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Autore: GoneWithTheWind    05/09/2013    0 recensioni
Hermann Hesse diceva "Gran parte dei nostri sogni li viviamo con assai maggiore intensità della nostra esistenza da svegli." Iris, la protagonista di questa storia, non potrebbe essere più d'accordo di così. La sua vita è perfetta: ha una famiglia molto unita e molti amici di cui fidarsi, ma notte dopo notte, strani sogni ricorrenti e una strana frase non fanno altro che tormentarla. Quando verrà a conoscenza della sua vera natura e di un'antica quanto tormentata storia d'amore, sarà costretta a scegliere tra ciò che è e ciò che è destinata ad essere.
Tratto dal Capitolo II
" Le tre creature si riunirono in cerchio attorno all’assassino, lasciando avanzare quella che era sempre stata davanti a quest’ultimo; con una forza sovrumana, ella prese per il collo Horestes bruciandolo vivo: una fiamma nera incenerì il corpo e dell’uomo non vi fu più traccia.
“Επιστροφή, Τισιφονε, τον Όλυμπο, σας περιμένει”
Spero che questa storia possa piacervi e che possa sorprendervi capitolo dopo capitolo. Vi auguro buona lettura e spero che recensirete numerosi!
Genere: Introspettivo, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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                                                                                                    CAPITOLO II

Le onde scrosciavano violentemente sugli scogli, instancabili. Continuava a fissare il mare, come se cercasse di veder galleggiare qualche pezzo del corpo maciullato di suo fratello: finalmente se ne era liberato. Si guardò indietro rapidamente: gli era parso di aver sentito qualcosa, come una specie di calpestio fra le foglie. “Probabilmente sarà qualche animale” pensò l’uomo.

Diede uno sguardo alle mani sporche di sangue e alla sua tunica “Non potrei mai tornare al villaggio conciato in questo modo, devo trovare dell’acqua!” Si fece spazio tra i cespugli e guardingo si rimise in cammino su quel sentiero che divideva a metà quella fitta boscaglia: ormai il sole era già calato e avrebbe dovuto fare in fretta per evitare di destare sospetti e soprattutto per non restare intrappolato in quella foresta ricca di insidie.

Dopo aver percorso quasi due miglia, vide in lontananza un pozzo e vi si avvicinò correndo goffamente: aveva un brutto presentimento e la fretta ne era un’evidente manifestazione. Riempito il secchio fino all’orlo, versò dell’acqua sulla sua tunica e poi sulla sua faccia; di quelle macchie di sangue restò solo un alone marrone che si vedeva a malapena: era sufficiente, nessuno ci avrebbe mai fatto caso, soprattutto a notte fonda. Si sentì soddisfatto, quasi invincibile: nessuno avrebbe mai scoperto il suo segreto.

Gli scappò un ghigno, ma in quello stesso istante sentì lo stesso scalpiccio che aveva udito nella foresta: che qualcuno lo avesse seguito?

Si girò di scatto indietro, poi nuovamente avanti, a destra e poi a sinistra “Chi è là! Fatti avanti, ti ho sentito!”. Non ricevette alcuna risposta. L’uomo sentiva sempre più quella brutta sensazione e decise di darsela a gambe: se non si fosse fatto notare e avesse corso abbastanza velocemente, sarebbe riuscito a seminare il suo inseguitore.

Si sentì “salvo” solo quando arrivò al villaggio: ne attraversò buona parte e si fermò davanti ad un’abitazione che a prima vista sembrava abbandonata. L’uomo spalancò la porta e i suoi occhi furono costretti ad assistere ad uno spettacolo orripilante: i pezzi del cadavere maciullato di suo fratello erano sparsi per tutta la casa, topi che si avventavano sulla carne fresca, le pareti sporche di sangue. Quel senso di invincibilità che aveva provato poco prima, svanì del tutto: era totalmente bloccato davanti a quell’orrore. 

A un tratto, sentì che le forze lo stavano abbandonando: cadde sulle ginocchia e iniziò a pregare gli dei di perdonarlo.

“Figliolo, per Zeus, perché giaci immobile davanti all’uscio di casa?”. Una mano si posò sulla sua spalla e l’uomo si voltò istintivamente: era Costa, il vecchio pastore.
“Costa, guarda! E’ la punizione degli dei! Aiutami!” rispose l’uomo, spaventato e in preda alla pazzia.
Il vecchio pastore scrutò l’uomo stupito:” Di cosa stai parlando, Horestes? Quale punizione degli dei?”. L’uomo sembrava sempre più sconvolto, si mise le mani nei capelli e continuava a guardare pietrificato all’interno dell’abitazione: non sembrava capace di proferire parola, perciò, senza chiedere altro, il vecchio Costa fece capolino dalla porta. Si guardò attorno e non vide altro che pareti bianche, un pavimento di pietra lurido, un vecchio tavolo malconcio di legno scuro e due sedie.
“Horestes, io non so di cosa tu stia parlando ma qui all’interno non c’è proprio niente! Sarà forse perché hai bevuto un po’ troppo vino anche stasera?”. Gli diede una leggera gomitata, mettendo in mostra il suo sorriso sdentato. “Su forza, entra e riposati! Se ti sei ridotto così, dubito che domattina sarà un buon risveglio!” Costa gli prese un braccio e cercò di aiutare Horestes a sollevarsi, ma questi oppose resistenza, scaraventando il vecchio sulla strada. Aveva uno sguardo torvo e sul suo viso vi era un sorriso invasato.
“Horestes!” gridò il pastore con tutte le sue forze. “Cosa ti sta succedendo, per tutti gli dei dell’ Olimpo!”
“Hai visto troppo Costa! Non avresti mai dovuto impicciarti dei miei affari personali! Ti pentirai amaramente della tua eccessiva curiosità!” disse Horestes, con un sorriso sempre più malevolo.
“Ma di cosa parli?” il vecchio era in preda al panico “ All’interno di casa tua non c’era assolutamente nulla”
“Taci vecchio bastardo! Dici così solo perché hai paura di incontrare il tuo destino!” Horestes prese un’ascia poggiata vicino ad un ciocco di legno, pronto ad uccidere barbaramente quella che ormai era divenuta la sua seconda vittima.
“Horestes!” il vecchio iniziò a piangere disperatamente. Non aveva nulla con cui proteggersi, sapeva benissimo che il suo assassino sarebbe riuscito ad incalzarlo lo stesso. Per puro istinto di sopravvivenza raccolse della terra e gliela lanciò negli occhi, continuando a trascinarsi e gridando a squarciagola.
Horestes colpì Costa alla schiena, poi alle gambe, poi alle spalle e quando il vecchio crollò a terra dissanguato gli diede il colpo di grazia, mozzandogli la testa. Fu scosso da una strana sensazione: era soddisfazione mista a quella sensazione di invincibilità che aveva provato poco prima.  Scappò via, senza una meta.

Passarono diversi giorni vagabondando di villaggio in villaggio, Horestes era distrutto, la vita dell’assassino non era per nulla semplice, ma era sempre meglio che tornare al villaggio e pagare il misfatto con la pena di morte. Quella stessa notte, trovato rifugio in una grotta, accese un fuoco e dopo qualche minuto crollò. Uno strano rumore, simile a quello che aveva sentito nella foresta qualche giorno prima, lo destò dal suo sonno.
“Chi è là!” Si sarebbe aspettato un animale feroce, invece spuntò una donna. Aveva i capelli corvini, lunghi fino a metà schiena, gli occhi erano di un marrone intenso, la carnagione era molto chiara, quasi splendente, il fisico era snello e slanciato e portava una lunga tunica bianca.
“Oh miei dei!” fu l’unica cosa che riuscì a dire Horestes di fronte a tale bellezza.
La misteriosa donna iniziò ad avvicinarsi sempre più all’uomo e, arrivati faccia a faccia, il suo sguardo divenne così intenso che egli non riuscì più a sostenerlo, abbassando di conseguenza la testa.
“Dimoro in questa grotta da molto tempo ormai, sembrerà strano, ma anch’io preferisco questi luoghi così…solitari. Dovrete essere molto stanco e mi dispiace avervi destato dal vostro sonno.”. La voce della donna era molto suadente e riuscì a catturare ancor di più l’attenzione dell’uomo.
“Non vi scusate, dovrei farlo io piuttosto, dato che questa è la vostra dimora.” Rispose Horestes.
Fece per andarsene quando una stretta decisa lo trattenne. “Perché non restate qui con me, lì fuori è pieno di insidie e a quest’ora della notte le guardie potrebbero rendersi conto del fatto che siete fuggito.” Disse la misteriosa donna melliflua.

Per un attimo, Horestes non si rese conto della gravità della situazione: quella donna mai incontrata sapeva ciò che era successo prima del suo arrivo. La guardò di nuovo negli occhi: c’era qualcosa in quella donna bellissima quanto misteriosa che gli incuteva paura, un brutto presentimento. Fece nuovamente per andarsene ma la stretta divenne sempre più salda, quasi inumana; guardò nuovamente la donna “Lasciatemi andare” rispose cercando invano di trattenere la paura “ Sono certo che lì fuori non ci saranno poi così tanti pericoli: siamo in una zona molto isolata dal villaggio e le guardie non saranno di certo qui!”
“Horestes… credo che vi convenga restare.”
“Come fai a sapere il mio nome?”
“Chiamatelo intuito femminile se vi va…”
Sempre più spaventato, l’uomo rispose: “Non so come tu faccia a sapere il mio nome e per quale motivo io sia qui, ma le uniche cose di cui sono certo sono che questo non è intuito femminile e che non resterò un minuto in più in questa grotta.” Si liberò da quella presa così salda e fece nuovamente per andarsene quando qualcosa catturò la sua attenzione.

Gli occhi della donna iniziarono a cambiare colore, da quel marrone intenso a un arancione sempre più scuro e proprio al centro dell’occhio quattro piccole fiamme rosse attorniavano la pupilla. I suoi capelli iniziarono ad arricciarsi e ad assumere la forma di serpenti, due ali spuntarono dalla sua schiena e dalle sue mani uscirono due fiamme, che a poco a poco l’avvolsero fino al polso.
Horestes lanciò un grido di terrore e arretrò velocemente verso l’uscita della grotta, ma alle sue spalle ebbe la sensazione di sentire ancora versi di serpenti e quando si voltò ebbe una visione ancor più raccapricciante: altre due creature simili a quella donna misteriosa lo avevano immobilizzato prendendolo per le braccia, mentre la terza di avvicinava sempre più pericolosamente. Iniziò a piangere disperatamente, pregò gli dei e allo stesso tempo cercò di divincolarsi, ma quelle creature erano decisamente più forti di lui.
“Che cosa volete da me?” disse Horestes piangendo.
Quella donna che pochi secondi prima poteva far invidia ad una dea, era a pochi centimetri da Horestes : sembrava quasi che provasse la stessa sensazione di invincibilità che egli stesso aveva provato dopo aver ucciso suo fratello.

Iniziò a passare un dito infuocato dall’ombelico in su, fino ad arrivare al volto; superato il mento e il naso, arrivò agli occhi e con un gesto velocissimo glieli cavò. L’uomo urlò di dolore e i due mostri alle sue spalle risero in modo sempre più malvagio.

“Horestes, Horestes, Horestes… Noi non vogliamo nulla da te, dobbiamo solo riportare il giusto equilibrio. Prima tuo fratello, poi il pastore: pover’uomo, vero sorelle? Ucciso brutalmente a causa della pazzia di un povero stolto! Non pensavamo che fosse così facile indurti alla pazzia: se ci volessero sempre solo topi, sangue e un po’ di budella sparse qua e là…” disse la creatura ghignando.
L’uomo pianse sempre più disperatamente: ripensò ai crimini commessi, agli ultimi giorni di fughe, alle guardie che cercarono invano di catturarlo. Questi pensieri furono interrotti dalle frustate che gli stavano dando le altre due creature dietro di lui.
“Basta, vi prego! Uccidetemi!” urlò Horestes disperato.
“Oh sarebbe troppo facile, mio caro!” rispose una delle due alle sue spalle. “La pagherai cara! Certi crimini non possono restare impuniti! Ricorda ciò che tuo fratello ha fatto per te!”.
“Ti ha ospitato in casa sua alla morte di vostro padre” continuò l’altra dietro di lui “ Ha pagato per te molti dei tuoi debiti, ha provato a riabilitare il tuo nome nonostante la tua fama di ubriacone.”
La donna mostruosa dinanzi a lui continuò “ E’ per questo che tuo padre ha sempre preferito lui a te: sei un buono a nulla e la tua miserabile vita è finita!”.
“Lasciatemi! Oh potente Zeus, aiutami!” pregò terrorizzato Horestes.
“Taci! Pregare non ti servirà a niente e a proposito di cose che non servono a niente…” Con un colpo secco, una delle due creature alle sue spalle gli staccò la lingua di netto.

Improvvisamente, le due creature lasciarono le braccia dell’uomo e questi, disorientato per la perdita della vista e stordito per l’ingente quantitativo di sangue che stava perdendo, cadde a terra respirando a fatica. Le tre creature si riunirono in cerchio attorno all’assassino, lasciando avanzare quella che era sempre stata davanti a quest’ultimo; con una forza sovrumana, ella prese per il collo Horestes bruciandolo vivo: una fiamma nera incenerì il corpo e dell’uomo non vi fu più traccia.

Επιστροφή, Τισιφονε, τον Όλυμπο, σας περιμένει”
 
La prima cosa che Iris riuscì a vedere al suo risveglio furono i grandi occhi verdi di suo fratello Sergio: riuscì ad intravedere una grande preoccupazione nel suo sguardo.
“Ma… cosa ti prende Sergio?” chiese disorientata.
“Cosa mi prende? Sono le tre del mattino, hai lanciato un urlo disumano, ti contorcevi come un’ossessa, la tua pelle bruciava e dicevi cose senza senso! Mi hai fatto prendere un coccolone!” rispose Sergio ancora preoccupatissimo.
Dopo aver ripetuto mentalmente ciò che le aveva riferito suo fratello, si rese conto che era davvero bollente e che non era quella la cosa peggiore: quel calore era dovuto alla rabbia, la stessa che aveva provato il mattino precedente, solo amplificata.
Suo fratello, intanto, continuava a parlarle della reazione dei loro genitori e di Fabio, che da quanto aveva capito erano giù in cucina: la madre le stava preparando una camomilla, suo padre era andato a prendere un termometro e dei medicinali, mentre Fabio era indeciso se andare a letto e farsi altre tre belle ore di sonno, oppure assistere ai deliri notturni di sua sorella.
“Te lo giuro, mi hai spaventato a morte! Non sapevo che cosa fare: fortunatamente è durato meno di quanto credessi.” Disse Sergio.
Iris diede un’occhiata al comodino: c’erano un quadernetto e una penna… Ricordò immediatamente il consiglio di Davide.
“Sergio, calmati! Sto bene adesso e questo è l’importante. Ora voglio che tu mi dica esattamente nei dettagli che cos’è che ho detto e che ho fatto in quei sette minuti.”
Suo fratello contribuiva a renderla sempre più nervosa con quell’atteggiamento iper- protettivo, ma per un attimo s’immedesimò in lui e riuscì quasi a calmarsi.
“Beh, appena sono entrato in camera respiravi affannosamente e cercavi di strapparti le coperte di dosso, come se fossi in preda ad un gran caldo; mi sono seduto sul letto accanto a te e ti ho toccata per vedere se avevi la febbre e scottavi come se ce l’avessi a 42! Mi sono accostato per un attimo allo stipite della porta per vedere se papà avesse portato il termometro, quando inizi a farneticare qualcosa che nemmeno io riuscivo a capire. Non era per niente simile alle cretinate che dice Fabio nel sonno, era inquietante, somigliava ad un bisbiglio. Se non sbaglio hai detto qualcosa, tipo “sifone… ti-tisifone” e poi “be-pe… rima-rime... perimenéi, ecco!” rispose il fratello alquanto confuso.
“Non preoccuparti, però, scotti molto e probabilmente hai la febbre, capita di avere incubi del genere quando si è in questo stato…” Alzò gli occhi al cielo per un attimo e poi continuò sorridendole, quasi per confortarla “Non ti azzardare mai più a fare una cosa del genere, mi hai tolto dieci anni di flirt, partite, scherzi e roba simile!” Sergio scoppiò a ridere, facendo spuntare un sorrisino anche sulla bocca di sua sorella.

La porta si spalancò piano ed entrarono i genitori dei due ragazzi: sua madre si sedette accanto alla ragazza, le scostò i capelli dalla fronte e le fece una carezza.
“Come ti senti Iris? Ti ho portato una tazza fumante di camomilla. Sembri molto nervosa, che cos’hai sognato?” le chiese dolcemente sua madre, accarezzandole una guancia.
Iris abbassò lo sguardo, non sapeva cosa fare: se gliel’avesse detto l’avrebbe fatta preoccupare, se avesse taciuto l’avrebbe fatta preoccupare lo stesso.
Si mise a sedere “Nulla mamma, il solito sogno della ringhiera del palazzo della nonna.” Mentì sforzandosi di sorridere; sua madre sembrava che avesse abboccato e ne fu certa quando vide ricambiato il suo sorriso.
“Oh, amore” l’abbracciò premurosamente la donna “ questo sogno ti tormenta da quando avevi cinque anni! Non sarebbe ora di affrontare la paura delle altezze una volta per tutte?”
Iris afferrò la tazza di camomilla e iniziò a sorseggiarla con calma, non le era mai piaciuta, ma in quel momento le serviva qualcosa per calmarsi. “Devo trovare una soluzione!” pensò.

Stava per prendere il quaderno per annotare quella strana frase, quando anche suo padre si sedette accanto a lei e le infilò il termometro sotto al braccio.
“Papà non credo di averne bisogno, mi sento già molto meglio!” disse Iris alquanto stizzita.
“Iris, finiscila di fare storie. Scotti ancora molto e comunque è questione di cinque minuti!” replicò suo padre.
Dopo cinque interminabili minuti, suo padre estrasse il termometro e lo scrutò stupito.
“ Trentasei e mezzo! Ma non è possibile, tu scotti tantissimo!” esclamò l’uomo.
“Te l’avevo detto che stavo bene!” sbuffò Iris “Che ne dite di tornare a letto? Sto morendo di sonno e dal vostro aspetto non credo che abbiate riposato granché!”
“Per una volta hai ragione, piccola testarda che non sei altro.” Sorrise suo padre “Andiamo tutti a letto: domani ci aspetta un’altra giornata!”

Dopo averle augurato la buonanotte, i suoi genitori tornarono in camera, lasciandola nella quiete della sua stanza. La ragazza afferrò il quaderno e iniziò a scrivere quelle strane parole: “Tisifone… perimenei… che cosa significano queste parole? Deve essere per forza un’altra lingua, non sono solo farneticazioni notturne…” rifletteva la ragazza “Davide è l’unico che può saperlo. Sarà meglio che ci dorma su.” Appoggiato il quadernetto sul comodino e chiuso l’abat-jour, si addormentò, sperando che per quella notte non ci fossero altri incubi in serbo per lei.

Un raggio di sole entrò dalla grande finestra della sua stanza, illuminando di una luce arancione il volto di Iris. La ragazza, infastidita, si stropicciò gli occhi e guardò pigramente la sveglia: venti minuti alle otto. Prima controllò meglio l’orario, poi sgranò gli occhi sorpresa, cercò di prepararsi come meglio poteva, ma all’evidenza dei fatti tutto ciò che stava facendo era inutile: aveva perso il bus, i suoi erano già al lavoro, Fabio e Sergio erano già a scuola e lei doveva ancora prepararsi e fare colazione. Per tutta risposta, si buttò a peso morto sul letto, accoccolandosi nuovamente nelle coperte ancora calde: saltare un giorno di scuola non le avrebbe fatto poi così male!
Ciabattò qualche minuto dopo verso la cucina, si avvicinò al microonde e notò che su di esso c’era un post-it:

Non ti abbiamo svegliato perché sembravi molto stanca. Tua madre ti ha preparato la colazione e spero che sia ancora calda (sai che cosa succede quando i cornetti di tua madre si raffreddano!). Goditi questo giorno di libertà, ma non ti ci abituare troppo!
                                              Ti voglio bene, papà.


Iris non si aspettava un gesto simile da suo padre. Era un uomo di poche parole, dall’ordine maniacale, molto risoluto e incredibilmente orgoglioso e tra loro non c’era il tipico legame “padre affettuoso- figlia ubbidiente”. Per via del lavoro, passavano poco tempo insieme, ma nelle sue sempre più rare giornate libere e di domenica si divertivano molto a preparare il pranzo insieme e il più delle volte bisticciavano su cose banali, per esempio troppo sale nella pasta. Il pomeriggio guardavano i loro film preferiti sul divano, se invece era una bella giornata facevano una bella corsa oppure andavano al lago con tutta la famiglia. Era un uomo non troppo espansivo, il “ti voglio bene”, il “ti amo”, le coccole li usava poche volte e quando riceveva simili attenzioni il più delle volte arrossiva. Non voleva mostrare il lato più vulnerabile di sé e quelle rare volte in cui diceva ai suoi figli “Sono orgoglioso di te” era perché se lo sentiva dal profondo del cuore.

Iris conservò quel biglietto nella tasca del pigiama e tirò un sospiro di sollievo quando sentì che i cornetti erano ancora un po’ tiepidi. Si sedette a tavola e pensò a ciò che era accaduto quella notte: com’era possibile che avesse parlato un’altra lingua? E chi era quel tipo? I mostri erano certamente qualcosa che aveva già visto da qualche parte, ma chi era Horestes? Perché l’antica Grecia? Troppe domande, ma nessuna risposta e quella gliel’avrebbe dovuta dare Davide.

Mise la tazza nella lavastoviglie e salì al piano di sopra. Entrò in camera sua, accese lo stereo e mise una delle sue canzoni preferite, “Coffee and Tv” dei Blur, poi prese il quadernetto dei suoi disegni e si sedette sulla finestra. Il sole illuminava la città nel pieno del suo risveglio, gli alberi spogli erano scossi dal gelido vento di gennaio e la neve imbiancava i tetti delle case circostanti.

Nonostante quel panorama invernale, Iris non faceva altro che pensare a quelle mostruose creature, da donne simili a dee a mostri con capelli di serpente, quelle fiamme che avvolgevano le mani, quelle orribili torture che praticavano sui colpevoli. Perché quelle atroci torture? Come conoscevano ogni singolo dettaglio della vita di quell’Horestes?  

Improvvisamente, una folata di vento mosse le pagine del quadernetto di Iris, la quale scese dalla finestra per poi sedersi sul letto. Si rese conto di essersi talmente immersa nei suoi pensieri da non ricordare ciò che aveva disegnato, perciò riaprì quel quadernetto alla pagina del disegno e rimase sconcertata alla visione di quella stessa bellissima donna del suo sogno, trasformata in quell’orribile e sanguinaria creatura. Le tremavano copiosamente le mani “Devo chiamare Davide! Un momento, sono solo le dieci, dev’essere ancora a scuola…” si girò il telefono tra le mani e decise di mandargli un messaggio per avvisarlo che quel pomeriggio sarebbe passata da lui.

Le ore passarono molto lentamente e per un attimo le parve che il tempo fosse rallentato di colpo, ma quando scoccarono le cinque uscì per recarsi dal suo migliore amico. Il quartiere in cui abitava non era molto lontano da casa sua e le era sempre piaciuto molto, era ricco di viali alberati e sul davanzale di ogni casa c’erano sempre vasi colmi di fiori profumatissimi e molto colorati. Davide abitava alla fine della strada, di fronte al parco comunale, in un piccolo appartamento di un condominio di dieci piani. Iris bussò, salì le scale molto velocemente e, una volta arrivata al quarto piano suonò il campanello: una donna le sorrise e la invitò ad entrare, poi chiamò Davide urlando a gran voce.
“Ecco la mia Jennifer Love-Hewitt! Oggi te la sei presa libera, vero?” disse il ragazzo sorridendo maliziosamente
“Io non scherzerei poi così tanto…” disse Iris
“Non dirmi che è successo di nuovo!” esclamò Davide non troppo sorpreso. La ragazza annuì quasi rassegnata. “Okay: abbiamo molto di cui parlare!”
  
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