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Autore: moni93    02/09/2013    5 recensioni
Imperversa una notte di tempesta a Bluegrad. Due ragazzi, colti di sorpresa dalla furia della Regina delle Nevi, trovano riparo in una grotta. Sono Seraphina e Degel, diciotto e sedici anni rispettivamente, che tentano di trovare conforto dalle forze avverse. Non solo quelle della Natura, ma anche dal Fato, dagli dei e dalle loro paure.
Perchè quella notte, qualcosa cambierà.
Estratto della storia:
“Tu hai un sogno, Degel?”
Nulla parve variare sul viso del ragazzo, se non uno strano bagliore negli occhi. Era debole, eppure già chiaro e noto anche alla giovane donna. Essa era la luce che solo agli adulti sarebbe dato conoscere; quella del dovere e del sacrificio.
“Ad un cavaliere non è dato avere sogni, se non ambire alla pace sulla Terra e alla gloria di Athena.”
Seraphina scosse il capo, tentando anche di far scomparire quell’aura di malinconia che aveva attanagliato, come una catena, l’animo del giovane.
“No, ho chiesto se tu hai un sogno. L’ho domandato a Degel. Non al cavaliere d’oro dell’Acquario.”
Genere: Introspettivo, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Aquarius Degel
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Rêves Sussurrés Dans Une Nuit Neigeuse
 
Alla cara MaikoxMilo, che, come me, adora questa coppia.
 
Feeling my way through the darkness
Guided by a beating heart
I can’t tell where the journey will end
But I know where to start
 
Durante una notte tempestosa a Bluegrad, due ragazzi cercavano conforto e calore stando l’uno accanto all’altra. Come rifugio avevano una grotta, abbastanza profonda da tenerli al riparo dai forti e fieri colpi di Regina Neve che, implacabile, si abbatteva su quella terra eremita. Sebbene fosse la stagione delle prime e rare brezze di Sole, il dio Apollo pareva aver trasgredito al suo compito.
La furia di quella pioggia gelida aveva colto i due giovani mentre rincasavano, dopo un pomeriggio trascorso a esplorare la foresta di pini centenari custodita da Artemide, dea della caccia e gemella del divino Apollo. Avevano giocato come bambini rincorrendosi e arrampicandosi sugli alberi, assieme ad un terzo ragazzino che, tuttavia, aveva deciso di anticiparli correndo a casa prima. Diceva che la sorella si era impegnata troppo nella battaglia e, quindi, zuppo di neve e sudore com’era, reclamava un bagno caldo con cui riscaldarsi.
Gli altri due, però, avevano preferito soffermarsi ancora un poco in quella magica ed eterea foresta, che vegliava sulla loro città dall’Era del Mito, stando alle leggende che narrava l’anziana del paese.
Desideravano stare soli, avevano così tanto da dirsi, eppure nemmeno un suono era fuoriuscito dalle loro giovani labbra di primula. Tuttavia, ritenevano che ciò bastasse, che fosse bello così; quella loro vicinanza era sufficiente. Le loro anime erano in armonia con quel candore che vestiva come un mantello ogni cosa. Sembrava quasi scortese disturbare la foresta, in apparente riposo. Si limitarono, perciò, a solleticare la neve con i loro passi, lasciando dietro di loro scie tanto lievi quanto effimere. Eppure, con quale gioia e malinconia la fanciulla, ad un tratto resasi conto di questa piccola magia, si soffermò ad osservare le loro tracce, affascinata.
Era come camminare tra le sabbie del tempo, come se quel candore gelido preannunciasse le prove che avrebbero lasciato ai posteri della loro esistenza.
Perchè, qualcosa, sarebbe rimasto, vero?
D’un tratto, fu buio.
Levando il capo come girasoli che cercano luce, i ragazzi si resero conto che pesanti nubi incollerite si erano stabilite su quel cielo, un tempo plumbeo e vuoto. Singhiozzavano, debolmente, eppure questo fatto preoccupò molto entrambi. Sapevano bene che quei singulti, presto, si sarebbero tramutati in urla disperate.
“Sarà meglio tornare, ora.” proferì calmo il ragazzo.
Quasi corsero, nonostante l’intenzione di non spaventarsi più del dovuto, ma fu inutile. Quando il cielo decide di piangere, nulla può consolarlo. Sembrava talmente irrequieto quel dì, che da esso caddero non solo gocce d’acqua, ma lame di vento e spilli di ghiaccio.
Fu così che, vagando sconsolati per interminabili minuti, trovarono quella bocca scavata nella roccia. Nessun orso vi abitava e, per loro fortuna, la grotta era sufficientemente grande per proteggerli e permetter loro di accendere un piccolo fuoco. Non fu facile, dati i pochi ramoscelli che avevano trovato in quel luogo, eppure la dedizione del ragazzo fece da scintilla per quella fiammella che, allegra e lieta di essere nata, riscaldò entrambi.
Attesero a lungo, nella speranza che quei colori vivaci rinvigorissero i loro corpi oltre che le loro speranze, ma presto il giovane capì che non sarebbero potuti uscire dal loro rifugio prima del termine di quel violento capriccio della volta celeste.
“Dovreste dormire, madamigella Seraphina.”
Il consiglio di Degel era stato pronunciato con una fermezza tale, da apparire fragile come un cristallo. Temeva, infatti, che la ragazza potesse assecondare il suo suggerimento. Lei, tuttavia, scosse il capo.
“No, ho voglia di rimanere sveglia.” confessò lei, con una punta di amarezza.
Non sopportava il fatto che l’amico la chiamasse in continuazione con quell’appellativo.
Madamigella.
Quand’ella pensava a tale termine, non poteva far altro che immaginarselo isolato, una macchia d’inchiostro in un universo ovattato e vuoto. Le suonava distante, impersonale, quando lei desiderava essere il più vicino possibile a Degel.
Tuttavia, non confessò il motivo celato dietro le sue parole.
Voleva restare vigile poiché, senza alcun dubbio, quella sarebbe stata la loro ultima notte insieme.
Oramai era diventato adulto, il suo amico. Il bambino che aveva conosciuto ed ammirato per la sua forza d’animo, presto sarebbe svanito. Anche lei era cambiata. Così come Degel doveva indossare le sacre vestigia dorate ed andare in Grecia a custodire l’Undicesima Casa dello Zodiaco, Seraphina avrebbe dovuto vestire i pesanti abiti di Ambasciatrice e Governante di Bluegrad. Un ruolo stimato, un compito destinato solo agli eredi della sua casata che più di tutti si erano mostrati meritevoli. Una vita prestabilita per entrambi. Non facile, né bella, ma neppure così orribile o vergognosa... ma decisa da altri. Per quanto ella si sforzasse di vedere i risvolti positivi della sua futura esistenza, non poteva far altro che giungere alla stessa, tragica, quasi comica e terribilmente ingiusta, conclusione.
La loro vita, non apparteneva a loro.
Per quanto tentassero di essere come tutti gli altri ragazzini, creando nelle loro menti sogni e ambizioni, non avrebbero mai avuto la possibilità di vederle realizzarsi. Non quelle più vere e sincere, almeno.
Era solo questione di tempo, prima che il Destino, beffardo e spietato, muovesse le loro vite come pedine di una, perversa, scacchiera.
Quell’egocentrico e dispettoso tempo, che non faceva altro che correre e sfuggire dal controllo degli uomini.
Sorrise Seraphina, a quel pensiero.
Da quando, si domandò la fanciulla, il tempo obbediva alla volontà umana?
Quando mai lei aveva stretto tra le sue candide mani quel potere immenso?
Eppure, da piccola era convinta di possederlo. Credeva che fosse lei a governare il mondo, a far scorrere le sabbie della clessidra a suo diletto. La fanciullezza, così come le sue gioie e frivolezze, le era sembrata infinita.
Com’era possibile che, tutt’a un tratto, le sembrasse di aver esaurito una parte della sua vita?
Era come sognare di cadere... cadere, precipitare, in un oblio senza fine per poi, d’improvviso, destarsi in un letto di angoscia e terrore. Quello che era stato, era giunto a un termine e, pensiero ancor più infelice, pareva quasi non fosse mai esistito.
 
They tell me I’m too young to understand
They say I’m caught up in a dream
Life will pass me by if I don’t open up my eyes
Well that’s fine by me
 
Osservò di sfuggita Degel, il suo amico.
In quegli anni trascorsi assieme, i cuoi capelli si erano fatti più lunghi. Sottili come un raggio di Sole, lucenti di uno strano bagliore color vita, che a Bluegrad raramente si poteva ammirare. Il colore della terra giovane, piena di promesse e calore. Gli giungevano quasi sino alle spalle, quei preziosi fili smeraldini, tenuti sciolti e liberi di incantarla, ogni qualvolta il suo sguardo si carezzava su essi. Il viso si era allungato e aveva perso l’innocenza di un tempo, ma conservava ancora due occhi minuti ma colmi di saggezza. Brillavano di conoscenza, bramavano i pericoli che avrebbero atteso Degel, ma tremavano dinnanzi alla figura della dama di Bluegrad.
Seraphina non poté fare a meno di domandarsene il motivo e, al contempo, pensare che per la sua età, l’amico fosse incredibilmente intelligente. Ingenuo anche, ma saggio. Doveva ancora crescere, non c’era altra via: un futuro cavaliere di Athena non poteva permettersi debolezze, né gentilezze. Nemmeno affetti. O sogni.
Un brivido di gelida consapevolezza attraversò il cuore della fanciulla.
A breve la divina dea della Guerra e della Saggezza, avrebbe chiamato Degel a combattere in suo nome, per contrastare le schiere di Hades, il suo folle e potente zio, bramoso di potere e sofferenza.
Ancora dei, ancora guerre e strazi, legami che si sarebbero spezzati con estrema facilità.
Per quale ragione, si domandò lei, gli uomini non potevano vivere, senza causare dispiaceri ad altri? Era dunque colpa degli dei? Quelle divinità che, non abbastanza sazie di vedere gli essere umani strapparsi la vita tra loro, avevano deciso di unirsi ad essi, per creare ulteriore odio, ulteriore agonia?
Tutto ciò le provocava una strana rabbia, lievitata amaramente dall’inquietudine.
Impotente, ecco come si sentiva.
Impossibilitata a salvare Degel, costretto ad accettare il proprio destino. Non poteva aiutare nessuno, nemmeno la persona a cui teneva di più al mondo dopo suo fratello, e ciò la faceva star male, al punto da credere di non poter respirare, alle volte.
Era sempre stata una ragazza fiera, anche se tentava di non darlo a vedere, non sarebbe stato appropriato per il suo rango. Lei era la figlia perfetta del perfetto Governante di Bluegrad. Non sarebbe potuta essere null’altro. In lei, non doveva albergare alcun pensiero o sentimento oscuro.
Eppure, anche lei odiava, anche lei amava al punto di poter far del male ad altri, pur di difendere i suoi cari. Ma soprattutto, perfino lei si faceva avvolgere dalle tenebre della paura.
Detestava sentirsi in trappola, con le mani legate. Urlare e dimenarsi non sarebbe servito, ma molte volte avrebbe voluto farlo o, quantomeno, sapere di poterlo fare.
Ma non riusciva a fare nemmeno quello, non le era concesso.
Doveva essere forte, tacere ogni sentimento e singhiozzo, per le persone che amava. E, questo, era il peso più opprimente che le lacerava il cuore.
Si perse ancora qualche istante ad osservare Degel.
Com’era bello, seppure ancora così giovane... Chissà cosa provava, in quel mentre?
Era triste per la sua imminente partenza? Impaurito, insicuro?
Per quanto gli volesse bene, Seraphina si rese conto di non conoscere affatto il suo amico. Era sempre stato un gradino sopra di lei, un piccolo, insignificante passo avanti alle sue paure ed ai suoi sforzi di essere perfetta, ma quel piccolo spazio rappresentava un baratro che lei non riusciva in alcun modo a colmare.
Quella notte di tempesta e gelo, sarebbe stata la sua unica possibilità per raggiungerlo, ne era certa. Se voleva che qualcosa cambiasse, doveva essere lei a sfidare la logica e a saltare nel vuoto.
Allora, forse, una mano l’avrebbe salvata.
 
So wake me up when it’s all over
When I’m wiser and I’m older
All this time I was finding myself and I
Didn’t know I was lost
 
“Vorrei vedere l’alba con te, posso?”
Con cautela, eppure con improvvisa consapevolezza, la ragazza stupì se stessa e Degel con quella domanda. Non aveva idea di cosa avrebbe potuto rispondere l’amico, ma si sentì subito una sciocca. Probabilmente, lui avrebbe declinato, elencandole una serie di motivate e ragionevoli congetture, circa il fatto che era meglio riposare. Oltre al fatto che, con quel clima, sarebbe stato comunque impossibile vedere alcunché.
Già in procinto di scusarsi per la sua infantile proposta e salvarsi così da quel tentativo di cambiare, Seraphina scorse un movimento alla sua destra.
Degel aveva annuito.
Fu come se qualcosa si ruppe, in quel mentre. Quel muro invisibile di distacco, che il giovane manteneva sempre in presenza di altre persone per rispetto di Seraphina, venne meno. In quel mentre erano solo due ragazzini spaventati e desiderosi di rimanere insieme ancora un poco, sebbene nessuno dei due volesse ammetterlo ad alta voce.
Desideravano, eppure temevano. Amavano, e nonostante ciò, faticavano a scacciare tutte quelle ragioni che il Fato tentava loro di inculcare nella mente. Perchè donare un parte di sé ad un altro, significa perdere per sempre un frammento della nostra anima. E, alle volte, quella parte di noi è troppo grande per essere rimpiazzata.
“Degel, posso farti una domanda personale?” domandò d’un tratto la fanciulla.
Si sentì come giustificata a farlo, quasi come se quella tempesta si fosse generata unicamente per permetterle di conoscere meglio il suo amico. Certo, fu anche crudele il Destino, dato che la mattina seguente si sarebbero lasciati, però a lei non importava. Contava unicamente il fatto che non si era mai sentita così vicina a Degel come in quel mentre. Inoltre, per quanto crudele ed imprevedibile, il Fato, alle volte, sapeva anche concedere attimi di vera gioia.
Il giovane si voltò a guardare l’amica negli occhi, regalandole un sorriso.
“Certo, tutto quello che vuoi, Seraphina.”
Udendo ciò, lei non si poté trattenere oltre.
“Tu hai un sogno, Degel?”
Nulla parve variare sul viso del ragazzo, se non uno strano bagliore negli occhi. Era debole, eppure già chiaro e noto anche alla giovane donna. Essa era la luce che solo agli adulti sarebbe dato conoscere; quella del dovere e del sacrificio.
“Ad un cavaliere non è dato avere sogni, se non ambire alla pace sulla Terra e alla gloria di Athena.”
Seraphina scosse il capo, tentando anche di far scomparire quell’aura di malinconia che aveva attanagliato, come una catena, l’animo del giovane.
“No, ho chiesto se tu hai un sogno. L’ho domandato a Degel. Non al cavaliere d’oro dell’Acquario.”
Come un fulmine scuote la terra, illuminando però il cielo, allo stesso modo il ragazzo fu percosso da una consapevolezza, che però abbagliò i suoi pensieri. Parve disorientato, infatti, probabilmente perchè non vi aveva mai pensato. Era osare troppo fantasticare su di una vita normale, non era bene perdersi in sogni effimeri. Seraphina, tuttavia, voleva donargli qualcosa quella notte. Una speranza, un sentimento che custodiva nel suo cuore e che avrebbe donato soltanto a lui. Fu così che, con un inganno, ella tentò di cambiare il corso del loro destino.
“Parliamo ipoteticamente, allora.” fece lei, sorridendo sbarazzina “Se tu fossi un ragazzo qualunque, un ragazzo di nome... mmmhhh... David. Quale sarebbe il tuo sogno?”
Degel la fissava con aria interdetta.
Non sapeva davvero che dire. Seraphina era sempre stata una fanciulla allegra e vivace, nonostante fosse più grande di lui e suo fratello Unity. Eppure, lui le era rimasto distante, come la luce separata dalle tenebre. Erano vicini, eppure incredibilmente distanti. Una sottile, quanto profonda linea, li univa e divideva al tempo stesso. Degel tentava in ogni modo di negare quel batticuore che l’assillava ogni volta che la vedeva, che la sentiva parlare. La gioia che lo invadeva quando ella lo chiamava per nome, era quasi indescrivibile. Un’emozione che lo cullava nelle notti più tetre, durante gli allenamenti più aspri. Perchè con gli altri ragazzini non lo faceva, Seraphina invocava il suo nome, solo il suo, senza cariche o onorificenze.
Si sentiva speciale, per questo.
Tuttavia, il suo maestro Krest, gli aveva insegnato una lezione, la più importante per un guerriero.
“Un cavaliere non deve avere legami, non sarebbe giusto. Per lui prima di tutto e per il dolore che lascerebbe nel cuore delle persone a lui care. Non voglio mentirti, Degel, la via che hai intrapreso è molto ardua e la dovrai affrontare da solo. Ama, dunque, se lo reputi giusto o se proprio non puoi farne a meno. Ma ricordati che l’amore è un’arma a doppio taglio.”
Non avrebbe sopportato di perdere Seraphina.
Ancor meno, avrebbe voluto vederla triste a causa sua.
Per questo la chiamava Madamigella, per questo non si intratteneva per lungo tempo in sua compagnia. Le voleva bene come ad una sorella, tuttavia non poteva permettersi di desiderare nulla più.
Eppure, lei ora le stava chiedendo di farlo.
Gioì dentro di sé, pensando al significato di quel nome apparentemente scelto a caso. David, “amato, diletto”. Non credeva che Seraphina ne conoscesse l’origine, però non poté fare a meno di sentirsi insostituibile per quella ragazza.
Attendendo ancora un istante, tornò ad osservare la neve che, implacabile, solcava come lame il paesaggio dinnanzi a lui.
 
I tried carrying the weight of the world
But I only have two hands
Hope I get the chance to travel the world
But I don’t have any plans
 
“Beh, se dobbiamo fare discorsi ipotetici, bisogna partire dal principio.”
Niente più sorprese, oramai ella aveva compreso che in quella propizia notte, tutto fosse possibile. Fu invasa dalla felicità, dunque,  come mai le era capitato, al punto da arrossire lievemente.
Attese, così, di udire altro.
“Quindi, se mi chiamassi David, vivrei a Parigi con i miei familiari. Magari staremmo in una zona di campagna tranquilla e vivace.”
La fanciulla dai capelli di rugiada ridacchiò, incontrollabile.
“Come fa ad essere tranquilla, se è vivace?”
Egli s’imbronciò leggermente, ma tentò di mantenere un tono aulico.
“Basta che la gente sia allegra e che sappia divertirsi...”
“Allora farà baccano.”
“Non più del necessario.”
“E come fai a dirlo? Sei forse l’Imperatore di Francia?”
“Oh, uffi, è un’ipotesi, no? Facciamola più assurda possibile!”
Si era innervosito, il ragazzo. Odiava essere interrotto, perciò, per quanto avesse tentato di trattenersi, non poté evitare di lanciare un’occhiata torva all’amica. Quest’ultima, però, si coprì la bocca con la mano, tentando di celare un qualche segreto tra le sue candide dita. Non appena si guardarono negli occhi, però, scoppiò a ridere, rivelando così il suo tesoro nascosto.
“Degel, è troppo divertente far disciogliere la tua falsa aurea da irraggiungibile!”
Lui arrossì. Farfugliò qualcosa, ma in men che non si dica, si ritrovò anch’egli a ridere di gusto. Era come liberarsi da un peso, sentirsi finalmente libero da qualsiasi vincolo e catena. Poter essere se stessi con Seraphina, era davvero bello.
“E il tuo sogno, allora, qual è? Diventare sovrana del mondo?” la prese in giro lui.
Lei scosse il capo.
“Ah-ha, non te lo dico! Prima devi dirmi il tuo, non barare!”
Sebbene ancor più incuriosito, Degel si trattene dal supplicarla di dargli subito una risposta. Era pur sempre un uomo e, anche se era faticoso, avrebbe resistito. La prese come una prova, in cui avrebbe potuto dimostrare al maestro e a se stesso che non era per nulla influenzato dai sentimenti.
Si immerse, dunque, nella sua vita. Divenne, come gli attori che indossano maschere, un altra persona e, al tempo stesso, non negò il suo io più vero. Divenne David.
“Abito in una cascina rurale, piccola ma molto accogliente. I muri esterni sono marroncini e sporchi qua e là, ma è per via dell’autunno appena trascorso. D’estate è bellissima, sembra una perla da tanto splende, e il merito è di mia madre che la pulisce da cima a fondo. Il tetto è rosso, brillante, al punto tale che sembra di potersi scottare se lo si osserva troppo. All’interno c’è una piccola cucina, un piccolo ripostiglio, un minuscolo ingresso e poi c’è il salotto. Quello è davvero grande, enorme, perchè è lì che io e la mia famiglia passiamo la maggior parte del tempo. Mio padre legge o gioca con me, mentre mia madre cuce o rintoppa per l’ennesima volta i pantaloni che buco, giocando fuori, rotolandomi nell’erba. Ci sono poi quattro camere, una è per gli ospiti. Papà dice sempre che una casa non è degna di tale nome, se non può ospitare almeno un amico.”
Per tutto il tempo in cui parlò, Seraphina non fece altro che lasciarsi cullare dalla voce del suo amico. Era come se Degel la stesse tenendo per mano e la stesse guidando dolcemente in quel luogo inesistente. La ragazza percepì ogni cosa, ogni oggetto, e si meravigliò molto nel pensare che, ogni dettaglio citato dal ragazzo, le era familiare. Non che avesse mai visto una cascina in vita sua, ma ella credette fermamente che, se esisteva davvero un posto simile (e doveva per forza esistere da qualche parte), allora aveva quell’aspetto.
Non ebbe bisogno di domandare di che colore fossero le pareti o se David e la sua famiglia pranzassero in cucina o in salotto. Sapeva già che il colore delle pareti era quello dell’etere e che i pasti si svolgevano sempre, puntuali, alle 25 e 67. Era un luogo ben descritto, ma pur sempre fittizio, come gli unicorni alati e i draghi sputafuoco. E proprio per questo, era così bello credere che esistesse veramente.
Senza fermarsi un solo istante, Degel continuò il suo racconto.
“In quella casa, ci abito io assieme ai miei genitori. Mamma non lavora, si occupa della casa e dei suoi residenti (che lei paragona spesso ad una mandria di pecoroni buoni a nulla), mentre papà fa il fabbro... no! È un calzolaio! Sì, un calzolaio bravissimo.”
La fanciulla sorrise, visualizzando nella mente l’immagine di un amabile signore con i capelli scuri e folti, come la barba incolta che gli copre parte del volto, ma che possedeva gli stessi occhi color del ghiaccio, che lei amava con profondo affetto.
Allo stesso tempo, vide una donna, bella come un fiocco di neve etereo, che le sorrideva. Non seppe il perchè, ma credette che quella signora avesse donato al figlio tutta la sua bontà e la sua saggezza.
“Così risparmiate sulle scarpe.” sussurrò, con garbo, per non disturbare il racconto.
L’amico annuì.
“Siamo piuttosto poveri, ma non ci manca nulla. Prima cosa fra tutte, le scarpe!” confermò allegro il giovane “Ma papà non fa solo questo, lui è anche uno scrittore illustre.”
“Davvero?” domandò incantata la ragazza dai capelli argentei.
“Certo! Solo che, per ora, i soli a conoscere i suoi racconti, sono io e i miei fratelli, ai quali legge ogni sera un capitolo nuovo, prima di augurarci la buonanotte.”
“Fratelli?”
La voce di Seraphina si fece confusa, ma non meno affascinata, ed il suo cavaliere fu pronto a condurla verso nuove meraviglie.
“Non lo sai? Ho due fratelli: uno maggiore, che vive con la moglie ma che viene ogni giorno a trovarci, e uno più piccolo con cui divido la camera.”
Nemmeno il tempo di concludere tale pensiero che, lesto, un altro interrogativo venne posto dalle labbra frementi della giovane.
“Come si chiamano?”
Sorprendente, per velocità e certezza, fu la risposta.
“Il minore Unity, mentre il maggiore Krest.”
Ella si sentì il cuore riscaldato come da un abbraccio. Non credeva che un sogno potesse essere tanto bello, pur non appartenendole.
“Non mi sembrano nomi francesi.”
Degel fece spallucce.
“A mamma piacciono i nomi particolari, solo io sono stato graziato.”
“E io?”
Inaspettata e sincera, quella domanda ebbe il potere di destare, per un istante, il giovane. Senza che dovesse aggiungere nulla per ricevere chiarimenti, Seraphina precisò il suo cruccio.
“Ci sono anch’io, nella vita di David?”
Il ragazzo tacque.
L’artefice del suo destino sarebbe stato lui e lui soltanto, in quel frangente. Nessun dio o nemico l’avrebbe ostacolato né influenzato. Tale libertà, tuttavia, non fece che accrescere il suo timore. Il cammino che avrebbe intrapreso, avrebbe deciso chi sarebbe stato per Seraphina.
Avrebbe decretato se, almeno per lei, sarebbe stato un cavaliere o un uomo. Un essere superiore agli altri, privo di difetti ed emozioni, o un semplice, fragile mortale.
Osservò la dolce fanciulla che, a breve, sarebbe sbocciata in una donna forte e profumata come la primavera. I capelli di argentei, brillavano tra i riflessi scarlatti del fuoco. Era davvero bellissima, Degel non poteva pensare ad altro ogni volta che la ammirava da lontano. Ma ora, in quel frangente soltanto, erano vicini.
 
Wish that I could stay forever this young
Not afraid to close my eyes
Life’s a game made for everyone
And love is the prize
 
Chiuse gli occhi.
Il sogno doveva proseguire.
“C’è una donzelletta... una bimbetta, a dirla tutta, che David conosce, ma... non t’assomiglia per niente.”
Rabbrividendo, non certo per il freddo che la sua pelle percepiva a causa delle raffiche di vento, ma per la cupa sensazione che le aveva avvolto lo spirito, Seraphina inspirò profondamente. Si sarebbe dovuta aspettare un commento simile, eppure, il cuore non volle saperne di accettare con mestizia quel colpo sordo e profondo. Cominciò a sanguinare, a fare male quella ferita, ma fu un patire breve.
Degel aveva, finalmente, scelto chi voleva essere.
“Non è nobile, né tantomeno superiore a me per particolari doti, che meritino i miei eterni servigi, però le voglio bene e la rispetto. E credo che nella vita non troverei mai una persona da amare tanto, nemmeno se vivessi mille anni.”
Gli occhi della fanciulla si spalancarono per lo stupore.
Non volle credere a quelle parole, a quella gioia che le stava risalendo dal petto e che voleva esploderle in bocca, in un grido forte, sincero. Si asciugò svelta una lacrima, passandosi la manica del proprio soprabito sulla guancia.
“Uhm... ah sì? Che sciocco contadinotto.”
Il commento dell’amica fece ridacchiare il ragazzo, che mosse la sua mano, in cerca di un appoggio, un segno che gli facesse comprendere che quello che stava confessando, non appartenesse unicamente a lui.
“Già, proprio scemo...”
Cercò nel buio di quella grotta, di quella loro paura, di afferrare la mano della sua preziosa Madamigella. Fu un cercare lento, impacciato, ma non appena sfiorò la sua mano, sebbene la trovò fredda e tremante, la strinse con affetto.
“E cosa succede, dopo?”
Degel osservò la neve fendere il vento con meno forza, ma pur sempre con furia e desiderio di proseguire a lungo. Per questa sua gentilezza, tacitamente, il giovane ringraziò Regina Neve.
“Vuoi sapere se si sposano?” domandò, incerto ed imbarazzato.
Lei negò col capo, cercando di ricacciare indietro altre lacrime.
“Non solo, voglio sapere come si dichiarano... come si amano.”
Il giovane guardò allora il piccolo fuoco che aveva acceso, danzare dinnanzi a loro. Sembrava talmente caldo, da poter placare qualsiasi bufera, quando in realtà non riusciva nemmeno a riscaldare due ragazzini sperduti. Era una fiammella debole, come il loro amore, perchè di questo si trattava, ma poteva essere alimentato. Con sacrificio e tempo, forse, un giorno sarebbe riuscito a rischiarare anche le tenebre più profonde della vita e delle loro anime.
“Beh, non è per nulla facile. Tanto per cominciare, lei è talmente orgogliosa, che ci vorrebbe tutta la mia astuzia per conquistarla. Non c’ho mai pensato bene, però credo che la porterei a ballare, le dedicherei una mia poesia...”
“Che schifo di regalo.” tentò di sdrammatizzare Seraphina.
“Eh già, te l’ho detto che sono imbranato anche come David! Poi, però, una sera, per un qualche miracolo o, più probabilmente, una sua dolce concessione, ci saremmo avvicinati. Non tanto, non sarebbe successo nulla di ché, però... le avrei fatto capire quello che significava per me.”
La giovane non poté che trovare perfetta quella dichiarazione. Certo, un po’ infantile, molto, molto infantile... ma bella, come la semplicità di incontrarsi, in un mondo tanto vasto, e di volersi bene semplicemente perchè l’uno completa l’altra.
“E poi ci sposiamo e abbiamo tanti bambini.” concluse lui, con una preoccupante nota di solennità nella voce.
“COME?!”
L’urlo della ragazza spaventò il giovane che, sobbalzando, aprì gli occhi e fece svanire il suo sogno. Seraphina era rossa come un papavero appena sbocciato e si copriva le labbra con la mano destra. L’espressione basita di Degel le fece capire che, quest’ultimo, si riferiva a David e alla sua bimbetta. Si sentì terribilmente ingenua, soprattutto, perchè nella sua mente si era formata l’immagine meravigliosa di due bambini, dai capelli color smeraldo e gli occhi di sfavillante ametista.
Ancor più imbarazzata, ella farfugliò delle scuse, contornate di “Ah, già, l’altro te... non io e te, cioè, non io e te qui... stupido!”, che alla fine vennero cancellati da una semplice domanda posta dall’altro.
“Piaciuto?”
La fanciulla volse le sue iridi violacee in quelle dell’amico. Presto, però, fu costretta a distogliere lo sguardo.
“Potevi concluderlo un po’ più elegantemente, sei davvero un uomo sbrigativo, tu.” disse infatti, guardando le pareti spesse e ruvide della grotta.
Degel ridacchiò allegro, senza abbandonare la stretta che lo univa a lei.
“Non ho mai detto di essere un bravo narratore!”
La tempesta si placò in quel mentre.
Qualche fiocco di neve cadde ancora, impavido e solitario, ma il vento cessò di ululare la sua solitudine, e il paesaggio tornò a sorridere nel buio della notte. I due giovani, tuttavia, quasi non si accorsero di tale cambiamento.
“Sarebbe troppo azzardato chiederti un bacio?”
Degel sussultò e si sentì invaso da un fastidioso calore alle gote. Sebbene avesse sedici anni e non temesse nemico alcuno, le fanciulle rimanevano campo per lui inesplorato e misterioso. E molto, molto temuto, in particolare nei riguardi di una...
“Co-come?” fu la balbettante risposta, che fece arrossire a sua volta Seraphina.
“Dato che tu mi hai raccontato il tuo sogno, ora tocca a me, no? Vedere l’alba con te è un mio desiderio, certo, ma... mi piacerebbe di più sapere com’è baciare... e, siccome mi sei molto caro... e... ci conosciamo da tanto e... lascia perdere!”
Resasi conto di aver rovinato tutto, la ragazza si coprì il viso con le mani. Tutta quella confidenza, quei segreti svelati, ascoltati e custoditi, come tesori nella sua memoria, le sembravano lontani e sfumati. Con la sua impazienza, credette di aver rovinato ogni cosa.
Incredibilmente, Degel le parlò in tono serio, sebbene non si soffermò ad osservarla per un solo istante.
“Dovreste parlare con più decisione. Siete o non siete la futura Ambasciatrice di Bluegrad?”
Sentendosi improvvisamente sollevata e anche un tantino sciocca per il suo comportamento di poc’anzi, la fanciulla decise di tornare in sé. Non era il caso di abbandonarsi a infantili preoccupazioni o a pensieri frivoli. Aveva ormai compiuto diciott’anni, era diventata una donna. Poteva permettersi di essere se stessa con Degel. O, in certe occasioni, di essere la sua Madamigella.
“In tal caso, Madamigella Seraphina, futura Ambasciatrice di Bluegrad, nonché tua preziosa amica, ti ordina di darle... un bacio.”
Sebbene avesse parlato con voce forte e decisa, le ultime parole furono pronunciate con paura e vergogna. Era cresciuta, ma questo le fece capire che le sarebbe servito molto più tempo per maturare realmente. Come i fiori che sbocciano sugli alberi, per quanto belli, non sono realmente pronti, ma devono attendere il sopraggiungere di un calore maggiore per tramutarsi in frutti ed essere, così, gustati, ugualmente Seraphina avrebbe dovuto attendere la sua estate, prima di dirsi donna.
Si sentì emozionata come poche volte nella vita, quando udì l’amico sospirare e borbottare “Se me lo ordina in tono così perentorio”. Non vedeva l’ora di poter guardare per davvero gli occhi di Degel, di annegare nelle loro splendide profondità, ma temeva anche di potervisi annegare.
Attese e prese coraggio.
Finalmente, si guardarono.
Non un semplice sguardo complice, come quei tanti che li avevano accompagnati da bambini. Ricercavano qualcosa di diverso, un sentimento nuovo, ambito e temuto al tempo stesso, ma sopito in loro fin dal loro primo incontro. Non è mai facile parlare delle proprie emozioni, eppure quando ghiaccio e ametista si trovarono riflessi nei loro occhi, fu come se si fossero confessati interamente. Non un semplice flusso di parole e gesti, ma un più banale scambio di emozioni. Un fenomeno tanto semplice, quanto unico, che solo due anime affini possono comprendere e attuare. Fu come, in altri termini, se ognuno di loro avesse confidato, sebbene in un sussurro, i propri segreti più intimi.
Una porta si era aperta e un sentiero era ben visibile dinnanzi a loro.
Paure, sofferenze e dei erano lontani.
C’erano unicamente loro, forti e spavaldi nella loro speranza.
Sentirono i loro cuori battere all’unisono la stessa trepidante melodia, si soffermarono ad ammirare la vicinanza che i loro respiri avevano raggiunto. Ogni dettaglio sembrò rilevante e, al tempo stesso, insignificante.
In seguito, fu come scomparire.
Non c’erano più Seraphina e Degel, o forse c’erano, ma erano divenuti un’unica entità. Pensieri non esistevano, esitazioni erano svanite.
Sentirono il vento gracchiare, ma non lo udirono veramente.
Percepirono di essere cambiati e ne furono felici come pochi.
Avvertirono il calore delle labbra dell’altro, si scaldarono in quel breve contatto. Sembrò perfetto, sembrò magnifico, come un sogno.
Poi, la realtà tornò sovrana.
Di nuovo i loro occhi si trovarono, a metà strada tra i loro respiri, ma fu totalmente diverso. Come riemergere dall’acqua dopo una lunga apnea. Come scoprire che amare non era mai stato così semplice.
Seraphina pregò affinché potesse proseguire quel momento in eterno, ma Degel fu catturato dalla ragnatela dell’inesperienza e parlò.
“Ehm, com’è stato?”
Le sue parole destarono del tutto la ragazza dal suo idillio. Per tale ragione, replicò con tono irato e giocoso.
“Uhm... fammi trovare la parola più appropriata per descriverlo...”
Si zittì, portandosi l’indice alle labbra con fare pensoso.
Trafisse poi Degel con termini e sguardo aguzzi.
“Deludente.”
Il giovane arrossì e fissò il pavimento.
“Antipatica.” fu il meglio che riuscì a replicare.
Ridacchiando, la fanciulla sollevò il mento del giovane e le baciò teneramente. Unì semplicemente le sue labbra a quelle dell’altro, ma fu sufficiente a far restare il ragazzo come annichilito. Di nuovo quel calore, quella morbidezza che avvolgeva non solo la pelle, ma anche l’anima. Soddisfatta di tale risultato, la ragazza osservò l’esterno del loro rifugio. Improvvisamente, una nuova gioia la pervase.
“Ha smesso di nevicare!”
 
So wake me up when it’s all over
When I’m wiser and I’m older
All this time I was finding myself and I
Didn’t know I was lost
 
Più svelta di una tempesta, ella si gettò fuori, in tempo per ammirare i primi raggi del carro di Apollo illuminare il cielo stellato. Come correva, il dio, sembrava quasi che volesse affrettarsi a rimediare al caos creato il giorno precedente.
“Degel, l’alba! Ce l’abbiamo fatta! Hai realizzato il mio sogno!” esclamò eccitata la fanciulla, battendo le mani come a voler applaudire la Natura.
Arrancando goffamente, il giovane raggiunse l’amica.
Osservarono in tacita ammirazione quello spettacolo divino esibirsi in tutta la sua bellezza. Lentamente, eppure inesorabile, il Sole allungò le sue braccia per tutta la volta celeste, spazzando via le stelle, cancellando il buio e inghiottendo di luce e colori quella tela perduta.
Fu inconsciamente che lei parlò.
“È davvero bello.”
Degel annuì, pensando a quello spettacolo che, ogni giorno, si ripeteva, che gli uomini lo ammirassero o meno.
“Già.”
Lei tuttavia, scosse il capo.
“Il tuo sogno è bellissimo.”
Il giovane si concentrò su Seraphina, ma quest’ultima non distolse lo guardo dal cielo fino a quando la stella più brillante del firmamento non fece arrossire alcune nuvole. Si voltò di scatto, sorridendogli.
“Quasi quasi, te lo rubo!” confessò, facendogli una lieve linguaccia, l’ultima, prima di crescere e tornare ad essere la sua Madamigella.
Degel la precedette, lanciandosi di corsa verso il sentiero che, sebbene ricoperto di neve, ricordava alla perfezione, tante volte l’aveva percorso.
“Impossibile!” le urlò, mentre l’amica lo inseguì per non restare indietro.
Non era stato del tutto sincero, il giovane.
David era, certo, una parte di lui che avrebbe voluto realizzare, ma il ragazzo era ben conscio che, almeno in quella vita, gli sarebbe stato impossibile vivere così.
Il sogno di Degel, quello talmente inconfessabile, da non poterlo ammettere nemmeno a Madamigella Seraphina o a sorella Notte, era che sperava di sopravvivere alla Guerra Santa. Per riabbracciare l’amico Unity e per poter sposare Seraphina da uomo libero.
Perchè lei, era il suo sogno.
 
I didn’t know I was lost
I didn’t know I was lost
I didn’t know I was lost
I didn’t know




 
FINE
 
ANGOLO DELL’AUTRICE:
 
Salve, gente! ^^
Grazie infinite per aver letto tutta questa storia, mi auguro che vi abbia coinvolti almeno un poco. È stato davvero dura realizzarla, coi mille impegni che avevo (e che ho tutt’ora!), ma vederla terminata e pubblicata mi fa sentire soddisfatta.
Ho sempre apprezzato Seraphina e Degel e credo fermamente che siano una delle poche coppie canon della serie Lost Canvas, al pari di Eaco e Violate, Rhadamante e Pandora e Kardia e Sasha. Di fatto, mi piacciono talmente tanto, che ho già scritto anche una KardiaxSasha e progetto di fare anche le altre due coppiette (quando e come, rimarrà un mistero anche per me xD).
Tornando ai due protagonisti della mia fic, ho tentato di rendere al meglio non solo il loro rapporto (molto poco approfondito nel manga), quanto più di analizzare il personaggio di Seraphina. Ho come la sensazione che le sia stato lasciato troppo poco campo d’azione, troppe poche scene l’hanno ritratta e questo non ci ha permesso, a noi lettori, di comprenderla appieno. Perchè, a mio parere, ha moltissimo da raccontarci.
Questo mio pensiero, probabilmente, è dovuto ad un’inquadratura del Gaiden, che mostra Seraphina con un tenero e al contempo triste sorriso, che le orna le gote leggermente arrossate. Poi, subito dopo, il sorriso smagliante e falso: quello che mostra all’amico per incoraggiarlo e dirgli “Forza, credo in te!”.
Non so, ho come l’impressione che in quelle due vignette, ci sia tutto il mondo (silente) di Seraphina, con le sue paure e i suoi desideri.
Le parole in corsivo sono della canzone “Wake me up” di Avicii ed è cantata da Aloe Blacc. Inizialmente, non doveva esserci, ma proprio prima di postare la storia ho canticchiato questo ritornello e, immediatamente, ho pensato che si adattasse perfettamente alla mia fic. Voi che ne dite?
La fic, in ogni caso, è nata solo e unicamente per far felice la mia amica MaikoxMilo, che mi ha raccontato della sua tristezza nel constatare che, nel fandom di Saint Seiya, c’erano ben poche SeraphinaxDegel. Mi ha riferito che qualcuno, addirittura!, scredita tale coppia, perchè Seraphina è più grande di Degel.
Ora, ragazzi, avrà sì e no due anni in più di Degel, non è mica una vecchia! xD
Oltre a ciò, ma siete ciechi??? È ovvio che il loro è amore!!! *fine delle urla da fan sfegatata*
Anyway, dopo le mie urla (ma perchè devo alzare la voce anche nei miei angolini?) vi mando tanti bacioni e di nuovo grazie!!
Lasciatemi una recensione, se vi va, mi farebbe molto piacere! ^^

Moni =)

P.S.: Per chi non masticasse bene il francese, il titolo tradotto significa: “Sogni sussurrati in una notte di neve”.
   
 
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