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Autore: haev    29/08/2013    10 recensioni
Appoggiò il braccio sul tavolo e m’indicò un segno più bianco rispetto alla sua carnagione candida, si trovava all’altezza del gomito e non era tatuato, anzi sembrava che i fiori dipinti sulla sua pelle, gli facessero da cornice.
Indicò con un dito quella riga bianca e sussurrò: «L’ho fatto perché abbiamo stretto un patto. – E mi fissò negli occhi, – O non ricordi chi ero undici anni fa?»
[...]
«Perché?» domandò.
«Sono strano, e diverso.»
«Non è una spiegazione sensata, Louis. – Rispose,– Ognuno è diverso a modo proprio.»
«Per lui è un motivo molto accattivante, me ne sto sempre per conto mio.» sputai fuori.
«Non hai amici?» chiese con un leggero tremito della voce.
Scossi il capo: «No.»
[...]
«Mi serve.» biascicò Seline.
«Da quanto non lo fai?» domandò il ragazzo scrutandola, i suoi occhi azzurri brillarono in controluce con il fuoco.
«Due mesi e cinque giorni.» ringhiò dopo aver fatto un breve calcolo.
«I soldi?» chiese prudente.
«Coglione, mi tasti il culo e non li trovi?» sorrise la ragazza.
Mentre la mano del riccio si riempiva di cento dollari, quella di Seline si riempiva con una bustina.
Genere: Mistero, Suspence, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Louis Tomlinson
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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‘And I walked this line,
a million and one fucking times,
but not this time
I don't feel any shame,
I won’t apologize.’

-Jesus of Suburbia; Green Day
 


 

 

4
 

Entrai in classe con una sensazione di vuoto sulle spalle, non appena io e Seline avevamo lasciato il bar pochi minuti prima, lei si era come volatilizzata sulla strada opposta alla mia, costringendomi ad andare verso la scuola da solo, nel primo freddo d'ottobre.
Il tempo in quel periodo sembrava bipolare, alcuni giorni faceva un caldo torrido, altri era così freddo da avvolgerti in strati e strati di vestiti. Forse quei cambiamenti derivavano dal fatto che gli dei, su nel cielo, litigassero per scegliere il tempo che avrebbe dovuto fare.
A mio discapito, non vedevo l'ora che arrivasse l'autunno, era la mia stagione preferita e il rumore della pioggia che picchiettava sui vetri era una melodia così sublime che mi spingeva a creare nuovi spartiti per il mio pianoforte. Per non parlare dei numerosi colori che adottavano le foglie degli alberi, eccezione i biancospini che rimanevano perennemente verdi, gli altri alberi creavano un gioco così ricco di colori da lasciarti senza fiato e immergerti in quelle sfumature calde.
Sorrisi stringendomi nella felpa ch'avevo preso prima d'uscire di casa, vedendo il cielo cupo.
Mi sedetti al solito posto, infondo all'aula, vicino a Kathrine, la mia inseparabile vicina di banco negli ultimi due anni.
Presi a fissare la lavagna color nero, ben presto essa prese la forma di un paio d'occhioni scuri e una chioma verde, poi scomparve quando il professore scarabocchiò una formula matematica.
Scossi la testa. Che andavo pensando? Seline era ritornata, secondo lei perché io lo volevo.
Certo, negli ultimi undici anni non c'era stato giorno in cui non avessi rimpianto la sua scomparsa, ma fondamentalmente non avevo mai desiderato il suo ritorno, pauroso che potesse riaccadere.
E ora mi trovavo davanti a me una Seline che non vedevo da anni, con un solo taglietto a ricordarci ciò che eravamo un tempo.
L'idea di riniziare l'amicizia con lei mi esaltava e incupiva al tempo stesso.
Le motivazioni erano palesi.
Alla fine tutti se ne vanno, e tu marcisci con seicento rimpianti, ognuno dei quali non puoi realmente colmare e t'aggrappi alla stanchezza di vivere e all'istinto di sopravvivenza.
Cose che facevo ormai da tempo, e la mia routine stava diventando noiosa.
Che, dovessi provare a vivere?
Sarebbe arrivata sofferenza e delusione, e altri soffocamenti non riusciti con il mio cuscino.
Ero sbagliato, o diverso, sino al midollo.
Il filo dei miei pensieri venne tagliato dalla porta dell'aula che s'apriva.
La classe cadde in un silenzio curioso; il professore rimase con il gessetto in aria, sorpreso che non vi fosse alcun brusio proveniente dai suoi alunni e ignaro che la porta si fosse aperta; in cuor mio, immaginai una ragazza bassina, con i capelli verde acqua e svariati tatuaggi a coprirle le braccia a varcare la soglia.
Entrò un uomo tarchiato, i capelli luridi legati in un codino basso e piccolo, mani grandi in contrapposizione al suo corpo basso e alla leggera pancetta che si intravedeva sotto la divisa da bidello, un misero camice color arancione smorto.
«Salve, professore. – Elargì facendo due passi ampi alla cattedra, non rivolse nemmeno un cenno alla classe, – I ragazzi avranno l'ora buca la prossima ora, purtroppo non potranno lasciare l'istituto visto che richiediamo un comunicato dalla famiglia, seppur maggiorenni. – Lanciò un'occhiata d'avvertimento a noi, – Firmi questo, per favore.» chiese gentile all'insegnante.
Mi rasserenai, diritto era una delle materie che odiavo, e la professoressa non era da meno.
Vecchia e severa come non mai, un paio di giorni di riposo non avrebbero di certo placato il suo modo d'insegnare, ma avrebbero donato un po' di santa pace a noi studenti.
M'immersi nei miei pensieri non appena il bidello ebbe lasciato l'aula, e il professore rincominciò a scarabocchiare formule alla lavagna.
I miei occhi ghiaccio erano rivolti a quest’ultima, la mia mente a una chioma verde, mossa.
Riemersi dal mio oblio dopo una mezz’oretta, quando il professore lanciò il gessetto nell’apposito contenitore insieme al cancellino e guardò la classe.
«Allora, ragazzi. – Esordì guardandoci amorevolmente, – Per la prossima volta mi terminate gli esercizi riguardo questo capitolo e imparate le nuove formule.» scrisse qualcosa sul registro e iniziò a mettere via i suoi libri.
«Prof? – Chiamò Marika dalla seconda fila, il professore fece un cenno con la mano per lasciarla parlare, – Interrogherà?»
«No, finirò di spiegare il capitolo.»
La classe tirò un sospiro di sollievo, le interrogazioni di matematica erano delle peggiori. Se il professore sembrava volerci bene durante le ore di spiegazione, ci stramazzava al suolo nel momento dell’interrogazione, dove dovevi sudare sette camicie per assicurarti la sufficienza.
«Ragazzi. – Ci richiamò, – Penso che se non fate molto casino, potete andare in giro per la scuola, senza fare casino.» lasciò un’occhiata loquace al tavolo infondo, dove v’era seduto James.
La campanella trillò e metà della classe sciamò fuori, l’altra metà si mise a fare i compiti di matematica e io rimasi lì per dieci minuti, a fissare il banco vuoto di Kathrine scervellandomi.
Alla fine, m’alzai di colpo e volai fuori, feci il giro largo per arrivare sin dove volevo, entrai pure dal dietro per non farmi vedere da nessuno.
Camminai piano vedendo vari abiti da principessa, armature di guerrieri accompagnate da spade, alberi fatti con carta pesta, teloni di colori antichi ammucchiati a caso in un angolo e un grande tendone rosso fuoco a coprire il dietro delle quinte.
Non c’andavo molto spesso nel teatro della scuola, recitare non era il mio forte, ma quello possedeva un piano con tasti morbidi e un pedale perfetto per il mio piede, quindi la tentazione di posarvi le dita era estremamente alta e in più non avevo molto da fare.
Cacciai la testa fuori e mi ritrovai la cavea vuota, sospirai e m’avvicinai al piano. Il teatro era in penombra, vi era una sola luce a illuminare tutta la sala che proveniva da una porta in fondo, quindi sarei stato al buio. Non me ne preoccupai, conoscevo a memoria i tasti e lo spartito.
Tossicchiai e depositai le dita della mano destra su un Fa minore, mentre quella sinistra iniziava a suonare le note alte.
Serrai gli occhi, riportandomi alla mente lo spartito.
Era una rivisitazione di Rolling In The Deep, canzone che trovavo al dir poco fantastica, ma mi piaceva rivederla a modo mio. Il piede batteva a ritmo della batteria che si poteva sentire nel video e le mani scorrevano sulla tastiera veloci, esperte e serie, tranquille.
Muovevo le labbra cantando piano la canzone e sorridendo.
Il mondo intorno a me era letteralmente scomparso.
C’eravamo solo io, il pianoforte e la musica.
«Ma che bravo, il nostro checca Louis.»
Poggiai il mignolo su un Do, il quale doveva essere un Mi bemolle, facendo crollare tutta la canzone, come se fosse la ciliegina sulla torta.
Per una piccola cosa, la mia rivisitazione di Adele era andata a fottersi.
Non feci nemmeno in tempo a imprecare che il cervello si ricollegò al mondo esterno e il cuore mi saltò alla gola.
James.
M’alzai dallo sgabello e feci per andarmene, ormai doveva essere terminata l’ultima ora.
«Dove vai? – Sogghignò avvicinandosi al palco, – Non vuoi più suonare con il tuo fidanzatino?» disse riferendosi al piano.
Abbassai il capo, la storia del darmi del gay era iniziato alla fine dell’anno scorso, quando un crampo al polpaccio m’aveva fatto cadere pesantemente sul campo d’erba mentre giocavamo a calcio, lì, Morrison, un tipo alto due metri con due spalle altrettanto grosse, m’aveva dato scherzosamente della checca e poi m’aveva aiutato ad alzarmi.
Quell’episodio però, aveva fatto accendere il pallino rosso a James, che aveva iniziato a darmi del gay.
«Ho sempre saputo che eri gay. – Iniziò a blaterare, – Ma questa ne è la conferma, solo le femminucce suonano il piano.» e si mise a ridere con la sua aspra risata.
Avrei voluto ribadire che i più grandi musicisti dei secoli precedenti erano uomini, e nemmeno gay. Che poi, onestamente, non ci trovavo nulla di male nell’essere gay, ognuno a letto fa ciò che vuole, con chi vuole. Avrei voluto dirgli che Mozart aveva iniziato a suonare a soli dodici anni, ed era stato un prodigio musicale, oppure che Beethoven era sordo, ma riusciva a comporre musica straordinaria, per non parlare di Bach, Debussy, Rubinstein e molti altri.
Tutti maschi, ma la testa di James era solo un pallone vuoto e non era il caso di riempirla con aria superflua.
Lo fissai inespressivo e girai sui tacchi, deciso ad andarmene a casa.
Il mio polso venne afferrato da una presa ferrea, mi voltai bruscamente e sbattei la testa sul petto di Jackson, fedele compagno di James, sul suo volto vi era un ghigno terrificante.
«Non t’hanno insegnato che è maleducazione voltare le spalle a chi ti sta parlando, Tomlinson?»
M’irrigidii e mi maledissi per la stronzata ch’avevo appena fatto, subito mi resi conto dei piani di James. Abbassai il capo riluttante e attesi.
Il colpo fu fulmineo, così come venne il dolore.
Partì dalla testa e m’arrivò sino alle dita dei piedi, il fiato mi mancò per un millesimo di secondo, alzai il capo sentendo la guancia pulsare.
Il biondo caricò, mi piegai su me stesso, quando il ginocchio colpì il mio torace.
L’aria mancava anche se il teatro era vuoto.
«Ah, già. – Sorrise mentre Jackson mi teneva le braccia sulla schiena, – Tuo padre è scomparso, e mh, tua madre s’è trasformata in una sorta di puttanella.»
Stronzo.
Gemetti quando il colpo cadde per la seconda volta alla tempia, una nuova scarica di dolore mi prese tutto il corpo. Era da un po’ che James non mi picchiava così voracemente.
«Tra l’altro, la tua ricerca era perfetta.» e tirò un ultimo pugno alla mia faccia, poi se ne andò.
E io rimasi lì come una merda, come al solito, steso sul pavimento.
Un paio di lacrime mi rigarono il volto, rabbiose.
 
«’Fanculo.» ringhiai lanciando lo zaino sul pianoforte al muro di camera mia.
Stronzo di merda.
Non era la prima volta che James rimarcava sulla mia situazione famigliare, mia madre era un’amica stretta della zia del biondo, e più d’una volta si erano incontrare anche con la madre.
Mia madre era una che parlava molto, soprattutto della sua vita.
Così James era venuto a sapere di mio padre, e del mio patrigno.
Mi tastai la testa, una fitta di dolore mi partì da tutte le parti. Mi strinsi le labbra a sangue per evitare di gemere dal dolore.
Un po’ di dignità, Louis.
Il cuscino mi chiamava inesorabilmente sul letto, ma pure il dolore al capo necessitava di placarsi.
«Che cazzo hai fatto alla faccia?»
M’irrigidii di colpo, possibile che era da tutte le parti quando la situazione non era delle migliori?
«Vai via, Seline. Non è il momento giusto.» e senza fissarla in volto, me ne uscii da camera mia.
Sentii piccoli passi seguirmi verso il bagno, iniziai a innervosirmi. Non volevo che mi guardasse in quel modo, lei non lo sapeva quello che mi facevano a scuola e non doveva nemmeno saperlo.
«Capisci il senso delle parole ‘vai via’?» domandai entrando in bagno e aprendo il lavandino.
«Bell’accoglienza, Louis.» rispose senza il minimo segno d’offesa.
Alzai un sopraciglio, quella ragazza era proprio strana. S’intrufolava sempre quando volevo rimanere solo con me stesso, era come se avesse appiccicato un radar che attirasse quei momenti.
«Vattene.» farfugliai riempiendo con dell’acqua le mie mani a coppa.
«Se sei così scontroso anche con chi ti mena, è ovvio che sei soggetto a risse.» disse con nonchalance poggiandosi alla vasca e perforandomi con il suo sguardo scuro.
«Chi ti dice che mi hanno picchiato?» soffiai, era impossibile che lo sapesse.
Le risse tra me e James, si svolgevano solo a scuola, davanti a occhi di studenti che sapevano ch’ero soggetto a prese di mira e si divertivano a vedermi picchiato da quel bastardo.
Gli altri, invece, quando vedevano il biondo in corridoio, si volatilizzavano come mosche.
«Certo, perché sei inciampato nel terreno e caduto su un palo mentre tornavi a casa.» rispose ovvia, mi morsi un labbro e scossi la testa, sorpreso che avesse usato una delle scuse che rigettavo a mia madre.
«E’ andata così, vero Louis? – Chiese senza espressione, – Sono certa che il comune di Santa Barbara sia disposto ad ascoltarti per togliere di mezzo quel palo. – Spiegò, – Mi hanno ridato la casa senza problemi, un palo non è certo un affare disastroso.» 
«Non ci sono pali, qui.» sussurrai.
La vidi alzarsi e poggiare una mano sul mio braccio, era fredda, congelata.
«Lo so. – Rispose, e mi diede una leggera pacca sul braccio, – Vai in camera.»
Feci come mi disse, incosciente di contraddire.
Ritornò con un paio di bende, una pomata, dei cerotti e un scotch medico.
Non chiesi dove li avesse trovati, troppo intento a osservare le sua labbra concentrate e cosparse di burrocacao a pochi centimetri dai mio occhi.
Il piercing nero incastonato nel labbro superiore, gli dava un'aria austera, invitante quasi.
Erano così morbide, sembravano persino carnose.
Seducenti.
Scossi la testa.
«Sta’ fermo, cazzo.» esclamò e ripose il fazzoletto sulla tempia, medicandomi con del disinfettante.
Chiusi gli occhi, offuscando la vista sulla sua bocca, e rilassandomi al tocco della sua mano fredda sul mio petto e il tocco pacato del fazzoletto sulla mia testa.
Mi fasciò la testa con una benda, girandomela un paio di volta intorno al capo, per poi fermarla con dello scotch.
«T’ha picchiato da qualche altra parte?»
Il torace.
Non era il caso che mi vedesse il petto per la seconda volta quel giorno, non era proprio il caso.
«No.» risposi massaggiandomi la tempia e abbassando lo sguardo.
«Va bene, dov’è che t’ha picchiato?»
Non era possibile, mi leggeva in testa?
«Da nessuna parte.» risposi tenendo lo sguardo sulle mie scarpe e passandomi la lingua sulle labbra.
«Quando menti ti tocchi la testa, abbassi lo sguardo e ti passi la lingua sulle labbra. – Spiegò, – Alcune abitudini non si perdono mai.»
«Al petto.» m’arresi.
Mi tirò quasi su di peso e mi fece distendere sul letto, infine si mise davanti a me e tirò su piano la maglietta.
Mi trovavo in un silenzio imbarazzante che provavo solo io, lo sguardo di Seline percorreva i miei pettorali per poi scendere sulle lieve pancetta, valutandone la gravità.
Mi stava innervosendo tutto quel silenzio, non ero abituato a trovarmi in compagnia di una ragazza, da solo, in camera mia, e quella situazione mi faceva offuscare la mente facendomi fare pensieri poco casti data la situazione.
Una mano gelata si posò sul petto, schiacciò e lanciai un gemito: «Porca puttana, fa male!» urlai quasi.
«L’ho notato.» rispose sorridendomi sfottente.
Imprecai nella mia testa, e mi mossi sul letto nervoso.
«Sta’ fermo, ti serve un po’ di crema anche qui.»
Così iniziò a spalmarla, il suo tocco era così soffice da non sentirlo quasi, la mia pelle assumeva la pomata silenziosamente con un effetto calmante.
Era così bello il suo tocco fresco e curatore.
Seline avrebbe potuto continuare per l’eternità con quel ritmo soave, che non mi stancherei mai.
«Louis!»
M’alzai di scatto e strabuzzai gli occhi.
«Signora Tomlinson! – Scattò in piedi Seline, – Nulla di preoccupante! Finita la scuola, ho portato Louis a una pista di pattinaggio, ma suo figlio non sa pattinare. – Spiegò con voce sicura,– E quindi è caduto e ora lo stavo medicando.» concluse con un sorriso a trentasei denti.
Mia madre si tranquillizzò sulla porta, poi annuì e disse: «Vuoi una tazza di tè, cara?»
«Volentieri, signora.» rispose sempre sorridendo.
«Tu stai bene?» domandò rivolta a me, annuii freneticamente incapace di formulare una frase senza dire una qualche stronzata.
Una volta che mia madre fu uscita, Seline tornò come prima. Occhi inespressivi e sguardo serio, potei notare però le sue spalle rilassarsi.
«Pista di pattinaggio?» chiesi risoluto, abbassandomi la maglietta.
«Sempre meglio che un palo, no?» ribatté.
«Sempre meglio. – Mormorai tra me e me, poi m’accorsi d’una cosa,– Come hai fatto a entrare?»
«Finestra.» disse con una scrollata di spalle, volsi lo sguardo a quest’ultima, ma era chiusa.
Non feci altre domande, consapevole che avrei formulato altre ipotesi strambe sul suo arrivo in città e la casa ricostruita in poco tempo.
Mia madre entrò in camera e ci lasciò il tè ai piedi del mio letto.
Seline s’affrettò a prendere sia la sua che la mia, dopo che me l’ebbe passata, si accomodò sulla scrivania.
Come quella mattina notai quanto fosse piccola.
«Chi è lo stronzo, quindi?» chiese sorseggiando il tè bollente.
Incrociai le gambe e abbassai lo sguardo.
Da una parte volevo dirglielo, dall’altra no.
Ma se le avrei mentito, l’avrebbe scoperto. Aveva ragione nel dire che alcune abitudini non si perdono. Rimasi a fissare il tè oro per diversi minuti, torturandomi sulla risposta. Mi sorpresi vedendo che aspettava la mia risposta senza problemi.
«Si chiama James. – Risposi e feci un sorriso amaro,– Non è una novità che mi picchi.»
«Perché?» domandò.
«Sono strano, e diverso.»
«Non è una spiegazione sensata, Louis. – Rispose,– Ognuno è diverso a modo proprio.»
«Per lui è un motivo molto accattivante, me ne sto sempre per conto mio.» sputai fuori.
«Non hai amici?» chiese con un leggero tremito della voce.
Scossi il capo: «No.»
Si rizzò sulle gambe, e lasciò la tazza sulla scrivania, s’avvicinò e la sua mano sfiorò la mia guancia in una leggera carezza.
Prima d’uscire dalla stanza, alzai lo sguardo. Rimasi pugnalato dalla sofferenza che emanava dai suoi occhi, quasi sempre spenti. 



Angolo autore.

Buongiorno, buon pomeriggio o buonasera!

Ed eccomi qui dopo dieci giorni! 
Prima di tutto: Happy Birthday Leeyum c: che abbia già vent'anni fatidico a crederlo, ma è okay. 

Bene, la prossima volta che dovrei aggiornare, dovrebbe essere l'8 settembre, ma in quel periodo sarò al mare prima dell'inizio della scuola, quindi, la cosa dipende da voi, l'ultima volta ho notato che le recensioni sono diminuite, qualcosa non va? Devo cambiare qualcosa? Ragazze/i, so che questa storia è un mistero assoluto, e può darvi anche alla disperazione, ma ho in mente di non fare molti capitoli, credo ovviamente, quindi beh, dovrete tenervi questo mistero dentro di voi sino alla fine, solo alla fine si capirà il tutto.
Ovviamente se ci sono problemi ditemelo, stavo anche iniziando a pensare di cancellarla, ci sono poche visite, le recensioni sono diminuite e i preferiti, seguiti, etc, non aumentano.
Ditemi voi.
Quindi, se noto che la storia piacerà, la continuerò, altrimenti la cancellerò. 

Okay, ora passiamo al capitolo!
Vediamo Louis che va a scuola, e pensa a Seline. Secondo voi s'innamorerà?
E Seline? Ricambierà il suo amore?
Poi, poi abbiamo la mossa di James che lo picchia.
Louis arriva a casa e chi si ritrova? Seline. (:
Che ne pensate della loro conversazione? La verde (?) sa sempre più cose riguardo Lou, lo tiene d'occhio?
E dell'ultima battuta? Che gli occhi di Seline sono mutati, cosa pensate?

Ahw, v'avviso che se il prossimo capitolo verrà pubblicato, troverete un capitolo interamente dedicato a Seline. Il pov's sarà scritto in terza persona, ma comunque dedicato a lei. 

A presto,
Giada.

  
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