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Autore: SilviAngel    13/08/2013    3 recensioni
Dal primo capitolo:
Dopo aver sparso sangue romano, anche se non nella quantità che ciascun gladiatore avrebbe desiderato, Agron aveva ottenuto una ricompensa insperata, aveva finalmente potuto conoscere il nome di quella creatura che oramai non riusciva a levarsi dalla testa.
Nasir.
Un nome indubbiamente – per quel poco che aveva imparato in quell’accozzaglia di gente che abitava il ludus – di origine lontana, siriana, se poteva prestare fede alle parole stesse del ragazzo.
Genere: Avventura, Erotico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Agron, Nasir
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ciao, eccomi qui a fare incursione in un nuovo fandom.
Piccolo appunto, nello scorrere la storia, vi imbatterete nel nome del dominus di Nasir. Senza riflettere, ho utilizzato il nome che ho trovato in una FF che ho seguito intitolata
“Ombre” e dando per scontato fosse il nome reale, da me perso durante la visione del telefilm, sono ricorsa ad esso, per poi scoprire fosse invenzione dell’autrice. La mia pigrizia è però tale da avermi suggerito di evitare di cambiare il nome (inventandone uno a mia volta) e di effettuare questo chiaro riferimento e richiamo.
Dando all’autrice il merito che le spetta, vado a cominciare.
I personaggi, purtroppo, non mi appartengono.


Purtroppo la storia non potrà avere una pubblicazione costante, viste le molte ff che ho in corso.
Buona lettura


 
IL TUO POSTO È TRA LE MIE BRACCIA.
 
Cap. 1
 
Quando attaccarono per la prima volta la villa di uno schifoso romano, Agron respirò a pieni polmoni l’odore acre del sangue mescolato a quello del legno bruciato e legò quella fragranza inebriante alla sua ritrovata libertà, anche se ottenuta al prezzo della vita di Duro e di molti altri. 
Il sorriso sui volti dei propri compagni e la pacca sulla spalla che Spartacus gli donò, misero l’ennesimo rattoppo alla sua anima spezzata e, sorridendo di rimando al nuovo fratello che la schiavitù gli aveva permesso di trovare, si mosse per raggiungere Crixus nella camera privata del dominus.
Lungo il tragitto incontrò gli schiavi appena liberati che, ancora abituati al giogo che li aveva gravati fino a pochi attimi prima, tenevano ancora il volto rivolto a terra.
Il germano ne contò parecchi, doveva essere davvero ricco l’uomo che, varcata la soglia, lo accolse in ginocchio con i pugni e i calci del gallo che tentavano di sciogliergli la lingua.
 
Aveva approvato con gioia il piano di Spartacus di attaccare le ville che avrebbero trovato sul loro cammino e uccidere il maggior numero di romani possibile, ciò che non riusciva del tutto ad accettare era che a spingerlo in quella direzione fosse il voler appoggiare il desiderio dell’altro gladiatore di ritrovare una donna, quella Naevia che Agron aveva intravisto un paio di volte, o forse poco di più, al seguito della moglie di Batiato.
E ora il guerriero nato aldilà del Reno era lì, accanto a chi aveva risvegliato in lui il desiderio della libertà e lo osservava parlare agli schiavi di Leddicus affrancati nel sangue del loro padrone, cercando di accendere anche in loro lo stesso fuoco che ardeva nei suoi compagni, ma negli occhi di quegli uomini vi era soprattutto terrore e una malsana oramai attitudine a obbedire che Spartacus era smanioso di sradicare.
Lui non voleva cieca obbedienza, ma condivisione di ideali ed esattamente questo stava cercando di ottenere quando, con uno strattone deciso, aveva strappato via dal collo di uno di quei ragazzi il segno che rimarcava il  loro appartenere a qualcuno.
Agron era convinto fosse tutto una perdita di tempo, non erano di certo loro la risposta all’innegabile bisogno di rinforzare i ranghi.
Avevano necessità di altri combattenti, di gente in grado di brandire armi, non di bocche da sfamare appartenenti a chi sapeva pulire i pavimenti o soddisfare il padrone, ma il trace era sordo a queste lamentele, ostinandosi a ripetere che ogni uomo possedeva il proprio valore.
 
Il renano si prese il tempo necessario, mentre le parole di Spartacus si perdevano nel sottobosco delle canzoni urlate da Rasco, per osservare gli ex schiavi allineati in piedi di fronte a lui, notando come la maggior parte di essi avesse la pelle più scura della propria o dei galli, evidentemente il dominus di quella casa amava circondarsi dei frutti provenienti dai paesi più lontani.
Un paio, per quel poco che Agron aveva potuto imparare a conoscere, dovevano provenire dalle terre oltre il mare, là dove gli stessi romani dicevano di aver trovato le belve che a volte scendevano nell’arena, un terzo elemento aveva la pelle più chiara ma tratti spigolosi e risultava del tutto anonimo.
Continuando a far scorrere i propri occhi, essi caddero sul ragazzo che poco prima era stato privato del collare e che continuava a toccarsi la pelle, ora esposta, come se la scomparsa di quel pezzo di cuoio lo avesse reso più nudo del fatto di avere legato approssimativamente ai fianchi solo un sottile telo di lino chiaro.
Aveva i capelli lunghi e scuri, così come gli occhi che nonostante ciò rilucevano, tanto erano luminosi, nella penombra che avvolgeva il portico, ma ciò che colpì il gladiatore più di tutto fu il volto, teso e attraversato da scintille di rabbia che superavano di gran lunga la paura. Il germano ritenne però non valesse la pena soffermarsi troppo e dopo aver indugiato ancora per qualche respiro sul torace liscio e minuto dell’altro, volse le spalle alla sera e si diresse verso i fratelli e verso una più che meritata coppa di vino.
 
Si destò tempo dopo, scosso dalla mano tremante ma decisa di Mira che lo spronava a seguirla dopo aver svegliato nello stesso modo frettoloso Crixus, facendo poi strada fino alla camera che divideva con il loro leader e da lì in quello che era stato lo studio del dominus.
“Ha tentato di fuggire così da trovarsi un altro padrone utilizzando come moneta di scambio la nostra posizione?” chiese il gallo vedendo uno dei nuovi membri della ribellione trattenuto per le braccia da due gladiatori.
“No, ha semplicemente tentato di uccidermi” rispose con semplicità disarmante Spartacus.
“Cosa? Questa merda ha cercato di farti la pelle e ancora respira?” non riuscì a trattenersi Agron trovandosi di fronte il ragazzo con i capelli lunghi.
“Non è facile ritornare liberi, soprattutto se le catene sembrano essere nate insieme con te. Io ho vissuto molti inverni da uomo libero, come penso sia accaduto anche a voi” e vedendo i compagni assentire riprese “molti di loro sono nati schiavi o lo sono diventati quando erano ancora dei bambini. Se hanno conosciuto solo catene, come si può pretendere che sappiano godere appieno di una libertà che non conoscono?”
“E tu vuoi allenare questa feccia?” ringhiò Crixus.
“Come mi ha ricordato Agron, abbiamo bisogno del maggior numero possibile di braccia armate. Oggi non abbiamo subito perdite, ma potremmo non essere sempre così fortunati, quindi dobbiamo raccogliere tutto ciò che troviamo lungo la strada. Agron, Crixus occupatevi dei nuovi e allenateli, ché almeno riescano a tenere in mano un gladio per quando lasceremo queste mura”
“Va bene” sentenziò l’imbattibile e rivolgendosi al germano “ce li dividiamo giocandoceli ai dadi? E comunque io non voglio avere davanti agli occhi questa merda, te lo cedo volentieri, forse, se gli dei mi sorridono, ti pugnalerà nel sonno”
“Scordatelo, non voglio avere un cagnolino selvatico pronto ad azzannarmi alle caviglie”
“Calmatevi” intervenne Spartacus “mi occuperò io di lui, personalmente”
 
L’alba arrivò veloce e senza rendersene conto, molti gladiatori si ritrovarono nell’atrium antistante il corpo centrale della villa ad assistere al primo allenamento delle reclute.
Agron vi giunse tra gli ultimi e i suoi occhi andarono alla ricerca di Spartacus o forse del giovane uomo che stava con lui incrociando la spada.
Un compagno prese a parlargli, ma era del tutto incapace di distogliere gli occhi dai movimenti, sì impacciati, ma veloci, del servo personale del dominus. Poche parole comprese e tra esse il rammarico per la vita che ancora scorreva nelle membra del ragazzo e senza spiegarsi il motivo, il germano ringraziò il fratello per aver deciso in quel modo.
Ricercando l’ombra della casa, Agron si imbatté in Mira e cogliendo tale propizia occasione, la seguì. Voltato l’angolo trovò il coraggio per appagare una curiosità che continuava a contorcersi nello stomaco alla stregua di una serpe “Posso farti una domanda?”
“Parla” si limitò a dire, continuando a segnare su una piccola tavoletta tutto ciò che la dispensa conteneva.
“Cos’è di preciso uno schiavo personale?”
“Perché lo vuoi sapere?” si incuriosì la donna, senza però guardarlo in volto.
“Io ero un gladiatore e non conosco tutte le fottute abitudini e regole romane” rispose con stizza il renano piegando all’ingiù gli angoli della bocca, bramoso di ottenere la sua risposta e allontanarsi da quella creatura.
Agron davvero non capiva le donne e di sicuro non le sopportava.
“Lo schiavo personale o carnale” e su quest’ultima parola la mora si voltò fronteggiandolo per gustarsi il lento dipanarsi del dubbio “è colui che si occupa di tutti i bisogni del proprio dominus, soprattutto di quelli che possono essere soddisfatti nell’intimità della sua camera e gode di solito di un trattamento di grande favore nella casa”
L’uomo, ottenuta la sua risposta e scuotendo il capo, si allontanò.
Quella era dunque la verità: il ragazzo coi capelli neri come la notte e, negli occhi e nelle mani, il coraggio di un leone altro non era che la puttana di uno sporco romano.
Vagabondò per gli orti della villa e le numerose stanze chiedendosi perché mai allora si fosse rivoltato cercando di azzannare la mano che l’aveva liberato.
Che davvero si crogiolasse nella parvenza di una posizione di rispetto, superiore agli schiavi comuni? O forse la visione distorta della sua intera esistenza gli suggeriva fosse giusto tutto ciò che gli era accaduto in vita? O forse ancora semplicemente gli piaceva giacere in quel letto?
Avrebbe dovuto importare poco al guerriero conoscere il responso, ma invece, nonostante si ostinasse a tenerlo lontano, quel tarlo lo accompagnò fino a sera, quando avvicinandosi ai compagni in festa, vide il ragazzo seduto a terra appoggiato a una colonna.

Il suo desiderio di sapere e di conoscere l’uomo che si nascondeva dietro allo schiavo spinsero il gladiatore a recuperare due coppe di vino e tentare la sorte. Avvicinandosi si accorse di come il piccolo osservasse con, all’apparenza, un profondo odio niente meno che Spartacus e per iniziare a parlare decise di utilizzare proprio quel suo gesto avventato.
Non ottenne nulla se non una risposta sferzante che però non riuscì a convincere Agron a demordere e piegandosi sulle ginocchia gli domandò quale fosse il suo nome.
“Tiberio” sussurrò.
Un nome che nulla aveva a che vedere con lui.
Un nome romano per un ragazzo che nulla possedeva di quel popolo se non il dannato collare che gli era stato strappato via.
Ogni tentativo di approfondire la conoscenza, così da scoprire nuove tessere di quell’assurdo e attraente mosaico, venne spazzato via dall’irrompere delle sentinelle lasciate all’esterno della villa: qualcuno si stava avvicinando.
 
Dopo aver sparso sangue romano, anche se non nella quantità che ciascun gladiatore avrebbe desiderato, Agron aveva ottenuto una ricompensa insperata, aveva finalmente potuto conoscere il nome di quella creatura che oramai non riusciva a levarsi dalla testa.
Nasir.
Un nome indubbiamente – per quel poco che aveva imparato in quell’accozzaglia di gente che abitava il ludus – di origine lontana, siriana, se poteva prestare fede alle parole stesse del ragazzo.
Il germano non aveva però avuto il tempo di gioire di ciò e neppure del fatto che la dimora fosse di nuovo sicura – dato che l’intero drappello romano era stato sterminato – che, voltandosi, non aveva più scorto traccia del giovane e scolandosi quanto rimaneva nella propria coppa, pensò fosse opportuno trovare un angolo in cui riposare, possibilmente lontano dai chiassosi galli.
Percorse dedali di corridoi illuminati da torce dove parecchi suoi compagni si stavano divertendo, affondando nei corpi sinuosi di donne compiacenti, piacere che difficilmente lui quella notte avrebbe assaporato; avrebbe certamente trovato qualcuna disposta ad assecondare i suoi bisogni con estrema facilità – aveva notato le occhiate che quella schiava bionda gli lanciava costantemente – ma non erano quelli i suoi desideri.
Avrebbe di gran lunga preferito che gli dei mettessero sul suo cammino un certo qual giovane e, se proprio lo volevano deliziare, addirittura disposto a lasciarsi sedurre.
Negli ultimi mesi aveva imparato parecchie cose, in particolare che gli dei che i suoi genitori tanto pregavano per avere buoni raccolti o fruttuose battute di caccia erano degli stronzi e assai raramente concedevano quanto si desiderava. Questi erano i pensieri del gladiatore, almeno fino a quando, dopo l’ennesimo tentativo di ritornare all’aperto, sicuro di non voler passare la notte perso in un labirinto di corridoi, sbirciò nel cubicolo che si apriva alla sua destra e grazie alla luce rossastra delle torce vide, disteso a terra a pochi passi da lui, Nasir o meglio la schiena di questo e cercando di non produrre rumore alcuno, si infilò nella stanza.
   
 
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