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Autore: Shainareth    06/03/2008    3 recensioni
[Mai HiME - anime] Che festa stupida, San Valentino… Crudele, soprattutto. Specie per chi ci crede fermamente.
Un pensiero di questo genere non è di certo comune, pertanto non ci stupirà di sapere che la persona convinta di tale verità sia una delle più enigmatiche dell’intera scuola media annessa al Fuuka Gakuen: il bel viso imbronciato, lo sguardo sicuro ed inquietante, i modi di fare tipici di chi non vuole avere contatti umani.
Genere: Romantico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Akira Okuzaki, Takumi Tokiha
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: Spoiler!
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Piccola premessa: trattandosi di una "What if?" mi sono presa la libertà di non rispettare la time-line della serie, e perciò, nonostante ci troviamo quasi alla fine dell'anno scolastico, Takumi non ha ancora scoperto il segreto di Akira.




Voglia di cioccolata

 

 

Che festa stupida, San Valentino… Crudele, soprattutto. Specie per chi ci crede fermamente.

   Un pensiero di questo genere non è di certo comune, pertanto non ci stupirà di sapere che la persona convinta di tale verità sia una delle più enigmatiche dell’intera scuola media annessa al Fuuka Gakuen: il bel viso imbronciato, lo sguardo sicuro ed inquietante, i modi di fare tipici di chi non vuole avere contatti umani. Non a caso, non aveva mai avuto amici, prima d’ora, ma non certo perché non ne volesse. Semplicemente, si trattava di un’imposizione paterna. Anzi, faremmo meglio a precisare che l’imposizione paterna non implicava il non stringere amicizia con qualcuno, quanto il non rivelare un dato segreto che Okuzaki Akira portava nel cuore da quasi quattordici anni: sebbene avesse passato l’intera vita ad indossare abiti maschili e a comportarsi come si conviene ad un bambino, nessuno doveva sapere che in realtà Akira era una ragazza. Il perché non le era stato spiegato, ma intanto doveva obbedire agli ordini del genitore che, per quanto crudele potesse sembrare a prima impressione, in realtà aveva come unica preoccupazione quella di proteggere sua figlia dal destino spietato che l’attendeva. Questo, tuttavia, solamente chi è a conoscenza della leggenda delle HiME può comprenderlo.

   E perciò, dicevamo, Akira non aveva mai avuto la possibilità di farsi degli amici veri; e come poteva, se da un lato non faceva altro che bisticciare con i suoi compagni di classe e dall’altro guardava, ammirava, invidiava le bambine della sua scuola? Loro potevano vestirsi come volevano, loro potevano comportarsi spontaneamente, loro potevano essere se stesse in tutto e per tutto. Lei no. E, di conseguenza, finiva immancabilmente per rimanere da sola.

   Per quanto la situazione le pesasse, Akira era riuscita a reggere abbastanza bene l’imposizione di suo padre; dopotutto, da bambina, aveva avuto ben poco di che camuffare il suo aspetto che, tutt’al più, l'aveva fatta apparire come il più bel ragazzino della scuola per via dei lineamenti delicati. I problemi, però, erano iniziati una volta raggiunta la pubertà, cosa che, ahilei, l’aveva coinvolta nell’ultimo semestre delle scuole elementari e, soprattutto, dopo il suo ingresso alle medie.

   Il menarca l’aveva colta alla sprovvista proprio pochi giorni prima dell’inizio del nuovo anno scolastico, come se il fatto che il suo seno avesse cominciato a crescere già da un po’ non fosse stato sufficiente. E benché non fosse particolarmente formosa – non ancora, per lo meno – le era stato imposto anche di fasciarsi il petto per nascondere anche la minima rotondità sotto gli abiti, ancora rigorosamente di foggia maschile. Ma a rendere davvero complicata la situazione era stata la consapevolezza che, con il suo ingresso al Fuuka Gakuen, avrebbe dovuto abbandonare la casa paterna per trasferirsi nel dormitorio maschile della scuola, arrivando così a condividere la camera con un altro studente. Con un ragazzo. Maschio. Adolescente. Altresì chiamato “guaio”.

   Il “guaio” di Akira, nello specifico, si chiamava Tokiha Takumi. Nella sfortuna era stata fortunata: mai aveva conosciuto ragazzo più buono, dolce e gentile di lui. Senza contare che, soprattutto, Takumi era così ingenuo da non fargli minimamente sospettare la verità sulla sua vera natura. E nonostante Akira avesse accomodato una tenda tutt’attorno al suo letto, alla sua scrivania e al suo armadio, in quelle parti di stanza, insomma, che aveva precedentemente marcato come suo territorio grazie anche all’ausilio di nastro adesivo per rendere visibile il confine fra le due metà del pavimento della camera quando la tenda non era tirata, Takumi non aveva assolutamente avuto nulla da ridire in merito né tanto meno lo aveva considerato un comportamento bizzarro da parte del proprio coinquilino. Eppure, Akira non aveva osato abbassare la guardia, rimanendo perennemente sul chivalà. Aveva provato a ricorrere alla sua solita aggressività per metterlo alla prova, a trattarlo male per prendere le distanze e per scoraggiare ogni suo tentativo di fare amicizia. Tutto inutile. Ogni volta che Akira gli mostrava il grugno, Takumi le sorrideva. Ogni volta che lei gli dava dello stupido, lui si scusava e tornava a sorriderle di nuovo. Ogni volta era una battaglia. Una guerra interiore per Akira, si intende, perché alla fine aveva iniziato ad affezionarsi a quel ragazzo, arrivando lì dove non avrebbe dovuto: diventare sua amica. E, peggio ancora, ad innamorarsene.

   Tokiha Takumi, insomma, era il suo “guaio” per eccellenza.

 

San Valentino era alle porte, e con esso l’umore di Akira aveva iniziato a tornare oscuro come i primi tempi, cosa che balzò subito agli occhi del suo amico: benché Akira non fosse, almeno in apparenza, propensa a distribuire sorrisi a destra e a manca, Takumi aveva imparato a comprenderne gli stati d’animo basandosi unicamente sull’inclinazione della sua arcata sopraccigliare. Si era arrangiato a capirla così, insomma, e bisogna riconoscere che era diventato davvero bravo in questo: per lo meno, non litigavano più come prima. O per meglio dire, Akira non gli sbraitava più contro come faceva all’inizio. Ora capitava soltanto una volta al mese, all’incirca, e senza apparente motivazione, per di più; ma Takumi ancora non era riuscito a realizzare il perché questo accadesse con una tale sistematica periodicità, e pertanto si limitava a far finta di nulla.

   Tuttavia questa volta era sicuro che mancassero almeno due settimane a tale manifestazione di “affetto” ed “amicizia” da parte del suo compagno di stanza, eppure… Eppure Akira era di cattivo umore. Era prudente chiederle il perché? No, non lo era. Takumi, però, pareva amare il rischio.

   «Akira-kun, come mai sei arrabbiato, in questi giorni?» si decise a chiederle proprio la mattina del fatidico 14 febbraio, dopo che, per tutta la durata della colazione, lei gli aveva dato dello “stupido” tre volte più del solito.

   Gli occhi dal taglio sottile della ragazza lo passarono da parte a parte, scocciati, indignati. «Io non sono arrabbiato» sbuffò, issandosi la borsa con i libri sulla spalla. «E non farmi più domande così stupide.»

   «Scusa…» bofonchiò lui, mentre uscivano insieme dalla camera per recarsi a scuola. Rimasero in silenzio per un po’, l’una che procedeva con passo deciso, le mani in tasca ed il viso corrucciato, l’altro che la seguiva in silenzio, il capo basso, gli occhi incollati alla sua schiena. Chiunque avrebbe creduto che Okuzaki Akira fosse un tipo strano, irritante per certi versi; ma non Takumi, il quale, non si sa bene il perché, le si era affezionato più che a chiunque altro – eccetto sua sorella maggiore. Nonostante il carattere a volte scontroso di Akira, in effetti, Takumi aveva scoperto in lei una persona dal cuore puro e gentile quasi quanto il suo, capace di generosità e di comprensione verso i suoi sentimenti ed i suoi stati d’animo. Insomma, in quello che credeva essere il suo compagno di stanza, Takumi aveva trovato un amico vero; e malgrado Akira provasse le medesime sensazioni ed avesse voluto essere sincera fino in fondo, con lui, non le riusciva di mettere in pratica questo suo proposito per via di quel maledetto ordine paterno: mai rivelare ad anima viva che sei una ragazza.

   E così il povero Takumi restava ignaro dell’identità della sua migliore amica, nonché dei sentimenti che ormai lei provava nei suoi confronti già da un po’ di tempo e che non aveva la possibilità di esprimere in nessun modo. Se fosse stata una ragazza come tutte le altre, Akira avrebbe potuto prendersi la libertà di dargli almeno un indizio, al riguardo, magari proprio quel giorno, quello in cui tutte le donne giapponesi dichiarano i propri sentimenti alla persona amata con un semplice gesto: donare del cioccolato.

   Ma non era questo il motivo che l’aveva spinta ad odiare la festa degli innamorati, quanto il fatto che, tutti gli anni, il 14 febbraio si dimostrava un vero e proprio incubo per il suo povero stomaco. Fin dai tempi delle elementari, infatti, decine di bambine non avevano fatto altro che perseguitarla con i loro regali, e dal momento che ad Akira piacevano i dolci e che all’epoca non aveva ancora ben chiara la concezione dell’amore, accettava quella cioccolata senza lamentarsi, salvo farlo il giorno dopo, quando, sistematicamente, era costretta a letto a causa di una brutta indigestione.

   Quell’anno, però, le cose sarebbero andate diversamente, e questo perché adesso Akira sapeva cosa volesse dire amare.

   «Di’, Takumi» iniziò di punto in bianco quando l’edificio scolastico era ormai prossimo. «Nel caso qualche ragazza oggi ti avvicinasse per regalarti della cioccolata, hai intenzione di accettarla?»

   Colto alla sprovvista, il ragazzo rimase un attimo immerso nei suoi pensieri. «Di solito lo faccio, ma perché me lo chiedi?» e nel momento in cui formulò quella domanda, si accorse che una delle sopracciglia di Akira si era aggrottata ulteriormente. «Qualcosa non va?»

   «La tua insensibilità» annuì lei, diretta come sempre. «Se accetti i loro regali, darai l’impressione di accettare anche tutto il resto.»

   Takumi la fissò confuso. «Tutto il resto?»

   La ragazza sospirò, demoralizzata. «Tu sei davvero…» ma non finì la frase e tagliò corto con la spiegazione. «Hai idea di che cosa significhi la cioccolata che le ragazze regalano ai ragazzi nel giorno di San Valentino? E’ chiaro che se accetti quei regali, darai loro false speranze riguardo i tuoi sentimenti nei loro confronti. Ti è chiaro, ora, il concetto?»

   Lui rimase nuovamente pensieroso per un attimo, gli occhi azzurri incollati alla strada. «Non l’avevo mai preso in considerazione da questo punto di vista…» dovette infine confessare. «Sei davvero in gamba, Akira-kun» si profuse quindi nella solita ammirazione per la compagna, un sorriso sulle labbra.

   Akira grugnì qualcosa di non meglio specificato, ed insieme varcarono la soglia dell’edificio prima, e quella dell’aula dopo, dove furono quasi assaliti dall’intera componente femminile della classe: dotati entrambi di lineamenti delicati, ma di una bellezza e di un temperamento in totale opposizione, Okuzaki Akira e Tokiha Takumi erano considerati i due ragazzi più belli delle medie. Ed il fatto che fossero compagni di stanza e per di più amici inseparabili, aveva alimentato a non finire una lunga catena di pettegolezzi circa il loro rapporto, visto in chiave prettamente omosessuale da buona parte delle studentesse dell’intero Fuuka Gakuen, le quali, evidentemente, avevano letto troppi shonen-ai e, non riuscendo più a distinguere realtà e fantasia, osservavano sempre con fervente immaginazione ogni singola mossa ed espressione dei due poveri ragazzi, vittime del loro morboso, perverso mondo di sogni e fantasticherie a luci rosse. Se solo avessero saputo che Akira in realtà era una ragazza…

   Trovatasi davanti ai primi regali della giornata, Akira protese le mani in avanti, ma non per accettare quei doni, quanto per respingerli. E benché i volti affranti delle fanciulle mossero a pietà il buon Takumi, quasi disposto ad accettare la cioccolata al posto di lei, lo sguardo feroce che Akira gli scoccò fu abbastanza eloquente da farlo desistere e fargli tornare alla mente il discorso fatto pochi minuti prima.

   «Mi dispiace, ma non posso accettarli nemmeno io» fu costretto a spiegare alle sue compagne.

   «Perché, c’è già qualcuno che ti piace?» volle sapere qualcuna di queste.

   Lui scosse il capo. «Oh, non si tratta di questo, è solo che…» I suoi occhi cercarono la figura di Akira, forse per trarne forza. Peccato solo che le suddette compagne travisarono completamente il significato di quello sguardo, e pertanto subito di convinsero che il cuore di Takumi appartenesse già al suo migliore amico. Se però il lettore crede che ciò fosse bastato a deprimerle, certamente si sbaglia: questa loro convinzione non fece altro che aumentare la loro curiosità, e, di conseguenza, il loro interesse verso i due ragazzi. «Il fatto è che…»

   «Non preoccuparti!» interruppero infatti Takumi, il sorriso dipinto sul volto, la gioia negli occhi. «Abbiamo capito perfettamente quel che vuoi dire!»

   «Secondo me, non hanno capito un accidenti…» ringhiò invece fra i denti Akira, mentre prendeva posto al suo banco, in fondo all’aula, il viso arrossato per l’imbarazzo. Se anche Takumi ignorava tutte le voci che circolavano per la scuola, la sua amica, di gran lunga più sveglia, aveva ben chiaro il quadro della situazione; e nonostante la cosa non la toccasse più di tanto, in quanto donna, non le andava granché giù che, agli occhi degli altri, il suo compagno di stanza venisse etichettato come omosessuale. D’accordo, Takumi non era certo la personificazione della virilità, ma da qui ad asserire che non fosse maschio, ne correva, per la miseria!

 

«Potevi almeno accettarne uno!» lo rimbrottò infatti al termine delle lezioni, mentre facevano ritorno al dormitorio.

   Takumi la fissò accigliato. «Ma stamattina mi avevi detto che…»

   «Sì, però così penseranno che…!»

   «Cosa?» domandò quando lei lasciò la frase a metà. «E comunque sono d’accordo: illudere il cuore di una ragazza, è una cosa riprovevole» stabilì, forte di questa sua nuova convinzione.

   Akira sospirò, a metà fra la rassegnazione ed il sollievo; dopotutto, non aveva accettato il cioccolato di nessuna delle loro compagne, e questo non poteva che significare una cosa soltanto: a Takumi non piaceva nessuna di loro. Ottima notizia. Sia ben chiaro, a scanso di equivoci, che il consiglio di Akira circa il non accettare la cioccolata da parte di chi non ha il nostro amore, non era minimamente dettato dalla gelosia, quanto più semplicemente dall’immedesimarsi nelle altre ragazze: se Takumi avesse accettato la sua cioccolata, di certo l’avrebbe resa felice; ma se contemporaneamente avesse accettato anche quella delle altre ragazze, ecco, questo l’avrebbe avvilita, perché avrebbe voluto dire che lui non prendeva sul serio i suoi sentimenti.

   Erano ormai rientrati in camera quando Takumi tornò nuovamente sul discorso precedentemente caduto nel vuoto. «Però… alla fine…» iniziò, sedendo a gambe incrociate sotto la coperta del kotatsu accanto al quale aveva lasciato cadere la borsa con i libri, le braccia sul ripiano, lo sguardo afflitto, «con tutta quella cioccolata che mi è passata sotto al naso oggi, mi è venuta voglia di mangiarne un po’…»

   Akira lo fissò di sbieco per via di quella che le parve un’inconscia provocazione. Quel viso da bambino, però, non le riuscì di farle mantenere l’aria imbronciata. «Ti va qualcosa di caldo? Fuori fa molto freddo, oggi.»

   «Sì, grazie, mi ci vuole proprio» sbadigliò il ragazzo, scivolando con la testa sul tavolo, crogiolandosi nel calore della coperta. Socchiuse gli occhi e rimase in attesa che Akira gli portasse del tè. Ma quel che lei gli mise davanti una manciata di minuti dopo fu ben altro: già l’odore lo aveva indotto ad alzare lo sguardo, e quando si era reso conto che l’amica aveva preparato della cioccolata calda per entrambi, rimase per un attimo a fissarla con aria inebetita.

   Impacciata, nonché rea di giocare sporco, arrivando a regalargli furtivamente del cioccolato per vie traverse, Akira ebbe l’impressione che Takumi avesse finalmente capito qualcosa che già da tempo avrebbe dovuto intendere: che fosse il fatto che lei era una ragazza e che era innamorata di lui, o, peggio, che si fosse infine accorto delle voci che giravano per la scuola e che pertanto reputasse sconvenienti i sentimenti di quello che credeva un suo amico, questo la giovane kunoichi non poteva stabilirlo. Tuttavia, incrociando gli occhi chiari di lui, il sangue freddo le venne meno e fu costretta a chinare il capo sulla propria tazza, cercando così di nascondere in qualche modo la propria colpevolezza e la propria vergogna.

   «Grazie, Akira-kun» furono invece le gentili parole che arrivarono alle sue orecchie, mentre il giovane prendeva la cioccolata fra le mani e la portava alle labbra per sorseggiarla.

   Se Takumi avesse davvero capito o meno, Akira non seppe dirlo. E sebbene il tarlo del dubbio – insieme ai sensi di colpa – rimase nel suo petto per diverso tempo, non le riuscì di non essere felice almeno per quel San Valentino.






Questa volta la fanfic non mi convince del tutto... non so, ha un che di confuso, anche se mi è stato detto che scorre bene. ò_o Piuttosto, spero di non esser andata troppo OOC con il personaggio di Akira, quindi mi piacerebbe sapere che ne pensate in proposito. ^^;
Chiedo scusa per il titolo poco originale, visto che già un'altra mia fanfic si intitola Cioccolata calda, ma purtroppo non sono riuscita a trovare nulla di meglio.
Colgo infine l'occasione per ringraziare anche qui Hinata, Lux e NicoDevil per aver commentato la mia precedente one-shot su Akira e Takumi. ^^
Shainareth

  
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