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Autore: Shainareth    13/03/2008    2 recensioni
[Mai HiME - anime] Mise via il temperino, aprì l’album da disegno e lo poggiò contro le ginocchia alzate al petto. Con la mano destra impugnò la matita e, dopo uno sguardo fuggevole in direzione del ragazzo che, poco distante da lei, era impegnato in un’allegra discussione con altri loro compagni di classe, tracciò la prima linea, leggera, morbida, sicura.
One-shot collegata alla precedente "Il sapore di un bacio", ma che tuttavia non ne implica necessariamente la lettura.
Genere: Romantico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Akira Okuzaki, Takumi Tokiha
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Ritratto di un'emozione

 

 

Mise via il temperino, aprì l’album da disegno e lo poggiò contro le ginocchia alzate al petto. Con la mano destra impugnò la matita e, dopo uno sguardo fuggevole in direzione del ragazzo che, poco distante da lei, era impegnato in un’allegra discussione con altri loro compagni di classe, tracciò la prima linea, leggera, morbida, sicura. Conosceva a memoria la figura che si apprestava a disegnare, e non solamente perché l’aveva notte e giorno davanti agli occhi, ma soprattutto perché non era la prima volta che la ritraeva; chi avesse sfogliato il suo album da disegno, infatti, vi avrebbe trovato molti altri schizzi di Tokiha Takumi realizzati con estrema bravura dalla sua compagna di stanza. Tuttavia, al momento nessuno aveva potuto ammirare quei disegni perché Okuzaki Akira teneva quell’album nascosto agli occhi di tutti, del suo ignaro modello anzitutto.

   I suoi sensi, ben allenati a percepire ogni minima presenza fin dalla più tenera età, l’avvertirono dell’avvicinarsi di due persone, due ragazze, che passarono proprio alle sue spalle. Akira strinse l’album al petto, in modo da nasconderlo, e attese che quelle, dopo un’occhiata nella sua direzione ed uno scambio di sussurrate battutine che indusse loro a ridacchiare e a scappar via, fossero ben distanti. Infine, la kunoichi sospirò, rassegnata, delusa, mortificata. Non sopportava di essere spiata in quel modo: benché fosse costretta a celare il proprio corpo sotto abiti maschili, Akira era una ragazza esattamente come loro, e pertanto, come loro, avvertiva il bisogno di lasciarsi andare a pensieri e fantasie che, se altri avessero saputo – in particolare suo padre –, di sicuro avrebbero disapprovato. Ma si può impedire ad una ragazzina di tredici anni di innamorarsi di un proprio compagno di classe? No, sarebbe una crudeltà. Così come lo sarebbe impedirle di sognare ad occhi aperti e toglierle la possibilità di confidare i propri più intimi segreti a quel fedele amico su cui schizzava quotidianamente dei semplici ma somigliantissimi ritratti di Takumi.

   Ma al di fuori di quest’ultimo, nessun altro al Fuuka Gakuen sapeva che l’ammiratissimo ed il corteggiatissimo Okuzaki Akira del primo anno delle medie era in realtà una graziosa fanciulla, il cui unico e solo conforto era quello di avere la consapevolezza che il suo compagno di stanza – Takumi, appunto – alla luce di tale verità, avesse cominciato a mostrare maggior delicatezza nei suoi riguardi; il che stava probabilmente a significare che adesso lui la guardava per quello che era, e cioè una ragazza.

   A quel pensiero, le labbra di Akira si curvarono all’insù ed il suo viso si tinse di una lieve sfumatura che la fece apparire come una bambina, gli occhi scuri che brillavano alla luce del sole in quella calda giornata di fine estate. Riprese a disegnare, ormai persa fra i suoi pensieri di adolescente innamorata, e la sua matita tracciò dolcemente la sagoma del viso del ragazzo. Tratteggiò all’interno di esso le linee guida per rispettare le proporzioni e le distanze, quindi passò ad abbozzare gli occhi, il naso, la bocca. Fu qui che si fermò, ricordando per un attimo di quel lungo bacio che lei gli aveva dato appena due settimane prima; a suo avviso non era stato nulla di particolarmente romantico, dal momento che aveva forzatamente unito le sue labbra a quelle di Takumi con l’unico scopo di fargli mandar giù delle medicine che il giovane non riusciva ad ingoiare perché in preda ad un attacco – Takumi soffriva di una malattia cardiaca, infatti. E se da una parte si vergognava per aver costretto l’amico a quel gesto così intimo, dall’altra sperava, anelava che un giorno…

   Alzò nuovamente lo sguardo timido per inquadrare l’amata figura del ragazzo, ed incrociò due occhi azzurri tremendamente, pericolosamente vicini al suo viso. «Akira-kun, cosa stai disegnando?»

   Un urlo si levò tutt’attorno al giardino nel quale Ishigami-sensei aveva radunato la classe per l’ora di disegno, ed entrambi i compagni di stanza, Akira e Takumi, sobbalzarono all’indietro spaventatissimi: l’una perché, stupidamente persa nei propri pensieri, non si era affatto accorta della vicinanza di lui; l’altro per via della reazione assolutamente inaspettata di lei. Un mortale silenzio calò nel giardino e molte paia d’occhi si volsero nella loro direzione, mentre Akira si portava entrambe le mani davanti alla bocca per via del ridico, femmineo urlo uscito a viva forza dalle viscere del proprio corpo. Cosa che, passando lei per un maschio, aveva ben ragione di suscitare parecchie risate da parte dei presenti.

   «A-Akira-kun…?» annaspò Takumi, una mano al cuore per la paura che gli venisse un attacco da un momento all’altro.

   «S… Stupido!» guaì la ragazza, rossa in volto per la derisione dei compagni. «Perché cavolo ti avvicini così senza avvertire?!»

   Lui si lasciò andare il petto e portò la mano alla nuca. «Scusa» mormorò, seriamente dispiaciuto. Il suo sguardo si posò sull’album da disegno che, nello spavento, l’amica aveva lanciato per aria. Lo raccolse e prima ancora di riuscire ad inquadrare la figura che Akira aveva iniziato a schizzare poc’anzi, questa glielo strappò dalle mani.

   «Non impicciarti delle mie cose!» lo redarguì, infuriata per via dell’imbarazzo.

   Takumi non se la prese e, anzi, le sorrise e si lasciò cadere seduto al suo fianco. «Scusa» ripeté quella che era ormai la risposta bell’e pronta per ogni volta che le faceva saltare la mosca al naso, pur senza volerlo. «E’ solo che i disegni che fai al club sono davvero bellissimi, per cui mi era venuta la curiosità di vedere anche quelli del tuo album.»

   «Questi sono personali» bofonchiò la ragazzina, lo sguardo basso.

   «Capisco.»

   «Tu non disegni?» domandò, cercando di riprendere un contegno naturale.

   «Non sono granché ispirato, oggi» fece spallucce lui. «Ti confesso che volevo vedere i tuoi lavori anche per questo motivo.»

   Akira non rispose. Tuttavia, dopo qualche attimo domandò: «Perché non provi con qualcosa che ti piace?»

   Gli occhi di Takumi furono calamitati nei suoi, mandando la ragazza nel panico più totale, tanto che ella perse la voce ed il suo corpo si paralizzò: perché quello sguardo?! Perché alle parole “qualcosa che ti piace”, Takumi si era girato verso di lei?!

   «Adoro fissare la natura,» fu invece la risposta che le costò un virtuale pugno allo stomaco, «ma oggi proprio non mi riesce di concentrarmi su qualcosa.»

   «Proprio per niente?» chiese lei, cercando stoicamente di incassare il colpo anche e soprattutto per rispetto verso i sentimenti dell’amico, del tutto ignaro della burrasca emotiva che riusciva a scatenare in lei ogni qual volta apriva bocca o agiva in una determinata maniera.

   Takumi scosse il capo. «Oltretutto vengo continuamente distratto dai discorsi degli altri» bofonchiò sottovoce, distogliendo lo sguardo.

   Akira lo fissò incuriosita per via di quella strana reazione. «Che tipo di discorsi?»

   Nonostante la riottosità iniziale, il giovane fu costretto a confessare un’imbarazzante verità. «Sai… riguardo le ragazze…» Lei alzò gli occhi al cielo, scosse il capo e sfogliò l’album da disegno per iniziare un nuovo schizzo, visto che non le era possibile continuare quello di poco prima per la presenza di Takumi. «Ricordi quel discorso che iniziarono in gita due giorni fa?» aggiunse questi, sbirciando nella direzione dell’amica.

   Akira s’irrigidì. «Ah-ah» mugugnò, impacciata almeno quanto lui.

   «Ecco…» riprese ancora il ragazzo, schiarendosi la voce. «Vorrebbero costringermi a rivelare l’identità di… ehm… della persona che ho baciato.»

   La mina della matita che la kunoichi aveva appena poggiato sulla pagina immacolata si spezzò, bucando irrimediabilmente il foglio. Akira masticò un’imprecazione.

   Lievemente allarmato per quella reazione, Takumi si affrettò a rassicurarla. «Ma io non glielo dirò, sta’ tranquilla!»

   «Anche perché non è stato granché» puntualizzò lei, stizzita e mortificata nella sua più intima femminilità, sorvolando sul fatto che rivelando di averla baciata, per il giovane Tokiha sarebbe stato come lasciar intendere di preferire gli uomini alle donne.

   L’amico la fissò silenziosamente stupito per qualche attimo, mentre la ragazzina riprendeva in mano il temperino e si accaniva sull’estremità della matita, levigando il legno per trarne nuovamente fuori la mina. Peccato solo che quando l’operazione fu portata a termine, un colpo secco della lama del temperino troncò di netto la grafite come fosse stata una testa – o, peggio, altro – ghigliottinata dal corpo.

   Al limite del masochismo, Takumi sorrise. «Mi pareva di averti detto che è stato un gesto molto dolce» ammise per la seconda volta in pochi giorni con estrema tenerezza nel tono della voce.

   «Ma dal sapore amaro» sottolineò Akira, che aveva ogni singola parola del giovane ben stampata in mente. «Takumi…» farfugliò impacciata la ragazza, dopo qualche attimo di assoluto silenzio. «Scusa, se ti ho costretto a…» e si bloccò per mancanza di coraggio.

   «Mi hai salvato la vita, con quel bacio» ribatté invece lui, serafico come sempre, senza curarsi di provocare uno scompenso cardiaco all’amica per via delle ultime due sillabe da lui appena pronunciate. «Se non fosse stato per te, sarei finito in ospedale, come minimo» continuò nella sua tranquilla spiegazione. «Anzi, a ben guardare non ti ho ancora ringraziato per averlo fatto» le sorrise ancora con tenerezza.

   Akira rimase muta, immobile, gli occhi fissi sulla punta rotta della matita ma che in realtà non vedevano nulla, le mani tremanti per l’emozione. Cercò di dominarsi per non lasciar intendere al proprio compagno di stanza la verità sui propri sentimenti, e strinse i pugni così di scatto che solo allora si ricordò di avere fra le mani un temperino. Imprecò una seconda volta, mentre alcune piccole gocce di sangue andavano a sporcare la pagina bucata dell’album da disegno che aveva sulle ginocchia.

   Takumi scattò verso di lei, le tolse delicatamente la lama dalle mani e portò le dita ferite dell’amica alle labbra per succhiarne via il sangue.

   Akira fu sul punto di morire lì, nel bel mezzo di uno dei giardini del Fuuka Gakuen, sul finire della terza ora scolastica di quel venerdì di metà settembre.

   Quando riprese vagamente coscienza di sé, Takumi le aveva già accuratamente avvolto la mano nel proprio fazzoletto pulito e gliela stringeva fra le sue per bloccare meglio l’emorragia. «E’ solo un taglietto, sta’ tranquilla» la rassicurò, incurante del fatto che, alle loro spalle, decine di ragazzine dagli ormoni impazziti tessevano lodi all’amore omosessuale in generale, e alla coppia formata da Tokiha-kun ed Okuzaki-kun, i ragazzi più belli delle scuole medie, in particolare – poco distanti, invece, i maschi della classe guardavano la scena in preda a crisi convulsive, accompagnate da pelle d’oca, occhi vacui, capelli dritti sulla testa ed espressioni non poco disgustate sui visi improvvisamente diventati pallidi.

   La campanella annunciò proprio in quel momento la fine della lezione con buona pace dei suddetti maschi e del cuore quasi collassato di Akira, la quale lentamente fece scivolare via la mano da quelle dell’amico. «E’… è ora di rientrare…» riuscì in qualche modo a tartagliare, seppur con una voce che – lo sentiva ma non poteva farci nulla – non le apparteneva neanche lontanamente. Takumi annuì, raccolse la sua roba e si alzò, precedendola di pochi passi non appena la vide rimettersi in piedi, seppur malferma nel suo avanzare verso l’edificio scolastico. Il viso stravolto dalle emozioni per quanto appena accaduto, Akira non riuscì quasi più a spiccicare parola per tutto il resto della giornata.

 

Verso le undici di sera, mentre poco prima di andare a dormire era intenta a preparare la borsa con i libri che le sarebbero serviti per il giorno successivo, i suoi occhi ritornarono sulla copertina dell’album da disegno. Lo aprì e lo sfogliò fino alla pagina bucata e sporca del suo sangue. Arrossì al ricordo delle parole di Takumi e del gesto da lui compiuto per curarle la ferita. Si guardò le dita ancora fasciate e sorrise: per qualche giorno non avrebbe potuto disegnare, ma quel foro di matita e quelle poche, sporadiche macchie scarlatte davano l’impressione di esser stati sistemati ad arte su quel foglio, dando così la perfetta idea delle sconvolgenti emozioni che le parole del suo compagno di stanza avevano suscitato nel suo tenero cuore innamorato.






Ancora una volta ci tengo a ringraziare Hinata_chan, AtlantisLux e NicoDevil per le loro recensioni alle precedenti fanfiction: Il sapore di un bacio e Voglia di cioccolata.
Sperando di riuscire a scrivere altre storie incentrate non solamente su questi due personaggi che amo da morire, mi auguro di cuore che tutti i lettori abbiano potuto trarre da questa one-shot un piacevole svago.
Shainareth



  
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