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Autore: TheHeartIsALonelyHunter    09/08/2013    2 recensioni
Avere un’altra persona distesa di fianco a lui nel suo letto non lo aiuta a sentirsi meno solo, anzi: contribuisce a far battere di dolore quel cuore ormai spezzato a metà, perché lui se la spassa con una ragazza e suo fratello è ormai cenere.
Altre lacrime che sembrano sangue colano dai suoi occhi.
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[Terza classificata al contest "Le città del Mondo Contest" indetto da Sara.1994 e giudicato da Triz93 sul forum di EFP]
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Paride
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Il giardino, nella sua immensità, sembra un piccolo regno nell’immensa e immortale Troia. Il re Priamo l’ha fatto progettare, lo ricorda bene, dai migliori architetti e giardinieri della città.
Dei viali di sassolini bianchi passano in mezzo al lussureggiante verde, facendo sembrare gli immensi muri di siepi che li circondavano ancora più immensi.
Delle palme dalle larghe foglie si mischiano al verde dell’erba curata.
Una leggera e poco visibile coltre di edera ha cominciato a salire, da poco, lungo una delle pareti del castello. Lui rabbrividisce al pensiero del giardiniere che prima curava quelle piante ribelli, morto nel tentativo di proteggere Troia.
Il giardino è la prima cosa che gli ospiti vedono quando entrano, e non ricorda una sola persona che non abbia aperto la bocca stupita alla vista della magnificenza del palazzo e, soprattutto, del parco. La stessa Elena è rimasta sorpresa a fissare le meraviglie di Troia con gli occhi spalancati, appena arrivata.
Il principe Paride si passa le mani sulle braccia, cercando, inutilmente, di riscaldarsi. La veste blu ricamata di ghirigori dorati gli copre a malapena metà del torso e dei pettorali scolpiti, e l’aria che tira è fredda e tagliente.
Il respiro del ragazzo è leggero e ritmato, ma nel silenzio innaturale che regna sia nel giardino sia nel castello, risuona forte e potente.
Nelle sue narici, Paride sente arrivare l’odore acre della terra, spazzata via dal vento impetuoso, e il tanfo, ancora più acre, del sangue dei guerrieri distesi sulla spiaggia.
Il principe pensa di rientrare, anche solo per prendere qualcosa di più caldo, ma rimane bloccato lì, sulla soglia del giardino, a guardare con occhi spalancati il verde degli alberi e dell’edera che si arrampica lentamente sulle mura, a pensare, tristemente, a quando lui e suo fratello Ettore giocavano proprio in mezzo a quelle siepi, rannicchiandosi spaventati contro gli alberi e infilandosi nei cespugli.
Un sorriso lieve gli passa sulle labbra quando ricorda i dolci rimproveri di suo padre, le cadute maldestre sulla ghiaia, i pianti dolorosi, e poi loro madre che li confortava…
Se chiude gli occhi può ancor sentirle: le voci allegre e spensierate di due bambini che ignorano completamente quanto la vita sia violenta, stupida e ingiusta.
Il sorriso scompare veloce come è arrivato quando un pensiero improvviso gli balena nella mente.
Sei tu che hai rovinato questa serenità…
Paride scuote la testa come per scacciare una mosca che gli si è infilata nell’orecchio.
Non vuole pensare a troppe cose brutte, ora.
Come se fosse possibile…
In altre circostanze, la visione del suo rassicurante ritrovo d’infanzia, l’ultimo barlume di un passato felice, lo rassicurerebbe e lo renderebbe felice in un momento difficile come questo.
Ma ora neanche quel luogo di felicità e di serenità riesce a cancellare l’angoscia che ha nel cuore.
Ci ha sperato.
Davvero…
Avrebbe bisogno di un po’ di pace e tranquillità, in tempi di guerra.
Ma il cuore ancora sanguina, e le urla che ha sentito gli rimbombano ancora nelle orecchie.
Paride socchiude gli occhi, facendo colare una lacrima giù per la guancia e poi fino al mento.
Chissà cosa gli direbbe ora suo padre, se suo padre fosse un arcigno generale spietato e severo come lo è Agamennone.
Piangere è da femminucce, signorino! Non riesco a capire come io possa aver avuto in figlio un tale inetto come te! Guarda tuo fratello, Paride! Lui non piange mai!
Ride tra sé e sé, anche solo immaginando suo padre rimproverarlo così duramente.
Fortunatamente Priamo non si è mai neanche sognato di metterli a confronto, né di farlo crescere con l’angoscia di non somigliare mai a suo fratello e di non essere all’altezza del titolo di “Principe”.
Lui stesso è vissuto con quei timori insiti fin nel profondo del cuore, e ha avuto questa angosce e questi dubbi sin da bambino.
Sebbene suo padre non ha mai dovuto fare confronti tra loro due, è sempre stato chiaro che Ettore era il suo preferito.
Forse, il fatto che lui fosse il maggiore e che sarebbe diventato re di Troia quando lui fosse morto, forse l’atteggiamento umile ma combattivo, forse il fatto che Ettore non era un codardo come lui.
Tuttavia Paride non ha mai provato invidia per suo fratello: e come potrebbe, in fondo, covare rancore per un uomo nato dalla sua stessa madre?
Ettore è sempre stato il suo rifugio sicuro, le ali sotto cui lui era protetto, con la scusa che era il maggiore. Si è sempre vergognato di dover dipendere da lui e del fatto che doveva sempre farsi proteggere da lui, ma in fondo, come biasimarlo?
È sempre stato un codardo e lo sarà sempre.
Ha sempre lasciato decidere a lui cosa fare, e questo perché ha sempre avuto timore che tutto ciò che faceva fosse sbagliato, che contrastasse col titolo nobiliare che gli era stato appioppato sin da bambino.
E in effetti, pensa, ha sempre fatto bene: l’unico momento in cui non ha voluto ascoltarlo è stato quando gli ha chiesto di riportare Elena in Grecia.
E questa azione ha portato solo guerra e distruzione.
Si sente così stupido e inetto, a non aver dato retta a lui anche in quel caso…
Si è lasciato trasportare da una passione così accesa e intensa da sembrare quasi violenza, e dalla certezza, dalla speranza di essere adulto e di poter decidere del tuo destino.
Strano come quella semplice azione, quell’unico desiderio che si è concesso abbia cambiato tanti destini e riempito così tante tombe.
Un’altra lacrima arriva a raggiungere la prima, veloce.
Non è mai stato forte come suo fratello, lo sa.
Sin da piccolo non sopportava la vista del sangue: anche solo la minima sbucciatura lo spaventava a morte.
Che codardo, pensa, scuotendo la testa.
Ora, un leggero sorriso quasi sardonico gli increspa le labbra, e le lacrime continuano a colare giù e a cadere nell’erba verde del giardino di Troia.
Ricorda ancora come suo fratello lo canzonava dolcemente quando urlava anche per un semplice graffietto trascurabile, e come lo stringeva a sé e lo rassicurava quando invece le ferite era più grandi e perdevano più sangue.
Anche solo toccare quel liquido gli fa venire ancora oggi un conato di vomito: la sua consistenza viscida e così sfuggevole, i grumi che si formano sulla pelle, e l’orrore, quando fuoriesce dal corpo di un uomo…
Si passa le mani tra i capelli, cercando di scacciare un pensiero, invano.
Vuole solo non pensare, non pensare e basta, anche solo per un istante, anche solo per far cessare quel mal di testa martellante.
Ma quello torna, fastidioso e cattivo, a tormentalo, e altre lacrime colano giù.
Se n’è andato.
Se n’è andato e l’ha lasciato solo.
E lui ha lasciato solo suo fratello maggiore…
Il suo conforto, il suo protettore, il suo mentore.
L’ha visto morire di fronte ai suoi occhi, e non ha potuto fare nulla per contrastare il Fato che se l’era già portato via quando lui aveva portato quella donna nelle mura di Troia.
Ma perché l’ha fatto? Non lo ricorda ormai più il motivo che l’ha spinto a portarsi Elena nella sua città,a coprire lei e la sua figura di infamia e disonore, a far vivere il suo nome per sempre, nei secoli, come quello di una troia che si è lasciata andare al primo giovane che le è capitato tra le mani.
Avere un’altra persona distesa di fianco a lui nel suo letto non lo aiuta a sentirsi meno solo, anzi: contribuisce a far battere di dolore quel cuore ormai spezzato a metà, perché lui se la spassa con una ragazza e suo fratello è ormai cenere.
Altre lacrime che sembrano sangue colano dai suoi occhi.
E il suo timore cambia, ora, e il codardo torna a parlare, con le parole della paura.
Ha paura, Paride, di tutto ciò che ha visto e ciò che potrebbe vedere.
Ha paura di vedere altre persone morire come ha visto suo fratello morire.
Ha paura di perdere altri amici.
Ha paura di dover combattere ancora, di dover ancora sentire il sangue passargli tra le mani e di dover piangere nella notte per la famiglia di un uomo che neanche conosce.
Ogni Greco ucciso è una parte di sé che se ne va, ogni anno che lui toglie a quegli uomini è una ferita sul suo corpo, ogni goccia di sangue che essi hanno perso a causa sua è una nuova macchia sulle sue mani.
Le guarda, quelle mani candide e perfette, mani quasi da signora, che mai hanno impugnato una spada e che mai hanno strangolato un uomo, ma che ora, per forza di cose, sono diventate rosse come il sangue degli uomini, dei ragazzi che ha ucciso.
Come ha fatto suo fratello a resistere?
Cos’è che non l’ha fatto impazzire, anno dopo anno, settimana dopo settimana, giorno dopo giorno?
Cos’è che gli ha dato la forza di rialzarsi quando il rimorso era troppo grande, quando quel giardino non bastava più a rassicurarlo, quando tutto il suo corpo era macchiato di sangue?
Lui è sempre stato più forte di lui, non c’è altra risposta.
Sin da quando erano piccoli e quel giardino era ancora un luogo di gioia e non il monumento alle sue scelte sbagliate.
E lui l’ha ucciso, con le sue stesse mani, quelle mani infami che hanno stretto il corpo di Elena.
Chi poteva immaginare che a farlo diventare polvere sarebbe stato proprio il suo dolce e sottomesso fratellino Paride?
Lui sa, e lo sa benissimo, che ad affondare la sua spada nel petto di Ettore non è stato Achille e non sono stati neanche gli dei: è stato lui, con la sua avventatezza e la sua stupida convinzione di poter vivere senza suo fratello.
Ma come ha potuto anche solo immaginarlo?
Ora che davvero lui non c’è più e non può più dargli consigli, Paride si sente dannatamente solo.
E tutto proprio a causa sua.
Che brutti scherzi che fa il Fato, vero?
Che infidi tranelli che tendono gli Dei.
Uccidere la carne della sua carne con una semplice azione.
Far finire una vita per sempre.
E per sempre non è poco.
E intanto la solitudine torna ad assalirlo, e le lacrime continuano a scendere.
Paride non si è mai sentito più solo di ora.
 

 Note d'autrice:
Non capisco perchè il portatile non mi faccia inserire il testo...
Sono dovuta ricorrere al fisso.
Bè, allora...
Ho sempre pensato che il Paride del film sia molto più complesso di come lo si descrive sempre (codardo e inetto), e ho provato a darne una mia versione.
Come detto sopra, la descrizione di Paride è basata su quello del film, e NON della mitologia, in cui lui è il simbolo per eccellenza di codardia e inettitudine.
Visto che questo film ci ha dato una visione differente della mitologia, ho voluto seguire anch'io il suo esempio.
  
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