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Autore: _FrenkieFaye_    10/08/2013    1 recensioni
Non gli sono mai piaciuti i finali. Gli adii.
Ma ci sono giorni in cui bisogna fare la cosa giusta, solo la cosa giusta… e non per se stessi.
Giorni in cui il vecchio pazzo egoista deve essere messo da parte, per fare spazio a un uomo migliore... che ha il coraggio di chiedere il conto di quello che ha vissuto; per quel pizzico di buono che ha seminato nella sua lunga, lunghissima vita, e di cui va fiero.
Questo è un giorno in cui anche gli addii sono giusti.
Perché Amelia Pond aspetta.
Perché Amelia Pond ha sempre aspettato.
Genere: Angst, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Amy Pond, Doctor - 11, Doctor - Altro, Rory Williams
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Soffierà nel vento una lacrima...”

~

Lei ci credeva. Lei ci aveva sempre creduto.
Amelia aveva sempre vissuto di speranza, la stessa che le permetteva di aprire gli occhi ogni giorno, che la muoveva verso la vita con uno sfrontato ottimismo difficile da scalfire, con un sorriso nascosto, che non mostrava spesso, ma che dentro di lei si espandeva e la faceva stare bene.
Più di tutto il resto: più della tenacia, più della sua testardaggine, più della gelosia; più dei tanti lati acerbi e maturi della sua personalità, da quelli che hanno sempre fatto parte di lei, a quelli che è riuscita a limare, o magari è stata la vita a farlo per lei, quasi senza che se ne rendesse perfino conto. Più di tutto il resto, Amelia è sogni e speranze. Spesso la sua mente si perde, chiude gli occhi e le immagini prendono vita dietro il sipario delle palpebre, una dopo l’altra, a cullarla durante la giornata. Ha una buona memoria del passato, cosa che non si può dire del presente, ma i ricordi del passato, quelli importanti, sono vivi e nitidi. Riesce a ricordare parole, voci, suoni, sensazioni. E lei si lascia trasportare, le sembra di cadere in un universo parallelo, di attraversare uno specchio di cristallo liquido e spuntare in un luogo dove niente può farle male, non per davvero.  Ha così tanto da ricordare. Più di quanto sarebbe concesso, e spesso piange a questa consapevolezza. Perché nei suoi ricordi, al suo fianco, sono sempre presenti due persone che non può più vedere. Che non può più toccare.

Ferma, nel suo letto. La sua fortezza di cemento.
Stanca, come si è stanchi dopo una corsa lunga una vita.
Amelia pensa.

Pensare, evadere dalla realtà, era tutto quello che gli era rimasto dopo che gli Angeli l’avevano spedita indietro, in un tempo che non le apparteneva, in una realtà di cui il Dottore non poteva far parte. Ed era proprio qui che scrivere era diventato dapprima terapeutico, e poi aveva trovato in esso la sua stessa essenza di vivere. Lei, che era stata tanto fortunata nella vita, aveva visto cose che altri non avrebbero mai potuto immaginare, e scrivere di questi momenti le permetteva di fermarne un’istantanea, scolpire quei segreti a parole, su un foglio di carta ad asciugare. Custodirli gelosamente in una scatola di velluto blu che adorava di un passato evanescente, sfuggito come fumo dalle mani.
E così continuare a vivere quelle avventure, cambiarne il finale, quando possibile sostituire a una sconfitta il lieto fine. E vivere per un po’ nella falsa illusione di non essere stata messa al tappeto dalla vita.

Aveva scritto ogni giorno per se stessa, fino al punto che scrivere era diventato un bisogno quasi fisico. La sua mente era arrivata a spaziare oltre, evadere da una realtà troppo stretta; così era nata la sua avventura con i libri per bambini, che le aveva dato enormi soddisfazioni, oltre alla sensazione di aver finalmente trovato quel  proverbiale  “qualcosa” per cui si è nati.
Adesso, con gli anni che sono passati, scrivere le costa più fatica. Già stare in piedi le costa fatica, ma, purtroppo, ogni tanto deve allontanare i brutti pensieri.
Anthony, Mary e le nipotine riescono a distrarla con le loro cure amorevoli e la loro presenza, ma la notte Amelia sente il vuoto al suo fianco. E qualcosa nel petto trema, quando allunga la mano  al lato apposto del letto, quello che una volta era occupato da lui. E sente freddo dentro.

Spesso ci parla ancora. Amelia parla a Rory, finge che lui sia ancora lì con lei.

E poi, ci sono altre volte in cui i piedi scivolano sul pavimento, a passi incerti si avvicina allo scrittoio e tinge il pennino nell’inchiostro. Accarezza tra le dita sottili un foglio di carta niveo e scrive lettere a un mittente lontano, chissà quanto, che vorrebbe rivedere.
Ogni giorno è più debole e ogni giorno è più debole la speranza di rivederlo comparire alla sua porta.
Chissà come, poi, pensa Amelia.

Mio Dottore Stropicciato, sono qui a parlarti del tempo.
Io, una giovane vecchia che conosci bene, sono qui a spiegare a te l’importanza di quest’ultimo e il suo valore. Ti ho sempre visto correre incontro al tempo. Sono arrivata quasi a pensare che tu ne fossi il padrone assoluto… l’invincibile Signore del Tempo che tutto può, ma è chiaro che non è così, altrimenti saresti tornato da me. Quindi è vero che anche tu ogni tanto non puoi, oppure ti arrendi.
Cosa stai facendo adesso, Dottore?
Perché io sono qui, sai?
E sono stanca.
Capisco il valore di un minuto, adesso lo capisco davvero.
Lo capisco da quando ho perso la persona che amo, e ormai sono cinque anni che lui non c’è più, ma rivivo l’ultimo minuto che abbiamo vissuto insieme ad ogni mio respiro.
Potresti capirmi? Ti sei mai davvero fermato a pensare, durante la tua corsa infinita, a cosa un minuto possa essere? A cosa possa cambiare?
Quando ti resta poco da vivere, poco per cui vivere, ogni minuto della tua vita è il più prezioso.
Io mi sento una bambina, eppure ho già ottantasette anni… e aspetto.
Aspetto il mio tempo, aspetto la pace, ma, soprattutto, aspetto te.

La pioggia che batte furiosamente contro i vetri della finestra, scende in rivoli d’acqua contro la superficie. Amelia guarda fuori, gli occhi verdi che si stringono nelle luci della città. Una massa indistinta di persone, ombre inquiete che si muovono contro le porte della notte, prudentemente nascoste sotto robusti ombrelli colorati, da impermeabili semitrasparenti, spintonando altri passanti nella corsa disperata all’ultimo taxi.

La vita della grande città, Amy, non annoia mai…”, avrebbe detto Rory al suo fianco in serate come quella. Una tazza di cioccolata calda stretta tra le mani, un abbraccio confortante da dietro e un bacio delicato al sapore di zucchero sulle labbra.
Appoggia la mano tremante al vetro che la divide dalla vita pulsante della città che corre, corre troppo veloce perché le sue fragili gambe possano tenere il ritmo.
E in questi anni, inutile mentire, questa giostra ha incominciato a girare fin troppo velocemente per lei che è rimasta ferma, ferma a quel giorno maledetto che ha visto arrivare da lontano.
Per quella mano che ha stretto, per quella carezza sulla fronte prima della fine.

“I ragazzi… i bambini…” aveva detto Rory, sdraiato a letto, gli occhi pesanti come macigni. Stringendo le labbra per la fatica di parlare, respirando pesantemente.
Amelia, gli aveva spostato i capelli argentei dalla fronte sudata con una carezza leggera. “Stanno tutti bene, Rory” l’aveva rassicurato, guardandolo negli occhi.
“Anthony è in soggiorno, Mary ha portato le gemelline al parco. Hanno protestato… volevano fosse il loro nonno ad accompagnarle alle giostre, nessun’altro se non lui”.
Le labbra sottili di Rory si erano piegate verso l’alto in un sorriso che nascondeva una smorfia di dolore. Gli occhi improvvisamente lucidi, una lacrima era scivolata verso la tempia. Amelia ne aveva fermato la corsa, asciugandola con una carezza.

Un soffocante tumulto la bloccava, paralizzata, nelle sue stesse membra.

“Inutile, sciocca Amelia Pond”, pensava. “A fare i conti con il tempo, alla fine, come tutti. L’avresti mai pensato? Sei rimasta bloccata a una vita fa, quando correre a bordo di una cabina blu comportava rischi, ma ti faceva sentire viva. Viva e al sicuro, fianco a fianco del Dottore. E poi lui è volato via e qualcosa è mancato nella tua vita. Quante volte ti sei guardata attorno, disorientata, cercando la sua figura? Stringendoti la solitudine addosso, reprimendo l’istinto di urlare?”
Anche allora, totalmente impreparata al futuro, Amelia avrebbe voluto il Dottore al suo fianco. A darle una forza che non aveva.
Avrebbe voluto poter dire qualcosa, fare qualcosa per fermare il dolore che stava consumando il suo Rory, combattere a denti stretti contro quel male che lo stava portando via. Che la stava allontanando dalla parte più importante della sua vita.

Ma le parole le morirono in gola, bloccandole quasi il respiro.

Perché Amelia aveva già vissuto questa scena una prima volta, nella camera di un albergo a Winter Quay, molti anni prima. Aveva già visto l’uomo che amava morire davanti ai suoi occhi. E anche lui, versione più giovane, aveva visto impotente morire se stesso. Per questo si erano buttati da un palazzo, per combattere contro quello sciocco futuro che li avrebbe divisi per anni, prima di ricongiungerli solo nella morte.
E anche allora, lei aveva scelto lui.
Gli aveva stretto la mano. “Insieme o niente”, gli aveva detto.
Avevano perso molto durante la lotta.
Un amico. Una figlia.
E avevano affrontato la perdita insieme, pianto insieme i Natali con due posti vuoti a tavola.
Pianto insieme i regali comprati e impacchettati ogni anno -  rispettivamente uno per il Dottore, uno per Melody- e mai scartati.
Ma Amelia e Rory erano rimasti insieme, dopotutto.

Dopo i duemila anni a fare da guardia a una scatola. Dopo il Silenzio, dopo Demon’s run e quello che le avevano fatto. Il non poter più avere figli.
E poi, quando tutto sembrava perso, si erano fatti forza l’uno sull’altro.
Al pensiero che River fosse al sicuro col Dottore.
Al pensiero che l’uomo pazzo nella cabina non sarebbe stato solo troppo a lungo.
E poi era arrivato Anthony, e le gioie della maternità e della paternità. Le prime preoccupazioni, il tempo che era passato come niente e loro figlio che era cresciuto. E presto si era fatto uomo, e ancora rimpiangeva quel bambino dagli occhi lucidi, che si accoccolava al suo petto per trovare la pace, che la faceva sentire fondamentale. Una madre. Speciale come non era mai stata prima.

Il tempo aveva macinato polvere, e alla fine era arrivato a chiedere il conto.
In una fredda mattinata di Dicembre, la neve che vorticava lenta verso il suolo.
Un momento, un attimo che aveva reciso di netto sogni, ricordi, speranze.
E una parte di Amelia, ancora un’altra, che volava via.

“Io non potrò mai più portare le bambine al parco, Amy, lo sappiamo entrambi”, le aveva detto Rory, la voce che raschiava contro la gola.
“Rory…”
“Ma va bene, non ho paura…”
Rory aveva preso la mano di Amelia, ne aveva baciato il palmo con devozione e se l’era portata a pugno sul cuore. “Io sono felice così, abbiamo visto entrambi come finiva, come sarebbe finita se le cose non fossero andate come sono andate. Non ti avrei mai più rivista”. La mano di lei trema, stretta in quella di lui, al ricordo.

“Io senza di te… Rory… non so cosa sono” gli aveva risposto, abbassando gli occhi come una ragazzina impaurita.
“Sei sempre la stessa forte, meravigliosa, tenace donna di cui mi sono innamorato… Sapevamo che questo momento sarebbe arrivato. Hai letto la data incisa sulla mia pietra tombale, quella volta nel cimitero, quando hai deciso di raggiungermi… morivo a 83 anni. Punto fisso nel tempo. Ma tu continuerai a vivere, Amelia. Vivrai per Anthony, per Eloise e Christal. Vivrai per la speranza che un giorno anche la nostra cattiva ragazza possa bussare alla porta…che lui torni insieme a lei. E vivrai anche per me. E’ un ordine”.

“Rory… non puoi…”

“Lo rivedrai, Amelia. Te lo prometto. Lassù, se davvero c’è qualcosa, ci dovrà pur essere il modo di mettersi in contatto con uno stupido ed eccentrico alieno che viaggia in una cabina blu. Giuro che mi farò sentire… te lo riporto… te lo riporto indietro…” avevo concluso debolmente. Quando lui aveva chiuso le palpebre, Amelia aveva urlato il suo nome, terrorizzata al pensiero che stesse scivolando via, verso un luogo dove non avrebbe potuto raggiungerlo. Non questa volta, almeno.
Lui, sentendo la disperazione nella sua voce, aveva riaperto gli occhi con grande sforzo.
“Guardami” le aveva detto. “E’ questa l’ultima cosa che voglio prima di andar via, guardami negli occhi…” Amelia aveva appoggiato la sua fronte alla sua, le lacrime che bagnavano le guance dell’uomo che amava, che si univano alle sue.
Rory aveva memorizzato fino all’ultima sfumatura degli occhi di Amelia nei suoi, le sue labbra si erano piegate in un sorriso sereno.

Se n’era andato così.
Col sorriso sulle labbra.
La mano intrecciata a quella della moglie, il viso bagnato dalle lacrime che Amy non avrebbe mai avuto il coraggio di asciugare.

 

“Grazie” aveva sussurrato Amelia  al suo corpo ancora caldo ma ormai privo di vita.
Grazie perché mi hai amato ancor prima che io mi accorgessi di cosa fosse l’amore.
Grazie perché mi hai dato un posto nel mondo, perché mi hai fatto innamorare del tuo timido sorriso, delle tue distrazioni e dei tuoi buffi modi di farti perdonare e chiedermi scusa, anche quando non ce n’è mai stato bisogno.
Grazie per aver amato ogni parte di me: dai miei pochi pregi alla mia intrattabile cocciutaggine. 
Grazie perché hai avviato tu le pratiche per l’adozione, quando io non ne volevo sapere, perché è grazie a te che ho potuto provare la gioia di sentirmi “mamma”, di poter sentire la voce di quel bambino che tanto avevi desiderato, chiamarti “papà”.

E una notte, una come tante, i ricordi di Amelia si distorcono nella sua mente, uno dopo l’altro.
E, in una stretta al cuore, sente il respiro mancare.
Chissà se è vero che, quando stai per morire, la tua intera vita si riavvolge in una serie di momenti, i più importanti, che ti passano davanti agli occhi’.
E davvero, per un attimo, crede di star morendo.

Prima che un ragazzo dai capelli rossi compaia alla sua porta.

   
 
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