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Autore: Mel_mel98    08/09/2013    5 recensioni
L'avete mai sentita, quella canzone di Modena City Rumbles?
L'avete mai messa a tutto volume nelle orecchie durante una nottata particolarmente malinconica?
Vi siete mai soffermati a pensare esattamente a quelle parole?
“È in un giorno di pioggia che ti ho conosciuto...
… in un giorno di pioggia ho imparato ad amarti,
mi hai preso per mano portandomi via.”
Beh, io (pazza che non sono altra!) l'ho fatto.
Ed ecco a voi il risultato.
Dedicato a colui che condivide con me televisione, camera da letto e momenti di pura follia.
In ricordo di quel giorno veramente magico.
Genere: Fluff, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Kyoya Tategami
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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In un giorno di pioggia

 

 

È in un giorno di pioggia che ti ho conosciuta,

e il vento dell'ovest rideva gentile.

 

 

Guardava fuori dalla finestra.

La pioggia batteva forte sul vetro, quasi volesse sfondarlo.

Si divertiva ad osservare le gocce giocare tra loro scivolando sulla superficie liscia.

Seguiva col dito le forme che vi comparivano magicamente.

Erano ore che non apriva bocca.

Sembrava tranquillo, all'apparenza.

Ma in realtà aveva mille pensieri che gli vorticavano per la testa.

Forse troppi per la sua tenera età.

 

“Vieni, andiamo”

Sul vetro comparve riflessa la figura di un uomo sulla trentina.

“Andiamo dalla mamma?”- chiese e la sua voce non riuscì a celare la preoccupazione.

“Sì. Adesso possiamo andare da lei.”

Si infilarono il cappotto e uscirono, senza neanche prendere l'ombrello.

Entrambi erano decisamente su di giri.

E poi, a Kyoya era sempre piaciuta la sensazione della pioggia sulla pelle.

 

E così padre e figlio si diressero camminando verso l'ospedale.

Si stringevano la mano, rivelando con quel gesto tutte le loro paure.

“Ma... ma la mamma adesso sta bene?”

Fissava i sassi sul marciapiede muoversi al loro passaggio.

Si sentiva così strano.

Si fermarono. E guardando il volto del padre il bimbo trovò un sincero sorriso.

“Io sono sicuro che non è mai stata così bene in vita sua.”

Ricominciarono a camminare, questa volta un po' più velocemente.

E non si scambiarono più parola finché non intravidero la porta dell'ospedale.

 

Entrarono e fu come un tuffo in un mondo senza colori.

Bianco sulle pareti, sulle piastrelle e sulle porte delle stanze.

Bianchi erano i camici dei dottori e la scarpe degli infermieri.

Facevano eccezione solo i presenti nella sala d'aspetto.

Kyoya non aveva mai visto tante persone tutte insieme, neppure quando andava al supermercato la domenica mattina con la madre.

Uomini, donne, giovani e anziani.

Rimase fisso a guardarli camminare avanti e indietro, alzarsi e poi sedersi di nuovo.

“Vieni Kyoya, noi dobbiamo salire”- sentì dire al padre.

Lo seguì nell'ascensore che li portò al piano superiore.

 

 

REPARTO MATERINITÀ

Ecco cosa stava scritto sul cartello appeso alla parete che aveva di fronte.

Da oltre dieci minuti, il bambino si ripeteva mentalmente quelle due parole, di cui sinceramente non capiva il senso.

“Signor Tategami?”

La voce dell'infermiera lo riportò sulla Terra.

“Venga, da questa parte.”

Seguì suo padre per i larghi corridoi dell'ospedale. La donna indicò la camera numero 215, poi si congedò.

L'uomo entrò immediatamente dentro.

Aveva una voglia matta di riabbracciare la moglie.

Ma Kyoya sembrava esitante. Non sapeva cosa aspettarsi di preciso.

Si affacciò un poco, senza entrare dentro.

 

“Mamma...”- mormorò.

La donna voltò la testa e gli sorrise.

Gli fece segno con la mano di avvicinarsi.

Era stanca, ma felice. I suoi occhi brillavano di una luce nuova.

Kyoya si alzò in punta di piedi e le dette un bacio sulla guancia.

Lei ricambiò. Poi si allungò fino a sussurrargli nell'orecchio: “Va' in fondo al corridoio. C'è una sorpresa per te.”

Così uscì e dopo aver salutato il padre si diresse verso la cosiddetta “sorpresa”.

 

Si ritrovò davanti ad una stanza grande, con la porta a vetri.

Vi schiacciò il naso contro.

File e file di culle comparvero davanti ai suoi occhi.

Poi la porta si aprì dall'interno e lui si ritrasse.

“Ehi! E tu chi sei?”

Kyoya fece per andarsene, ma la voce lo richiamò: “No... Dove vai? Vieni qua piccolo!”

Si voltò e vide un'infermiera castana, con i capelli raccolti alla nuca.

Gli tese la mano.

“Vieni, non avere paura. Vieni ti faccio vedere una cosa.”

Non era tipo lui da farsi convincere facilmente.

Ma quella donna aveva una voce così melodiosa, che non seppe opporre resistenza.

Si lasciò guidare dentro la stanza.

“Dimmi un po'... Come ti chiami?”- gli chiese mentre passavano fra le culle.

Venne travolto da un'ondata di strilli, pianti e gemiti di ogni tipo.

“Kyoya. Kyoya Tategami.”- rispose dopo un po'.

Sul volto della donna comparve un sorriso.

 

Lo portò davanti ad una culla dove, per quello che riusciva a vedere, un piccolo fagotto rosa si muoveva da destra a sinistra.

La donna gli porse un piccolo sgabello.

Ci salì sopra e finalmente riuscì a vedere il contenuto di quel fagottino.

 

“Questa... questa è la mia sorpresa?”- non sembrava deluso, ma neanche entusiasta.

La verità è che forse aveva un po' di paura.

“Questa è Akane Tategami. Tua mamma è per caso ricoverata in questo ospedale?”

Il bimbo fece di sì con la testa.

“Bene, Kyoya: ti presento tua sorella”

 

Il piccolo essere avvolto nella coperta rosa si mosse, come se avesse capito di essere stato chiamato in discussione.

Kyoya rimase lì, impalato.

Allora era lì la famosa Akane che aveva sentito nominare ai genitori un sacco di volte negli ultimi mesi.

Akane.

Akane, il fagottino rosa.

Un po' viola in viso, con le mani piccole e gli occhi appena aperti.

Akane, l'unica nella sala che non piangeva a dirotto, ma sorrideva soltanto.

Un meraviglioso sorriso sdentato, tra quelle labbra grandi quanto il suo mignolo.

Akane, sua sorella.

Che cosa bisogna fare quando si diventa fratelli?

Di certo non dare da mangiare o cambiare pannolini.

E allora?

 

Improvvisamente fuori il cielo si illuminò, attraversato da un fulmine.

E poco dopo un tuono gli rimbombò nelle orecchie.

Istintivamente avvicinò la sua mano a quella della piccola bambina nella culla.

Sembrava infatti sull'orlo di un pianto disperato, impaurita com'era.

Lui le posò delicatamente la mano sulla testolina pelata.

“Non avere paura, ci sono qui io”

Adesso sapeva che cosa doveva fare un bravo fratello: proteggere.

Sì, pensò convinto: l'avrebbe protetta da tutto ciò che c'era all'esterno di quella culla e avrebbe potuto ferirla.

L'avrebbe stretta a sé nelle notti di tempesta.

L'avrebbe consolata e aiutata ad affrontare la vita di tutti i giorni.

 

Guardò ancora dentro la culla.

Akane si era riaddormentata.

Sentiva il suo respiro leggero sulla mano.

Kyoya sorrise, dopo ore che non lo faceva.

“Ti voglio bene”- sussurrò con un filo di voce.

 

 

In un giorno di pioggia ho imparato ad amarti,

mi hai preso per mano portandomi via.

 

 

 



Angolo dell'autrice

Buongiorno Buonasera ...ehm... Salve a tutti!

Sì, è da tanto che non mi faccio vedere... ma che posso dire? Colpa (o forse merito) delle vacanza estive!!!

Ma parliamo della storia...

Se qualcuno non lo sapesse, la canzone originariamente sarebbe dedicata all'Irlanda e non ad una persona... ma fa niente, spero possiate perdonarmi.

Inoltre... spero che Kyoya non mi sia venuto fuori troppo ooc... :)

Grazie infinite per aver speso un po' del vostro tempo con la mia one shot.

Non vedo l'ora di sapere cosa ne pensate :)

Quindi... a presto!

Mel

   
 
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