Disclaimer: Vi sembro il signor Disney? Ecco,
appunto.
Notes: Banale e fluffoso fino all’ultima
parola; ambientato in un momento non meglio precisato di HMS2 (indicativamente
poco prima della partita di baseball).
PINK
Se c’era una cosa, fra tante, che davvero non sopportava,
era la costante presenza di rosa.
Non bastava il caldo, non bastava il dover lavorare come
schiavi alle dipendenze di una principessina modaiola ed egocentrica, e di certo
non bastava nemmeno vedere uno dei suoi migliori amici fraternizzare con il
nemico - no! Rosa, rosa, rosa ovunque per tenere alto l’umore della nevrotica
principessina… e per far impazzire lui, chiaramente.
Chad non sapeva bene da dove arrivasse tutta questa
repulsione per un semplice colore; forse poteva incolpare le sue cuginette, che
da piccolo lo costringevano a giocare con loro in un trionfo di giocattoli fuxia,
o magari era stata la sua prima fidanzatina delle elementari a traumatizzarlo
con i suoi abitini confetto. Quale che fosse l’origine del trauma, l’unica cosa
su cui si poteva star certi era che quel maledetto club non stava giovando alla
sua intolleranza.
Insomma, va bene l’accostamento di colori e tutto, ma si
stava rasentando la follia! Asciugamani, ombrelloni, poltrone, cocktails! Non aveva il permesso di
accedere ai bagni dei soci, ma avrebbe scommesso la sua (futura) macchina sul
colore della carta igienica.
Se ne stava giusto solo soletto a covare il suo cattivo
umore mentre metteva a posto dei materassini in uno dei capanni nascosti dietro
la piscina, quando una voce sfortunatamente ben nota arrivò flautata alle sue
orecchie.
«Procede bene il lavoro, mr Danforth?»
Chad fece finta di non aver sentito e continuò
imperterrito ad impilare gli attrezzi in un angolo della rimessa, con la
speranza che il suo visitatore si stufasse di essere ignorato e se ne andasse
da qualche altra parte. Ma, dopo un’occhiata da dietro una catasta di
scatoloni, capì che i suoi desideri potevano tranquillamente andare a farsi una
nuotata in piscina.
«Signorino Evans, desidera?» disse pigramente voltandosi
verso l’altro. Trattenne a stento un urlo quando vide la graziosa mise che Ryan aveva scelto per
l’occasione. Rosa shocking, tutto, totalmente e irrimediabilmente rosa shocking - cappello incluso.
Accecato dalla fosforescenza del vestito del ragazzo fece
un passo indietro, sgranando platealmente gli occhi.
Ryan sbuffò divertito, «Sai, dovresti essere più…
discreto, nel far capire cosa pensi del look dei soci.»
Chad aprì la bocca un paio di volte per rimediare alla
figuraccia, ma quel concentrato di bagliore che era la t-shirt di Ryan sembrava
avergli annichilito le capacità linguistiche. Dovrebbero essere illegali certe
maglie, pensò mentre cercava qualcosa di sensato da dire.
…niente da fare, ancora troppo sconvolto.
«Chad, tutto okay?» Ryan sventolò una mano davanti al viso
di Chad, iniziando a preoccuparsi per l’improvvisa immobilità del ragazzo. Non
ottenendo alcuna reazione si avvicinò di qualche passo, chiamandolo con
cautela.
«…Chad? Ti è venuto un ictus?» chiese sporgendosi in
avanti per osservare meglio il suo viso. L’improvviso balenare di un cappello
rosa a meno di un palmo dal suo naso riscosse Chad dallo shock; balzò
nuovamente indietro con un urletto, come a voler mettere più spazio possibile
tra sé stesso e lo sgargiante copricapo.
Ryan rimase un attimo stupito dallo scatto repentino, ma poi
ridacchiò lievemente. Chad si accorse finalmente del ridicolo teatrino di cui
era appena stato protagonista e tossicchiò, imbarazzato.
«Okay, insomma, che volevi?» chiese in un penoso tentativo
di cambiare argomento.
Ryan scrollò le spalle, «Passavo di qui.»
«Certo, passavi per caso nell’angolo più remoto della tenuta
e sei stato così premuroso da fermarti a salutare un amico che sgobbava.» ripeté scettico. Ryan rispose con un’altra alzata
di spalle e uno sguardo annoiato che faceva ben capire quanto peso desse alle
sue acide considerazioni.
Chad lo guardò per un po’, ma Ryan sembrava
improvvisamente molto preso dall’osservazione della flora LavaSpringhiana, così
decise di tornare al suo lavoro. Sussultò appena trovandosi a fronteggiare un’alta
pila di asciugamani color confetto, che aveva quasi dimenticato per lo spavento
di poco prima. Stava per rimboccarsi le maniche e spostare i minacciosi
asciugamani quando Ryan ripeté in tono leggero.
«Comunque, non mi hai detto come va.»
Si voltò, perplesso, fissando Ryan per capire se fosse
impazzito d’un tratto: sembrava essere in sé (per quanto un Evans possa “essere
in sé”), e di sicuro non si era preso un colpo di sole, ben coperto com’era dal
suo cappellino… quindi era serio.
«Uhm, tutto… tutto okay, credo…» rispose incerto. Ryan
alzò un sopracciglio con fare canzonatorio, le labbra piegate in un accenno di
ghigno.
«Oh, certamente, il tuo entusiasmo supera quello di Shar
quando riesce a farsi dare la carta di credito da papà.»
«Sai, non è che correre in giro sotto il sole tutto il
giorno e correre in giro carico di piatti tutta la sera sia il sogno di ogni
ragazzo,» ribatté irritato «Soprattutto quando si è circondati da dannato rosa…»
aggiunse poi a mezza voce.
Ryan ghignò, e Chad lo guardò confuso; l’insolazione era
forse in agguato…?
«Stasera vorrai buttarti dalla finestra, allora…» proferì
sibillino prima di andarsene senza un’ulteriore parola.
«Cos- stasera?» farfugliò Chad, ma si era già allontanato
con la sua aggraziata camminata.
Ripensando alle parole di Ryan dopo essersi affacciato nel
salone, Chad non poté che trovarsi d’accordo; rimpiangeva solo che la sala
fosse al pian terreno, nonché del tutto priva di finestre.
La tavola a centro sala - la migliore, riservata ai
signori Evans - era stata interamente apparecchiata in una sinfonia di pizzi,
fiori e candele rosa che facevano sembrare il tutto una grande, ingombrante,
pacchiana bomboniera. Non si aspettavano mica che lui lavorasse intorno a quel…
coso, vero?
Alle sue spalle si sentì un gridolino deliziato e subito
apparve Sharpay, praticamente piroettando estasiata verso il suo posto, seguita
a breve distanza dai genitori compiaciuti e dal gemello, che sorrideva appena guardandola
con dolcezza. Chad alla sua comparsa sentì una leggera stretta allo stomaco,
che ricollegò prontamente al principio di nausea dovuto ai fronzoli rosa.
«È delizioso papy!» esclamò Sharpay alzandosi sulle punte
per baciare il padre sulle guance. Il signor Evans rise condiscendente mentre l’intera
famiglia si sedeva a tavola e un qualche cameriere correva ad accendere le
candele (rosa) al centro della tavola.
«Mio Dio, mai visti tanti pizzi nemmeno in casa di mia
nonna,» disse Troy apparendo al fianco di Chad; si voltò verso l’amico
sorridendo complice «Tocca proprio a noi, eh?»
Chad roteò gli occhi e senza nemmeno rispondere partì alla
volta dei tavoli e delle ordinazioni, mollando Troy da solo come un idiota.
Decisamente, non era dell’umore per dare retta ai patetici tentativi di
riconciliazione del suo migliore amico.
Nonostante i suoi sforzi non riuscì a tenersi lontano per
tutta la serata dal Tavolo dell’Apocalisse (come l’aveva affettuosamente soprannominato),
un po’ perchè gli altri clienti avevano già un cameriere di fiducia e un po’
perchè ogni volta che Troy si avvicinava agli Evans con le migliori intenzioni
di prendere le ordinazioni veniva puntualmente distratto dall’adulazione di
Sharpay o dai “discorsi importanti” del padre della ragazza.
«Cosa posso portarvi, signori?» domandò quindi atono, il
capo chinato con aria afflitta e gli occhi bassi sul taccuino. Appuntò
distrattamente i piatti senza sentire effettivamente una parola di quello che
succedeva tutt’attorno, dalle chiacchiere del signor Evans con Troy che annuiva
perplesso ma compiaciuto alla litigata di Sharpay con sua madre su un piatto
che la ragazza voleva a tutti i costi, sebbene fosse stato escluso dal menù.
Mentre aspettava che si sbrigassero decidessero iniziò a
scarabocchiare l’angolo della pagina del suo block-notes, facendo ogni tanto
qualche vago cenno per dare l’impressione di stare attento. Concentrato com’era
nell’esecuzione di un ghirigoro particolarmente ispirato non registrò subito il
risolino all’altezza del suo gomito destro. Spostò sorpreso lo sguardo e
incontrò gli occhi di Ryan, brillanti e divertiti, che lo fissavano
intensamente.
Ricambiò interdetto la lunga occhiata, incapace per
qualche strano motivo di interrompere il loro silenzioso scambio. Sentì un
bizzarro calore intorno al collo.
«Danforth… insomma, Danforth!» strillò Sharpay «Di’ al
cuoco che io pretendo il salmone, e
non mi importa nulla se è finito, che vada a pescarselo da qualche parte!
Chiaro?»
«Uh? Ah, certo Sha- signorina Evans, vado subito.» Chad
sussultò, la sua attenzione ora interamente rivolta alle urla della ragazza.
Ryan camuffò l’ennesimo risolino in un colpo di tosse, continuando ad
osservarlo con la coda dell’occhio. Chad gli lanciò un’occhiata turbata prima
di fuggire il più rapidamente possibile nelle cucine, per allontanarsi dall’ira
della principessina e dall’improvviso sfarfallio allo stomaco.
Chad appoggiò la fronte contro il muro con un lamento afflitto.
Alzò un polso a fatica e vide con gioia le lancette indicare le dieci e
cinquanta; quasi si commosse pensando che sarebbe potuto andarsene da
quell’inferno di rosa in appena dieci minuti. Nove e trentasette, anzi.
Ponderò l’opzione di tornare in sala in quegli ultimi nove
minuti e ventinove per fare almeno finta di lavorare, ma il muro era terribilmente
fresco contro il suo viso accaldato e anche solo l’idea di muoversi gli faceva
dolere tutto. Che problema c’era se per altri otto minuti e cinquantanove se ne
restava lì, nell’ombra del corridoio vuoto? Bastava che non passasse nessuno
prima delle undici, doveva solo restare immobile per una manciata di minuti e
nessuno avrebbe notato la sua assenza. Lui non veniva scoperto, il signor
Fulton non l’avrebbe punito, e tutti sarebbero stati contenti.
Il filo dei suoi pensieri fu presto spezzato da dei passi
leggeri che si muovevano proprio nella sua direzione, e le sue speranze di ozio
crollarono a terra crudelmente infrante. Magari era Taylor, che l’avrebbe di
sicuro lascito in pace…?
«Stanco?» domandò non un suo collega qualsiasi ma Ryan,
sporgendosi da dietro un angolo del corridoio con espressione serena.
Chad emise un lamento che sarebbe stato più consono ad un
cane ferito. «Tu - non - hai - idea.
Ho le spalle talmente rigide che se mi spaccassi una sedia addosso non me ne
accorgerei nemmeno.»
Sentì due piccole mani posarsi sulla sua schiena e premere
in mezzo alle scapole, delicatamente, per poi salire alla base del collo.
«Cavolo, sei tutto teso…» mormorò Ryan spostando le mani ai lati del suo collo,
i pollici a sfiorargli la nuca.
Chad emise un mugolio soddisfatto e chiuse gli occhi,
troppo stanco per protestare. Ci volle qualche secondo perché si rendesse conto
di cosa stesse succedendo e si votasse di scatto, gli occhi sbarrati,
scivolando contro il muro il più lontano possibile da Ryan.
«Cos… cha stavi facendo?!» sbottò in tono più acuto del
necessario, soffocando la piccola parte di lui che protestava vivamente per l’allontanamento
di quelle mani miracolose.
«Shiatsu.» rispose semplicemente Ryan «Non pratico solo lo
yoga, sai. In più sembravi avere disperatamente bisogno di rilassarti.»
«Dio sì…» mormorò Chad passandosi una mano sul viso
stanco. D’un tratto tenere le palpebre alzate sembrava un’impresa titanica.
«Cioè, ho bisogno di andare a casa e dormire. Niente sciazzu o robe orientali,
okay? E niente invasioni dello spazio personale, tipo, senza preavviso.»
concluse gesticolando debolmente.
Ryan assottigliò lo sguardo, divertito, e fece un piccolo
passo verso Chad, senza che questi desse segno di averlo notato. «Chiaro.»
«Bene, perfetto.» Chad abbandonò la schiena contro il
muro, e sbuffò dopo che una rapida occhiata all’orologio da polso l’ebbe messo
al corrente che il suo turno sarebbe finito in quattro minuti e sedici secondi.
Ancora.
«Ti sei cambiato.» constatò senza motivo, accennando alla
tenuta di Ryan, ora un discreto accostamento di pantaloni e t-shirt bianchi. L’altro
annuì, più che per educazione che per altro, e Chad proseguì distrattamente
«Stai meglio…»
Gli occhi di Ryan brillarono brevemente, e azzardò un
altro passo. «Tu credi?»
Chad si strinse nella spalle «Non sembri più una
bomboniera.»
Ennesimo passo.
«Davvero?»
Passetto.
«Ah-ah. Odio le bomboniere.»
Piccolo, impercettibile passettino…
«Buono a sapersi.»
Chad alzò gli occhi dall’orologio che stava fissando
intensamente - nella vana speranza che le lancette scattassero direttamente
sulle undici con la sua sola forza del pensiero - e si trovò ad osservare da
una stretta vicinanza gli occhi del minore degli Evans. Troppo stretta vicinanza.
«Noi non… non avevamo fatto un discorso sugli spazi
vitali?» biascicò, la gola chissà perchè d’un tratto seccatasi. Rimase
imbambolato a contemplare quegli occhi, limpidi e magnetici, che sembravano
risucchiare tutta la sua attenzione; non si accorse, infatti, del braccio che
si posava ad un lato della sua testa, o del sorriso appena accennato su quelle
labbra sottili.
«Ti sto dando fastidio?» sussurrò Ryan, esageratamente
vicino al suo viso.
«No… cioè- sì, chiaro, spazio vitale…» farfugliò Chad con
la mente annebbiata dalla stanchezza ma soprattutto dall’intenso sguardo dell’altro.
Se solo avesse avuto meno sonno se ne sarebbe andato su due piedi, ovviamente,
ma le sue gambe sembravano essersi disconnesse dal cervello. Non era mica colpa
sua se non riusciva a muoversi né tanto meno respirare, cavolo.
«Scusa, non me ne ero accorto…» ghignò Ryan innocentemente
«Però non mi sembra di essere così vicino,» proseguì precedendo le flebili
proteste dell’altro «Voglio dire, potrei essere più vicino…»
E Chad si ritrovò a dargli ragione quando le loro bocche
si sfiorarono, lentamente, timide nonostante tutto. Ryan poteva - no, doveva essere più vicino.
Passò le braccia intorno ai fianchi sottili del ragazzo,
attirandolo in un contatto più deciso mentre le loro labbra si facevano più
audaci e le mani di Ryan si intrecciavano ai suoi capelli.
Sospirò bruscamente sentendo la gamba dell’altro calda
contro la propria, e Ryan non perse l’occasione di approfondì il bacio.
Chad iniziò a sentirsi stordito appena la lingua di Ryan
sfiorò la sua, e fu preso dal bisogno di scoprire se la pelle dell’altro era
morbida come la sua bocca. Ma non fece neanche in tempo ad afferrargli l’orlo
della maglia che Ryan era sparito, lontano da lui di appena venti, infiniti centimetri.
«Scusa l’invasione,» disse Ryan reprimendo un sorriso
esagerato, gli occhi semplicemente brillanti e le guance appena colorate. «Ora
devo, ehm, andare.» Arrossì violentemente e fuggì, praticamente saltellando per
il corridoio, dopo un frettoloso saluto con la mano.
Chad rimase immobile contro il muro, esibendo un’espressione
da ebete di tutto rispetto. Spostò lo sguardo vacuo sull’orologio, ma non c’era
cosa in quel momento che potesse importargli meno di distinguere i numeri sul
quadrante. Non era neanche ben sicuro di ricordarseli tutti, i numeri.
Gli tornò prepotentemente in mente l’immagine di Ryan,
radioso e con il respiro corto, che arrossiva. Era particolarmente bello con le
guance tinte di rosa.
Si incamminò verso le cucine per timbrare il cartellino,
decidendo di dover far arrossire Ryan più spesso.
Quella tonalità di rosa lo affascinava particolarmente.
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Prima incursione nel fandom Disney - yay! :D
Non credo di dover spiegare il perché di questa coppia; la
sola I Don’t Dance basterebbe, anche senza l’accecante gayezza di Ryan e tutto
quel boy flirting.
La colpa di tutto ciò va alla mia dolce metà (che crede
fermamente in uke!Chad ed è l’unica a darmi corda in questo mio malsano
interesse XD Anche perché è stata lei a farmelo venire ù_ù) e al mio
conflittuale rapporto con il rosa.
Will