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Autore: FabTaurus    09/08/2013    3 recensioni
Rovine. Vestigia decadenti di ere ormai passate. Luoghi disabitati per eccellenza, preda solo di insetti ed intemperie. E se invece non ci fosse nulla di vero? se invece quelle che sembrano vecchie rovine fossero antiche dimore di essereri misteriosi?
Genere: Dark, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Gli uomini sono arrivati.
Sono le malevole stille infuocate che strisciano lungo i fianchi della collina e ne dissacrano gli alberi. 
Sono gli infami predoni che osano avvicinarsi alla mia dimora armati di torce ardenti e lame di metallo gelido. 
Sono sopraggiunti col buio. In molti. Come un branco di saprofagi vigliacchi.
Li vedo sciamare come piccoli parassiti verso cortili della Fortezza, mentre una falce di luna spunta sanguigna da una nuvola.
Non è la prima volta che vengono. 
Sono giunti fino qua altre volte nell'ultimo anno, ma mai li avevo visti salire così in alto. Si erano sempre fermati ai piedi della Collina, e solo una volta si erano inoltrati per pochi passi  nei Giardini Esterni.
Ad ogni nuova sortita si fanno sempre più sfrontati questi figli della Carne.
Sento lo scalpiccio dei loro piedi immondi che calpestano i miei giardini d'ombra e luce, e osservo la loro avanzata, mentre distruggono le volte frondose delle mie Sale Verdi.
Troppe decine di cicli solari sono passati da quando gli uomini giungevano alla Collina Cava con offerte di cibo, fiori e preghiere. Troppo tempo deve essere passato per quegli uomini senza memoria, ma dalle molli ginocchia subito pronte a flettersi dinnanzi a nuovi Dei. 
Indelebile è in me l'eco delle cose  passate invece, e nulla dimentico.
La Fortezza della Collina Cava è la mi casa, qui sono nata e qui io regno.
E io non tollero che la violenza sia portata nelle mie corti.
I cani ululano e ringhiano dappertutto, esattamente come i loro padroni dai quali evidentemente hanno imparato, tanto che è difficile distinguere chi sia la bestia e chi la mano che stringe il guinzaglio. 
Una scintilla di rabbia comincia a bruciarmi nel petto. 
Sono umani, loro, non mi conoscono e non immaginano il mio potere.
Impercettibili linee di forza cominciano a vibrare come le corde di arpa sfiorate dal vento e oscure energie si destano sulla cima della collina.
Poteri che era meglio lasciare quieti, si agitano.
Nessuno di loro possiede potere sufficiente nemmeno a scorgermi, ma come non vedono la Fortezza che a loro appare un insieme di macerie e fondamenta dissotterrate, e tuttavia  percepiscono il potere del luogo che stanno profanando, così possono percepire la mia presenza. 
Sono sempre più vicini fra poco arriveranno alla Sala del Trono, tanto che sento il loro puzzo di carni sudate e pensieri rabbiosi. Mi fanno rabbrividire. 
Tutto questo odio, questa malvagità mi sconcerta. 
Dopotutto questi figli dell'uomo li conosco tutti, li ho visti nascere, li ho benedetti e curati con i miei canti;  per decenni ho fatto tutto il possibile per garantire loro buoni raccolti e ho vegliato la notte sui tutti loro affinché i loro sogni non venissero turbati da spiritelli deviati.
Eppure eccoli a bussare alle mie porte con torce e spade e vanghe e mazze.
La piccola scintilla di rabbia che rosseggiava tiepida, ora e sempre più calda.
Gli uomini sono poco al di sotto della cime della collina e li vedo rovistare, scavare, rivoltare la terra come porci alla ricerca di cibo. Li sento divellere rocce nel tentativo di eradicare la mia dimora, ignari che la Fortezza non è di sola roccia tangibile.
Sento un grido dominare sul frastuono, è quella di un uomo di nero vestito, che non porta armi, ne torce, ne utensili ma reca con se il puzzo più nero e ribollente di tutti.
La sua voce sferza gli altri come il bastone sferza il cane, e adesso mi è chiaro che è lui che tiene il guinzaglio di tutti. 
È uno degli stregoni neri.
Lo sento mentre li incita con parole dure, impietose a scavare con più foga, a cercarmi, a trovare l'ingresso della mia dimora.
Stupidi, piccoli uomini. Dimentichi della mia vera natura mi cercano sotto terra, come se mi rintanassi in aule ipogee o in tane di tassi, nemmeno fossi un verme che si nasconde nella mota.
Io, io che vivo ovunque entro i limiti della Fortezza, io che sono l'albero a fianco dell'uomo con la vanga e lo stelo d'erba calpestato dal cane senza un occhio, o il vento che soffia lieve fra le fronde e la roccia che affiora dal terreno. Io che sono la collina. Io che sono l'Ultima dei Sidhee.
 
In un cielo soffocato dalle nuvole, la luna rosseggiava come una falce d'osso incrostata di sangue. Il vento cominciava ad alzarsi sulla cima della collina, tanto che le torce faticavano a restare accese. Oscure e gigantesche sentinelle, gli alberi che circondavano le rovine fatate, si ergevano silenti nella notte.
Il contadino di Vecchie Pietre si strinse nelle vesti quando una folata gelida lo colpì. Aria umida, fredda e carica di rabbia. Il contadino l'annusò un attimo, e subito cominciò a borbottare improperi contro il maltempo. Quella sera ci mancava giusto un bel temporale, non bastava i ghiribizzi del prete che li aveva trascinati tutti lassù a perdere ore di sonno. 
Proprio in quell'istante le prime grosse gocce di pioggia cominciarono a cadere.
I cani intanto abbaiavano ed ululavano come ossessi, strattonando i guinzagli in tutte le direzioni, avventandosi addirittura gli uni contro gli altri.
I braccianti a ore invece si davano un gran da fare con vanghe e pale, già pregustandosi il barilotto di brandy che il sacerdote aveva loro promesso come giusta ricompensa. 
In mezzo a tutta quella frenesia invece solo il fabbro, i boscaioli e il vecchio bracconiere si muovevano svogliati, fingendo di scalmanarsi, ma invece scrutando con sempre maggior apprensione i tre frati che avevano condotto un piccolo carro coperto fin lassù in cima. Le loro tonache bianche e nere non presagivano niente di buono, e nulla si riusciva a scorgere dei loro volti celati da grandi cappucci. 
Tutti sapevano che quella collina era magica, per generazioni vi si era saliti con rispetto, non tagliandone mai i rigogliosi boschi e portando di tanto in tanto qualche piccola offerta. 
La collina e i suoi alberi erano considerate con tanto rispetto da essere materia di storie nelle sere d'inverno quando il gelo costringeva tutti a riparasi nelle case. In quelle notti le vecchie amavano stringere tutta la famiglia vicino ai focolari e raccontare storie popolate di folletti, gnomi, spiritelli. Una su tutte era quella più raccontata, tanto da essere diventata quasi una leggenda: era la storia che narrava di un magnifica fortezza sulla cima  della collina, di cui ora rimanevano solo le rovine. La storia narrava di come quella fortezza fosse la dimora della Regina delle Streghe, la Fata Blu. 
Tutti lo sapevano e nessuno si sarebbe mai sognato di andare a disturbare creature tanto ignote, men che meno il precedente prete, un gentile bifolco più interessato al rosso, alcolico, sangue di Cristo che alle credenze dei suoi fedeli. 
Le cose però erano cambiate all'inizio dell'anno passato, con l'arrivo, in una notte senza luna, del nuovo prete, che si accompagnava con tre monaci. Quella stessa notte il vecchio Padre George, pace all'anima sua, era stato rinvenuto sbronzo in un recinto di porci mentre tentava di comunicare i poveri animali e subito destituito dei suoi ordini. Dopo appena tre giorni, in cui le sue grida erano echeggiate per tutto il villaggio, era stato trascinato in stato d'incoscienza, pesto e febbricitante da due frati fin nel centro della piazza. Qui, legato ad un palo era stato scomunicato dal nuovo prete e bruciato. Da quel momento, per il villaggio erano iniziati giorni di terrore.
 
Si stanno dando un gran da fare nel ferire i mie giardini: strappano arbusti e rompono pietre, cercando me mentre io li osservo dall'alto di una fronda di quercia.
Sputano a terra, orinano in giro come cani. 
Per secoli questo posto è stata un luogo sacro per loro. Qui risolvevano le loro dispute, qui celebravano matrimoni e nascite, qui offrivano i loro sacrifici.
Ora invece vengono salmodiando canti sconosciuti e offendendo questi luoghi con i loro escrementi. 
Oggi tutti loro scavano e cercano, senza trovare nulla e poiché dalla terra non ottengono quello che vogliono, alzano imprecazioni verso cielo.
“ Dove sei, Demonio!” urla l'uomo nero, gli occhi che scintillano al chiarore rosso delle torce
“ Esci fuori  Strega!” ringhiano in coro gli altri uomini.
“ Futili sono le tue magie, serva dell'Innominabile, al cospetto dei simboli di Dio Onnipotente!” prosegue mentre alza la croce di ferro che porta al collo. 
“Rivelati, o immonda creatura,  e abbandona questa collina che per troppo tempo hai infesto!”
Le loro grida e i loro anatemi si alzano sempre più alti e crudeli e io fatico a reprimere la mia rabbia. Mai umano si era rivolto a me in un modo così spregevole. Tuttavia non voglio scontrarmi con questi uomini, non sono che sciocchi. Prima o poi si stuferanno. 
 
- Dio è furente!- 
Il prete si mosse sotto la pioggia sferzante, la tonaca fradicia, schizzata di fango. Gli occhi sbarrati emergevano febbrili in un volto scavato dai digiuni, che al bagliore delle torce appariva una maschera grottesca.
- Dio è adirato perché il suo gregge si è allontanato dalla strada del Sacro Verbo!-
Aveva trentasette anni, padre Hernan Goetierre, sacerdote Zelante e devoto rappresentante di Santa madre Chiesa cattolica apostolica romana. La fiamma splendente della Vera Fede il suo sostegno nelle tribolazioni; Castità, Penitenza e Preghiera le sue tre guide oltre le tentazioni. 
Suo personale Dogma, invece, l'inflessibilità contro il peccato. Inflessibilità assoluta.
-Dio è furibondo perché voi uomini avete scelto il Demonio. Perché avete consentito che la vostra turpitudine morale e spirituale piantasse qui le sue immonde radici.-
Era duro compiere il lavoro di Dio per Padre Goetierre. Uno sforzo inumano, che lo consumava prosciugandogli le forze. Ma qualcuno doveva farlo. Qualcuno doveva erigere barriere contro il Demonio. 
- Dio è disgustato da voi, voi che avete permesso al Male di infettare questa terra, voi che avete concesso all'Innominabile di aprire un Varco su questo colle. Un colle che ormai è suo dominio, da cui sgorgheranno le sue legioni per trascinarvi tutti negli inferi!-
La pioggia cadeva in minuscole schegge di cielo buio, le fiamme delle torce erano ormai solo lievi stracci infuocati persi nel vento. Padre Goetierre camminò fra la piccola folla sparpagliata sulla collina. Figure incerte nel chiarore delle torce. Gente scarna, gente impaurita che si stringevano gli uni contro gli altri.
Impaurita dal luogo che sentivano di violare, dalla creatura che stavano tentando di cacciare, ma più di tutti da Padre Goetierre stesso.
- Voi vivete all'ombra di un colle maledetto! Un colle che è il talamo del demonio!  Qui avvengono sabba, qui le streghe si accoppiano con Lui, la Bestia, per generare L'Anticristo! -
Padre Goetierre spalancò le braccia, mani contratte come artigli. Investite dal vento, le maniche della sua tonaca si gonfiarono come le ali di un nero demone.
La gente si ritrasse, spaventata.
Ovunque si agitavano ombre malvagie, persino gli alberi sembravano tramare nell'oscurità. La collina si stava dimostrando sempre più ostile. Maestosi castagni, imponenti querce, alti faggi, tutti gli alberi del colle sembravano d'improvviso agitare le proprie fronde in danze pagane mentre il vento sussurrava antichi anatemi.
-L'Oscuro è risorto dall'abisso! Lui, l'Aspide che Divora il Mondo..-
Padre Goetrierre s'interruppe. Qualcosa scivolò tra le ombre, dietro la gente nella radura.
-... si affaccia sul regno del Signore in tutta la sua empietà. Imperversa sulla terra  diffondendo la più satanica delle eresie, la più grande delle offese a Dio: culti pagani! Ma ora, adesso...-
No, non semplicemente qualcosa: qualcuno. Ombra fra le ombre, un oscurità con due occhi luccicanti. Il vento gli gettò in faccia gocce di pioggia dure come pietre. L'aria fredda lo costrinse a chiudere le palpebre per qualche momento. Padre Goetierre tornò a osservare. Nulla. Soltanto le fiamme delle poche torce che ancora resistevano.
- ... Adesso, il Castigo Finale incombe su di noi. Su tutti noi! -
Un mormorio agitò la folla. Qualcuno si fece il segno della croce. La maggior parte si limitò a restare immobile. Non volevano trovarsi là. C'erano stati portati a forza. Con le minacce. Con la paura.
- L'Innominabile e i suoi servi si aggirano nel vostro villaggio, nelle vostre terre - La voce di Padre Goetierre tornò a sferzare.
- Esseri empi che si servono della magia nera per perpetrare quest'immonda eresia. Abominazioni del demonio la cui forma umana è solo un osceno inganno, il cui unico scopo è corrompere le anime e la carne dei credenti nella Vera Fede. -
Qualche segno della croce ancora. Pochi. Sempre meno, sempre più controvoglia.
Odiavano trovarsi in quel posto, e odiavano ancora di più l'uomo che li aveva trascinati lassù.
Padre Goetierre fulminò il suo gregge con uno sguardo temibile. Occhi inflessibili che scrutavano e scandagliavano le anime alla perenne ricerca del Peccato. Qualsiasi peccato, poiché ove ne risiedeva anche uno piccolo, lì s'annidava la Serpe. 
Sempliciotti, bifolchi, popolani, ecco chi aveva sotto gli occhi Padre Goetierre. Grezze genti dalle anime avvelenate, che mai avevano goduto della luminosa benedizione della Grazia, e mani ne sarebbero state illuminate. Dio rivolgeva il suo sguardo d'amore solo ai meritevoli, solo ai suoi eletti.
Schifato dal proprio gregge, il prete fece un gesto ai tre frati.
Cappuccio nero, saio nero, scapolari porpora. Investigatori dell'eresia. Torturatori, carnefici, macellai. Uomini senza volto, senza nome. I tre frati si mossero in fretta. Due dietro si portarono dietro al carro cui facevano la guardia, l'altro davanti di fianco ad un mulo scarno. 
Senza proferire parola il frate cominciò a sferzare il mulo, mentre gli altri puntarono i piedi a terra e spinsero. Traballando e cigolando il carro si mosse. 

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