“Sei un ragazzo o una ragazza?”
“Qual è il tuo nome?”
Queste
erano le domande che, qualche tempo fa, si potevano leggere sullo schermo di un
vecchio videogioco dalla grafica grigia e dalle figure stilizzate. In quel
gioco si potevano allevare delle creature, potenziarle e diventarne amici,
sfidando eventuali avversari e lottandovi contro.
Beh,
sicuramente quel gioco è ormai sorpassato. Successivamente ne sono usciti di
sempre più avanzati tecnologicamente: grafica più nitida, maggiori possibilità
di gioco … tutto per soddisfare in parte la sete di aspettative dei bambini che
non avessero già raggiunto i dieci anni d’età. Io, al contrario, ho passato da
un pezzo quell’età e non ho più bisogno di quei videogiochi: i Pokemon reali
sono molto migliori.
Rispondo
alle due domande iniziali: sono un ragazzo e
il mio nome è Vergil. Ho ventuno anni, e sono
nato in un piccolo paesino di campagna nei pressi di Borgo Foglianova,
sono preciso e pignolo per natura e a diciannove anni ho vissuto la più grande
avventura della mia vita.
Capirete
che vivere in un piccolo villaggio nei pressi di una città che è già di per sé
piccola può far soffocare: così, non appena ho compiuto dieci anni mi sono
recato a Borgo Foglianova con mio nonno per farmi
dare il mio primo Pokemon dal professor Elm.
Ah!
Non scorderò mai quel giorno. Entrai subito nello sparuto gruppo di persone
che, per qualche imprevisto, non ricevette uno dei classici tre Pokemon
starter: Cyndaquil, Chikorita
o Totodile.
Immagino
che vogliate sapere perché andò così e quale Pokemon ricevetti. Se siete
persone curiose, magari vorrete sapere anche cosa accadde dopo, vista la mia
imprudente premessa. È una storia interessante, credo, e per fortuna il mio più
grande amico ha avuto la passione e la costanza sufficienti per metterla per
iscritto. Quindi vi saluto, e vi auguro buona lettura.
IL
SEGRETO DI
SANAKO
Camminava a grandi
passi lungo un piano erboso baciato dal sole primaverile e circondato a Est e a
Ovest da un fitto bosco di querce. Aveva parecchia fretta, poiché voleva
raggiungere la successiva città entro il tramonto, e ormai era pomeriggio
inoltrato. Non bastasse, pareva proprio che dovesse attraversare il lato Ovest
della foresta.
Vergil si osservò intorno. No, la
strada era obbligata. Temeva la foresta: non aveva molti Pokemon con sé, e
quelli che possedeva erano ancora piuttosto stanchi per la lunga marcia.
Tuttavia, non aveva scelta; dopo un profondo respiro, si addentrò nel bosco.
La foresta era
veramente fitta e buia. Rami nodosi scendevano fino all’altezza della testa e
le fronde che pendevano da essi rischiavano di farlo inciampare ogni due passi.
Una vera sfortuna non avere Pokemon d’erba, un Foglielama
sarebbe stato utilissimo per eliminarle.
Rialzandosi dopo
l’ennesima caduta, pensò che doveva comunque arrivare al di là del bosco, ma in
quel momento qualcosa di molto veloce lo colpì alla guancia, graffiandola e
facendola sanguinare. Non fece in tempo a voltarsi che quell’entità lo aveva
colpito di nuovo, mandandolo faccia a terra. Vergil
si alzò di scatto e scorse una figura verde e affusolata scagliarsi contro di
lui. Si tuffò dietro il tronco di una grossa quercia, e in quel momento
comprese di aver violato il territorio di uno Scyther
solitario.
Il Pokemon gli si
scagliò contro di nuovo, colpendolo alla spalla e mandando il suo zaino chissà
dove. Ora, senza pokeball, era completamente
indifeso. Inerme, cercò invano un appiglio per rialzarsi, ma il Pokemon gli era
ormai atterrato sulla schiena facendolo cadere nuovamente. Si preparò al
peggio.
Wham.
Un forte calore
sulla schiena e l’odore di cotone bruciato gli fecero capire che la sua bella maglietta blu era stata
abbrustolita. All’improvviso non avvertì più il peso di Scyther.
Si alzò di scatto, e lo vide poco più in là degli alberi, impegnato in una lotta
con un Growlithe selvatico, quello che doveva averlo
salvato poco prima con un Lanciafiamme.
“Growlithe, usa Ruotafuoco!”
Allora
non è selvatico,
pensò. Voltandosi un’altra volta, vide che un ragazzo stava dando ordini al
Pokemon Fuoco. Doveva avere la sua età, era più basso di lui di almeno una
spanna, un po’ rotondetto ma evidentemente agguerrito.
Il Ruotafuoco di Growlithe aveva
mandato Scyther al tappeto. Il Pokemon coleottero
sfuggì all’allenatore infilandosi tra i cespugli e scomparendo alla vista.
“Tutto bene?”
“Sì, ti ringrazio,
sei stato provvidenziale”
“Questo dev’essere il tuo zaino”
Gli porse il suo
bagaglio. Osservandolo con riconoscenza, Vergil
chiese all’estraneo come si chiamasse.
“Mi chiamo Adam. Vengo da Smeraldopoli, a Kanto”
“L’avevo intuito”,
rispose, indicando la spilla a forma di smeraldo – lo stemma della città – che
portava appesa al bavero.
Vergil finì per continuare il viaggio
con il suo salvatore che, come lui, doveva raggiungere Amarantopoli.
Mentre camminavano, Adam raccontò che voleva poi
raggiungere Fiorlisopoli per conoscere il famoso
farmacista della città, poiché voleva impararne il mestiere.
“…Ma prima voglio proprio passare per Amarantopoli”
– sentenziò.
“Come mai?”
“Guarda qui”
Adam frugò nello zaino, ed estrasse
una fotografia. In realtà era una stampa molto antica e ingiallita dal tempo:
doveva avere almeno un paio di secoli. Rappresentava una ragazza in abiti
tradizionali giapponesi, inginocchiata di fronte a un basso tavolino con sopra
un mortaio e un alambicco.
“Questa era Sanako” – spiegò Adam mentre
proseguivano – “E’ molto famosa dalle mie parti, ovvero nei villaggi che
circondano Amarantopoli. Fu una famosa farmacista che
all’epoca era conosciuta in tutta Johto per la sua
formidabile abilità nel curare qualunque tipo di Pokemon e per la segretezza
con cui celava le ricette dei suoi medicamenti. La sua storia racconta che
lavorò ad Amarantopoli e che chissà dove abbia
nascosto queste misteriose ricette … quindi voglio saperne di più”
“Sembra suggestivo”
“Tu, invece, dove
devi andare?”
“Devo andare anche
io a Fiorlisopoli, ma per prendere il traghetto per Kanto. Ho conquistato tutte le otto medaglie di Johto” – disse, mostrando ad Adam
il suo portamedaglie – “E voglio iscrivermi alla Lega
di Johto – Kanto”
“Devi essere un
allenatore molto abile, ma quello Scyther ti ha messo
alle strette”
“Non per mia
incapacità”- rispose seccamente Vergil. Era sempre
stato piuttosto permaloso. “Viaggio da quattro giorni e non ho ancora
incrociato un Centro Medico, i miei Pokemon sono deboli e non potevo certo
usarli in quello stato compromesso”
“Capisco” – disse Adam. “Senti, direi che se sei d’accordo possiamo andare a Fiorlisopoli insieme”
“E’ un’ottima
idea”
Discorrendo, erano
finalmente usciti da quel dedalo di rami e sterpaglie. Il panorama era
mozzafiato: si trovavano in un paesaggio collinare, in cima a una delle dolci
alture, qua e là chiazzate di alberi. Nella valle sottostante si scorgeva Amarantopoli, immersa nei campi, piccola città di pianura
dalle case di legno, dalle tradizioni consolidate e dalla vita tranquilla.
Tuttavia doveva essere ancora a una decina di kilometri di distanza e ormai si
stava facendo sera. Decisero quindi di accamparsi in cima alla collina:
accesero un fuoco, piantarono la tenda di Vergil e
divisero il cibo che avevano con loro. Mentre consumavano la cena, un fruscio
nel buio li fece trasalire.
“Cos’è stato?”
“Viene dalla
foresta”
Si erano alzati in
piedi di scatto e stavano sull’attenti; tuttavia, non si vedeva nulla. Adam estrasse una sfera.
“Vai”
Fece uscire il suo
Pokemon, e subito un bell’esemplare di Hoothoot si
materializzò davanti a loro.
“Illumina la
foresta”
Gli occhi del
Pokemon divennero di un giallo fosforescente e un raggio di luce illuminò gli
alberi. Sembrava che non ci fosse nulla.
“Forse è stato un Caterpie” – disse Adam. “Faremo
meglio ad andarcene a letto”
Vergil rimaneva dubbioso, ma andarono
ugualmente a dormire.
*
Il mattino successivo partirono
all’aurora, quando la luce era ancora dorata e una leggera nebbiolina copriva
il suolo fino alle loro caviglie. Raggiunsero Amarantopoli
attorno a mezzogiorno, piuttosto affamati. Fu allora che fecero curare i
Pokemon al Centro Medico e poi si fermarono in una taverna locale per pranzare.
Sedettero a un tavolo di legno
vicino al bancone, dove due uomini dall’aspetto piuttosto distinto conversavano
tra loro. Nonostante il locale fosse ben pieno, erano abbastanza vicini da poter
udire cosa stavano dicendo.
“Così tuo nipote ha tentato di
sfidare le Ragazze del Kimono?”
“Già” – rispose l’altro, un uomo
dai folti baffi grigi – “Ma non è stato fortunato, è stato battuto dopo pochi
turni. Peccato!”
“Sono veramente forti. Chissà, magari
si rifarà la prossima volta”
“Non saprei. La loro combinazione
di strategia ed eleganza sembra imbattibile”
“Scusate”
Prima che potessero dire altro, Vergil si era alzato e aveva rivolto loro la parola. I due
uomini parvero stupiti nel trovarsi di fronte quel ragazzo smilzo e dai capelli
biondi con quell’aria così acuta.
“Vi ho sentiti parlare, e mi sono
incuriosito … chi sono le Ragazze del Kimono?”
L’uomo dai grossi
baffoni ridacchiò. “Non vorrai sfidarle?”
“Non lo so ancora”
– disse Vergil – “Ma cos’hanno di particolare?”
“Va bene, giovane.
Le Ragazze del Kimono sono un gruppo di cinque ragazze che ha sede
all’Accademia di Danza di Amarantopoli, l’edificio in
legno dal tetto a pagoda che si trova nel centro della città. Sono rinomate per
la loro forza e per la loro tenacia in combattimento con i Pokemon, ma
soprattutto per la grazia e per l’eleganza del loro portamento in lotta.
Batterle non è facile”
“Ma perché
qualcuno dovrebbe sfidarle? Solo per il gusto di farlo?”
“Volendo sì” –
rispose l’uomo – “Ma vedi, ogni sfidante può combattere contro una delle cinque
ragazze. Se avrà vinto la lotta, sarà socio onorifico dell’Accademia, il che
rappresenta un grande onore qui ad Amarantopoli”
“M’interessa poco
diventare ballerino, però voglio vedere se sono davvero forti come dicono. Vi
ringrazio”.
Di lì a poco, Vergil e Adam s’incamminavano
verso il centro della città, diretti all’Accademia di Danza. L’edificio era
inconfondibile: era un’enorme pagoda le cui colonne erano di legno intarsiato
con motivi floreali. Due Vileplume si trovavano ai
lati della porta d’ingresso a mo’ di uscieri ed emanavano un profumo simile
all’incenso. Entrarono.
Furono accolti da
una lieve musica tradizionale, e da uno stanzone in parquet sul quale cinque
ragazze ognuna con un Kimono dal colore diverso danzavano a ritmo, in modo
molto elegante. Un uomo – anch’egli in Kimono, di color oro – li accolse
all’ingresso.
“Buongiorno a voi.
Posso esservi utile?”
“Sì. Vorrei
sfidare le Ragazze del Kimono”
L’uomo sorrise
bonariamente.
“Certamente, può
tentare di farlo. Le regole sono queste: potrai sfidare solo una di esse, a tua
scelta. Se vincerai, l’Accademia non avrà più segreti per te e ne sarai socio.
Se perderai, non dovrai mai più mettervi piede per un anno, e non potrai
sfidare la ragazza contro la quale avevi combattuto. L’incontro prevede che la
ragazza usi un solo Pokemon, ma lo sfidante ne ha due a disposizione. Tutto
chiaro?”
“Sicuro” – rispose
Vergil.
“Molto bene.
Allora, quale vuoi sfidare? Fa’ la tua scelta, e poi indicamela con il colore
del Kimono”
Vergil osservò le ragazze. Avevano
tutte il volto seminascosto da un ventaglio. I loro Kimono erano rosso, verde,
blu, giallo e viola. Il ragazzo non sapeva da dove cominciare, finché optò per
scegliere completamente a caso.
“Scelgo la ragazza
con il Kimono rosso”
L’uomo si avvicinò
a quella che Vergil aveva indicato e s’inchinò
davanti a lei. La ragazza s’inchinò a sua volta, poi incedette elegantemente
verso Vergil e s’inchinò di nuovo. Poi abbassò il
ventaglio, rivelando il suo volto.
“Vergil!”
Adam sembrava sconvolto. “Adam, cosa c’è?”
“La foto, Vergil, la foto!”
Il ragazzo fece un
colpo. Aveva ragione: la ragazza che avevano di fronte era in tutto e per tutto
identica a Sanako, l’antica farmacista. Ne sembrava
la fotocopia attuale, tranne per il fatto che i capelli erano rossi e non neri
come quelli della fotografia.
“Chiederemo
spiegazioni dopo l’incontro” – sentenziò Vergil. “Ora
combattiamo”
“Mi auguro che
questo incontro sia una fonte di rinnovata saggezza per te e per me, sfidante.
A te l’onore di scegliere il tuo combattente”
“D’accordo”. Vergil stava divenendo agguerrito, come sempre prima di una
lotta. “Vai!”
Chiamò sul campo
il suo Noctowl, il primo Pokemon che aveva catturato
quand’era ancora un Hoothoot. La ragazza lanciò la
sua sfera sul campo compiendo un’aggraziata piroetta, facendo salire sul campo
un Flareon.
Non perse tempo.
Il primo lanciafiamme di Flareon bruciò la punta
delle penne della coda di Noctowl, che riuscì a
scansarlo appena in tempo e a usare ipnosi. Il Flareon
però si schermò dall’attacco con Riflesso.
“Noctowl, prova con Confusione!”
“Flareon, Fuocofatuo!”
Fiamme bluastre
avvolsero Noctowl e lo circondarono completamente,
confondendolo e scottandolo: il Pokemon non resse all’attacco e crollò al
suolo, privo di sensi.
Vergil lo richiamò, complimentandosi
con lui per quella bella prova, ma era teso. Soppesò la situazione. Flareon era potente e conosceva mosse tipiche degli
spettri; inoltre, era molto veloce. Doveva giocare d’astuzia.
“Vai!”
Hypno scese in campo. Squadrò Flareon e si preparò a dare battaglia.
“Ipnosi!”
Ancora una volta, Flareon usò Riflesso e la bloccò, ma Vergil
era preparato.
“Ora, Dinamipugno!”
Hypno colpì con forza il riflesso di Flareon, che dopo qualche secondo andò in frantumi.
“Ipnosi, presto!”
Finalmente,
ondeggiando il suo pendolo, Hypno riuscì a far
addormentare il Flareon. La ragazza sembrava non
tradire alcuna emozione.
“Mangiasogni!”
L’ambiente divenne
scuro, tetro, e gli occhi di Flareon s’illuminarono
di viola. Qualche secondo dopo la luce tornò, e il Pokemon era visibilmente
esausto”
“Flareon non è più in grado di sostenere l’incontro. Hypno è il vincitore!” – decretò l’uomo con il Kimono color
oro.
La ragazza non si
scompose. Richiamò il suo Flareon, s’inchinò appena
ma con grazia, e in pochi istanti era scomparsa dietro una porta di legno sulla
parete.
“Ehi, aspetta…!” – esclamò Adam.
“Non insistere” –
disse l’uomo, che si era avvicinato a loro. “Vi spiegherò. Seguitemi”
Poco dopo, di
fronte a due tazze di tè verde, discutevano con l’uomo – Akahito
– in una stanza da tè molto ben decorata, piena di tappeti in bambù e con un
tavolino per l’incenso. Akahito prese la parola
mentre portava la teiera.
“Dovete sapere che
l’etichetta delle Ragazze del Kimono non prevede alcun contatto con gli
sfidanti. A loro è imposto il massimo riserbo”
“Lo sospettavamo,
ci scusi” – disse Adam – “Però siamo rimasti stupiti
nel vedere la ragazza dal Kimono rosso”
“Kiyo. È il suo nome”
“D’accordo.
Dicevo, Kiyo ci ha stupiti. Guardi questa foto.
Stiamo viaggiando per capire qualcosa in più in merito alla persona che
raffigura e per cercare una soluzione al mistero che la riguarda”
L’uomo osservò
l’antica stampa e, con sorpresa, strabuzzò gli occhi, più spaventato che
stupito.
“E’ successo. Dopo
tanto tempo, è successo”
“Che cosa è
successo?” – esclamò Vergil.
Akahito posò lentamente la fotografia e
trasse un profondo sospiro.
“Prima o dopo
qualcuno sarebbe venuto a sapere, non si poteva nascondere a lungo. E voi siete
stati i primi.
La donna della
foto è Sanako, l’antica farmacista, non è così? Lo
so, Kiyo è identica a lei in tutto e per tutto.
Seguitemi”
Di nuovo, i due si
alzarono e seguirono l’uomo attraverso un lungo corridoio, fino a una porta che egli aprì con una grossa,
vetusta chiave arrugginita. L’interno era piccolo, a forma di semicerchio e
completamente in pietra grezza: sembrava un piccolo santuario. Al vertice della
curva stava un’effigie incorniciata, non molto grande e piuttosto logora, ma
recava in modo inconfondibile l’immagine di Sanako.
“Sanako nacque ad Amarantopoli” –
disse sommessamente Akahito, cogliendoli di sorpresa
– “e fu la fondatrice delle Ragazze del Kimono. Nessuno lo sa, perché qui la
veneriamo come protettrice dell’Accademia e delle Ragazze stesse. Le prime
Ragazze del Kimono ovviamente sapevano chi fosse la fondatrice, o addirittura
la conoscevano di persona, ma con il tempo questa informazione si affievolì e,
alla fine, venne perduta. Solo i rettori dell’Accademia si tramandano questa
conoscenza a vicenda, e io sono quello attuale. Quello precedente era mio
padre.
Poi,
improvvisamente, arrivò Kiyo. Fu in una notte estiva
e tempestosa di poco più di diciotto anni fa. La trovammo in fasce ai piedi del
ciliegio di fronte all’edificio. Era silenziosissima, non piangeva: se non
fosse stato per i guaiti di un Eevee che ci avvertì,
non l’avremmo trovata fino al mattino successivo. Il suo Flareon
è l’evoluzione di quello stesso Eevee. Quell’effigie
– e indicò l’icona di Sanako – si trovava nel cesto
di bambù insieme a Kiyo.
Ovviamente la
tenemmo con noi e, quando raggiunse l’età di quattordici anni, cominciò per mia
volontà a sostenere l’iter per
divenire Ragazza del Kimono.
Più cresceva, più
mi rendevo conto della sua strabiliante somiglianza con l’antica Sanako. Naturalmente non potevo spiegarmela in alcun modo,
ma era evidente che vi fosse un legame tra le due. Non fu semplice per me
tenerle nascosto questo fatto – sapete, ha un carattere esuberante e ribelle,
nonostante sia impeccabile in combattimento – ma mi ero ripromesso di farlo
quando sarebbe cresciuta. Eppure fino a oggi non ne ho avuto il coraggio … temo
la sua reazione”
“Perché?” – chiese
Vergil – “Dopotutto è solo una forte somiglianza, e
al massimo si parla di qualche ricetta sepolta chissà dove. Ormai saranno
muffite”
Akahito guardò Vergil
gravemente. Poi si voltò, ed estrasse da una nicchia nel muro di pietra un tomo
molto vecchio, rilegato in pelle e impolverato. Lo aprì alla pagina contrassegnata
con una striscia di stoffa, e mostrò loro un disegno evidentemente tracciato
con un carboncino. Mostrava una sorta di statua poggiata su un piedistallo
roccioso e irto di spuntoni. La statua era molto abbozzata, ma si comprendeva
che raffigurasse un’enorme creatura alata. La pagina di fianco era ricoperta di
rune illeggibili.
“Quelle non sono
solo ricette per medicine, ragazzo. Il Libro parla chiaro. Quei rotoli perduti
rivelano come risvegliare la più antica creatura leggendaria, addormentata da
secoli in chissà quale grotta di chissà quale angolo del globo. Noi Direttori
ci tramandiamo da generazioni questo, il vero segreto di Sanako”
“E mai me l’ha
detto, Maestro Akahito”
“Kiyo!”
La ragazza li
osservava dalla porta del santuario, e il suo sguardo fulminava il direttore Akahito tanto era irata.
“Come ha potuto
nascondermi tutto?”
Il Direttore si
sedette su una sedia intarsiata, spossato dalla pesantezza degli eventi.
“Perdonami” – disse – “credevo solo di fare il bene per te”
“Lo immagino, ma
non è stato corretto”. Poi si tolse il Kimono rosso, lo ripiegò accuratamente e
lo ripose su un’altra sedia, rivelando una tunica bianca che le arrivava sotto
il ginocchio.
“Maestro Akahito, non posso ancora rimanere all’oscuro del mio
passato e del mio legame con … Sanako. Devo saperne
di più. Per questo me ne andrò dall’Accademia”
Akahito sospirò. “Lo sapevo. Dove
andrai?”
“Non lo so ancora,
ma credo che voi due abbiate una meta precisa” – disse, indicando con lo
sguardo Vergil e Adam. “E
state cercando informazioni su Sanako”
“Sì” – disse Adam – “Stiamo andando a Fiorlisopoli.
Puoi venire con noi” – continuò, ignorando lo sguardo di protesta di Vergil, che vedeva la sua Lega di Johto
– Kanto allontanarsi sempre di più dal suo orizzonte.
Poco dopo,
all’ingresso, Kiyo ritornò con una piccola sacca a
tracolla con lo stretto indispensabile per il viaggio. Non degnò di uno sguardo
il Direttore Akahito, triste come non mai, e si
allontanò senza salutarlo lungo la strada, quando ripartirono.
Akahito tornò dentro l’edificio solo
quando furono spariti oltre gli alberi. Richiuse la porta dietro di sé con gli
occhi chiusi, sospirando di tristezza. Poi una mano molto forte gli coprì la
bocca impedendogli di emettere alcun suono, e un’altra gli puntò una lama alla
schiena.
*
Il viaggio a due
si era repentinamente trasformato in un viaggio a tre che, tuttavia, non
riserbava ancora grandi discussioni. In effetti Kiyo
era ancora piuttosto arrabbiata e taciturna. Vergil
quindi non poté fare molto altro che non fosse osservarla con sguardi obliqui.
Aveva capelli rossi e ondulati, lunghi poco oltre le spalle ed era molto
longilinea. Vergil sospettò che fosse a causa
dell’intenso allenamento dell’Accademia.
“Dovete scusarmi”
– proruppe lei all’improvviso – “In genere sono molto più estroversa. Spero
però che capiate che la situazione creatasi mi lasci un po’ scossa”
“Figurati. Lo
immaginiamo” – rispose Adam, il cui aspetto e tono di
voce erano istintivamente calmi e rassicuranti. Poi estrasse una cartina della
regione da una tasca esterna del suo zaino. “A occhio, direi che arriveremo a Olivinopoli domani pomeriggio, se oggi proseguiremo ancora
per un paio d’ore. Non manca molto”
Non fece in tempo
a finire la frase che un proiettile forò la cartina, andandosi a piantare sul
terreno sottostante. Adam gelò; Vergil
si voltò da entrambi i lati del sentiero, verso la boscaglia che lo limitava,
ma non vide nessuno. Partì un altro colpo che li mancò, e in quel momento
decisero di cominciare a correre a perdifiato.
“Chi è stato?” –
urlò Adam caracollando.
“Non ne ho idea” –
gridò Vergil di rimando – “Ma non c’è tempo per
scoprirlo, corri!”
Un urlo: davanti a
lui Kiyo era sul punto di inciampare. Vergil la afferrò per i fianchi e la rimise in piedi in
corsa. I colpi si facevano sempre più vicini. Sembravano essere sparati da
fucili. Poi, Vergil avvertì un dolore lancinante al
braccio sinistro e capì di essere stato colpito di striscio. Non c’era un
attimo da perdere: con la vista annebbiata, frugò nella cintura ed estrasse
nuovamente il secondo dei suoi sei Pokemon.
“Vai!”
Hypno saltò fuori dalla sfera, e
subito iniziò a correre con loro.
“Presto Hypno, Salvaguardia!”
Un velo etereo ma
ben solido si stese a forma di guscio rotondo attorno a loro, proteggendoli dai
proiettili che continuavano a sibilare qua e là. A quel punto apparvero,
uscendo dalla boscaglia: una decina di uomini vestiti e incappucciati di nero,
ognuno dei quali imbracciava un fucile e che senza esitazione sparavano nella
loro direzione.
“Svelti, non so
per quanto tempo Hypno riuscirà a resistere!”
La corsa e la
forza mentale stavano provando non poco Hypno, che Vergil sapeva essere non più molto giovane. La loro
protezione si stava esaurendo, lo scudo si assottigliava e i proiettili
cominciavano a essere più udibili …
Caddero a terra
fragorosamente, alzando una nube di terreno sabbioso e scivolando a rotta di
collo verso il basso. Erano finiti in un canalone per la legna alla fine del
sentiero, e stavano ruzzolando verso il fondovalle.
“Hypno, cerca di resistere!”
Il Pokemon strinse
i denti e raccolse le ultime forze rimaste mentre caracollavano verso il basso
sbucciandosi gomiti e ginocchia, ma servì a poco. Dopo uno schianto mozzafiato,
rimbalzarono su un dosso di terra e precipitarono giù per uno strapiombo di otto
metri, dritti nel sottostante fiume schiumante e vorticoso.
Gli uomini in nero
si fermarono piantando i talloni nel terreno friabile e ghiaioso.
“Adesso non
possiamo più seguirli”
“Spara in acqua”
“No, idiota.
Primo, non vedresti a chi spari, e lei la vogliamo viva. Secondo, ormai la
corrente li avrà portati ancora più a valle. Terzo, mi auguro che cadere dallo
strapiombo abbia fatto il lavoro per noi”
“Come fai a
esserne certo?”
“Non lo sono, ma
adesso non possiamo fare più niente. Torniamo alla base”
*
Due ore e dieci kilometri di
acque torbide e turbinose dopo, Kiyo aprì gli occhi.
Prima di svenire aveva avvertito di essere stata trasportata, sia nell’acqua
sia fuori dall’acqua, ma non avrebbe saputo dire da chi. Probabilmente Vergil era un buon nuotatore. Non appena riuscì a mettere a
fuoco il paesaggio, vide un piccolo lampo di luce e comprese che Vergil aveva fatto ritornare un Pokemon. Che fosse Hypno…?
“Sta’ Giù”
Kiyo aveva tentato di alzarsi, con il
risultato di procurarsi un moto di nausea molto intenso. Vergil
la fece stendere di fianco con una mano sotto alla testa, e finalmente riuscì a
sputare tutta l’acqua fangosa che aveva bevuto nel fiume. Poi si alzò a sedere
con molta più cautela.
“Come stai?”
Era stato Adam
a parlare. Era fradicio, ma non sembrava molto malconcio. Vergil,
a parte una sbucciatura sulla spalla, era praticamente illeso.
“Ho passato momenti migliori.
Avete idea di chi fossero?”
“Non lo so” – rispose il ragazzo
– “Ma non abbiamo avuto molto tempo per chiedercelo”
“Ti dobbiamo la vita”
“A me?” – disse indignato Vergil – “A Hypno, semmai!”
“Già, sì” – ripose Kiyo sorridendo – “Hai ragione”
“Sentite”. Adam
prese la parola dalla roccia su cui era seduto. “Non possiamo proseguire, siamo
malconci e dobbiamo riposare. Però non possiamo accamparci in bella vista.
D’altro canto è vero che se avessero continuato a seguirci sarebbero già qui,
quindi devono essersi fermati”
“Credo che la cosa migliore sia
trovare un albero più grande possibile e arrampicarci” – disse Vergil, volgendo lo sguardo intorno. “Ecco, forse
quello”. Aveva individuato una quercia
enorme, nel fitto del bosco. Mezz’ora dopo si trovavano tutti in un incavo del
tronco verso la cima dell’albero, in compagnia di alcuni Sentret
che vi avevano fatto il nido e che al momento stavano facendo amicizia con
l’unico altro Pokemon di Adam – un piccolo Clefairy. Non era stato facile far salire Adam, visto il suo portamento non proprio atletico, ma
c’era da dire che stava medicando i
lividi degli altri due con una professionalità da medico.
“Ecco fatto” – disse – “pare che
adesso stiamo tutti meglio. Se mangiamo qualcosa, ci tireremo ancora un po’ più
su. Per fortuna conservo tutto dentro uno zaino impermeabile, altrimenti nel
fiume sarebbe stata una tragedia per quel riso…!”
Vergil e Kiyo
non poterono che ridere a crepapelle, sia per la innata cordialità di Adam, sia per stemperare la tensione accumulata. Mangiarono
il riso del ragazzo, l’unica vettovaglia che non fosse andata persa nelle acque
del fiume, stesero i vestiti bagnati e se ne fecero prestare da Adam. La maglietta che aveva ricevuto Vergil
era di due taglie più grande, Kiyo nuotava dentro
alla sua, ma non vi pensarono nemmeno.
Non potevano accendere un fuoco,
sia perché si trovavano su un albero sia per non rischiare di attirare
l’attenzione, ma la luna splendente appena sorta donava uno splendore argentato
a tutto il panorama.
“Vergil
…”
Kiyo si era avvicinata al ragazzo e
gli sedeva accanto.
“Grazie per averci salvato”
“Ho già detto che è stato Hypno”
“Dall’acqua. Ci hai tirato fuori
dal fiume”
“Oh, beh … non proprio. Comunque
prego”
“Mi sembra di aver visto un
Pokemon, quando mi sono risvegliata, ma non so se fosse stata un’allucinazione,
poiché ero ancora poco lucida. Era alto più di me, scuro, magro … tu l’hai
visto?”
Vergil assunse un’espressione un po’
tesa. Era come se stesse soppesando le parole da dire. Tuttavia non sapeva
mentire, quindi disse la verità.
“Sì, era un Pokemon, un mio
Pokemon”.
“Quale, se posso?”
Era arrivato anche Adam. Vergil cercò le parole
adatte, con un mezzo sorriso. Poi decise di raccontare tutto dall’inizio.
“Quando compii dieci anni, mi
recai a Borgo Foglianova per ottenere il mio primo
Pokemon, come tutti i ragazzini di quell’età. Ci andai con mio nonno, il padre
di mia madre, che persi poco dopo essere nato. Se vi chiedete cosa ne fu di mio
padre, vi rispondo semplicemente che non l’ho mai visto, e che non ne so nulla.
Ad ogni modo, giungemmo presso il
laboratorio del professor Elm, che lo dirige ancora oggi
come forse sapete. Avevo già fatto la mia scelta, pensate. Avrei tanto voluto
un Cyndaquil, da evolvere poi in un potente Thyplosion.
Quando arrivammo, però, capimmo
che stava accadendo qualcosa di strano. Il laboratorio era circondato da
poliziotti, alcuni dei quali discorrevano animatamente con lo stesso professor Elm. Un ragazzo vestito di rosso e con un cappello giallo
con il frontino all’indietro – lo ricordo ancora – stava dando testimonianza
dei fatti. Pareva che un altro ragazzo dai capelli rossi avesse rubato un Totodile dal laboratorio e fosse poi fuggito. Evidentemente
l’altro ragazzo doveva averlo visto.
Insomma, Totodile
era scomparso. Scoprii qualche minuto dopo che il ragazzo dal cappello giallo
aveva già preso Cyindaquil. Con la delusione nel
cuore pensai già di adattarmi all’ultimo rimasto, un Cickorita,
ma il professor Elm mi disse che era già stato preso
da una ragazza. L’unica soluzione sarebbe stata quella di aspettare un intero
anno, e ripresentarmi.
Ero tristissimo. Mio nonno mi consolava
e stavamo già pensando di tornare a casa rassegnati quando lui ebbe un’idea
formidabile. Chiese al professor Elm se al Centro
Medico vi fosse qualche caso di Pokemon abbandonati. Elm
disse di non saperlo, ma che era probabile, così telefonò all’infermiera Joy,
che rispose affermativamente.
Così ci recammo lì. Mio nonno
parlava concitatamente con Elm, che continuava a dire
che non ci sarebbero stati problemi e che al massimo avrebbe contattato il
professor Oak per informarlo. Il reparto dove si trovano
i Pokemon abbandonati nel Centro Medico di Borgo Foglianova
è piuttosto triste: uno stanzone grigiastro con alcuni lettini. Ricordo che
c’erano un Butterfree ben curato e uno Spinarak, che si facevano amorevolmente accarezzare.
Tuttavia, scostato rispetto agli altri, si trovava un altro Pokemon, piccolo e
giallo e rotondetto, silenzioso e piuttosto malridotto.
L’infermiera Joy ci spiegò che
quel Pokemon era stato abbandonato e poi picchiato da un gruppo di allenatori
scapestrati, a causa della sua scarsa velocità in battaglia. Per quel motivo
risultava diffidente e potenzialmente pericoloso.
Nonostante tutto mi avvicinai e
mi chinai di fianco a quel Pokemon. Non appena aprii bocca, mi graffiò in piena
faccia. Il mio istinto mi aveva già fatto alzare la mano per contrattaccare,
quando ricordai le parole dell’infermiera. Lo afferrai per il mezzobusto, e
riprese a graffiarmi, ma non reagii. Aspettai che si calmasse. Quando fu
spossato, e quando io ebbi il viso ricoperto di scalfitture, si calmò, ma
continuava a fulminarmi con lo sguardo. Allora lo posai e lo accarezzai.
Da quel momento si fidò di me, e
divenne il mio primo Pokemon. Lo allenai. Perdemmo molti incontri, ma molti ne
vincemmo, e ne vincemmo sempre di più. Un giorno si evolse, ma il suo carattere
rimase sempre ombroso e piuttosto diffidente verso gli esseri umani che non
fossero me, dai quali preferisce allontanarsi.
Questo è il Pokemon che ci ha
salvati tutti nel fiume, e il motivo per cui non ve l’ho ancora mostrato è
questo”.
Cadde il silenzio per qualche
secondo. Vergil aveva lo sguardo perso sulle sue
ginocchia, mentre Kiyo e Adam
aspettavano in religioso silenzio. Quando capirono che però il discorso del
ragazzo era finito, decisero di andare a letto definitivamente.
*
Come previsto da Adam, raggiunsero Olivinopoli
alle due del pomeriggio successivo, addirittura un po’ in anticipo rispetto ai
tempi. Furono fortunati: un po’ in corsa, riuscirono a comprare tre biglietti
per il primo traghetto per Fiorlisopoli e a salirvi a
bordo in fretta. Era una nave di modeste dimensioni, e si staccò dal porto poco
dopo le tre.
Vergil si perse a guardare il mare
illuminato dal sole. Era stupendo: tutti quei riflessi, gli sprazzi di luce,
l’azzurro. Quanto avrebbe voluto vedere il suo Pokemon nuotare felice in quelle
acque … ma il suo carattere era troppo chiuso, diffidente verso tutti e
misantropo. Anche lui, Vergil, sapeva di essere un
po’ così, ma pian piano stava imparando a rimpicciolire questo pessimo lato del
suo comportamento.
“A cosa pensi?”
Ancora una volta, Kiyo lo colse di sorpresa. Era appoggiata alla balaustra
della nave, di fianco a lui, e lo fissava con i suoi occhi castani. Vergil fece per parlare, ma cambiò argomento all’ultimo
secondo.
“A un sacco di cose, ma credo che
quella che dovrebbe parlare sia tu”
“Perché lo dici?”
“Non più tardi di ieri hai
scoperto di avere un’identità che ignoravi. Sei partita dal luogo dove sei
cresciuta, lasciando l’uomo che ti ha fatto da padre, per scoprire la verità su
di te. Ecco perché lo dico”
In genere la gente incassava
malamente queste secche e sincere stoccate di Vergil,
ma Kiyo non si scompose.
“Già, hai ragione. Non so … credo
di essere ancora molto scioccata, e forse proprio per questo non mi rendo
ancora conto del peso della scelta che ho fatto”
“E’ molto maturo rendersene
conto”
“Forse” – rispose Kiyo, scrutando i gabbiani all’orizzonte – “Ma ora mi sento
ancora più sola di prima. Sai, le Ragazze del Kimono non sono famose per i loro rapporti umani”
Vergil ridacchiò. In effetti non lo era
nemmeno lui.
“Beh, ora stiamo viaggiando in
compagnia, no? Non ti sentirai sola. No, è impossibile” – disse, dopo essersi
voltato e aver visto Adam venire verso di loro con un
sorriso e un cesto di frutta tra le mani.
“L’ho chiesta in cambusa, sono
riuscito a farmene dare un po’” – disse a mo’ di scusa, ma i due gliene furono
grati, e ne mangiarono volentieri.
Di colpo e senza alcun preavviso
la sirena della nave prese a suonare a un volume tanto alto da spaccare i
timpani.
“Cosa diavolo succede?” – urlò Adam, tappandosi le orecchie.
Dal lato della poppa della nave
si stava velocemente avvicinando una lancia nera come il carbone. Appena fu più
vicina, i tre si accorsero con orrore che su di essa si trovavano non meno di
quindici uomini vestiti di nero, esattamente come quelli che li avevano
inseguiti il giorno prima. Il primo pensiero di Vergil
fu quello di fuggire, ma dove…?
I criminali accostarono la lancia
al fianco della nave e vi si legarono. Salirono attraverso una scaletta,
brandendo fucili e scatenando il panico.
“Silenzio!” – urlò il più grosso
di tutti, che portava una spilla a forma di H a livello del cuore sulla tuta
nera. Sembrava il capo. “Silenzio, tutti fermi dove siete e nessuno si farà del
male”
“Sono lì, comandante!”
L’uomo si voltò di scatto verso Vergil, Adam e Kiyo, facendoli trasalire. “Ottimo” – disse – “Non
sprecherò tempo a cercarla. Caricatela sulla lancia, ci faremo dire tutto
quando saremo arrivati a destinazione”
Tre uomini in nero si
avvicinarono verso Kiyo, ma Vergil
non riuscì a stare fermo. Avanzò di qualche passo e s’intromise tra loro e la
ragazza. Senza esitazione, i tre figuri caricarono il fucile.
“Fermi!” – urlò Kiyo, disperata. “Non sparate”
Nessun effetto. Puntarono i
fucili contro Vergil, che sudava freddo ma non si
mosse.
“Non fatelo! Se lo farete, non …
non vi dirò nulla di quello che so. Piuttosto mi butterò in mare e mi lascerò
annegare, o mi farò fare fuori dalle vostre torture, ma tacerò!”
I tre uomini si bloccarono, poi
si voltarono verso il loro capo.
“D’accordo ragazza” – disse –
“Non li toccheremo. Prendete anche loro”
Nel giro di qualche secondo si
trovarono ammanettati sulla poppa della lancia, che riprese subito il largo a
tutta velocità, dopo che un paio degli uomini ebbero fracassato la radio di
bordo del traghetto. Vergil guardò i suoi compagni: Adam era visibilmente terrorizzato e anche Kiyo sembrava molto spaventata, ma aveva avuto la prontezza
di rispondere sfruttando il loro unico punto a favore. Sembrava che lei dovesse
rimanere viva, per loro.
Soppesò le sue possibilità. Nella
foga non erano ancora stati perquisiti, e sicuramente l’avrebbero fatto, in
modo da renderli ancor più inoffensivi. Non teneva le Pokeball
nello zaino, e questa era una fortuna, ma sicuramente le avrebbero trovate
incastonate lungo la sua cintura. Cercando di non dare nell’occhio, tese le
braccia per nascondere in tasca almeno una di esse.
“Ehi, ragazzo, cosa stai
facendo?”
“Niente”
“Fa’ un po’ vedere le mani”
Vergil si voltò, mostrando le palme
vuote delle mani, con il risultato di ottenere su di esse un colpo forte con il
calcio del fucile.
“Non muoverti più, chiaro?”
Rimasero immobili per tutto il
resto del viaggio, che si concluse su di un’isola sabbiosa un paio di ore dopo.
Era immersa nella nebbia, come se vi fosse caduta sopra una nuvola. Al centro
si scorgeva un edificio piuttosto anonimo: squadrato, quasi pericolante. Furono
condotti a forza fuori dalla lancia e dentro quell’edificio. L’interno era
quasi peggio dell’esterno, con le pareti ricoperte di muffa e ragnatele che
invadevano ogni centimetro di superficie. Uno scalone in legno tarlato portava
verso un ascensore che, per lo stato complessivo del palazzo, sembrava
semplicemente troppo ben tenuto. Tre uomini entrarono con loro nell’ascensore,
che cominciò a scendere all’avvio del pulsante.
Un vasto Geofront
apparve davanti ai loro occhi. Una cavità enorme, ampia come mezza cittadina e
completamente rivestita di metallo, illuminata da enormi lampade circolari
posizionate sullo sterminato soffitto a cupola. Gli edifici – se così potevano
essere denominati – erano anch’essi metallici, squadrati e tutti omologhi.
Sempre a calci e a pugni, furono condotti verso uno di essi, recante un’insegna
rossa: ENCLAVE.
“Qui entra solo lei”
“No!” – gridò Vergil,
guadagnandosi una gomitata.
“Non sei nella posizione di
comandare, ragazzo. Portateli nelle celle”
Con l’angoscia negli occhi, Vergil vide Kiyo essere
trascinata nell’edificio. “Verrò a salvarti!”, urlò.
“Lo so … lo so” – sussurrò la
ragazza.