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Autore: wilderthanthewind    31/08/2013    0 recensioni
Kyoto, 2006.
Zikutateka e Nochi-Chan sono due amiche strette, a cui piacciono i giri in bici. Un giorno, durante una delle loro "avventure" tra le stradine della cittadina di Kyoto, s'imbattono in una strana conoscenza, piuttosto inaspettata: il fantasma di Roger. Zikutateka è impaurita, a differenza di Roger, che è semplicemente incuriosito dalla buffa ragazza. In realtà nessuno dei due sa che da quel momento la loro vita non sarà più la stessa...
Genere: Introspettivo, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 4

Profonde tonalità di viola si mescolavano con il rosa più acceso, sfumando verso una punta di blu notte, come una finestra tra le nuvole che sporcavano il cielo, a cui l’intero universo s’affacciava: imbruniva. Il buio invadeva lentamente la cittadina di Kyoto, mentre i ciliegi lasciavano i delicati petali danzare nella brezza primaverile, fragili e freschi, ignari di ciò che i rami antichi su cui vivevano poteva raccontar loro; rami che, quando erano poco più che deboli germogli, avevano visto giovani indossare la loro armatura ed impugnare la katana, giurando di lottare in eterno in nome del proprio daimyo, e poi accasciarsi sullo stesso prato, tra gli stessi petali caduti, sotto gli stessi raggi di sole, a causa di una freccia nemica, pur di difendere la propria patria; rami che, ormai non più alle prime fioriture, avevano visto dei soldati uccidere anche i samurai con più esperienza, in una divisa macchiata d’Occidente. Rami che, tramonto dopo tramonto, avevano visto la città crescere, la società evolversi, una metamorfosi durata secoli tra cocktail di sangue ed onore, conclusa - o almeno al momento pareva - nelle dolci primavere in cui studenti ambiziosi e volenterosi si fermavano ad ammirare le antiche cortecce degli alberi, riflettendo sui loro dubbi maggiori.

Quella sera, seduto su una panchina che di giorno l’ombra dei ciliegi abbracciava, non capitò uno studente preoccupato per il nuovo anno scolastico a cui si preparava, né un universitario pronto ad entrare nel mondo del lavoro: un ragazzo dagli occhi grandi e scuri era concentrato a girare accuratamente le chiavi della sua chitarra acustica e a soffiare via i granelli di polvere che vi si appoggiavano.

Nel vialetto passeggiava Tamiko, nel suo kimono con decori colorati, che indossava sempre quando usciva a fare due passi nei tiepidi pomeriggi primaverili; non era un abito scomodo o troppo vistoso: era proprio adatto ad una ragazza come lei, che amava osservare le tradizioni, senza dare l’impressione di essere appena uscita da un film ambientato nel millecinquecento. La sua passeggiata fu interrotta dalla melodia paradisiaca del ragazzo ancora seduto sulla panchina, questa volta non per assicurarsi che la sua chitarra fosse perfetta, ma che a furia di sistemarla e lucidarla non si fosse dimenticato come suonarla. Presa dalla curiosità, Tamiko si avvicinò al ragazzo, per poi sedersi accanto a lui ed osservarlo con attenzione. Egli continuava ad accarezzare le corde del suo strumento, incurante della sua nuova compagnia.

«Ciao!», disse Tamiko sorridente. «Sai che è una gran bella chitarra?», si complimentò, cosicché il giovane alzò lo sguardo.

«Grazie», rispose allegramente. «Mi è stata regalata lo scorso compleanno», aggiunse, ancora attento a non stonare.

«E quand’è?»

«Il primo gennaio»

«Wow! Un motivo in più per festeggiare!», rise.

«Già! Scusa, non mi sono ancora presentato. Il mio nome è Shimojikushi»

«Tamiko»

«Sai, avevo letto da qualche parte che Tamiko significa "Tanti bei figli", o qualcosa del genere»

«Ma se non ne voglio!», esclamò tra le risate.

Un petalo si posò sui capelli color caramello di Shimojikushi, il quale cerco più volte di scuotere la folta chioma per farlo volare via, poi alzò il capo e guardò minaccioso il ciliegio, suscitando in Tamiko un sorriso.

«Ai tempi di quest’albero dispettoso, sarebbe stata una disgrazia non averne»

«Non a caso sono nata nel millenovecentosessantatré», replicò.

«Nel settantatré erano dieci, nell’ottantatré venti, più due son ventidue. Ha - ha! Adesso so anche la tua età. Io ne ho ventitré»

«Che genio della matematica», lo canzonò Tamiko. «Hmm e vediamo, sai dirmi anche che ore sono?»

«Precisamente le diciotto e cinquantasei»

«Sei anche un mago a leggere l’orologio! Aspetta, le diciotto e cinquantasei? Devo correre, entro quattro minuti devo essere a casa»

«Se vuoi ti accompagno io», propose gentilmente.

«D’accordo!»

«Vieni, sali», disse già a cavallo della sua bici. «Dove ti porto?»

«Dritto fino all’incrocio, poi giri a destra»

«Il mio covo non è molto lontano da qui. Io abito in fondo a quella strada», replicò indicando una traversa di cui forse Tamiko non aveva mai notato l’esistenza. Al termine del tragitto, con grande cortesia, Shimojikushi aiutò la ragazza a scendere dalla bicicletta, e l’accompagnò al cancello del suo giardino. «Che ne dici di un’altra passeggiata, domani? Nello stesso posto, alla stessa ora», chiese il ragazzo gentilmente, come se non avesse mai preso tutta quella condifenza. Tamiko acconsentì, e felice salì i gradini della porta d’ingresso.
 

  
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