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Autore: Elizabeth_Tempest    24/08/2013    1 recensioni
Passeggiare nel bosco la faceva sentire bene. L’aria, lì, assumeva un odore particolare, profumava di resina, fogliame marcescente –che emetteva un effluvio dolciastro-, terra umida, legno verde.
Le foglie secche e i legnetti scricchiolavano sotto le suole spesse degli scarponi, mentre quelle umide emettevano un lieve fruscio e la terra nera attutiva il tutto, mentre ovunque era un tripudio di marrone, arancione scuro, rosso mattone. E di verde: le felci elastiche, i germogli che spuntavano dal tappeto morto steso sul terreno, il muschio che ricopriva tronchi e rocce.
Genere: Generale, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Passeggiare nel bosco la faceva sentire bene. L’aria, lì, assumeva un odore particolare, profumava di resina, fogliame marcescente –che emetteva un effluvio dolciastro-, terra umida, legno verde.

Le foglie secche e i legnetti scricchiolavano sotto le suole spesse degli scarponi, mentre quelle umide emettevano un lieve fruscio e la terra nera attutiva il tutto, mentre ovunque era un tripudio di marrone, arancione scuro, rosso mattone. E di verde: le felci elastiche, i germogli che spuntavano dal tappeto morto steso sul terreno, il muschio che ricopriva tronchi e rocce.

Adorava il verde, era un colore vivo e le dava un senso di quiete. Di tranquillità. Ecco perché amava il verde.

Si piegò in avanti e liberò Buttercup dal guinzaglio: il golden retriever, con la lingua di fuori e concentrato su qualcosa nascosto tra le felci –che avesse puntato un riccio o qualche altro abitante della foresta?-, partì a razzo, abbaiando e subito dopo un povero scoiattolo uscì dal suo nascondiglio, scappando via svelto svelto, per evitare le fauci del cane che di certo non avrebbero avuto pietà del suo corpicino.

Buttercup sparì in una chiazza color crema tra gli alberi e lei riprese a camminare, ridacchiando.

Poi si zittì, tendendo l’orecchio. La foresta taceva e parlava assieme, aveva mille storie da raccontare. Pareva desolata ed invece brulicava di vita.

Ecco, la foresta e la sua calma verde e odorosa e camminare, che pazzesca accoppiata! Erano cose che la facevano star bene, che l’aiutavano a riflettere chiaramente.

E quel giorno ne aveva bisogno, parecchio bisogno: si sentiva confusa e frustrata per non riuscire a trovare una soluzione al tarlo che le rodeva la mente. Non sapeva più dove sbattere la testa… non sapeva più cosa fare.

Avrebbe dovuto continuare per la sua strada o ascoltare suo fratello? Lui ne sapeva indubbiamente di più… ma perché doveva proibirle a quel modo di esprimersi come desiderava? Solo perché era il maggiore? Solo perché era più esperto? E con ciò?

Eppure non riusciva a togliersi dalla testa l’idea di essere in errore… di aver sbagliato qualcosa. Forse Lucas aveva ragione su tutto e quel pensiero la tormentava e la frustava fino a farle crescere nel petto un mostro rabbioso.

Tirò un calcio furibondo ad un tronco abbattuto da un fulmine e corse fino al vecchio rifugio abbandonato. Spalancò la porta senza l’usuale fatica dovuta al legno marcio e ai cardini mangiati dalla ruggine. Solo un fievole raggio di sole illuminava l’ambiente.

Entrò e si richiuse la porta alle spalle, poi accese la torcia ed individuò la botola: l’aprì e si calò di sotto, percorse il corto tunnel ingombro di vecchiume ormai sfasciato dal tempo e dall’umidità e si trovò davanti all’altarino che suo nonno aveva costruito, esattamente tre metri prima della porta di ferro arrugginito della sua stanza dei giochi.

La statua della Nera Dama ghignava, inquietante come sempre e l’ombra della sua falce si allungava sulla ragazza, che, presa la scatolina di fiammiferi abbandonata sul ripiano di legno nero, ne accese uno.

Accese una candela rossa come il sangue e osservò a lungo la fiamma. Poi prese il coltelo dalla lama nera ed entrò nella stanza, rivolgendo un sorriso amorevole all’uomo che l’aspettava semi sdraiato sul materasso rosso e nero.

-Sono tornata, amore mio. E adesso giocheremo.- cinguettò amorevole. Suo fratello sbagliava. Lei aveva assolutamente ragione, lei sapeva esprimere il suo amore e il suo talento. E il suo principe azzurro lo sapeva, l’attendeva sempre su quel letto cremisi.

L’uomo sgranò gli occhi ed urlò, cercando di liberare le braccia incatenate e doloranti, coperte da sangue secco e pus, ma la sua disperazione veniva attutita dal morso di cuoio, che ormai sembrava essersi fuso con la sua bocca.

La ragazza si fece vicina, il viso pallido e stravolto dal perverso piacere che la sua vittima aveva imparato a riconoscere e che preannunciava l’orgasmo di lei e l’atroce sofferenza di lui, le labbra rosse schiuse in una smorfia che gli risultava disgustosa. La vide spogliarsi, il corpo bianco solcato da cicatrici profonde che creavano veri e propri disegni intricati, come se avessero usato la sua pelle come una tela.

Posò gli occhi sulle alte pile di ossa nelle nicchie del muro e pregò, mentre il coltello si alzava su di lui.

 

***

 

Note dell’autrice

La storia nasce da una domanda su Ask che mi chiedeva di scrivere un racconto “basandoti su alcuni elementi: -Qualcosa di verde -Un'animale a tua scelta -Crisi, di qualsiasi genere, piccola e appena accennata, oppure il cuore del brano, come vuoi -Una falce -Un particolare dissonante e fuori contesto”.

Alla fine ho creato un personaggio decisamente squilibrato e sì, il poveretto farà una brutta fine.

Sinceramente non sono molto convita di come abbia utilizzato gli elementi e non sono nemmeno certa che il risultato ottenuto sia ciò che desideravo, ma spero che la storia vi piaccia e spero che mi esprimerete la vostra opinione, ve ne sarei immensamente grata, dato che l’horror è un genere abbastanza nuovo, per me.

Beth

   
 
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