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Autore: sailormoon81    11/03/2008    15 recensioni
Cosa succederebbe se mettessimo insieme una Odango depressa per un brutto voto a scuola e il numero uno della sua lista nera?One shot in riferimento al tema della Writing Community Frammenti dedicato all'Amore.Prima classificata al Concorso Rosa Shocking, indetto da LoLaPazza su EFP-Forum!
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Usagi/Bunny
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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Un amore tutto… mio

 

 

Una lacrima scende solitaria e dispettosa sul mio volto: oggi l’insegnante ha portato i compiti corretti, e l’esito è stato il solito. Lo so che non dovrei piangere per un brutto voto, ma è più forte di me: io ce la metto davvero tutta, ma sembra quasi che il mio cervello si rifiuti di collaborare.

Le mie amiche si sono offerte più e più volte di aiutarmi, eppure neanche con loro sono riuscita a ottenere oltre un misero quaranta.

Dopo questo ennesimo fallimento, pensavo mi avrebbero seriamente rimproverata, e invece si sono limitate a scrollare le spalle e sostenere che la prossima volta mi sarei dovuta impegnare di più.

Dopo scuola, mi sono scusata con loro dicendo di avere un tremendo mal di testa, e ho evitato la consueta sosta al Crown. Devono avermi creduta, perché di solito non rinuncio mai alla mia dose di zuccheri quotidiana…

Ora sono qui, seduta in questa vecchia panchina del parco, ad attendere qualcosa di indefinito. Mi andrebbe bene qualunque cosa, purché riuscisse a farmi stare meglio.

Guardo intorno a me i bambini correre felici sulle altalene, o le giovani mamme che portano a passeggio i loro figli, ancora troppo piccoli per poter essere lasciati liberi di correre da soli.

Ricordo com’era bello, anni prima, potermi divertire senza preoccuparmi dei voti scolastici, avendo solo il desiderio di una bella giornata di sole, da trascorrere all’aria aperta.

Un sorriso appare sul mio volto, anche se credo sia più simile a una smorfia malinconica.

“Ehi, Odango! Come mai non sei al Crown con le tue amiche? Motoki ti ha, finalmente, sbattuto fuori?”

Riconoscerei la sua voce tra mille.

Ci mancava solo l’essere più antipatico del pianeta per completare la giornata! Lui, Mamoru Chiba, nato solo per dar fastidio a me.

Sbuffo silenziosamente, non volendogli dare la soddisfazione di vedermi reagire alla sua provocazione.

Decido di ignorare la sua presenza accanto a me, e continuo a fissare i bambini che giocano.

Come se niente fosse, lui, l’odioso, prende posto accanto a me.

“Allora, Odango? Hai perso l’uso della parola? O ti sei dimenticata come si fa a parlare, dato che usi la bocca solo per mangiare?”

Sento gli occhi pizzicarmi, ma non posso piangere; non davanti a lui almeno!

Faccio un respiro profondo e mi volto a guardarlo dritto negli occhi.

“Punto primo: mi chiamo Usagi. U-sa-gi! Capito, stupido che non sei altro? Punto secondo: non sono affari tuoi quello che faccio durante le ore libere dallo studio. Posso anche aver deciso io di non andare da Motoki, oggi. Ci sono cose ben più importanti del cibo, sai?”

Credo di averlo lasciato senza parole con la mia ultima affermazione, ma ben gli sta.

Invece, scoppia a ridere di cuore, provocandomi un moto di irritazione ben più forte della tristezza di poco prima.

“Tu che sostieni ci siano cose più importanti di un gelato è più esilarante di una barzelletta. Odango, hai deciso di farmi morire dal ridere?”

Mi alzo, per nulla intenzionata a lasciarmi prendere in giro da lui. “Almeno riuscirei a liberare la Terra da un essere come te.”

“Cos’è?” continua lui, ignorando il mio, per niente gentile, commento. “Hai capito che stai diventando una balenottera e hai deciso di correre ai ripari?”

Non sono grassa, almeno non credo, eppure il commento al mio aspetto fisico mi ha fatto crollare.

“Stupido!” urlo, non riuscendo più a tenere sotto controllo le mie emozioni. “Non capisci niente. Possibile che nessuno di voi capisca niente?”

Stavolta non ride più, ma mi guarda inebetito, come se venissi da un altro pianeta.

Non cerco neanche più di trattenere le lacrime, e non mi importa che un giorno lui potrà usare questa situazione contro di me.

Voglio solo tornare a casa mia, e invece mi trovo, senza capire come, abbracciata al mio peggior nemico.

Inizio a singhiozzare come una bambina che è stata appena privata del suo giocattolo preferito, e avverto appena le sue mani sulla mia schiena.

Quelle carezze hanno un effetto calmante e, dopo un periodo di tempo che a me sembra un’eternità, finalmente mi separo da lui. Avverto su di me il suo sguardo indagatore, e lentamente ritorno a sedermi sul freddo metallo della panchina.

“Un brutto voto” confesso prima ancora che lui possa domandare qualcosa.

Inarca un sopracciglio, e credo non ritenga possibile che un’insufficienza abbia quest’effetto su di me.

“E cos’altro?” chiede infatti.

Mi guardo le mani, giocando leggermente con le unghie. “E basta” rispondo, senza esserne convinta. “Insomma, oggi ho preso un voto che definire pessimo è un complimento, e la sola cosa che hanno fatto le mie amiche è stato sospirare comprensive, dicendo che andrà meglio la prossima volta…”

Mi fermo e lo guardo, cercando di capire cosa gli frulli nella mente: quando è pensieroso come ora, con quelle piccole rughe sulla fronte corrucciata, sembra davvero carino, ma dentro di me temo che il suo prossimo commento sarà un ennesimo insulto verso di me.

“Lascia stare” commento infine, stanca di aspettare una sua parola riguardo il mio problema. “tanto lo sapevo che non avresti potuto capire.”

“Ma, esattamente, cos’è che ti disturba?”

La sua domanda mi coglie impreparata: certo, un’insufficienza a scuola è diventata un’abitudine per me, e non mi ha mai sconvolta come oggi; la verità, e solo ora me ne rendo conto, è che per tutti sembra che io non possa fare nulla per migliorare…

Non esterno questa mia conclusione con Mamoru: potrebbe davvero prendermi per folle!

“Secondo me, non vogliono pressarti, ma sanno comunque tu riuscirai a farcela da sola, prima o poi” commenta semplicemente, e mi domando se abbia una qualche facoltà telepatica.

“È da sciocchi, vero?” sorrido pensierosa, decidendo di dire al mio peggior nemico esattamente ciò che penso. “È solo che oggi ho avuto la sensazione che loro sapessero da sempre che non potrò mai ottenere buoni risultati a scuola.”

“Non dire così” mi rimprovera. “Puoi ottenere tutto ciò che desideri, ma devi volerlo davvero…”

Sbuffo, contrariata al pensiero che anche Mamoru possa pensare che non mi impegni abbastanza nei compiti. “Ma guarda che io ce la metto tutta!” esclamo.

Ride, ma non la percepisco come una risata offensiva. “Magari non hai trovato il metodo giusto” commenta subito dopo. “O forse è l’insegnante che non ti sa dare le motivazioni per migliorare.”

Faccio spallucce, ripensando alle molteplici ore di studio a casa di Rei, e alle spiegazioni particolareggiate di Ami sulle equazioni di secondo grado.

Rimaniamo silenziosi qualche minuto, ognuno perso nei propri pensieri.

“Se ti dicessi che credo di poterti aiutare, accetteresti?” mi domanda, lasciandomi perplessa.

Pondero le sue parole: un’offerta di aiuto non si nega mai, ma se fosse solo una trappola? Se questa sua improvvisa e sospetta gentilezza fosse solo un trucco per trovare altre scuse per prendermi in giro?

In effetti, questa situazione ha del surreale: Mamoru Chiba ed io non siamo mai andati d’accordo, mentre ora siamo qui, seduti una accanto all’altro, a parlare tranquillamente dei fatti miei.

“Non saprei” ammetto, e mi pento quasi subito di quella risposta. Ora sicuramente ritirerà la sua offerta, e io rimarrò a piangermi addosso per tutto il resto dell’anno scolastico, se non oltre.

“Avanti, Odango” insiste invece. “Che cos’hai da perdere?”

Mi sorride, e mi accorgo che, quando non fa lo stupido, è davvero carino.

Sospiro, e prima che qualche altra cosa possa sfuggirmi dalle labbra, accetto il suo aiuto.

“Bene: ci vediamo domani dopo la scuola. Sai come raggiungere la biblioteca centrale, vero?”

Reprimo l’impulso di chiedere da quando i città ci sia una biblioteca e faccio segno di sì con la testa.

Alza una mano accennando a un saluto e mi lascia sola, ancora un po’ stordita per lo strano verso che ha preso la giornata.

Mi sento meglio, e anche se non lo voglio ammettere so che il merito è tutto di Mamoru; provo una bella sensazione di leggerezza e, con una nuova speranza in più verso il domani, me ne torno a casa.

 

*

 

Apro gli occhi prima del suono della sveglia e in pochissimi minuti raggiungo mia madre in cucina, intenta a preparare la colazione per tutti.

Quando si rende conto della mia presenza, è come se avesse visto un fantasma, interrompendo ciò che sta facendo e fissandomi con le mani ferme a mezz’aria.

“’Giorno, ma’” saluto e afferro una fetta di pane tostato dal piatto che regge in mano.

“Stai bene?” mi domanda, e si tranquillizza quando le sorrido e addento il mio toast.

Non faccio in tempo a inghiottire il primo boccone, che sulla porta compare papà: “Ikuko, cara: è davvero la nostra Usagi quella che vedo seduta a tavola?”

Ammetto che questi loro commenti un po’ di disturbano: va bene che non sono una figlia modello, ma perché ogni volta che faccio qualcosa di diverso ci si preoccupa per la mia salute? Non posso forse decidere di cambiare, una volta tanto?

Esattamente come ieri, reprimo l’impulso di sbuffare e torno a concentrarmi sulla colazione: non capita tutti i giorni di poter mangiare con tranquillità, prima di correre a scuola.

Bevo il mio succo d’arancia e, con calma, sistemo i piatti sporchi nel lavello.

Saluto i miei genitori, ancora increduli per aver trascorso una mattinata in santa pace, senza le mie urla di sottofondo, e mi preparo per uscire.

In effetti, non ho dormito molto, questa notte: ho riflettuto parecchio su quanto successo ieri, dal brutto voto alla proposta di Mamoru, e anche alle reazioni delle persone che amo…

Per la verità, la serenità con cui tutti hanno appreso della mia insufficienza mi ha demoralizzata e non poco: anche mamma e papà non hanno avuto altra reazione che scrollare le spalle, mentre mi sarei aspettata almeno un rimprovero; temo che anche loro pensino che non sia in grado di fare meglio…

E la cosa strana è che Mamoru Chiba, il mio acerrimo nemico, sembra essere la sola persona che crede in me e nelle mie capacità! Beh, magari anche lui cambierà idea, dopo oggi pomeriggio… Non mi stupirei più di tanto, nel caso accadesse.

Con una calma che non mi appartiene, mi incammino vero scuola, e per la prima volta riesco a scambiare qualche parola con i miei compagni prima della campanella!

Faccio finta di non notare i loro sguardi stralunati nel vedermi, e prendo posto accanto a Naru.

“Usagi, ti hanno forse buttata già dal letto oggi?”

“Naru, non ti ci mettere anche tu” sbuffo poggiando la testa sul banco.

Non voglio essere antipatica, ma non ce la faccio a sentire altre battute simili… proprio no.

“Scusa” mormora, portando una mano a sistemarsi i capelli scuri dietro l’orecchio, “è solo che non è da te arrivare presto. E poi, hai una faccia che assomiglia a quella degli zombie…”

Decido di tenere a freno la lingua e le sorrido: “In effetti, non ho dormito molto” spiego, “e così non è stato difficile alzarmi presto.”

Sembra soddisfatta della mia risposta, e per fortuna entra l’insegnante, dando così inizio alla mattinata di studio.

 

Le ore di lezione scorrono più lente del solito e accolgo la campanella dell’ultima ora come una liberazione.

Aspetto che anche Ami, Minako e Makoto siano pronte per uscire, anche se mi sento ancora seccata per i loro commenti di ieri, e una volta uscite in cortile prendo da parte Ami: in qualche modo dovrò pur arrivare alla biblioteca, no?

“Eh? Usagi, sei sicura di ciò che mi stai chiedendo?”

Sbuffo contrariata a questa sua domanda e non nascondo la mia irritazione. “Perché ti sembra strano che io voglia andare in biblioteca? Mi reputi davvero una stupida?”

Oddio! L’ho detto veramente! Non volevo essere così acida, ma è solo che mi sento decisamente stressata oggi…

Ami abbassa lo sguardo, mortificata, e vorrei abbracciarla per dire che non è colpa sua per il mio caratteraccio di oggi, ma subito lei mi sorride e, lentamente, inizia a spiegarmi come raggiungere la biblioteca.

La ringrazio e, con un cenno di saluto alle altre, mi incammino nella direzione indicatami.

“Per caso c’è qualche evento particolare in biblioteca?” domanda Ami alle altre due e, anche se sono di spalle, avverto i loro sguardi interrogativi puntati su di me.

Ma non ho tempo per fermare a spiegare tutto a loro: se non mi sbrigo, arriverò in ritardo, e devo concentrarmi assolutamente per non perdermi!

Attraverso il parco, invidiando i bambini che giocano e, ancora di più, le coppiette che passeggiano mano nella mano: quanto mi piacerebbe avere qualcuno con cui trascorrere le giornate, dopo la scuola… a parte le mie amiche, si intende.

Mi piace stare con loro, anche se a volte mi fanno arrabbiare con le loro battute; è solo che, a sedici anni, vorrei avere qualcun altro accanto a me.

Sogno da sempre come sarà il mio fidanzato ideale: deve esser pronto a tutto per difendermi, dolce, romantico e gentile, ma anche in grado di farsi rispettare, coraggioso, forte… insomma, un vero principe azzurro, come quello delle favole!

Sognando ad occhi aperti la mia futura vita con lui, eccomi arrivata di fronte l’edificio in mattoni rossi descrittomi da Ami.

Salgo i pochi scalini che mi separano dall’ingresso e seguo la lunga guida marrone sul pavimento, fino ad arrivare al bancone, dietro il quale alcuni impiegati lavorano al computer.

“Buon giorno!” saluto, rivolta a una signorina con gli occhialetti buffi. Beh, non è che siano proprio buffi: semplicemente, il taglio delle lenti, ovali e leggermente allungate verso l’alto, mi fanno pensare a una vecchia istitutrice di scuola privata, come quelle di una volta, che si vedono nei film, mentre lei sembra una ragazza poco più grande di me, e la sua espressione è gentile…

Senza dire una parola, mi guarda e mi consegna una scheda bianca, su cui annotare l’argomento della mia ricerca.

“Ehm, no” la richiamo, “veramente non mi serve un libro. Sto cercando un mio… amico” spiego, storcendo mentalmente il naso alla parola amico. Ma, dopotutto, come altro potrei definire Mamoru? “Dovevamo studiare insieme.”

“Capisco” dice, alzandosi dalla sedia e raggiungendomi dall’altro lato del bancone. “Puoi entrare in sala lettura, ma fa’ attenzione a non disturbare gli altri.”

Mi scorta fino a una porta in legno, alla nostra destra, e una volta dentro trattengo il fiato per l’immensità della stanza: è enorme, e le pareti sono tutte ricoperte di arazzi; i tavoli sono molto lunghi, con circa otto sedie disponibili attorno ad esso - escludendo i capotavola -, ma in ognuno sono sedute al massimo due persone. Attraverso lentamente il corridoio centrale, guardandomi a destra e a sinistra alla ricerca di Mamoru, ma di lui non sembra esserci traccia.

“Ehi, Mamoru?” chiamo a bassa voce, dubitando che possa sentirmi, nel caso fosse già arrivato.

Non ottenendo nessuna risposta, provo a chiamarlo di nuovo, stavolta un po’ più forte.

Come risposta, ottengo solo una serie di mormorii che mi invitano al silenzio.

Mi avvicino a ognuno dei presenti, cercando di vederli meglio in viso, e chiamo ancora una volta.

“Signorina, qua c’è qualcuno che sta cercando di leggere!” sbotta un tizio dall’altra parte della sala.

“Vogliamo fare silenzio?” dice un altro, e in pochi istanti sembra esserci una rivoluzione.

La signorina a cui avevo chiesto aiuto all’ingresso appare alla porta, sicuramente richiamata dalle urla che ormai invadono la stanza.

“Che diavolo succede?” domanda cercando di sovrastare il caos creatosi. “Le avevo chiesto di non fare confusione, mentre cercava il suo amico!”

“Mi… mi scusi” balbetto, “ma non riesco proprio a trovarlo, e così ho pensato che chiamandolo piano…”

“Piano?” Ehi! Ora mi fa anche il verso! “Ma se ha creato il finimondo, qua dentro!” Poi si rivolge ai presenti, domandando scusa per il disturbo e invitandoli a tornare alle loro occupazioni, che di me se ne sarebbe occupata lei personalmente.

Senza troppe cerimonie, mi afferra per il braccio e mi invita a seguirla fuori.

“Le sarei grata se volesse lasciare l’edificio…”

Eh? Accipicchia come è antipatica! A ben pensarci, quegli occhiali le stanno proprio bene!

“Odango!”

“Mamoru, sei in ritardo!” lo rimprovero, ignorando la signorina che, ancora, mi sta tenendo per il braccio. “Per colpa tua, mi stanno cacciando dalla biblioteca!”

Sembra confuso e guarda ora me ora la donna che ho accanto. “Non è possibile” dice e inizia a ridere. Sembra che si diverta un sacco, perché iniziano a scendergli anche le lacrime!

Sbuffo seccata per la situazione che si è venuta a creare, pensando seriamente di rifiutare il suo aiuto, quando lui si ricompone e, con uno sguardo quasi sensuale, che non gli avevo mai visto prima, si avvicina all’impiegata: “Potrebbe chiudere un occhio, per oggi? Sa, la ragazza ha qualche disturbo” e si tocca la testa… starà mica insinuando che sono pazza?! “Prometto che me ne occuperò io personalmente.”

Sento la presa attorno al braccio allentarsi. “Va bene, se me lo chiede così gentilmente… Ma cerchi di stare attento.”

Mamoru le sorride e, gentilmente, mi accompagna a un tavolo nella zona più isolata della stanza.

Mentre attraversiamo il corridoio avverto gli occhi di tutti puntati su di me, ma mi sento sicura ora che c’è Mamoru: è molto alto, e sono sicura che non permetterà a nessuno di dirmi qualcosa di troppo… o forse no?

Cominciamo subito a studiare, e stranamente non accenna all’episodio di poco fa. Meglio per me, no?

Trascorriamo oltre due ore a parlare di variabili, equazioni e sistemi, argomenti che stranamente sembrano attecchire nella mia mente.

Quando termino il secondo esercizio, senza errori, mi stiracchio sulla sedia e per poco non lo colpisco sul naso. Non mi ero accorta di esser tanto vicina a lui.

Arrossisco e torno a fissare le mie mani, mentre Mamoru corregge i compiti.

“Bene, Odango” commenta infine, richiudendo il quaderno, “sembra che, dopotutto, ci sia ancora speranza, per te.”

Mi sorride e sembra davvero orgoglioso di quanto ho fatto oggi.

“Grazie a te.”

Sospira, e sembra sul punto di dire qualcosa, ma poi cambia idea, limitandosi a chiudere i libri e ad alzarsi dalla sedia.

“Vieni: ti accompagno a casa.”

Usciamo in strada, e mi meraviglio di come si sia fatto tardi.

Provo a defilarmi dal dover stare ancora in sua compagnia, benché devo ammettere che non è stato il disastro che credevo, ma lui è molto più cocciuto di me: “Non è il caso che te ne torni a casa da sola: è tardi, il sole è calato da un pezzo, e ormai ho deciso che ti accompagnerò a casa.”

Mi indica la sua macchina scura parcheggiata dall’altro lato della strada; una volta dentro, mette in modo e subito un delicato suono di pianoforte invade l’abitacolo.

“Bach” spiega. “Se non ti piace, possiamo cambiare.”

“No, va bene” rispondo, e in effetti è una melodia niente male. Mi rilasso e quasi mi addormento, cullata dal movimento dell’auto sulla strada.

Mamoru non dice una parola, e solo quando arriviamo sotto casa mi accorgo che non mi ha neanche chiesto l’indirizzo.

Scendo svogliatamente dalla macchina e ringrazio nuovamente per la sua disponibilità.

“È stato un piacere, Odango. Ci vediamo domani, al solito orario. E cerca di non farti cacciare un’altra volta dalla biblioteca!”

Non riesco neanche a rispondere a tono, che scoppia a ridere. Per tutta risposta, non mi resta che fargli una linguaccia e voltargli le spalle stizzita.

Prima di chiudere la porta dietro di me, do un’altra occhiata alla macchina e mi sembra quasi di vederlo sorridere in mia direzione. Parte e io resto impalata alla porta, osservando l’auto diventare sempre più piccola.

Entro in casa, dove mi aspetta mia madre e il suo interrogatorio su chi fosse quel bel giovanotto che mi ha accompagnata fin qui.

Rapidamente, le spiego che si tratta di un amico che si è offerto di aiutarmi a studiare e la aiuto a preparare la cena.

Un’altra giornata è conclusa, e tutto il malumore di questa mattina si è dissolto nel nulla.

Domani chiederò scusa alle mie amiche, e svelerò il mistero che mi ha spinta in biblioteca oggi.

Credo che, dopotutto, nessuno di loro creda che io sia una stupida, e mi vergogno per averlo anche solo pensato. Osservo ancora una volta il mio quaderno dei compiti, e sono contenta dei risultati ottenuti in un solo pomeriggio: se continuerò così, presto riuscirò a ottenere una media più alta, e non dovrò più temere i compiti in classe!

Sì, decisamente questa giornata è migliorata, e sono sicura che le prossime andranno sempre meglio!

 

*

 

È da più di due settimane che i pomeriggi li trascorro con Mamoru in biblioteca, e stranamente la cosa non mi pesa affatto.

Anzi, ho scoperto tante cose nuove su di lui, che non avrei mai neanche potuto immaginare: ad esempio, non sapevo che non avesse più i genitori. Mi sento triste per lui, ma nello stesso tempo lo ammiro: è riuscito a superare le difficoltà che la vita gli ha presentato, senza per questo sentirsi vittima degli eventi.

Certo, ora si spiega il suo carattere difficile, dato che ha dovuto lottare sempre contro tutto e tutti per farsi valere, e sono contenta di potergli stare vicino, anche se è solo per i compiti.

“Com’è andato l’appuntamento galante di ieri?” domanda Minako mentre, sedute al tavolino del Crown, beviamo i nostri frappé.

“Non era un appuntamento galante” rettifico, con indifferenza.

Neanche dieci giorni fa, le avrei certamente risposto in modo poco garbato, mentre ora tutto il nervoso che avevo sembra esser svanito nel nulla.

“Sì, sì. Secondo me la tua è solo una scusa per stare con lui.”

Lancio un’occhiata complice alla biondina di fronte a me, commentando semplicemente “E va bene. Mi hai scoperta: la verità è che io in matematica vado benissimo, e voglio solo stare un po’ di tempo sola con Mamoru, che amo alla follia, e almeno altre venti persone nella sala letture della biblioteca.”

Scoppiamo a ridere entrambe, anche se riconosco che la mia battuta non fosse un granché.

La nostra ilarità non contagia le altre amiche: Ami è troppo concentrata a leggere una dispensa di fisica, mentre Makoto sembra decisa a scovare l’ingrediente segreto della torta di noci, tanto da averne mangiate già due fette degustandole con un’attenzione quasi maniacale; dal canto suo, Rei è indaffarata nella preparazione di qualche altro braccialetto portafortuna da vendere al santuario. Ho sempre ammirato le sue doti artistiche e ammetto di essere un po’ invidiosa di lei.

In realtà, sono invidiosa di tutte le mie amiche: ognuna di loro sa fare qualcosa di particolare, chi con il cibo, chi con dei pezzi di stoffa, chi con la propria voce o intelligenza, mentre io non sono brava a fare niente di eccezionale…

“Ehi! Usagi? Sei ancora con noi?”

“Uh?” Makoto richiama la mia attenzione, e mi accorgo di essermi imbambolata a fissare Rei.

“Sicuramente sta dormendo a occhi aperti, come al solito” dice quest’ultima, ma il sorriso che le increspa la bocca mi fa intendere che non lo dice seriamente.

“Stavo chiedendo se anche oggi vedrai il tuo insegnante privato.”

Annuisco e guardo l’orologio: tra poco più di un’ora devo incontrarmi con lui per ripetere quanto fatto fino ad ora, anche se è sabato, e non ho molta voglia di studiare.

“Mi complimento con te, Usagi” fa Ami, visibilmente compiaciuta. “Finalmente ti stai impegnando nello studio, e sono certa che ti piacerà talmente tanto, questa sensazione di conoscenza, che non ne potrai più fare a meno.”

Dovrei dirle che, superato il prossimo compito in classe, la matematica potrà andare ad affogarsi a mare? Uhm, no: lasciamola illudersi un altro po’, anche perché poi partirebbe con la solita predica sull’utilità di farsi una cultura, e così via…

“Ragazze, devo salutarvi: il nemico mi aspetta” annuncio dopo circa mezz’ora, alzandomi dalla sedia e prendendo le mie cose. “Se sopravvivo, ci vediamo domani.”

Senza fretta percorro la strada che ormai è diventata familiare; arrivata in biblioteca, saluto i pochi impiegati del sabato pomeriggio e mi dirigo silenziosamente al solito tavolo. Mamoru mi sta già aspettando, e noto stranamente che non si è ancora spogliato del cappotto.

“Vedo che stai imparando a essere puntuale” sussurra quando mi vede.

Gli faccio la linguaccia, e prendo posto, fingendomi offesa, accanto a lui.

“Che ne dici se oggi bigiamo le ripetizioni e ci concediamo un pomeriggio di relax?”

“Eh?”

“Ma sì: stai andando molto bene, e possiamo permetterci un po’ di pausa.”

Che bello! Non sarò costretta a stare chiusa a studiare il sabato pomeriggio!

“Certo che mi va!” esclamo. Mi rialzo dalla sedia, rischiando di farla cadere, tanta è la foga che ho di uscire in strada, e afferrò Mamoru per il braccio, trascinandolo quasi di peso verso l’uscita.

Resto aggrappata a lui come un koala all’eucalipto anche dopo che siamo usciti, ma la cosa non sembra disturbarlo. In verità, non disturba neanche me…

“Tra l’altro” dice, una volta saliti in macchina, “c’è una mostra interessante da visitare…”

Oh, no! Ci sono cascata in pieno: fuori dalla biblioteca per chiuderci in un noiosissimo museo.

Sbuffo, ma lui sembra non accorgersene, e continua a guidare come se niente fosse.

“Eccoci arrivati” comunica dopo appena dieci minuti di tragitto.

Strano: non siamo al museo, ma di fronte a uno dei più antichi edifici della città.

Mi lascio guidare da Mamoru fino al piano della mostra, e faccio di tutto per far trapelare il mio risentimento per la trappola che mi ha tesa l’essere più antipatico del pianeta.

Accidenti! Vorrei prendermi a schiaffi per essermi lasciata fregare come una poppante!

Sento che tra un po’ inizio a piangere per la mia stupidità.

A capo chino supero la porta d’ingresso e, annoiata, inizio a guardarmi intorno…

Oddio! Sono morta e sono in paradiso!

Sento sì gli occhi pizzicarmi, ma non per rabbia o frustrazione: attorno a me, ci sono moltissimi stand dedicati alla storia della cioccolata, con possibilità di assaggi gratuiti di tutti i gusti possibili del favoloso dolce!

“Mamoru, possiamo davvero…?” balbetto, facendo vagare lo sguardo da una parte all’altra dell’immensa sala.

Ride della mia confusione, ma in questo momento gli permetterei qualunque cosa senza batter ciglio.

Assaggio tutto ciò che è commestibile, e non mi preoccupo del mal di pancia che dovrò sopportare per il resto della serata, e anche della notte: è tutto troppo buono, e non riesco a trattenermi.

“Cioccolato al peperoncino” leggo avvicinandomi a uno stand con un disegno di un vulcano in eruzione sullo sfondo.

“Fossi in te, non lo proverei.”

Scuoto la testa. “Ho detto che devo assaggiare tutto, e lo farò!”

Ringrazio la signora paffutella che mi porge un bon-bon nero e mi ficco il dolce in bocca.

“Brucia!” urlo immediatamente, e afferro il fazzoletto che Mamoru, piegato in due dalle risate, mi porge.

Andiamo al distributore dell’acqua e ne bevo tre bicchieri, riuscendo a placare la sensazione di fuoco che ho alla bocca.

“Potevi avvertirmi del pericolo, stupido che non sei altro!” inveisco, anche se so che lui ha provato a fermarmi.

Per tutta risposta, Mamoru mi prende per mano e continuiamo il nostro tour alla scoperta del cioccolato, fermandoci solo un minuto per acquistare un paio di gazzose con cui accompagnare la degustazione.

“Grazie della bella sorpresa” mormoro quando mi riaccompagna a casa.

“Te l’avevo detto che ci vuole un po’ di riposo, ogni tanto.”

Lo guardo e mi sembra di vederlo per la prima volta: è più rilassato del solito, quasi felice…

Mi sento leggermente in imbarazzo, perché è come se stesse terminando un appuntamento, e non un pomeriggio di studio.

Dopotutto, come altro si potrebbe chiamare un pomeriggio passato a mangiare cioccolata insieme, in uno degli edifici storici più belli della città?

Come ci si comporta, in questi casi? Devo uscire dall’auto rapidamente, permettendogli di tornare a casa? O forse sarebbe più educato rimanere a parlare un po’?

Se fosse un film, a quest’ora potrei invitarlo a salire a casa mia, offrirgli qualcosa e ringraziarlo per la bella giornata. Ma non è un film, e non so proprio cosa fare!

“Direi che ci vediamo lunedì, per riprendere con lo studio.”

Annuisco, e mi sento delusa per questa sua fretta di salutarci.

“Grazie ancora, Mamoru.”

Ecco, la giornata in sua compagnia è terminata, e vorrei poter fermare il tempo… Che mi prende? Io odio Mamoru; è il mio nemico numero uno. Eppure, questa giornata vorrei non finisse mai.

Mi faccio coraggio, e gli schiocco un bacio sulla guancia.

Da quando sono così audace?

Prima che possa rendermene conto, sento le sue labbra premere sulle mie.

Appena realizzo il contatto, mi stacco rapidamente dalla sua presa e lo guardo confusa. È stato il mio primo bacio, ma è successo troppo in fretta. Non volevo che succedesse così!

Sento gli occhi riempirsi di lacrime e scendo dalla macchina quasi correndo.

“Usagi!”

Non mi volto, e rientro in casa ignorando volutamente i suoi richiami.

Saluto i miei, scusandomi per il ritardo, e mi chiudo in camera mia, adducendo a un leggero mal di stomaco come scusa per la mia inappetenza. Perché mi ha baciata? E perché io non l’ho preso a schiaffi, ma sono solo corsa in casa?

Mi affaccio alla finestra della camera e vedo la sua auto ferma ancora dall’altro lato della strada.

Riesco a immaginarlo seduto al posto di guida, mentre fissa il vuoto davanti a sé.

Vorrei perdonarlo per il bacio che mi ha rubato, ma non ci riesco: il mio primo bacio avrebbe dovuto essere molto più dolce, magari con una bella musica di sottofondo, in un posto speciale, in modo da potermelo ricordare per sempre. Non in una macchina. E non da Mamoru!

Con rabbia rimetto le tende al loro posto e spengo la luce.

Mi ficco sotto le coperte, cercando con tutta me stessa di non pensare a lui, finché il sonno non mi sorprende.

 

*

 

Finalmente è lunedì.

Mi sento letteralmente a pezzi: ieri è stata una giornata tremenda, tra il terzo grado di mia mamma su dove ho trascorso il pomeriggio di sabato, e l’irritazione per quanto accaduto con Mamoru.

Già: Mamoru.

Oggi dobbiamo ricominciare a studiare insieme…

Accidenti! Vorrei non doverlo vedere così presto, ma non posso fare altrimenti.

“Cosa c’è, Usagi? È da ieri che sei stranamente pensierosa” domanda Ami, scrutandomi attentamente.

Mi sforzo di sorridere. “Niente, davvero. Sono solo un po’ stanca…”

“Non hai dormito bene per caso?” fa eco Minako. “Hai un brutto segno scuro sotto gli occhi: assomigli alla protagonista de La notte degli zombie…”

“Grazie, Minako: tu si che sai come far sentire meglio una persona.”

Le ore di lezione mi sembrano più lunghe del solito, ma per fortuna arrivo sana e salva al termine della scuola.

Potrei tirare un sospiro di sollievo, se non fosse che mi aspettano altre due ore se non oltre in compagnia di Mamoru…

Saluto tutti e mi incammino, con estrema lentezza, verso la biblioteca.

Mamoru ancora non c’è, ma so che spunterà da un momento all’altro.

Inizio a scarabocchiare qualcosa sul quaderno, quando arriva.

Mi saluta come se nulla fosse successo, ma io non riesco a buttarmi tutto alle spalle, e per il resto del pomeriggio me ne sto a debita distanza.

Sono distratta, e questo si nota anche negli esercizi che svolgo: commetto un errore dietro l’altro, anche dei più elementari, col risultato di sonori rimproveri da parte di Mamoru.

Che ci posso fare io, se non riesco a concentrarmi?

“Se continui così, Usagi, credo che non potrò far nulla per aiutarti. Stiamo solo perdendo tempo.”

Che cosa? Mi vuole piantare così?

“Scusa” mormoro, anche se non ho niente di cui scusarmi.

“Dannazione, Usagi! Non devi chiedere scusa a me. Non è per me che studi, ma per te stessa.”

Mi sembra di sentire Ami e la sua solita ramanzina.

“Non mi hai lasciata finire; dicevo: scusa se rubo il tuo tempo. Ma non ti preoccupare: possiamo rompere qua il nostro accordo. Dopotutto, lo sapevamo entrambi che non avrebbe funzionato…”

Raccolgo le mie cose e faccio per andarmene, ma risento afferrare per un braccio.

“Torna a sederti.”

“Ma se hai appena detto…”

“Non ho detto che non voglio aiutarti. Perciò, ricominciamo da dove eravamo rimasti.”

 

*

 

Non mi piace studiare in questo modo: avverto troppa tensione tra noi due, e per questo invece di andare avanti, peggioro ogni giorno che passa.

Mamoru non mi è neanche di grande aiuto, e da una settimana a questa parte sembra quasi che non gli interessi neanche molto di me.

Io vorrei poter ricominciare tutto da capo, come se l’episodio della settimana scorsa non fosse successo, ma prima vorrei che ammettesse di aver commesso una stupidaggine!

Tra l’altro, vorrei anche capire perché mi ha baciata: non sono il suo tipo, e lui di certo non è il mio, con la sua aria arrogante e presuntuosa…

Eppure, lo vedo cambiato. È più serio del solito, e mi parla con una freddezza che non aveva mai avuto nei miei riguardi, neanche prima del nostro accordo…

Come mi piacerebbe poter tornare indietro nel tempo e cancellare quella giornata trascorsa a mangiare cioccolata insieme!

“Lui ti piace” commenta Makoto mettendomi davanti un piatto pieno di biscotti allo zenzero.

“Non è vero.”

Inarca un sopracciglio, per niente convinta dalla mia risposta. “E allora perché sei qui da oltre un’ora e non sei al Crown a bere il tuo frappé preferito?”

“Che c’entra il Crown adesso?” domando, sapendo già la risposta: anche Mamoru frequenta il locale, di tanto in tanto, e non mi va di doverlo incontrare più del necessario.

Un sospiro indolente mi esce dalle labbra. “Dici che dovrei chiarire la situazione, vero?”

“Lui non ha fatto niente di male, Usagi. Ha semplicemente esternato un suo sentimento per te. Non dovresti essere tanto dura…”

Annuisco, afferrando un altro biscotto. In effetti, non ha torto: da una settimana non vado più a trovare Motoki, col risultato che a turno una delle mie amiche mi deve sopportare a casa sua ogni giorno, prima dei miei appuntamenti con Mamoru.

“Si è fatto tardi, Mako-chan. Devo proprio andare…”

Arrivo in biblioteca e noto già Mamoru è al tavolo.

“Scusa il ritardo” mormoro, e tiro fuori dalla borsa i quaderni e il libro per cominciare a studiare.

“Dobbiamo parlare, Usagi.”

“Vuoi dirmi che possiamo non vederci più?” domando, e la mia voce si incrina impercettibilmente. Speriamo non se ne sia accorto…

“No. Volevo scusarmi con te per… per quanto accaduto sabato scorso.”

“Mamoru…”

Alza la mano per interrompermi. “Sono stato un egoista, e non ho pensato che, agendo d’impulso come ho fatto, avrei ferito i tuoi sentimenti. Scusami. Non accadrà più un simile episodio.”

“Ok.”

Sospira e serra per un istante gli occhi. Poi torna a fissarmi. “Che ne dici se oggi proviamo con qualcosa di nuovo? Se ci fossilizziamo sui soliti argomenti, non andremo mai avanti…”

Beh, sembra che tutto sommato non sia tanto stupido: ammettere i propri errori è un buon segno.

Però c’è qualcosa che non mi piace delle sue scuse: ha detto chiaro che un episodio come quello dell’altra sera non si ripeterà. Ma… se io non volessi una simile promessa?

Basta, Usagi! Concentrati!

Devo decidere cosa voglio, e in questo momento è più urgente riuscire a superare il compito della prossima settimana!

 

*

 

Oggi finalmente potrò vedere i frutti del mio impegno, e sono decisa a fare tutto ciò che è in mio potere per non fallire!

Abbiamo due ore di tempo per completare il compito, ma temo che non mi siano sufficienti: ho una tale confusione in testa, e tutti i numeri si confondono tra loro, tanto che non so neanche da dove cominciare.

Poi mi tornano in mente le parole di Mamoru: “Chiudi gli occhi, respira profondamente, e focalizza la tua attenzione su un solo esercizio alla volta”.

Faccio come mi ha suggerito lui, e improvvisamente i numeri tornano al loro posto, permettendomi di iniziare a lavorare.

Purtroppo le due ore terminano prima che io possa concludere il compito, e mi sento talmente demoralizzata che potrei far paura persino ai fantasmi, con la mia faccia…

“Avanti, Usagi: ce l’hai messa tutta, e sono certa che almeno la sufficienza l’hai raggiunta” cerca di consolarmi Ami, seguita dalle altre, ma è tutto inutile.

Stancamente, mi trascino fino al Crown, dove decido di affogare la mia disperazione un una mega-coppa di gelato, con panna e caramello.

Sono circondata dalle mie amiche, e ognuna di loro cerca di consolarmi come meglio può: Minako mi promette di farmi incontrare tutti i ragazzi più carini della scuola; Makoto dice che preparerà una carrellata di biscotti allo zenzero solo per me, e che quando aprirà una pasticceria tutta sua sarò la sua assaggiatrice ufficiale; Rei si offre di farmi tutti i bracciali e amuleti per la buona sorte che conosce; Ami continua a ripetermi che il compito era particolarmente ostico, e che anche lei ha dovuto faticare parecchio per portarlo a termine.

Sorrido dei loro tentativi, ma non riesco a sentirmi meglio.

“Grazie ragazze, ma credo che me ne andrò a casa e ficcherò la testa sotto il cuscino almeno per i prossimi mille anni.”

Mi spiace che si preoccupino per me, ma non riesco proprio a esser fiduciosa, oggi.

E come se non bastasse, ho deluso Mamoru. Credeva in me, e io l’ho deluso, così come ho deluso tutti gli altri…

Cammino a testa bassa, e senza volerlo eccomi giunta alla biblioteca.

Sorrido tristemente: ormai è diventata un’abitudine venire fin qui, dopo la scuola e la breve sosta al locale di Motoki. Solo che oggi non ci sarà la lezione con Mamoru, anzi temo che non ci rivedremo tanto spesso, più.

Accidenti, ora perché piango? Non è forse un bene essersi liberate di quell’essere antipatico che vive solo per darmi fastidio?

“Odango, finalmente sei arrivata.”

Non ci credo! Mi volto verso l’ingresso della biblioteca e mi trovo faccia a faccia con l’oggetto dei miei pensieri.

“Cosa c’è che non va?” domanda, avvicinandosi e asciugandomi le lacrime con la mano.

Dal giorno della promessa, siamo diventati quasi amici, e in questo momento ho bisogno di un quasi-amico con cui sfogarmi.

Andiamo insieme al parco, dove ha avuto inizio il nostro sodalizio, e gli racconto tutto, dalla buona volontà, alla voglia di non fallire, fino alla certezza matematica - che humor discutibile che ho, oggi - di aver combinato un disastro e il timore di averlo deluso.

“Se ce la metti tutta, io non posso fare altro che essere fiero di te.”

Lo dice con un’espressione che mi fa venire la pelle d’oca; rabbrividisco, e sento il braccio di Mamoru poggiarsi sulle mie spalle, come a volermi proteggere da un freddo che solo io sento.

Decido di potermi fidare di lui fino in fondo, ed esterno i miei timori di non essere niente di speciale in confronto alle mie amiche.

“Questo non è vero.”

“Ma non ho alcun talento! Tutte loro sono eccezionali in qualcosa, mentre io…”

“Tu sai amare, Usagi” e la sua risposta mi spiazza completamente. “Sai donare felicità senza chiedere niente in cambio; sei riuscita a farmi sorridere più di una volta, e senza neanche accorgertene hai regalato un po’ di colore alla mia vita, fino a ora sempre in bianco e nero. Tu sei speciale, Usagi. E, nella tua specialità, non te ne rendi conto.”

Non so cosa mi spinge a farmi leggermente più vicina a lui, se le sue parole, o il mio bisogno di un contatto più profondo con qualcuno. Fatto sta che gli afferro il viso e sfioro le sue labbra con le mie.

Il contatto tra noi dura pochi istanti e, col viso in fiamme, mi separo da lui, dandogli le spalle.

Mi vergogno da morire di questo mio atteggiamento, e temo che non vorrà più vedermi: prima faccio l’offesa perché mi ha baciata senza preavviso, e ora io ho fatto lo stesso con lui.

“Devo tornare a casa.”

Mi alzo dalla panchina senza provare a guardarlo negli occhi.

“Usagi…” mi chiama, e sento quasi una nota di supplica nella sua voce.

Mi giro leggermente verso di lui. “Ci… ci vediamo.”

Che cosa mi è preso? Sto perdendo completamente il lume della ragione, da quando frequento Mamoru; e, quel che è peggio, dopo questo nuovo episodio e relativa mia fuga, non vorrà più vedermi, mentre io vorrei poter stare sempre con lui…

Vorrei poter confessare i miei timori a qualcuno, ma non so chi possa fare al caso mio: Ami direbbe che per il ragazzi c’è tempo, Makoto sosterrebbe che a fidarsi troppo degli uomini si corre sempre il rischio di essere deluse, Minako proverebbe a convincermi a inserire il mio nome nella lista delle ragazze single più avvenenti della scuola, e Rei… beh, lei una volta è stata innamorata di Mamoru, e non me la sento proprio di parlarle delle mie pene d’amore…

Potrei provare a confidarmi con Naru, ma ultimamente l’ho trascurata parecchio, e non voglio fare la parte dell’opportunista, che la cerca solo quando ha bisogno di qualcosa.

Ritorno mestamente a casa e aiuto a preparare per la cena.

“Tesoro, non stai bene? Non hai quasi toccato cibo…”

Guardo mamma che, preoccupata, mi fa notare come non abbia smesso un solo minuto di giocare con le pietanza che ho nel piatto.

“Ikuko, lasciala stare: evidentemente ha mangiato qualcosa prima di tornare a casa” le fa papà, anche se credo non ne sia affatto convinto: infatti mi guarda di soppiatto, come a voler provare a leggere nella mia mente e scoprire perché non ho gradito la cena.

Scuoto vigorosamente il capo e mi concentro sulle polpette di riso. “Sto benissimo. E sono affamata!”

Mangio talmente in fretta che rischio più di una volta di strozzarmi, ma non mi va di subire un terzo grado dai miei genitori: sono già abbastanza confusa senza dover dare retta a nessuno…

Aiuto a sparecchiare, e non litigo neanche un po’ con Shingo su chi debba andare a buttare la spazzatura, comportandomi come la sorella maggiore e la figlia responsabile che non sono stata fino ad ora.

Rientro in casa e mi chiudo in camera, ma non riesco a evitare qualche domanda da parte di mamma.

“Usagi, se avessi qualche problema, me ne parleresti, vero?”

“Certo, mamma.”

“Si tratta del compito di oggi?”

“No, mamma.”

“Il tuo amico, Mamoru, è un bravo insegnante?”

Il solo nome di Mamoru mi fa battere forte il cuore, e ripensando al bacio di questo pomeriggio sento le gote in fiamme.

“Si, mamma.”

Devo ricompormi, altrimenti mamma non se ne andrà più dalla mia camera. Da quasi venti minuti passeggia per il corridoio, fermandosi davanti alla mia camera e a turno mi fa sempre le solite domande!

“Sono molto stanca, mamma. Tutto qua.”

Non sembra convinta, ma abbozza un sorriso ed esce, di nuovo, lasciandomi sola con i miei pensieri.

Prima che possa cambiare nuovamente idea, mi fiondo a chiudere la porta; mi cambio e mi infilo sotto le coperte.

Mi rigiro nel letto per gran parte della notte, e nella mia mente solo l’azzurro dei suoi occhi a farmi compagnia.

Ripenso alla giornata di oggi, e il cuore manca un battito: ha detto che sono speciale, che gli ho regalato il sole, e poi… poi le mie labbra hanno cercato le sue. Sfioro la bocca con dita tremanti, cercando di ricordare il sapore del bacio.

Il primo bacio aveva il sapore del limone, il secondo aveva il sapore delle sue labbra... che dopotutto lui sia un ragazzo speciale per me?*

Chiudo gli occhi e finalmente il sonno sembra avvolgermi.

Domani sarà un nuovo giorno, e prima di addormentarmi una preghiera sale spontanea alla mia bocca: “Mamoru, sei tu il mio principe…”

 

*

 

Tre giorni! Tre giorni senza avere sue notizie!

Ecco, lo sapevo che sarebbe finita così: ho fatto la figura della stupida, e ora lui non mi vorrà neanche più guardare in faccia!

Beh, neanch’io vorrei vedermi, in questo momento: sembro la caricatura di un fantasma, e a nulla servono i suggerimenti di Minako sul nascondere le occhiaie.

Anche se cerco di essere la solita Usagi, le mie amiche mi conoscono più di chiunque altro; cercando di tirarmi su il morale in tutti i modi, ma non sono molto d’aiuto.

“Usagi, pensa che oggi riavremo i compiti!”

Grazie, Ami, ma ne avrei fatto volentieri a meno…

“Sì, e so già come andrà a finire” borbotto, poggiando stancamente la testa sul banco.

Solo questo mi serve: un’altra insufficienza a sottolineare quanto non ne combini una giusta!

La professoressa entra subito prima del suono della campanella, e come previsto da Ami ha i compiti corretti.

Mi porgono il mio, e quasi non lo guardo nemmeno; poi, la curiosità di sapere quanto in basso sia riuscita ad andare prende il sopravvento.

Ecco, lo sapevo: un misero settantadue…

Un attimo. Stropiccio gli occhi e rileggo il voto. Settantadue.

“Non è possibile” sussurro, e sbatto le palpebre più e più volte. Sicuramente sto ancora dormendo; mi do un pizzicotto e il leggero dolore mi fa capire che sono sveglia, e che il settantadue scritto in rosso sul figlio non è un sogno.

Mamoru è riuscito a fare il miracolo!

“Yuppy!” esulto, ottenendo un’occhiata di rimprovero da parte della professoressa.

Ora il mio umore non è più completamente nero, anche se vorrei poter far vedere al mio principe il risultato ottenuto grazie a lui.

Già. Il mio principe… basta questo pensiero per farmi rattristare di nuovo.

Chissà se gi interessa ancora qualcosa di me, o se invece non vedeva l’ora di liberarsi dell’ottusa della sua allieva…

Le ore di lezione volano come foglie spazzate dal vento, e orgogliosa del mio compito di matematica, dopo l’ultima campanella, insieme alle mie amiche mi dirigo verso il Crown: si deve festeggiare!

Sono tutte contente per il mio risultato, e riesco anche a sopportare il sermone di Ami sull’importanza dello studio. Rei sembra quasi più soddisfatta di me, e per la prima volta la vedo bere un frappé al cioccolato: di solito prende solo un frullato di banana, e questo strappo alla regola la dice lunga…

“Aspetti qualcuno?” domanda Mako-chan quando, per l’ennesima volta, mi giro a controllare la porta d’ingresso del locale.

“No” ed è vero. Solo che mi immagino da un momento all’altro Mamoru entrare e cominciare a prendermi in giro per qualsiasi cosa voglia!

So che è sciocco sentirsi tristi per colpa di un ragazzo che nemmeno mi piace…

Usagi, ma chi vuoi prendere in giro? Lo sai benissimo che sei cotta di lui. Solo che lui non ti vuole, e si è capito anche molto chiaramente.

Avverto troppo l’ormai noto pizzicore agli occhi, e non riesco a trattenere le lacrime.

“Usagi, cosa succede?” domanda Rei, cingendomi le spalle con un braccio, prontamente imitata da Minako: “Amica mia, non fare così.”

“Dimmi chi è che ti fa piangere, e lo stendo a suon di pugni!” Makoto, la protettiva. Non mi dispiacerebbe mandarla da Mamoru… Il pensiero di lui che viene pestato dalla mia amica mi strappa un lieve sorriso, ma mi sento davvero troppo triste…

“Cerca di razionalizzare il tuo dolore, e lo supererai a poco a poco.”

“Ami, ma come si fa a razionare il dolore?”

“Razionalizzare, Mina-chan. Razionalizzare.”

Rimaniamo in silenzio per qualche altro minuto, giusto il tempo di smettere di singhiozzare, e poi ci salutiamo. Rifiuto le loro offerte di scortarmi fino a casa e prometto loro di non lasciarmi sopraffare dalla tristezza.

Appena arrivo a casa, sento la terra mancarmi sotto i piedi: ferma davanti al cancello c’è una macchina per me fin troppo nota, e appoggiata ad essa un ragazzo altrettanto familiare.

“Ma-Mamoru…” balbetto, avvicinandomi a lui. Non riesco a guardarlo negli occhi, perché temo possa vedere che ho pianto.

“Ciao, Usagi.” Sorride, e sembra impacciato, quasi più di me. “Come stai?”

“Bene.”

Si schiarisce la voce e poi domanda “Come è andato il compito?”

“Guarda tu stesso” rispondo con voce atona, porgendogli il foglio in cui il settantadue sembra spiccare come una luce nell’oscurità.

“Beh, complimenti.”

Annuisco. “Grazie a te.”

Tra di noi cala un silenzio imbarazzante che nessuno dei due sa come rompere.

Distrattamente si passa una mano tra i capelli corvini, e quel gesto lo fa apparire ancora più irresistibile ai miei occhi. Sospira e fa per aprire la portiera dell’auto. “Devo andare. Ero solo venuto per sapere se le nostre ripetizioni avevano dato i loro frutti.”

“Sì, beh… non posso lamentarmi. Grazie.”

Possibile che solo questo gli importava? E io che pensavo chissà che, quando l’ho visto!

“Allora, arrivederci Mamoru.” Gli volto le spalle e muovo i primi passi verso la porta di casa.

“Dannazione, Usagi!” Sbatte la portiera e il rumore improvviso mi fa sussultare.

Me lo ritrovo davanti e mi afferra le spalle con le mani. “Perché ti comporti così? Prima ti allontani, poi ti avvicini, per poi fuggire ancora!”

Che cosa? Ma gli è dato di volta il cervello? “Che cosa vuoi da me?” domando solo, e la mia voce non nasconde l’agitazione che sento dentro.

“Non lo so” ammette, e questa volta il tono è più calmo. Mi prende per mano invitandomi a seguirlo, cosa che faccio senza provare a opporre la minima resistenza.

Camminiamo lentamente e in silenzio, fino ad arrivare al parco. Siamo ancora mano nella mano, e mi rendo conto di quanto mi sia mancato questo contatto.

“Cosa vuoi da me, Mamoru?” domando nuovamente, questa volta con un filo di voce. “Io credevo di essere speciale, ma evidentemente non abbastanza per te…”

Lo vedo sorridere, e sono contenta che non sia più arrabbiato con me. Anche se non ho ancora capito per cosa avrebbe dovuto essere arrabbiato…

“Mi sei mancata” confessa.

Ci sediamo su una panchina, senza separare le nostre mani.

“Sei più importante di quanto potessi immaginare” continua, “solo che avevo paura di ammetterlo, persino a me stesso.”

Osservo il suo profilo e la tentazione di accarezzargli i volto è davvero tanta, ma ho paura della reazione che potrebbe avere.

“Quando sei fuggita, l’altro giorno, ho pensato di aver fatto qualcosa di sbagliato, e mi sono maledetto mille volte per non averti rincorsa. Ma ti ho pensata, e per quanto mi sforzassi non sono riuscito a stare ancora senza parlarti. Credo… credo di essermi innamorati di te, Usagi” mi guarda negli occhi, e mi sento avvampare. “E se son venuto da te, stasera, è perché voglio sapere se tu provi lo stesso per me.”

Possibile? Possibile che mi sia innamorata di lui, e che i miei sentimenti siano chiari a tutti tranne che a me? E, soprattutto, possibile che anche lui…?

Abbasso lo sguardo perché non voglio che legga la mia confusione. “Cosa ho fatto per farti innamorare di me? Io sono una semplice ragazzina pasticciona del liceo, e tu un promettente studente di medicina. Non abbiamo niente in comune.”

“La prima volta che ti ho vista eri con le tue amiche al tavolo del Crown: nell’incrociare il tuo sguardo ho provato una strana sensazione al petto, e ho capito che non avrei potuto lasciarti andare. Non mi ci è voluto molto per estorcere informazioni su di te a Motoki, e da allora ho fatto di tutto per finire sulla tua strada. A quanto pare, ci sono riuscito piuttosto bene” scherza, probabilmente nel ricordo dei numerosi litigi che ci hanno visti protagonisti nel corso dell’ultimo anno. “Poi, quando ti ho vista piangere al parco ho pensato che non avrei avuto altra occasione per farmi notare da te…”

“Così ti sei offerto di aiutarmi con la matematica…” concludo al suo posto, sentendomi lusingata da questa sua ammissione. Ma io? Quando ho capito di amarlo? Non lo so; forse lo amo anche io dalla prima volta che l’ho visto, e il principe azzurro che sogno tutte le notti è proprio lui, solo che non l’ho mai riconosciuto…

 “Dici che potremo avere una possibilità?” domanda, e posso notare una punta di apprensione nella sua voce.

È possibile morire di felicità? Perché credo che sta per succedere a me!

“Non lo so” dico, pensando però che potrei davvero lasciarci le penne, dopo questa dichiarazione! Ma voglio essere sicura che sia proprio lui il principe che cerco. “Prometti che mi amerai così, per quella che sono? Che non cercherai di farmi assomigliare a una ragazza tutta compita come quelle che si vedono in giro per l’università? Che… amerai me, e solo me, per sempre?”

Di’ di sì. Di’ di sì!

“Che domande!”

“Mamoru! Rispondimi!” supplico quasi, fissando i miei occhi nei suoi.

Per tutta risposta, mi prende il viso tra le mani e, avvicinando il suo volto al mio, a fior di labbra mi sussurra un semplice “Sì.”

Sorrido, e vorrei urlare dalla gioia, ma lui è più lesto di me, e suggella il nostro patto con un bacio, prima delicato, poi sempre più intenso.

Devo avere il viso rosso come un pomodoro maturo, ma non mi interessa. Mi stringo ancora di più a Mamoru, pregando che questo bel sogno possa non finire mai.

“Per sempre?” domando ancora al mio principe.

“Per sempre, sempre.”

 

 

* Kodomo no Omocha - Rossana



   
 
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