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Autore: AintAfraidToDie    16/02/2008    7 recensioni
Chi è Tooru? Chi è Kyo?
Io non sono io.
Sicuro di voler sapere chi sei veramente? 
- Dedicata a lui.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Die, Kyo
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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“ I've always been about pain. In fact, I'm quite incapable of writing anything else, nor would I want to. Where does it come from? Probably the life I've lived…”

* “ Ho sempre scritto sul dolore. Infatti, sono abbastanza incapace di scrivere su qualsiasi altra cosa, non perché io non voglia. Da dove viene questo? Probabilmente dalla vita che ho vissuto…”

Kyo, Dir en grey [from an interview about Vulgar, in 2005]

Suicide is the proof of life.

Capitolo Uno: “My place”.

Mi sono sempre chiesto quale fosse il mio posto, in questo mondo.

Dalla minuscola finestra della mia stanza, che di mio forse non ha mai avuto nulla, guardavo di sottecchi i piccoli sprazzi dello scorrere della vita delle persone che si soffermavano nella mia visuale. Tutti i giorni mi appostavo in quel mio angolo segreto, tra la scrivania di legno di quercia e l’armadio d’acero, rubando qualche pezzo di esistenza alla gente che aveva la piccola sfortuna di passare davanti ai miei attenti occhi.

Potevo scorgere il gruppetto di bambini dell’asilo vicino che giocavano ai giardini pubblici di fianco. Correvano, goffi, nei loro enormi grembiulini rosa o blu. Inventavano insieme alle loro maestre stupidi giochi senza né capo, né coda e spesso scoppiavano in liberatori pianti, privi di un preciso perché, cantilenando frasi senza senso. Infine ridevano. Ridevano tanto, insieme.

In quei ripetuti istanti, pensavo che loro ce l’avevano, il loro posto: erano dei bambini; dei piccoli bambini che dovevano giocare, piangere e ridere. Tutto qui. Null’altro.

Il loro mondo, la loro esistenza, si fermava a quello.Perché erano nati per quello. Esistevano, per quel preciso obbiettivo: per essere degli stupidi bambini.

Io cosa dovevo essere? Io chi dovevo essere?

Non ero un stupido bambino, ma non ero nemmeno qualsiasi altra cosa. Esistevo forse con il semplice e futile obbiettivo di sopravvivere? Riuscivo a vedere ed a capire che spesso gli esseri viventi che mi circondavano erano ciò che dovevano essere. Erano stimati, erano amati, per il semplice fatto di essere se stessi. C’era qualcosa che mi differiva dagli altri?

Quegli stupidi bambini a casa loro avevano una madre e un padre che li aspettavano con impazienza, con un grande sorriso sciocco stampato in volto, pronti a soffocarli d’amore con un abbraccio. Quando io ero piccolo e d’Inverno tornavo da scuola, me ne stavo quarantacinque minuti ad aspettare nel giardino di casa che mia madre finisse di scoparsi il giardiniere.

Se fossi stato un bambino stupido, sarei stato sicuramente il più stupido.

Passavano i giorni. Le settimane. I mesi. O forse gli anni?

Continuavo ad osservare dalla finestra, cercando in qualcuno dei vari passanti qualcosa che potesse darmi un aiuto per capire me stesso. Ero strano?

Per un certo periodo della mia apatica esistenza cercai d’ignorare il dubbio.

Forse un fondo di verità c’era, visto che mia madre e mio padre me lo urlavano sempre.

“Sei strano! Non sei normale!”

Cosa significavano, quelle esclamazioni? Non riuscivo a capacitarmene.

Tutto quel che sapevo si limitava al fatto che non erano né complimenti, né cose buone.

Mia madre sospirava, quando mi guardava. Mio padre digrignava i denti, se cercavo di parlare con lui. Perché?

La mia anima piangeva al posto dei miei occhi.

Come si faceva a piangere? Non mi piaceva studiare. Non avevo amici. Passavo le mie giornate, la mia intera vita, guardando fuori da una finestra.

Ero strano?

Diversità: contrasto parziale o totale sussistente tra i caratteri distintivi di due o più cose o persone; motivo di opposizione o di conflitto; differenza.”

Diverso: totalmente o parzialmente opposto, per quanto riguarda i caratteri distintivi oggettivamente rilevabili; estraneo alla comune esperienza, non mai visto o udito, sconcertante; ripugnante; mostruoso.

“Normale: riferibile alla consuetudine o alla generalità; regolare.”

Stranezza: insolita difformità dal consueto o dal normale, motivo di perplessità, di sorpresa o anche di singolare interesse e curiosità.”

Il vocabolario diceva così. Le mie piccole e candide mani lo avevano sfogliato diligentemente, pagina dopo pagina. Differente, opposto, sconcertante, ripugnante, mostruoso.

La mia mente era piena di parole e concetti. Era quella, la mia etichetta. I miei genitori pensavo quello, di me.

Il mio posto era forse quello? La mia ricerca era finalmente terminata?

Dubbi. Ma non più di tanti.

Il mio ghigno di dodicenne si aprì verso quel nuovo me stesso, che forse ero sempre stato.



  
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