Prologo: A un
passo dalla fine
«Un
caleidoscopio è magico!»
«Per
quale motivo?»
«La
realtà è solo una, ma attraverso il
caleidoscopio si fraziona in mille realtà diverse!»
Il
fratello lo aveva guardato con un
sopracciglio alzato.
Aveva
passato una mano tra i capelli,
scompigliandoli svogliato.
«Non
è magia. È solo un’illusione.»
«Perché?»
«Perché…»
Le
mura erano bianche, le mattonelle erano bianche, i tappeti erano
bianchi.
Perfino
la pelle del ragazzo era bianca, tanto da essere quasi impossibile
distinguere
tra il bordo inamidato della mantella candida e il collo niveo.
Ludwig
osservò impassibile il ragazzo che terminava di infilare i
guanti color neve.
Sfregò distrattamente il braccio sinistro, dove i fori delle
iniezioni prudevano
ancora: proteggere l’Asse era un lavoro a tempo pieno, per
cui assumeva
giornalmente un farmaco che annullava il suo bisogno di riposo, in modo
da
poter vegliare su quel giovane anche durante la notte.
Sospirò
mentalmente, ma le labbra rimasero sigillate. Il compito di Guardiano
non era
semplice: doveva sorvegliare quel ragazzo ogni giorno, ogni minuto,
senza mai
distrarsi e senza mai stancarsi. Ma il ruolo dell’Asse era
certamente peggiore:
Feliciano era condannato a una vita di solitudine, isolato nella torre
più alta
del Palazzo di Quarzo. Il ritiro più estremo era
l’unico modo per mantenere
quel giovane immacolato e incontaminato da qualunque sporcizia del
mondo
comune, poiché solo la purezza dell’Asse garantiva
la stabilità della
Confederazione.
Nonostante
l’isolamento, un Guardiano era necessario: alcuni malavitosi
particolarmente
audaci avrebbero potuto cercare di rapire l’Asse per ottenere
i suoi poteri e
la sua funzione di controllo.
Ludwig
posò i suoi occhi azzurri e freddi sul giovane di fronte a
lui, che aveva
appena terminato di calcarsi sulla testa il berretto latteo. Era
ridicolo pensare
che il destino della Confederazione gravasse su spalle così
fragili: erano
quasi più sottili della mantella che le ricopriva.
Feliciano
terminò la vestizione e si girò con una piroetta
su se stesso.
«Ho
finito» trillò, prima di dirigersi verso
l’inginocchiatoio di perla.
Ludwig
si sistemò alle sue spalle, e lo spadone che portava appeso
al fianco graffiò
lievemente il pavimento iridescente. Un’altra mattinata di
preghiere e solitudine.
Come sempre.
Feliciano
congiunse le mani guantate e, prima di salmodiare gli inni rituali,
espresse un
piccolo desiderio personale:
«Spero
che mio fratello stia bene, ovunque egli sia.»
***
In
un altro luogo, un altro biancore aveva preso vita.
Era
il pallore spettrale sulle guance del capo delle guardie, che guardava
sconvolto i suoi sottoposti.
«Avete
imprigionato Lovino Belial?» tartagliò, sconvolto.
«È
un pericoloso criminale, signore. Un pirata della peggior
specie…»
«Siete
completamente impazziti?» sberciò il capitano, di
colpo paonazzo. «Un
delinquente del suo calibro non può essere tenuto in una
prigione modesta come
la nostra!»
«Per
quanto sia forte, non può fare molto se è legato
dai ceppi…» notò una
sentinella, subito zittita dal capo, ormai sull’orlo di una
crisi di nervi e di
coronarie:
«Quel
ragazzo è la Mano Sinistra del Diavolo! Non vi dice
niente?»
Quasi
strappò a unghiate l’espressione ebete dei suoi
uomini, e proseguì,
sputacchiando saliva e isteria:
«Chiamate
rinforzi o fatelo uscire! Non voglio che la mia prigione venga rasa al
suolo
per-»
«Temo
che sia un po’ tardi per i ripensamenti».
Il
capo toccò quasi il soffitto per lo spavento. Alle sue
spalle era comparso
improvvisamente il motivo della sua agitazione: un ragazzetto che
pareva lo
spettro di un essere umano, con i capelli ramati e la pelle smunta. I
tanto
declamati ceppi non erano riusciti a frenare quel giovane, che si
sfregava i
polsi arrossati con aria seccata.
«Che
l’Asse ci protegga» si lasciò sfuggire
una guardia.
Il
cipiglio del ragazzo si accentuò, e ogni speranza residua di
salvezza venne
frantumata dalle parole del giovane:
«Non
nominate l’Asse. Non dovrebbe nemmeno esistere.»
Non
ebbero tempo di pensare ad altro: un boato fragoroso scosse le
fondamenta della
prigione e ne sbriciolò le mura: uno stormo di mattoni e
frammenti di cemento
sfrecciò nell’aria, riempiendola di una polvere
densa e pruriginosa. Le urla
delle guardie si spensero mentre si accasciavano a terra svenute, chi
colpito
da un brandello di muro e chi soffocato dal pulviscolo urticante.
Quando
quel putiferio terminò, Lovino si ergeva nel cerchio formato
dalle sentinelle
prive di sensi, una mano impegnata a tenere premuta una piccola
mascherina sul
viso. Il capo delle guardie sentì i polsi tremare, poco
prima che i suoi occhi
si rabbuiassero su quella figura immobile: vedere un ragazzino
così smilzo
predominare su una folla di uomini armati e uscire illeso da un simile
caos,
come se un’entità maligna avesse steso il suo
mantello protettivo su di lui,
era qualcosa di spaventoso. Capiva perfettamente perché lo
chiamassero la Mano
Sinistra del Diavolo.
Il
capo non riuscì a mantenere i suoi sensi vividi abbastanza a
lungo da scorgere
la persona che era venuta a riprendersi Lovino: non poté
così vedere la Mano
Destra del Diavolo scendere dalla passerella della sua Aeronave per
atterrare
con un balzo felino accanto al ragazzo.
Lovino
osservò critico l’Aeronave – che era
atterrata su quella prigione
disintegrandone le mura – e il suo Capitano prima di
sentenziare:
«Sei
in ritardo. E sei un casinista, come sempre.»
«Sono
arrivato al momento giusto, invece» lo contraddisse
l’uomo, con un sorriso
affabile sul volto. «Ti sei appena liberato dalle
catene.»
«Credevo
che avresti mosso quel tuo pesante sedere molto prima per liberarmi
dalla cella»
obiettò aspro Lovino.
Il
sorriso dell’uomo migrò negli occhi verdi mentre
si chinava per mormorare:
«Anche
se sei il mio amante, Lovino, non significa che debba proteggerti come
farei
con una fanciulla indifesa.»
Il
ragazzo lo raggiunse sul mento con una testata, e
guadagnò la passerella mentre l’uomo
premeva
le mani sull’osso dolorante.
«Andiamocene»
decise, dispotico.
Antonio
lo raggiunse con uno svolazzo, incurante del pessimo temperamento del
suo
compagno. I marinai salutarono entusiasti le Mani del Diavolo, e si
mossero
veloci per seguire gli ordini del loro capitano.
L’Aeronave
mugghiò come il mare in tempesta mentre i suoi razzi
azzurrognoli sfiatavano
per farla sollevare. Ma il suo lamento venne coperto dal ruggito di
guerra di
una seconda Aeronave, che scese in picchiata verso di loro.
Antonio
e Lovino sospirarono in sincronia, notando la bandiera che garriva al
vento.
«Di
nuovo Arthur» notò l’Ispanico. Lovino
annuì, masticando le guance come per un
boccone amaro.
L’Aeronave
di Antonio si lanciò nello spazio, dando inizio a una
turbolenta gara di
velocità tra meteore e nebulose per sfuggire alla caccia del
Britannico.
Nonostante
la velocità supersonica, Lovino riuscì a lanciare
un’occhiata feroce al Palazzo
di Quarzo, nitido e perfetto contro lo spazio scuro.
Digrignò i denti come un
animale in gabbia e ringhiò:
«Ti
farò sputare fuori mio fratello, bastardo.»
***
Un
fruscio di seta accompagnò il movimento del cinese sul letto.
Raccolse
la vestaglia rossa in modo che coprisse le sue nudità e si
rialzò sul letto. Il
suo sguardo onice venne catturato istantaneamente dalla spada che
riposava poco
lontano dal giaciglio.
Strinse
le dita sull’elsa, e assorbì con
avidità il celestiale sibilo della lama che
abbandonava il fodero.
Era
giunto il momento per Ivan di rispettare la parola data.
Insieme,
avrebbero ucciso Kiku.
***
Il
Fiammingo sorrise sopra il calice di vino, osservando
l’espressione afflitta
negli occhi sanguigni del suo compare.
«Dove
pensi che ci condurrà tutto questo?»
domandò istrionico.
L’uomo
scosse la testa dai capelli argentati, e la sua risposta
uscì con uno sbuffo
irritato:
«Non
lo so. Non lo so, maledizione! L’Universo potrebbe anche
finire per colpa di
questi stupidi battibecchi!»
Francis
si bagnò le labbra nel sapore delizioso del nettare
d’uva: i nati in terra
Fiamminga come lui sapevano sempre apprezzare il buon vino, i piaceri
dell’amore e le poesie ben narrate. Perfino quando la morte
si trovava a non
più di un passo di distanza.
«Ti
ricordi come è iniziato tutto questo, Gilbert?»
«Che
senso ha parlarne adesso?»
«Forse
non cambierà il corso della storia, ma è sempre
utile voltarsi indietro, quando
si è a un passo dalla fine.»
«Per
quale motivo?»
«Perché
a volte il cammino è così lungo che ci si
dimentica il motivo per cui ci si era
messi in viaggio.»
Gilbert
emise un suono a metà tra un ringhio e un conato, e
sbottò:
«Non
parlare in poesia con me. Se hai qualcosa da dire, dillo e
basta.»
Francis
sorrise, sorbì un sorso di vino e flautò:
«Non
è nulla di importante. Avevo solo un po’ di
nostalgia di tutte le persone che
ci hanno abbandonato lungo il cammino.»
«Rimpianti»
esacerbò Gilbert. «Ecco il motivo per cui non
bisogna voltarsi indietro.»
«Hai
la voce ferma, ma ti tremano le spalle.»
«Chiudi
quel buco rumoroso che hai sotto il naso!»
Francis
si zittì vuotando il calice.
E
lasciò la memoria libera di galoppare ai primordi di quella
storia.
Capitolo
Uno: Uno Scettro in mezzo al Cielo
Nessuno
sapeva cosa avesse pensato il signor Vargas quando
l’ostetrica gli aveva
comunicato che sua moglie aveva partorito due gemelli. Il suo viso era
rimasto
irrigidito come quello delle statue che affollavano la Villa Topazio.
Ma tutti
ricordavano le sue prime parole riguardo i figli appena nati:
«Solo
uno diventerà l’Asse. L’altro
è inutile.»
Da
quando l’Universo aveva dato luce alla prima generazione di
umani, la famiglia
Vargas aveva sempre inviato i suoi primogeniti al Palazzo di Quarzo
perché
ricoprissero il ruolo di Asse. Ai secondogeniti era affidato il compito
di dare
una discendenza alla famiglia.
L’Asse
di allora, lo zio del signor Vargas, era ormai prossimo alla tomba, e
vi era
urgenza di trovare un degno sostituto. E in quel momento sua moglie
aveva dato
alla luce i suoi primogeniti.
Ma
i gemelli erano considerati qualcosa di malvagio, all’interno
delle famiglie
Vaticane, addette alla sovrintendenza degli affari religiosi della
Confederazione; un’anima sola scissa in due corpi era
qualcosa di maligno e
innaturale, che avrebbe certamente portato disgrazie su tutti loro.
Avrebbe
atteso di capire quale dei due figli fosse il più adatto a
diventare il futuro
Asse, e avrebbe eliminato l’altro per restituire al prescelto
la sua metà
mancante di anima.
In
quell’esatto momento, i due gemelli avevano cominciato a
piangere. E
l’ostetrica non era riuscita a spiegarsi perché,
all’improvviso, i due neonati
avessero cominciato a disperarsi e a cercare il fratello come se
temessero che
gli fosse strappato via.
Il
signor Vargas li aveva osservati con un cipiglio fosco in volto.
«Maleficio»
aveva sibilato, abbandonando la stanza.
***
Dieci
anni dopo, due fratelli si tenevano per mano, nell’oceano di
lenzuola bianche
che era il loro letto.
«Guarda!»
aveva esclamato Feliciano, indicando fuori dal soffitto di vetro. Nella
cupola
nera della notte, il Palazzo di Quarzo emanava il suo placido candore.
La magia
delle famiglie Vaticane garantiva impeccabile stabilità a
quella costruzione
dalla forma simile a quella di un cristallo, che galleggiava serena nel
bel
mezzo del nulla, rischiarano i Mondi della Confederazione con la sua
aura
angelica.
Lovino
aveva inclinato la testa, perplesso.
«Sembra
uno scettro in mezzo al cielo» aveva commentato.
«Vorrei
tanto vederlo» aveva cinguettato Feliciano.
«Io
no» aveva brontolato Lovino.
«Perché?»
Lovino
aveva storto la bocca, contrariato.
«Mi
sembra… solo. Lì fermo in mezzo al nulla.
È un cristallo che piange.»
La
mano di Feliciano aveva stretto con più forza la sua.
«Tu
non mi lascerai da solo, vero?» aveva quasi piagnucolato,
rannicchiandosi
contro di lui.
Lovino
gli aveva scompigliato con forza i capelli e aveva sbottato:
«Siamo
fratelli. È ovvio che non saremo mai soli.»
«E
se dovessero dividerci?»
«Anche
se dovessero dividerci, io sarei nel tuo sangue, nei tuoi sogni e nei
tuoi
ricordi. Siamo gemelli.»
Non
era certo di essere risultato convincente, ma aveva sentito il sorriso
di
Feliciano disegnarsi sulla sua spalla. Anche se il Palazzo di Quarzo
gravava su
di loro con la sua luce, Feliciano sorrideva. Era sufficiente.
***
Il
signor Vargas aveva avuto prova che i gemelli fossero qualcosa di
demoniaco man
mano che i suoi figli avanzavano nella crescita.
Era
capitato più di una volta che uno dei due si ferisse, e
l’altro avvertisse il
dolore nel medesimo punto e nel medesimo istante. O che i due bambini
si
svegliassero di mattina e parlassero dello stesso sogno, come se
avessero
viaggiato insieme durante la notte. Episodi innocenti che riempivano i
bambini
di gioia e il padre di sospetto.
Poi,
un giorno il Cielo aveva inviato un messaggio su chi dei due fosse il
predestinato alla carica di Asse. Accadde, un giorno di primavera, che
i due
bambini si trovassero nei pressi di un bosco per giocare. Un lupo
selvatico era
uscito dalla foresta, e Feliciano aveva giunto le mani e mormorato una
preghiera. Il suo piccolo corpo si era illuminato come una stella,
mettendo in
fuga la belva.
A
quel punto, il signor Vargas non aveva più avuto dubbi.
L’ordine
fu preciso e spietato: separare i due gemelli e portare Feliciano al
Palazzo di
Quarzo. E abbandonare Lovino sul pianeta più desolato della
Confederazione.
***
«Non
vuole mangiare?»
Il
signor Vargas passò una mano tra i capelli, risentito.
Avevano
trascinato Feliciano al Palazzo di Quarzo, e il bambino aveva inscenato
uno
spettacolo assai poco decoroso per un futuro Asse: aveva scalciato e si
era
ribellato con tutte le sue forze, mentre si tendeva disperatamente
verso il
fratello, trascinato via da spaventosi omaccioni in divisa. Ed era
un’intera
settimana, da quando aveva varcato il cancello del Palazzo, che
rifiutava
ostinatamente il cibo. Si limitava a respirare in un angolo della sua
stanza,
senza mangiare e senza parlare.
La
sentinella gli suggerì di entrare e rincuorare il figlio,
cosa che il signor
Vargas fece con estrema riluttanza. Non capiva perché quel
bambino si agitasse
tanto: essere l’Asse era la massima onorificenza ottenibile
all’interno della
Confederazione.
Una
vocetta essiccata si arrampicò a fatica nella gola riarsa
del piccolo in uno
strano saluto:
«Aspettavo
che tu arrivassi.»
La
bocca del signor Vargas si contorse in una smorfia risentita. Avrebbero
dovuto
cancellare quelle occhiaia, e fare qualcosa per le screpolature che
spaccavano
le labbra del piccolo. Non potevano permettere che l’immagine
delle famiglie
Vaticane venisse intaccata da quella grottesca caricatura di bambino.
«Dov’è
mio fratello?»
Il
padre incrociò le braccia al petto e mitragliò,
secco:
«Tuo
fratello non è più a questo mondo. Doveva
restituirti la tua parte di anima, e
l’ha fatto.»
Feliciano
rovesciò la testa all’indietro, e nello sguardo
che indirizzò al padre
scintillò un bagliore raggelante.
«No.
Non lo avete ucciso» si era rannicchiato nelle sue ginocchia
spigolose e aveva
proseguito: «Quando si feriva al gomito, sentivo male anche
io. Quando cadeva,
nemmeno io riuscivo a camminare. Se fosse morto, sarei morto anche io.
Per
questo so che è ancora vivo.»
«Non
possiamo tollerare un Asse con solo metà spirito. Per questo
è stato… epurato»
replicò asciutto il signor Vargas. «E poi, i
poteri che aveva mostrato erano
immorali. Al contrario dei tuoi.»
Feliciano
fece ciondolare la testa in un cenno di diniego, e allungò
una mano verso il
pranzo, ancora intoccato sul suo comodino bianco.
«Tornerà
a prendermi. Me l’ha promesso. Non mi farà stare
da solo nello scettro del
Cielo. Non mi farà piangere con il cristallo»
affondò il cucchiaio nella
minestra, ma, prima di inghiottire il boccone, dichiarò:
«Non mangio perché
voglio diventare Asse. Mangio solo perché voglio rivedere
mio fratello.»
Il
signor Vargas uscì dalla camera, esasperato. I gemelli erano
certamente le creature
più problematiche del mondo: erano attaccate così
morbosamente al proprio
fratello da non comprendere quale fosse la giusta strada da percorrere,
e
quanto misericordiosi fossero gli adulti intorno a loro.
Lo
avrebbe aspramente rimproverato, se lo stesso Feliciano testardo fosse
uscito
da quella stanza, il giorno dopo. Ma l’undicenne che venne
rigurgitato dalla
camera fu uno sconosciuto.
Un
bambino impeccabilmente vestito con la complicata tunica da Asse
Novizio si
inchinò di fronte al signor Vargas, senza mai smettere di
sorridere.
«Sono
pronto a iniziare gli addestramenti, padre»
gorgheggiò melodioso.
Il
padre accettò di buon grado quella sua inspiegabile
accondiscendenza, mentre le
sentinelle che assistettero alla scena si sentirono gelare il sangue
nelle
vene: in quella settimana di digiuno, il piccolo Feliciano aveva cucito
su di
sé un travestimento con pazienza e metodo. Aveva rifinito i
bordi e limato le
smussature, ed eccolo emergere in un tripudio di luce e buoni
sentimenti quando
solo il giorno prima aveva rivolto la propria sfida al genitore.
Non
si riusciva più a scorgere l’anima nascosta da
quel sorriso fasullo, non si
riuscivano a intuire i pensieri celati dietro quel galateo
irreprensibile.
Deglutirono
sonoramente, inquietati dalla facilità con cui quel bambino
era riuscito a
camuffare la sua anima. I gemelli erano davvero delle creature
spaventose.
«Vieni,
Feliciano» lo invitò il padre. «Dobbiamo
presentarti il tuo Guardiano.»
Il
sorriso con cui il bambino accettò la proposta del padre
spaventò ulteriormente
le sentinelle: non era l’espressione infantile di un
innocente, era la recita
di un giovane costretto a crescere in una sola settimana.
Cercarono
di avvisare il signor Vargas, e come premio i loro corpi vennero
bruciati in
uno dei mondi meno controllati della Confederazione.
Messe
a tacere quelle voci dissenzienti, il signor Vargas poté
finalmente bearsi in
un coro di lodi e incensamenti su Feliciano, i cui poteri superavano
quelli
degli Assi degli ultimi trecento anni.
***
La
sabbia era rovente e ruvida, ma non quanto la sua gola desiderosa di
acqua.
Lovino
arrancò nella polvere del pianeta desertico su cui era stato
abbandonato,
ostinato a sopravvivere a quella calura e a quella desolazione.
Doveva
essere eliminato, ma nessuno avrebbe mai osato sollevare la spada
contro un
sacro frutto delle famiglie Vaticane: avrebbe portato cento anni di
sventure su
tutta la discendenza dello sciagurato. Così lo avevano
abbandonato sul pianeta
Sahariano, in attesa che quell’impietoso deserto giustiziasse
l’indesiderato
Vargas.
Lovino
si accasciò a terra, respirando polvere e aria arroventata.
Non voleva morire
in un modo così insensato, lasciando suo fratello solo nello
scettro in mezzo
al Cielo.
Batté
le palpebre sugli occhi secchi, temendo che i suoi sensi abbrustoliti
dal sole
implacabile si stessero prendendo gioco di lui: nell’aria
distorta dal caldo,
gli parve di scorgere le figure tremolanti di alcuni uomini.
Mosse
le labbra a vuoto alcune volte prima di raccogliere la saliva
necessaria per sputare:
«C’è
qualcuno?»
Le
ombre indistinte barcollarono nella sua direzione, mentre stralci di
conversazione raggiungevano le sue orecchie bollite.
«Che
ci fa qui un bambino?»
«Da
dove è venuto?»
Una
mano callosa lo afferrò per il colletto, sollevandolo da
terra come un gatto, e
delle dita prive di gentilezza gli districarono i capelli sulla nuca.
Il suo
lignaggio splendette sotto i raggi cocenti del sole: il blasone delle
famiglie
Vaticane, un tatuaggio argenteo a forma di croce, lanciò
barbigli sprezzanti
alla plebe che lo circondava.
Una
bestemmia come non ne aveva mai sentite pronunciare gli
scartavetrò il collo:
simili parole non erano nemmeno pensate, alla Villa Topazio.
«È
un Vaticano!» rumoreggiò una voce aspra sopra di
lui.
«Ammazziamolo
prima che ci denunci!» abbaiò un altro.
«Non…»
Lovino tossì e annaspò prima di riuscire ad
articolare: «Non uccidete
Feliciano. Ammazzate tutti gli altri, ma non Feliciano!»
Un’ombra
imponente si distese su di lui, e una voce calda e beffarda si sorprese:
«Un
Vaticano che incita dei pirati a uccidere la sua stessa famiglia? E
lascialo
andare, Garcia! Con quei badili che hai al posto delle mani potresti
spezzargli
quelle ossa da merlo.»
Lovino
precipitò verso il suolo nel momento in cui
l’energumeno rilasciò la presa, e
fu salvato all’ultimo secondo dal possessore della voce
ironica.
«Intendevo
con un minimo di delicatezza, Garcia.»
«Dovete
essere più specifico, Capitano.»
La
testa del piccolo penzolò senza forze, mentre due braccia
muscolose lo
sollevavano da terra. Lovino colse solo un baluginio di iridi verdi con
le sue
pupille essiccate.
«Ti
daremo da bere. E sentiremo che altro hai da dire sui
Vaticani.»
Poi
il mondo diventò troppo vorticoso e colorato per essere
seguito dai suoi sensi
disidratati.
***
Un
ringhio gli fece vibrare i denti quando il boccale venne allontanato
dalle sue
mani.
«Devi
bere con calma, o ti sentirai male.»
«Sono
quasi morto. Non posso stare peggio.»
Lovino
osservò con astio il suo salvatore mentre
quest’ultimo gli restituiva il
bicchiere.
Doveva
la vita al capo dei pirati della Reina de
la Oscuridad, Antonio Fernandez Carriedo, un Ispanico dagli
occhi
smeraldini e il sorriso derisorio. Un codino di riccioli scuri spuntava
dal
cappello a tre punte e si adagiava sul cappotto scarlatto da capitano.
Su
quell’ultimo dettaglio del suo abbigliamento si
appuntò l’attenzione di Lovino:
a sinistra della fila di bottoni dorati spiccava la decorazione con il
simbolo
della sua nave, mentre sulla destra erano allineate tutte le medaglie
dei
capitani sconfitti. Ed erano numerose quanto le stelle in cielo.
«Sei
troppo piccolo per aver sconfitto tutta quella gente» lo
accusò Lovino, prima
di affondare le labbra nella tanto desiderata acqua.
«Sono
comunque più grande di te» replicò
Antonio. Passò un dito sulle placche
metalliche, facendole tintinnare con orgoglio. «Voi Vaticani
nascete con i
poteri necessari a diventare uomini di Chiesa. Noi Carriedo nasciamo
con… altri
poteri. Per questo riesco a primeggiare anche su persone con
più esperienza di
me.»
Il
piccoletto lo osservò dubbioso dal bordo del boccale.
Antonio incrociò le dita
sul ventre, e insinuò:
«Saresti
davvero disposto a tradire la tua famiglia?»
Il
boccale venne appoggiato con un tonfo secco sul tavolo.
«Voglio
liberare mio fratello dal Palazzo. Non mi importa del resto.»
«E
faresti qualunque cosa?»
«Qualunque
cosa.»
Una
punta del cappello sfiorò la spalla del capitano quando
questo osservò il
piccoletto da un’angolazione diversa.
«È
un’affermazione molto crudele» Antonio
marcò ogni singola parola, per far
avvertire il loro peso al piccolo. «E poi, i tuoi poteri da
chierico…»
I
dubbi del capitano si dispersero assieme ai suoi libri: Lovino chiuse
gli occhi
per un attimo, e all’improvviso ogni oggetto
all’interno della cabina, ad
eccezione delle sedie da loro occupate, cominciò a vorticare
per la stanza.
Antonio
osservò con disarmante calma il delirio intorno a lui,
finché il piccolo non vi
pose fine aprendo gli occhi.
«Questi
sono i miei poteri. Ma so fare di peggio»
confessò Lovino. «Ed è anche per questo
che mio padre mi odia.»
«Anche?»
Il
ragazzino morse le labbra fino a farle sanguinare, e Antonio
accettò il suo
silenzio.
«Avremo
modo di parlare ancora durante la navigazione.»
Una
mano abbronzata sventolò sotto il suo naso, in una precisa
offerta.
«Sei
pronto a unirti alla mia ciurma?»
Lovino
squadrò con sospetto quelle dita protese verso di lui. Non
era sicuro di essere
pronto a una vita di fughe, combattimenti e lavoro incessante. Ma, a
parte il
fuorilegge a capo della Reina de la
Oscuridad, nessun altro in tutta la Confederazione sarebbe
stato abbastanza
pazzo da accompagnarlo in una crociata contro il Palazzo di Quarzo.
Strinse
quella mano con decisione, e un sorriso sardonico spuntò sul
volto bronzeo di
Antonio.
Insieme,
avrebbero fatto precipitare il cristallo dal Cielo.
«Non
è magia. È solo un’illusione.»
«Perché?»
«Perché
in realtà è sempre la stessa
immagine ripetuta. Non cambia mai niente. È questa la cosa
triste.»
Ed
eccomi qui, in una nuova, travolgente avventura XD
Scherzi
a parte, temo che questa longfic sarà MOLTO long. Il
motivo è molto semplice: per ora i personaggi sono pochi, ma
tra poco si
aggiungeranno Francis, Arthur, Alfred, Kiku, Ivan, Yao, Gilbert,
Matthew...
insomma, tutto il circo al completo XD e le coppie... eh 8D leggere per
scoprire<3
Grazie
a tutti voi che avete letto fin qui e a tutti coloro
che decideranno di imbarcarsi in quest'ennesima pazzia di una fanwriter
iperattiva XD
Alla
prossima<3
Red
Le immagini utilizzate nei banner non mi appartengono; tuttavia, avendole prese dai miei archivi, non ricordo gli autori ç_ç Se qualcuno dovesse riconoscere la fonte di qualche immagine, me lo faccia sapere e provvederò a metterei credits<3