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Autore: KeyLimner    19/08/2013    0 recensioni
L'umanità ha deciso, dopo tanto tempo passato a distruggere il suo pianeta sempre più martoriato, di adottare finalmente l'estrema misura che appare da tempo l'unica soluzione alla loro situazione insanabile: ritornare alle origini, nella Foresta. E gli abitanti di questa gigantesca Foresta - in particolare, la giovane e vivace Sole - diventano protagonisti, facendosi portavoci dell'incredulità del loro popolo di fronte all'assurdità dell'ultima Città rimasta sulla Terra.
Un futuro che è in realtà un ritorno al passato. Sarà una scelta giusta?
Genere: Fantasy, Introspettivo, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Il cinguettio degli uccelli. Il brontolio di un torrente nelle vicinanze. Lo zampettare di piccoli animali nel sottobosco.
Quei suoni si fondevano nelle orecchie di Sole a formare una musica dolcemente familiare, che le infondeva un senso di profonda quiete. Ad occhi chiusi, si concentrava per distinguere dalle diverse andature le bestioline che sgattaiolavano al suo fianco, sopra e sotto di lei. Ormai, era talmente avvezza ad esse che riusciva a riconoscerle solo dal rumore che producevano.
Ascoltando il gorgoglio del corso d’acqua poco distante, si smarrì dipingendo nella sua mente la forma delle singole gocce, che scorrevano disordinatamente le une sulle altre e cozzavano tra di loro per poi riprendere subito la loro frenetica corsa… e pian piano perse del tutto il contatto con il proprio corpo. Era anche lei una goccia. Poteva quasi sentire la consistenza dei ciottoli levigati sotto di sé.
Dopo alcuni minuti - o ore - aprì gli occhi. Il sole aggredì le sue pupille ancora mezze assopite, e le occorse qualche istante per abituarvisi. Si alzò lentamente a sedere, recuperando a poco a poco il controllo degli arti. Il suo respiro aveva un ritmo lento e regolare.
Ripensò alla mattina appena trascorsa. Quel giorno la lezione era stata particolarmente interessante. Avevano parlato delle proprietà curative di alcune radici, e Sole si era sentita particolarmente realizzata perché sua madre era una Guaritrice e le parlava spesso di queste cose: aveva guardato con orgoglio i suoi compagni concentrarsi per assorbire quei nuovi nomi con cui la sua mente aveva invece tanta dimestichezza, e aveva anche potuto rispondere tutta soddisfatta a un paio di domande poste a bruciapelo dall’insegnante. Una volta sciolto il cerchio, gli altri le avevano chiesto di unirsi a loro per una corsa lungo il fiume, ma lei aveva declinato gentilmente l’invito. Era uno di quei giorni. Uno di quei giorni in cui l’unica compagnia cui agognava era quella degli alberi e dei monti. Uno di quei giorni in cui voleva solo vagare da sola, annusare il profumo dei fiori e ascoltare la natura… sentirla fluire dentro di sé.
Si alzò in piedi e prese a camminare senza meta, girandosi da una parte all’altra per captare segnali della vita che le scorreva attorno. Dopo qualche passo, vide una strana figura accasciata a terra.
A prima vista, non riuscì a riconoscere nulla in quella forma. Quindi, aggrottando le sopracciglia, vi si accostò. Non appena fu giunta abbastanza vicina da distinguerne le sembianze, fece un balzo indietro.
Era un abitante della Città!
Non c’era ombra di dubbio. I vestiti che aveva indosso non lasciavano spazio a incertezze: da nessuna parte nella Foresta sarebbe stato possibile incontrare indumenti di quella foggia. L’individuo - ancora non aveva avuto modo di identificarne i tratti - portava una spiegazzata camicia a quadri rossi senza maniche, con una serie di piccoli bottoncini che potevano essere stati realizzati soltanto in una fabbrica (Sole rabbrividì ricordando quelle costruzioni gigantesche, terrificanti mostri di metallo che ingurgitavano tonnellate di materie prime per vomitarle sotto forma di catene interminabili di oggetti in serie, perfettamente identici gli uni agli altri) e dei pantaloni militari tutti strappati, sui quali le chiazze verdi del tessuto si confondevano con i residui di muschio.
Superato lo stupore iniziale, la giovane lo osservò con vivo interesse. Erano passati cinque anni ormai dall’ultima volta in cui aveva avuto l’occasione di vedere uno di loro… durante la sua prima ed unica visita alla Città… e la curiosità era alle stelle. Era un ragazzo… poco più che adolescente, a giudicare dall’accenno di barba che gli spuntava sul viso dai tratti ancora un po’ infantili. Se ne stava a terra raggomitolato in posizione fetale, con gli occhi chiusi e la bocca semiaperta. Doveva essere svenuto.
Lo sguardo avido di Sole indugiò a lungo sul suo volto, saziandosi con la vista di quella pelle olivastra - così inusuale fra la sua gente, in cui (data la scarsa esposizione al sole) predominavano i visi pallidi - e di quelle ciglia brune, notevolmente lunghe per un maschio. Dello stesso colore scuro delle ciglia e delle sopracciglia era anche la zazzera che gli ricadeva disordinatamente ai lati del capo, e così la peluria che gli cresceva lungo gli avambracci.
Ma ciò che più di tutto affascinava la ragazza era il modo in cui dal colore rosato della cute si poteva indovinare la presenza del sangue. Con un misto di eccitazione e timore, si figurò il getto di liquido vermiglio che scorreva con la forza di un fiume nelle sue vene, appena al di sotto del sottile strato di epidermide. Due fiori rossi sbocciavano sulle sue gote, e Sole non poté che contemplare attonita lo splendido disegno formato dalla ragnatela di capillari che si espandeva sulla loro superficie liscia.
Seguì avvinta il percorso di una vena sporgente sulla sua gola, percorrendone il profilo bluastro fino al punto in cui si diramava in corrispondenza del mento in una sorta di delta, i cui bracci sfumavano dolcemente nel rosa delle guance. Poteva vederla pulsare, come un piccolo cuore in miniatura. I suoi occhi s’incatenarono ad essa, rapiti da quel battito ritmico, dal regolare sollevarsi e abbassarsi di quel minuscolo frammento di carne. Com’era rapido quel movimento! Un guizzo che riassumeva in sé tutto l’impeto della vita dentro di lui, impegnata in una lotta instancabile per autoperpetuarsi.
Come in trance, Sole si sporse sulla figura emaciata del giovane e allungò un dito verso quel miracolo. Poi, di colpo - appena un istante prima che lo sfiorasse - il giovane aprì gli occhi.
Due iridi verdi come foglie di menta si spalancarono di colpo su di lei, lasciandola paralizzata. Nel vedere quelle sfere attonite dalla sorprendente intensità fisse su di sé… le pupille - strette come capocchie di spillo - contornate da quell’incredibile massa palpitante, attraversata da decine di striature di una ricchissima gamma di sfumature di quello stesso verde abbacinante… un’ondata di pensieri si riversò nella sua mente.
Non può essere…
Non poteva credere che fosse lui. Eppure, non c’era alcun dubbio. Non avrebbe dimenticato quegli occhi neanche se fossero passati dieci anni, e nel frattempo lui avesse cambiato faccia, indossato una barba finta e fosse cresciuto di due spanne.
Immagini di quel giorno infausto nei bagni pubblici della Città sfrecciarono fulminee davanti ai suoi occhi. Il vomito nel lavandino. Lo specchio che rifletteva l’immagine delle opprimenti pareti beige, rischiarate dalla luce soffusa - fastidiosamente artificiale - di due lampade a neon. E poi, all’improvviso… quegli occhi, su un viso più infantile ma con gli stessi lineamenti… spalancati con lo stesso muto stupore di allora. Si era voltata lentamente verso la sua condanna… e nel momento in cui i due si erano ritrovati faccia a faccia, uno strillo acuto era partito dalle labbra del bambino. Era corso fuori come un razzo, e poco dopo aveva avuto inizio la catena di eventi che aveva condotto Sole in una saletta spoglia degli Uffici per la Gestione degli Affari Esteri, dove aveva dovuto attendere per ore seduta su una poltrona rivestita di fredda pelle nera - con un omaccione dall’aria severa che la fissava senza mai battere le palpebre attraverso uno spesso strato di vetro trasparente - che la maestra accorresse con tutti gli altri allievi per spiegare la situazione ai responsabili della sicurezza… e poi che facessero chiamare i suoi genitori e cominciasse una lunga serie di procedure burocratiche per farla uscire da quell’inferno. Erano state ore interminabili. E per tutto il tempo, mentre aspettava col cuore in gola che la maestra, i suoi genitori, e infine persino un paio di Saggi venuti apposta per calmare le acque risolvessero la situazione (poteva sentirli discutere animatamente oltre la porta blindata in fondo alla stanza, in una lingua che non capiva), quell’uomo inquietante non aveva staccato gli occhi dai suoi neanche per un secondo. In tutto quel tempo, l’espressione sul suo volto non era cambiata di una virgola… tanto che a un certo punto Sole si era domandata se non fosse stato colpito da una paralisi facciale. Intimidita da quel duro cipiglio, non aveva potuto fare a meno di fissarlo di rimando, sentendo un rivolo di sudore freddo che le colava lungo il collo.
Rivedere il sole, dopo essere stata finalmente liberata, le era parso un sogno. Aveva inspirato a pieni polmoni quell’aria così pura dopo tanto tempo passato al chiuso. Ma il suo sollievo non era durato a lungo: non appena si erano allontanati a sufficienza dal perimetro della Città, il silenzio minaccioso con cui l’insegnante l’aveva accompagnata per tutto il percorso lungo i corridoi dell’Ufficio per gli Affari Esteri era esploso in una sequela di aspri rimbrotti. Quei rimproveri - e la lunga estenuante attesa - bastarono a imprimere in modo indelebile nella sua mente il ricordo di quell’esperienza. Una sufficiente esortazione a non ripeterla mai più.
I due si studiarono in silenzio per qualche istante, immobili come statue. Poi la tensione si ruppe.
Il ragazzo si alzò di scatto a sedere e indietreggiò verso l’albero alle sue spalle. Anche Sole si ritrasse d’istinto. L’altro bofonchiò qualche parola incomprensibile, poi sbiancò di colpo, e con una smorfia di dolore perse nuovamente i sensi.
Sole aggrottò la fronte. Studiò il corpo del giovane, e fu allora che si accorse della chiazza scura sulla sua camicia, all’altezza del fianco. Con cautela, si chinò su di lui e sollevò il tessuto strappato. Trattenne il respiro: un lungo taglio slabbrato, contornato da un alone rossastro e da una striscia giallognola di pus, si apriva sulla pelle immacolata del suo ventre fin quasi all’ombelico. Dai lembi della ferita fuoriusciva un denso liquido cremisi.
Ogni pensiero sul da farsi svanì dalla mente di Sole, sostituito da una nuova determinazione. Il ragazzo smise immediatamente di essere uno straniero ai suoi occhi e divenne soltanto un essere umano bisognoso d’aiuto: del resto, nelle sue vene scorreva pur sempre la linfa di una Guaritrice.
Con lucida freddezza, strappò un pezzo della camicia e la arrotolò più volte attorno alla vita del giovane per fermare l’emorragia. Poi cominciò a guardarsi intorno alla ricerca di qualcosa per disinfettare la ferita. I suoi occhi attenti individuarono subito una radice sporgente che sapeva avere proprietà curative: la lezione di quella mattina si era rivelata utile. Si alzò per andare a staccarla dal terreno, e slegato dalla cintura il coltellino, prese a tagliarla a pezzetti per farne uscire tutto il succo. Raccolse il liquido su di una foglia larga, dopodiché rovistò nella borsetta delle erbe medicinali che portava sempre a tracolla e ne trasse una garza di cotone. Quindi si accostò ancora una volta al ragazzo. Slegò attentamente il bendaggio di fortuna e fece sgocciolare parte del succo sulle estremità del taglio. Lo spalmò con movimenti rapidi e decisi lungo tutta la superficie della ferita, cercando di fare più in fretta possibile per limitare la perdita di sangue. Poi, tenendo la stoffa premuta su di essa per bloccare il deflusso, versò il succo restante sulla garza, e quando essa ne fu totalmente imbevuta tirò fuori dalla borsa una boccetta di impiastro verdognolo che applicò sul tessuto umido. Infine, mise da parte la camicia stracciata e poggiò i bordi della garza sulla ferita. La resina appiccicosa di cui erano impregnati aderì subito alla pelle, e la spessa fasciatura arrestò definitivamente l’emorragia.
Terminata l’operazione, Sole si allontanò leggermente per contemplare il risultato con occhio critico. Dopo un’attenta analisi, decise che poteva andare. Quindi - con la vita il giovane fuori pericolo - poté finalmente fermarsi a riflettere sulla sua situazione.
Chi era quel ragazzo, e che cosa ci faceva lì? E soprattutto… quale sarebbe stata la sua prossima mossa? Se lo avesse denunciato alle autorità della Foresta, si sarebbe scatenato senz’altro il putiferio. E chissà che cosa ne sarebbe stato di lui. D’altro canto, se l’avessero scoperta a nascondere un Grigio penetrato abusivamente nel territorio del Popolo della Foresta sarebbero stati guai seri.
Incerta sul da farsi, scrutò ancora il volto del giovane. I suoi lineamenti, distesi nella quiete dell’incoscienza, emanavano un’innocenza e una purezza commoventi. Aveva un’aria così indifesa… lì disteso sul prato, completamente alla sua mercé. Dipendeva dalle sue cure come un bambino. Se lo avesse lasciato dov’era, sarebbe senz’altro morto.
Sentì il cuore sciogliersi davanti a quella vista. Come poteva abbandonarlo al suo destino in quelle condizioni? Da quel pensiero capì di aver già inconsciamente preso una decisione. Stabilì quindi che, prima di adottare qualunque misura aggiuntiva, avrebbe aspettato che si rimettesse in sesto.
Forte di quella nuova risoluzione, il suo cervello cominciò subito a lavorare frenetico per elaborare un piano di marcia.
Dunque, per prima cosa occorreva trovare un luogo sicuro in cui nasconderlo… e doveva fare in fretta, perché qualcuno avrebbe potuto arrivare da un momento all’altro. La sua mente corse subito al Covo - una grotta infrattata che aveva scoperto anni addietro durante una delle sue passeggiate solitarie e che da allora aveva eletto suo rifugio segreto. Non appena il pensiero le balenò in testa, sentì che era la cosa giusta da fare.
Quando fece per caricarsi il ragazzo in spalla, però, dovette constatare che prima di fare qualsiasi cosa bisognava ripulire la zona dalle tracce del suo passaggio: tutta l’area circostante era imbrattata di sangue. Guardando le mani con cui aveva medicato la ferita, vide che uno strato di quello stesso liquido vermiglio ricopriva anche le sue palme. Per qualche secondo rimase stregata da quella vista. Il sangue avvolgeva le sue mani interamente, formando come dei guanti rossi, e quel colore cupo pareva risucchiare il suo sguardo come un vortice mozzafiato. Si ritrovò a fissarlo con tale intensità che sentì la vista offuscarsi e il battito cardiaco accelerare. Ma dopo poco si costrinse a riprendersi: doveva sbrigarsi.
Ripulì rapidamente il prato e i cespugli, seppellendo tutto il materiale insudiciato, poi sollevò il giovane come un sacco di patate e lo prese in braccio. Questi ovviamente non oppose resistenza. Era abbastanza pesante, ma non in modo intollerabile.
Lanciò un’ultima occhiata allo spiazzo erboso dietro di sé per controllare che fosse tutto a posto. Poi scattò verso gli alberi col suo carico inerte. Dopo pochi secondi, sparì nella macchia. 
  
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