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Autore: metaldolphin    02/09/2013    0 recensioni
Meryl e Vash, post anime.
Tornato con Knives privo di sensi, il "Tifone Umanoide" deve decidere cosa fare del fratello deciso a sterminare la razza umana...
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ci alziamo presto, Milly è riuscita a farsi prestare il mezzo del suo capo: trasportare Knives sarebbe stato più semplice.
Osservo la figura della mia amica farsi più piccola tra la polvere sollevata dall’auto e alzo il braccio per salutarla di nuovo.
Un paio d’ore dopo giungiamo ad un avamposto antico, segnato da rottami e rovine di una delle astronavi con cui l’umanità, in fuga da una Terra ormai morente, era giunta su questo pianeta.
Grandi lettere formavano la sigla che dava il nome SEEDS al progetto che aveva dato un’altra (meritata o meno) chance alla razze umana.
Vash sapeva far funzionare quella tecnologia dimenticata e, preso in spalla il fratello, si addentra tra quei resti antichi.
Mi fa cenno di rimanere vicino all’auto ed obbedisco nonostante la curiosità: capisco che vuole affrontare quel momento senza addossare ad altri una responsabilità che sente solo sua.
Vorrei che riuscisse ad appoggiarsi a me per poter alleviare la tristezza che continua a fare da sottofondo al sguardo anche nei momenti apparentemente più spensierati, ma soprattutto oggi.

Non so quanto tempo sia passato, quando un rombo basso si diffonde nell’aria, facendo vibrare le rovine, scuotendole dalla sabbia e facendone tintinnare il metallo. Un forte bagliore mi costringe a chiudere gli occhi e la paura mi assale sempre più pressante.
Combattuta tra il restare al mio posto e correre a vedere come sta Vash, mi rassereno soltanto quando tutto si ferma e lo scorgo avanzare piano verso me.
Gli corro incontro, e soltanto quando arrivo vicina a lui, la mia gioia vira in forte preoccupazione: vedo che si regge in piedi a malapena e barcolla. Per me, che sono tanto più bassa di lui, è difficile riuscire a reggerlo ma lo accompagno fino all’auto, dove si lascia cadere a peso morto.
Lo assicuro al sedile e mi precipito alla guida, allarmata per quel repentino peggioramento di salute; mentre sto per mettere in moto, riesce a chiedermi dell’acqua; ma non ce la fa a bere dalla borraccia e si versa addosso il prezioso liquido che gli porgo.
Allora, sorso dopo sorso, mi ingegno a passargliela dalla mia stessa bocca. È un gesto molto intimo e ringrazio il cielo che sia semicosciente: con un po’ di fortuna non avrebbe ricordato nulla.
Io, invece, lungo il tragitto verso casa, non posso fare a meno di pensare al contatto tra le mie labbra e le sue: si erano rivelate calde e morbide e dolci da assaporare. Cerco di fissare nella mente le sensazioni di quel contatto che ho a lungo bramato e che, molto probabilmente, non si sarebbe più ripetuto.
-MILLY!- esclamo a gran voce, frenando nella polvere sotto casa, nella speranza che sia rientrata. Per fortuna è in casa e riusciamo a portare in casa Vash privo di sensi.
La mia amica vorrebbe conoscere l’accaduto, ma anche io sono all’oscuro. Allora corre a chiamare il vecchio medico che più volte lo ha rammendato e lo conosce bene.
Il brav’uomo è sbalordito da una tale mancanza di energia, così improvvisa ed estrema al punto da far perdere i sensi ad un fisico forte come quello di Vash. Ci raccomanda di vegliarlo e rifocillarlo appena possibile, ma non sa che altro fare. Mentre Milly lo congeda, io resto seduta a fianco del letto dove giace il Tifone umanoide.
Si fa sera e la mia amica mi porta qualcosa da mangiare. Non voglio lasciarlo solo: devo fargli capire che ha me. A notte fonda lo sento agitare e lamentarsi piano; nel buio gli carezzo il viso e lo sento umido di lacrime… mi prende il groppo in gola che mi soffoca, ogni volta, in questa situazione.
-Sono qui, Vash- mormoro -non piangere, ti prego…
Si solleva e si aggrappa a me, mi poggia la testa addosso e mi stringe fino a farmi male; singhiozza qualcosa di inarticolato, ma riesco a distinguere il mio nome, ad un certo punto.
Rimaniamo così a lungo, stretti, lui a cercare conforto, io a darglielo con una stretta al cuore.
Solo in prossimità dell’aurora, lo sento rilassarsi e, anche se allenta la presa, non mi lascia andare del tutto.
Stanca, mi assopisco, poggiando la testa sul suo capo che ancora mi giace in grembo.
 
   
 
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