giù a contare i suoi respiri, in testa un berretto con disegnato sopra un..leopardo che giocava con altri animaletti.

“Dominic” sussurrò Matt ridacchiando e guardando il regalo che Dom doveva aver infilato nella borsa di Kate durante il tragitto verso la clinica. Poggiò l’esile mano sul vetro, voleva toccarlo e prenderlo in braccio ma sarebbe stato paziente, avrebbe avuto l’eternità per stare con suo figlio e la sua famiglia. La sua rapida mente volò a tutte le cose da padre che avrebbe dovuto e potuto fare con suo figlio, a tutte le cose che il piccolo gli avrebbe chiesto e che lui gli avrebbe spiegato e insegnato.

Sicuramente sarà un chitarrista, guarda là che piccole dita lunghe che ha!’ constatò mentalmente a se stesso ‘Bing, non toccherai altri strumenti, sei avvisato, figliolo...soprattutto niente bacchette.

Aveva totalmente dimenticato di aver chiuso occhio solo un paio di ore in tre giorni, aveva dimenticato il caffè che il suo corpo reclamava e ora aveva occhi solo per quel fagotto di vestitini e vita.

“Vuole entrare?” chiese all’improvviso una voce femminile. Si voltò trovandosi faccia a faccia con un’infermiera dalla folta chioma riccia e scura.

“C-come, scusi?”

“Le ho chiesto se vuole entrare a conoscere suo figlio” le chiese nuovamente lei sorridendo gentilmente.

“Io... lei come fa a sapere che sono qui per mio figlio?” chiese Matt.

“Mi creda, signore, lavoro in questo reparto da quasi dieci anni e quello che lei ha negli occhi adesso non può essere altro che l’amore di un padre verso suo figlio” spiegò lei avvicinandosi al vetro e scrutando nella nursery “andiamo, qual è?”
Matt arrossì e indicò timidamente l’incubatrice di Bingham.

“Oh, lei è il padre del piccolo guerriero!” esclamò l’infermiera facendolo sorridere “non l’ha ancora visto da vicino né toccato, vero?”

“No, non ancora” ammise rattristandosi. L’infermiera gli pose inaspettatamente le mani sulle spalle, lo fece voltare verso l’ingresso della nursery. Gli infilò rapidamente un camice pulito e lo fece entrare nella stessa stanza di suo figlio. Matt era impotente in quel momento, non riusciva a reagire né ad opporsi in qualche modo.

“Mi segua” sussurrò la donna sorridendo. Matt obbedì, fece qualche passo immerso in quel mondo che profumava di talco e di dolce, in quel mondo rosa o azzurro in cui era entrato a far parte da qualche ora. L’infermiera lo condusse davanti all’incubatrice di Bingham.

“Signor Bellamy, le presento suo figlio!” disse lei “può infilare le mani qui dentro e toccarlo, se vuole.”

“T-toccarlo? Io non sono sicuro, ho paura di fargli male.”

“Non si preoccupi, sia delicato come lo è con il suo pianoforte e vedrà che andrà tutto bene” buttò lì la donna. Matt arrossì violentemente per quell’affermazione.

“Sì, so chi è” aggiunse lei notando l’espressione del cantante “ma non importa, ora lei qui è un comunissimo papà terrorizzato e preoccupato per suo figlio. Io ora esco, la lascio da sola con lui, per ogni evenienza sono qui fuori.”

Matt la ringraziò con un cenno della testa e, quando lei fu fuori dalla stanza, tornò a guardare il bambino.

“Ciao, piccolino” sussurrò con la voce rotta dall’emozione. Decise di infilare una mano in uno dei due guanti di lattice che potevano permettergli di toccare il bambino. Tremando avvicinò un dito vicino la piccola testolina di Bingham e lo accarezzò. Notò che aveva gli stessi delicati lineamenti di Kate e, grazie a dio, anche lo stesso naso piccolo e aggraziato. Trattenendo il respiro, passò la mano sul piccolo cuoricino che adesso batteva sempre più forte. Bing dormiva con la manina poggiata sul petto, chiusa a pugno. Matt avvicinò il dito al piccolo pugno di suo figlio. Sgranò gli occhi dallo stupore quando Bingham dischiuse la manina e lentamente afferrò il dito di Matt troppo grosso per lui. Quel piccolo gesto fu troppo per lui, delicate lacrime iniziarono a solcargli gli zigomi affilati.

“Io sarò sempre lì per te, Bingham, qualsiasi cosa succeda. Quando avrai paura, quando sarai felice, quando avrai dei problemi io sarò sempre lì a supportarti e a darti coraggio e tutto ciò di cui hai bisogno.”

Non era una preghiera, ciò che Matt stava dicendo in quel momento, non era il solito ringraziamento a non si sa bene chi per avergli donato la vita; era serio, Matt e in quel momento stava donando la sua vita a suo figlio. Per sempre. Voleva soltanto proteggere quel fagottino, evitargli tutte le sofferenze che poteva, dargli l’amore di un padre, quello che a lui era mancato tanti anni fa, e farlo stare bene qualsiasi cosa sarebbe successa in futuro.

“Devi essere coraggioso, lo sei già adesso! E quando sarai lì lì per cadere, io ci sarò per reggerti e per proteggerti finché mi sarà possibile, finché ti fiderai di me e mi seguirai. Ti proteggerò io, figliolo, e starai bene..staremo bene..” sussurrò delicatamente a suo figlio mentre quest’ultimo continuava a stringergli il dito. Qualche minuto dopo l’infermiera interruppe quel delicato momento dicendo che c’erano visite per lui e che qualcuno aveva già raggiunto la signora Hudson in camera. Matt annuì, accarezzo delicatamente Bingham per l’ultima volta e si precipitò fuori togliendosi rapidamente il camice. L’infermiera indicò con la testa alla sua destra e Matt si voltò.

“Ciao, paparino, come stai?” disse Dominic allargando le braccia in segno di saluto. Matt sorrise, sorrise davvero, dal profondo del suo cuore e gli corse incontro abbracciandolo e perdendosi nel suo calore e nel suo profumo. Dom sapeva di casa e si sentiva davvero a casa in quel momento.

Sì, sarebbe andato tutto bene adesso.


 




 
  
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