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Autore: Albornoz    25/08/2013    3 recensioni
Cacciare... In un mondo in cui la caccia è vita un ragazzo, dapprima inesperto, diventerà l'ago della bilancia tra armonia e distruzione, cacciatore e preda, uomo e mostro.
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate
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White Hunter
 
 
Prologo
Rugiada e sangue
 
Rugiada. Rugiada che brilla. Sulle foglie, sui tronchi, sulla punta della freccia. Una goccia, perfetta, che scivola sul piccolo triangolo d'acciaio, ignara di ciò che sta per accadere.
L'aria fredda e frizzante del mattino fece tremare l'arciere che, nonostante l'armatura di scaglie e pellicce, si muoveva silenzioso nel sottobosco. Un fremito, non solo di freddo, ma dovuto al brivido della caccia, adrenalina pura che distorceva e colorava il mondo circostante.
D'un tratto la figura si fermò: la preda era vicina. Pochi passi la separavano da una radura in cui un gruppo di grandi cinghiali stava brucando in cerca dei succulenti funghi blu di cui, si sapeva, erano ghiotti. Uno in particolare attirava l'attenzione. Grosso, dalle zanne imponenti e dal pelo striato di bianco, esso svettava sugli altri. Compreso il bestione erano in cinque.
"Cinque frecce" annotò mentalmente l'arciere sistemando meglio la faretra sul fianco e rinsaldando la presa sull'arco. Inspirò, espirò e, quando per la seconda volta l'aria riempì i suoi polmoni, tese la corda e scoccò. Il dardo prese il volo ma il cacciatore non era più lì. Protetto dalle selve correva lungo l'argine della radura scoccando la seconda e la terza freccia. Il primo dardo centrò il cranio del primo cinghiale mentre la figura stava incoccando la quarta freccia, spietato penetrò la pelliccia e la carne, scavò nell'osso e lacerò i tessuti cerebrali, uccidendo all'istante la bestia. Stessa cosa fu per gli altri tre, che stramazzarono a terra lasciando il capobranco da solo.
Il cacciatore si fermò e uscì allo scoperto. Continuare sarebbe stato inutile, la bestia l'aveva già visto e se l'avesse caricato tra le selve non avrebbe avuto scampo. Incoccò la quinta freccia e con le dita ne accarezzò il piumaggio, gli occhi fissi sulla preda.
Il capobranco, o meglio Bulldrome, squadrò a sua volta il cacciatore. Gli sguardi si incontrarono e il cacciatore si dovette correggere. Non una preda, ma un avversario. Lo sguardo del Bulldrome passò sui cadaveri dei compagni e tornò sull'uomo, carico di rabbia. Un forte grugnito, tanto simile ad un grido disperato, scosse la bestia che caricò. Il cacciatore, rimasto per un momento interdetto, si riscosse e caricò a sua volta. Una volta abbastanza vicino saltò, un salto fluido, portandosi alle spalle dell'avversario. Il Bulldrome frenò la corsa, le zampe che scavavano profondi solchi ancorando il terreno. Infuriato si voltò, trovandosi faccia a faccia con la freccia, e tutto divenne nero.
Il cacciatore rimase immobile, la mano pronta sulla faretra, per un momento che sembrò un secolo mentre il gigante cadeva e esalava l'ultimo respiro, la freccia che svettava in mezzo agli occhi. La figura si rilassò, piegò l'arco, lo agganciò dietro la schiena e si tolse la maschera e il cappuccio. Il sole illuminò un paio di occhi nocciola appena nascosti da una lunga chioma fulva. Nonostante la barba curata che gli ornava il viso il cacciatore non era vecchio. Muscoli tonici e scattanti guizzavano sotto l'armatura di pelle e piastre mentre la figura si chinava sulle carcasse per scoiarle e recuperare la carne. Il lavoro durò molto, le bestie avevano la pellaccia dura e, per scrupolo, il ragazzo le frugò fin dentro le interiora sperando di cavarne qualche fungo inghiottito intero.
Per ultimo venne il Bulldrome. Il cacciatore si avvicinò e lo fissò per un istante, nella sua mente scorrevano ancora le immagini del breve scontro. Chinò leggermente il capo in segno di rispetto e affondò il coltello nella morbida pelliccia. Quando finì, sia lui che il terreno circostante erano impregnati di sangue. Il ragazzo alzò lo sguardo al cielo che si intravedeva tra il fitto fogliame e, sospirando, si perse nel celeste. Dalla posizione del sole constatò che avrebbe fatto meglio a sbrigarsi se voleva tornare in tempo, sennò lei avrebbe fatto la pelle a lui, altro che Bulldrome. Sfilò dalla sacca appesa alla cintura un segnalatore e lo accese. Il razzo fischiò, volò ed esplose indicando la posizione.
Il ritorno fu veloce, il carro trainato dai paffuti uccelli Gagua e guidato dal felyne macinava molto terreno ed in poco fu possibile intravedere il villaggio. Addossato alla montagna e circondato da mura sorgeva un disordinato agglomerato di case in stile orientale al cui centro svettava la Gilda, appena ammantata dai vapori delle terme.
-Un bagno sarebbe l'ideale.- mormorò tra sé e sé. Ma il sole era contro di lui e, ammiccando dal centro del cielo, gli rammentava il suo ritardo. Consegnati i frutti della caccia, firmate le scartoffie e ricevuto il compenso della missione al ragazzo non rimase che correre verso casa, schivando mercanti, passanti ed altri cacciatori in un buffo tintinnio di armatura.
La casa si trovava poco lontana dal centro, l'aveva fatta costruire lì per la tranquillità. L'edificio di due piani era circondato da un piccolo giardino ben tenuto e pieno di fiori. Il cacciatore si fermò sulla soglia, sospirò rivolto al cielo ed entrò. La prima stanza era una modesta ma calda sala da pranzo, una grande pelle blu di Aoshira copriva il pavimento su cui vi era una solida tavola con sedie, in un angolo stava il camino su cui erano allineati diversi oggetti e trofei di caccia.
Un gradevole odore di carne speziata lo attirò nella stanza adiacente, la cucina, ma non fece in tempo a mettere piede nel locale che un oggetto arancione, con tutta probabilità una carota, gli schizzò contro mancandogli la testa di un soffio.
-Ti pare questa l'ora di tornare!?-
"Ahi..... come volevasi dimostrare." si disse mentalmente il ragazzo alzando gli occhi al soffitto per poi portare l'attenzione sulla figura che, tra spiedi e banchi di legno, avanzava verso di lui.
Era una ragazza dai capelli rossi, raccolti sulla testa in uno scomposto chignon che lasciava delle ciocche ribelli ad incorniciarle il viso tondo e i furibondi occhi verdi. Alta e slanciata, avvolta in un kimono verde, ella si fermò davanti a lui soppesando un mestolo ancora sporco di sugo.
-Allora? Che hai da dire a tua discolpa? Ti sei fermato a giocare a carte con quel Bulldrome?!- tornò alla carica lei.
-Per la precisione, Kira, erano quattro Bullfango e un Bulldrome.....- provò a dire lui.
-E hai invitato anche loro?- fece Kira punzecchiandolo, poi lo scrutò dalla testa ai piedi, e quando il suo sguardo si posò sulle macchie di sangue rappreso sulla corazza i suoi occhi si oscurarono.
-A parte scherzi, Evan, che è successo? Sei coperto di sangue.-
Gli occhi di Evan incontrarono quelli di lei e si addolcirono. -Non preoccuparti, non è mio.-
Kira, evidentemente rilassata, si voltò e tornò allo stufato. -Levati l'armatura e vai a tavola. E' quasi pronto.-
Il pranzo passò velocemente con Evan che raccontava i dettagli della caccia e Kira che ascoltava tra un boccone e l'altro. Finito di mangiare lui passò il pomeriggio a pulire e oliare l'armatura e rifornirsi di frecce, mentre lei si occupava della cucina e usciva per fare delle commissioni.
Dopo cena Evan si immerse nella sorgente termale dietro casa. Fece un paio di bracciate e poi si lasciò coccolare dal calore con le spalle e le braccia appoggiate al bordo della vasca. Totalmente rilassato, chiuse gli occhi e sospirò di gusto, lasciandosi accarezzare dai raggi della Luna.
Dei passi, leggeri. Un paio di piccole mani delicate si posarono sulle sue spalle, si spostarono sul collo e sul mento, infine scesero sul petto. Un bacio, come una farfalla posatasi sulle labbra di lui. Poi silenzio, interrotto soltanto dal suono di vesti che cadono sul pavimento e dell'acqua che si apre al passaggio di un corpo. Solo quando l'odore di fiori sfiorò le sue narici Evan aprì gli occhi e il nocciola si perse nel verde. Baci, carezze, sussurri seguirono ma venivano tutti risucchiati della foresta che riempiva lo sguardo di Kira.
D'un tratto lui la sentì tremare. Nonostante le terme cominciava a fare freddo. La prese in braccio, delicatamente, come fosse fatta di pregiata porcellana, e, una volta coperta con il kimono, la portò fino alla camera al piano di sopra. Come il resto della casa, la stanza era semplice, una parete coperta da un arazzo raffigurante un cacciatore e una viverna, alcune pelli si alternavano al legno del pavimento, un baule, un armadio e un letto matrimoniale. Lì, tra pellicce e coperte, i due ricominciarono il gioco interrottosi nella vasca. Lei, stesa sotto di lui, copriva le proprie nudità arrossendo come una ragazzina. Lui si prese del tempo per ammirarla: lo sguardo che carezzava le labbra ben disegnate, la linea del collo e dei seni coperti dalle braccia toniche, il ventre piatto, il sesso sereno e le gambe muscolose. Poi tornò a concentrarsi sugli occhi, gli stessi intravisti dietro la celata di un elmo, che lo avevano colpito durante la prima battuta di caccia, quando la vide danzare brandendo due lame gemelle contro uno Yan Kut Ku. Bella, leggiadra e selvaggia allo stesso tempo.
Un sussurro lo riportò al presente. Kira doveva aver intuito i suoi pensieri perché sul suo viso era spuntato un candido sorriso. Evan sorrise di rimando e le sue mani si spostarono su quel corpo mozzafiato, prima delicate, poi sempre più esigenti mentre prendeva possesso delle sue labbra con le proprie. In poco tempo l'aria in torno ai due mutò, si fece più calda e umida, l'odore di fiori si mischiò a quello di muschio e sangue. Lei gemette forte quando lui la penetrò e il tempo parve dilatarsi. Ogni gesto, ogni bacio, ogni lamento venne distorto e amplificato finché entrambi non raggiunsero l'apice del piacere.
Lui si scansò, rotolando sulla schiena di fianco a lei, ubriaco di quella dolce ragazza che giaceva con la testa appoggiata sul suo petto mentre copriva entrambi con il lenzuolo. Stava per sprofondare nel sonno quando la sentì agitarsi. La strinse a se.
-Quale pensiero frulla sotto questa chioma rossa?-
Un altro sussulto, silenzio. Evan, ormai abituato a quelle pause, attese seguendo le linee sulle travi del soffitto con lo sguardo.
-Evan....- cominciò lei adagio. -sei ancora sicuro della tua decisione?-
Un sospiro, di nuovo silenzio.
-Sai benissimo che non dovresti cacciare da solo.- continuò con foga Kira alzando lo sguardo e ancorando le iridi su quelle del compagno.
-Kira, ne abbiamo già discusso e nelle tue condizioni non mi pare il caso di....-
-Sono incinta di due mesi mica paralitica!- si sollevò lei posando le mani sulle spalle di lui. -Inoltre la vecchia Necot dice che fino al terzo mese non corro particolari rischi.-
-Non mi interessa quello che dice quella vecchia rintronata.- si infiammò lui. -Qui si parla del nostro bambino e non sono disposto a correre rischi, seppur blandi.-
-Allo stesso tempo sei disposto rischiare la tua vita andando a caccia da solo.- ringhiò lei. -E' una delle regole base, ce lo dicevano anche i Maestri: "I cacciatori esperti nelle armi a distanza devono essere supportati da altri con armi bianche...."-
-Ma ciò non significa che quel cacciatore debba essere tu.- la azzittì lui.
Per un attimo si fissarono come due belve rivali, poi lui le diede un buffetto sulla fronte, smorzando la tensione, e lei si lasciò cadere nuovamente sul petto dell'amato.
Per un po' tacquero, entrambi persi nei propri pensieri, poi Kira parlò:
-Io so com'è crescere senza un genitore.... non potrei sopportare che il nostro piccolo debba provare lo stesso.-
-Avrebbe comunque una madre meravigliosa.- provò a dire Evan stringendola più forte a se. Che sciocco era stato..... La ragazza non aveva mai conosciuto la madre, anch'essa cacciatrice, morta durante una battuta di caccia quando lei aveva appena un anno.
-Non è vero, io non sarei la stessa senza di te..... Io voglio, anzi pretendo che nostro figlio possa godersi entrambi i genitori.- ribatté lei soffocando le parole nel petto di lui.
Evan chiuse gli occhi. Ciò che si apprestava a dire comportava un grande sacrificio, avrebbe cambiato il suo stile di vita e la sua libertà, ma per sua moglie e il suo bambino (o bambina, chi poteva dirlo?) era disposto a ben altro:
-Allora abbandonerò la caccia.-
La ragazza alzò nuovamente lo sguardo, stupefatta.
-Mi darò all'insegnamento.- proseguì lui. -I Maestri mi avevano già avanzato la proposta di istruire i nuovi cacciatori, data la mancanza di istruttori esperti nella caccia con l'arco, ma l'avevo declinata. Dovrei ancora uscire per delle sporadiche battute, ma raramente e in gruppo, ma per il resto starei vicino a voi e potrei comunque continuare a contribuire alle spese.-
-Parli sul serio?- la voce di lei tremò leggermente.
Lui sorrise. Sì, lo avrebbe fatto. Per loro.
Lei lo baciò con foga, una piccola lacrima le rigava il volto. Sorrise di rimando ed entrambi, abbracciati, si lasciarono sprofondare nel sonno.
 
  
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