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Autore: Applejuice    16/08/2013    1 recensioni
Uscì in fretta dal taxi, scivolò e prese in pieno una pozzanghera. Cercò di aprire l’ombrello mentre correva verso il vialetto, ma quando finalmente quel dannato aggeggio si sbloccò, lei era già sotto il porticato, fradicia.
Cercò di sistemarsi quel poco che poteva specchiandosi sulla targa dorata di fianco al campanello che recitava ‘Robert Taylor, medico’.
Poi suonò timidamente il campanello, ed il trillìo rimbombò all’interno della grande casa.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Uscì in fretta dal taxi, scivolò e prese in pieno una pozzanghera. Cercò di aprire l’ombrello mentre correva verso il vialetto, ma quando finalmente quel dannato aggeggio si sbloccò, lei era già sotto il porticato, fradicia.

Cercò di sistemarsi quel poco che poteva specchiandosi sulla targa dorata di fianco al campanello che recitava ‘Robert Taylor, medico’.

Poi suonò timidamente il campanello, il trillìo rimbombò all’interno della grande casa.

- Salve, Miguel – sorrise quando il giovane cameriere portoricano aprì l’enorme portone. Il ragazzo si limitò ad un cenno del capo.

- Signorina Jefferson.

La guidò all’interno, attraverso svariati corridoi, le fece attraversare diverse stanze vuote e polverose, con passo svelto e silenzioso. Ariel Jefferson gli arrancava dietro, seguendo i suoi ricci capelli bruni, che svolazzavano sulla nuca abbronzata.

Entrarono in un salone illuminato, e subito Ariel fu investita dall’abbraccio soffocante della grande mole di sua sorella.

- Ariel! Ma sei fradicia.

Quando la pesante Janet Taylor ebbe finito di stritolarla, entrarono nella visuale di Ariel gli altri ospiti presenti nella stanza. Il dottor Lombard, in piedi, appoggiato al caminetto, e sua moglie Marie, che gli era seduta affianco, il corpicino esile e ossuto sprofondato nella grande poltrona su cui era seduta.

Kristal e Luke Martins sedavano vicini su una seconda poltrona, seri e rigidi come sempre. Lei una giovane dal collo sorprendentemente lungo, la pelle di porcellana, i lunghi capelli biondi stretti in una crocchia sulla nuca; lui imprenditore dal naso aquilino, lo sguardo duro e i baffi accuratamente pettinati.

Alissa Lovers, stretta in un tubino troppo corto, con l’abbondante ciccia che straripava da ogni parte, sedeva invece sul divano, e affianco a lei si distingueva ancora l’impronta del sederone di Janet sul cuscino.

Ariel li salutò e rimase lì, impalata, senza sapere cosa fare o dove sedersi.

Notò che avevano tutti in mano un minuscolo bicchierino di champagne.

- Siediti lì, Ariel, vuoi da bere? – le venne in aiuto sua sorella, indicando il posto accanto ad Alissa. E poi, senza aspettare risposta – Anita! Porta altro da bere! Anita! Ma dov’è quella ragazza? Miguel! – urlò.

Miguel, scattante, apparve sulla porta.

- Sì, signora?

- Miguel, porta da bere. E trova tua sorella – ordinò Janet.

Miguel sparì e poco dopo riapparve con altro champagne, una strana espressione di malinconia sul volto.

- … e quindi, si insomma, Parigi può essere meravigliosa quanto vi pare, ma non immaginate quanto puzzi. E poi i francesi, come sono snob! Mangiano lumache e si permettono anche di fare i superiori – stava dicendo Alissa Lovers. Marie Lombard pendeva dalle sue labbra. Alissa aveva il potere di incantare la gente con i suoi racconti, i suoi viaggi, reali o inventati che fossero. Aveva trentacinque anni, ma sembrava una bambina.

- Oh, ben arrivati signori! Vi prego di perdonarmi per il mio ritardo ma avevo lavoro da fare – Robert Taylor entrò nel salone, i grigi capelli pettinati all’indietro e un panciotto grigio a stritolargli la pancia. Diede un bacio a sua moglie, una pacca sulla schiena al dottor Lombard e abbracciò Ariel, la quale fu l’unica a notare la giovane Anita che sgattaiolava in cucina. E le sembrò che il suo viso fosse rigato dalle lacrime.

Dopo pochi minuti, Miguel annunciò che la cena sarebbe stata presto servita e invitò gli ospiti ad accomodarsi in sala da pranzo.

Il dottor Lombard stava raccontando uno dei suoi esilaranti aneddoti, scatenando le risate della signorina Martins e di Alissa Lovers. Robert Taylor, già un po’ brillo, si rovesciò addosso il bicchiere di champagne.

- Oh, tesoro! La camicia nuova – esclamò Janet – sei proprio un bel disastro, caro. Anita! Fazzoletti! Stracci! Anita!

- Vado io Janet, tranquilla – si offrì Ariel, e senza attendere la risposta della sorella corse in cucina. Spinse con forza la porta scorrevole, e sbirciando dentro vide Anita che si sforzava di aprire un barattolino bianco. Ne estrasse alcune piccole pillole, che frantumò con un grande coltello e che infine buttò in un calice di vino. Ariel riuscì ad aprire la porta, e Anita sobbalzò.

- Il signor Taylor si è rovesciato addosso lo champagne… vuole degli stracci – biascicò Ariel. Anita annuì, aprì un cassetto e le porse delle pezze e delle spugne, poi le diede il calice e disse solo ‘Per il signor Taylor’, e Ariel si convinse che le pillole che le aveva visto metterci dentro dovevano essere medicine per il suo povero cognato.

Tornando in salone consegnò pezze e calice, e la serata trascorse tranquilla. Quando anche gli avanzi del dessert furono portati via da Anita e Miguel, Robert Taylor si alzò e si portò una mano alla tempia. Farfugliò che era stanco, e che era meglio se si andava a riposare, e poi, sotto lo sguardo sorpreso e terrorizzato di tutti, stramazzò a terra.

- Robert! – Janet si inginocchiò sul corpo del marito, provò a schiaffeggiarlo leggermente, cercò di tirarlo su, e quando, poggiandogli un orecchio sul petto scoppiò in lacrime, seppero tutti che era morto.

Il silenzio si impossessò della casa, rotto solo dalle urla e dai singhiozzi di Janet. Tutti si scrutavano di sottecchi fra di loro, si guardavano in tralice e nessuno sapeva che fare.

Solo Ariel fissava il cadavere, lo guardava negli occhi, senza vederlo. Le tremavano le mani. Un sospetto, che si era annidato timidamente nella sua mente, ora si faceva strada facendole battere il cuore. Andò in cucina, piano, con calma, lentamente e quasi in punta di piedi. Anita non c’era.

Si diresse tremante verso il bidone della spazzatura, vi si inginocchiò davanti, ne tolse il coperchio e rimase a fissare quel barattolo bianco che spiccava fra gli avanzi e le cartacce, fissò la scritta ‘sonnifero’, e le grida di sua sorella, in sala da pranzo, le parvero ancora più forti. Sentì gli occhi bruciare, si accoccolò sul marmo freddo e pianse.

- Signorina Jefferson…

Sobbalzò e spalancò gli occhi. Anita sembrava preoccupata. Ariel notò quanto fosse giovane, forse più di lei. Aveva lunghi capelli neri, la pelle abbronzata come quella del fratello, occhi scuri e penetranti. Anita vide il bidone aperto, e allora capì. Capì che Ariel aveva capito. Un lampo di terrore le attraversò lo sguardo, e un tremito le percorse le labbra.

- No… signorina, no. Non è come pensa. Io posso spiegare.

Ariel si alzò, con calma, senza smettere di guardarla. Indietreggiò, ma due mani le afferrarono le spalle, e salirono piano fino al collo. Mani grandi, mani dure, forti. Sentì i capelli di Miguel che le solleticavano la nuca.

- Lui era cattivo. Il signor Taylor – balbettò Anita – lui era cattivo con me. Lui mi faceva del male.

Janet urlava ancora in sala da pranzo.

- Lui mi faceva cose brutte. Lui mi umiliava. Il signore era sempre ubriaco. Lui era cattivo, si meritava la morte – Anita piangeva. Si tirò su le maniche della divisa, e Ariel vide lividi e graffi che le sfiguravano le braccia.

Le mani di Miguel  strinsero ancora e ancora. Ariel boccheggiò, cercò di respingerlo, ma piano piano tutte le forze la stavano abbandonando.

- Mi dispiace signorina Ariel. Ma nessuno deve sapere. Nessuno. Mi dispiace..

Un singhiozzo. Anche Miguel piangeva. E intanto stringeva, e stringeva più forte, e ormai Ariel non respirava più. Le si annebbiò la vista, e l’ultima cosa che vide fu Anita che si accasciava sul pavimento, scossa dai singhiozzi, le mani nei capelli.

 

 

   
 
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