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Autore: mikchan    09/09/2013    4 recensioni
*SEQUEL DI LIKE A PHOENIX*
Il tempo passa, la vita continua e i brutti ricordi diventano passato. Per tutti è così, anche per Amanda, giornalista in carriera, sfruttata dal suo capo, in crisi con se stessa e con i sentimenti che prova per il suo ragazzo e in cura da uno psicologo. Tutto questo, e Amanda lo sa, è dovuto proprio a quel passato che non l'ha abbandonata, alla perdita delle cose più importanti che avesse al mondo. Ma il passato ritorna, sempre, e per Amanda si ripresenta in una piovosa giornata invernale.
Saprà il suo passato darle un'altra opportunità, oppure è davvero tutto finito?
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Like a Phoenix'
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2- UNEXPECTED MEETING


"Capisco. E quindi ha rifiutato".
Sospirai. "È stato... istintivo. Non sono ancora pronta per un passo così grande".
"Non è pronta, o non lo vuole essere?".
Touché, pensai. Il Dottor Klant, il mio psicologo, era l'unica persona in grado di arrivare dritta al punto. Di ogni questione discussa con lui, era stato il primo e l'ultimo a capire cosa volevo veramente dire, ma per qualche strano motivo non ci riuscivo. Era capace di leggere tra le righe e nei miei occhi come se mi conoscesse da anni e, detto sinceramente, lui sapeva davvero tutto di me: dall'abbandono di mio padre, alla mia infanzia e adolescenza piena di traslochi, cambiamenti e nessuna sicurezza, sapeva di Lui, sapeva com'era finito tutto e mi aveva aiutata a perdonare me stessa, anche se sapevo che Lui non mi avrebbe perdonata mai, sapeva di Austin e dei miei sentimenti, di come fossero diversi da quelli provati per Lui e di come mi odiassi per questo, sapeva quanto volessi costruirmi un futuro e quanto gli incubi del passato tornassero a tormentarmi quando ero sola. Alla fine dei conti, potevo affermare che mi conoscesse più di me stessa.
"Non so lo", sospirai, ammettendo ad alta voce quella verità. "Io voglio stare con Austin, ma c'è sempre quella sensazione che mi fa sentire tremendamente in colpa e mi sembra di tradire...".
"Adam", concluse lui, abbozzando un sorriso alla 'abbiamo-centrato-il-punto' quando mi vide irrigidirmi al suono di quel nome. Era difficile per me pronunciarlo così alla leggera e tentennavo anche se dovevo chiamare una persona con quel nome, com'era successo all'università con un mio compagno di corso. Il Dottor Klant lo sapeva e durante ogni seduta lo pronunciava una mezza dozzina di volte, sempre. All'inizio pensavo lo facesse per farmi stare male, visto che scoppiavo a piangere solo sentendolo nominare, poi, con il passare dei mesi, avevo superato quella paura, capendo di non dovere temere né Lui né il suo nome.
"Mi sento così stupida", mugulai prendendomi la testa tra le mani e appoggiando i gomiti alla sua scrivania. "Austin non si merita questi pensieri e io non mi merito lui"
"Ah, Amanda!", mi sgridò Mr Klant lanciandomi un'occhiataccia ammonitrice. Sapevo che non dovevo nemmeno pensare di sminuirmi in quel modo, era la prima cosa che mi aveva aiutata a capire, ma a volte era così difficile venire a patti con la realtà che mi accontentavo di dare la colpa a me stessa e chiudere la discussione.
Sbuffai e sbattei la testa sul tavolo. "Mi scusi", sussurrai. "Quando faccio certi pensieri mi viene naturale dirlo, ma non lo penso sul serio. Io mi merito Austin perché ho superato tante difficoltà, con me e con il mondo, per riuscire ad avere una vita normale". Ed ero sicura di questo, soprattutto dopo tutti quegli anni che avevo passato in quello studio. Mr Klant mi aveva aiutata a capire che colpevolizzarmi non risolveva il problema, ma lo rendeva solo più grande nella mia testa e quindi più inaffrontabile.
"Eppure c'è sempre quella vocina che le ricorda tutto, mi sbaglio?", domandò Mr Klant con aria dolce. A volte, quando faceva quell'espressione, mi sembrava un padre, di quelli severi ma buoni, un padre che avevo sempre sognato. Ovviamente, Mr Klant sapeva anche di questa fantasia e la prima volta che gliel'avevo rivelata mi aveva guardato severo e aveva scosso la testa, assicurandomi di non essere per niente il padre dei sogni di nessuno, tanto meno dei suoi figli. Io non avevo replicato, abbassando la testa per la mia sfacciataggine, ma il mio pensiero non era cambiato e spesso venivo invasa dalla voglia di abbracciarlo forte.
"Non so cosa dire, è tutto così confuso. Amo Austin con tutta me stessa e se immagino il mio futuro non posso farlo che con nessun altro, eppure dentro di me sento che anche Lu... Adam", dissi a denti stretti. "È parte di me, passato, presente e futuro".
"Capisco", ripetè incrociando le mani. "C'è un bel po' di confusione, decisamente, ma se si ferma un attimo a pensare capisce che la via da prendere non è che una sola, Amanda".
"Oddio, so che non vedrò mai più Adam per tutta la mia vita... chissà che fine ha fatto in questi anni. E so anche che Austin è il mio presente e futuro. Ma è davvero così sbagliato sperare e sognare, Dottore?", chiesi con la voce spezzata, cercando di impedire inutilmente alle lacrime di uscire e bagnarmi le guance. Ormai ci guardavamo negli occhi, ma non riuscivo a leggere i suoi e a capire una risposta ai miei problemi.
Mr Klant sorrise. "Solo lei può dire cos'è sbagliato sognare, Amanda", disse enigmatico, come al solito, d'altronde. Non mi dava mai una risposta certa e solo dopo ore di lacrime e ragionamenti riuscivo a capire che quello che lui voleva dirmi era molto più evidente di quanto potessi mai pensare.
"Magari ci fosse una lista o una tabella, sarebbe tutto più semplice", mugolai asciugandomi con il palmo della mano le lacrime salate.
"Ma non sarebbe tutto così bello, Amanda. Niente avrebbe più valore se ci fossero schemi da seguire o tabelle precise. La vita è meravigiosa proprio perchè non c'è niente di sicuro. Un giorno c'è il sole, l'altro piove. Eppure la Terra stessa non esisterebbe senza nessuno dei due. Giorno e notte, cielo e terra, bene e male... cosa accadrebbe se tra queste coppie ce ne fosse solo una? Cosa accadrebbe se la notte scomparisse, se il cielo diventasse terra e se il bene venisse sconfitto dal male?". Mr Klant lasciò in sospeso quelle domande e io non avevo saputo fermare altre lacrime, capendo benissimo quello che voleva dirmi. Austin ed Adam. Come potevo esistere io senza entrambi? Austin era il mio giorno, il mio sole; Adam era la mia notte, la mia luna. Indispensabili e inseparabili, eppure mai entrambi nello stesso istante. Il messaggio era arrivato forte e chiaro: non potevo vivere senza nessuno dei due, ognuno si era preso un parte di me e ora gli appartenevo, non importava se non c'erano più contatti o se ci vedavamo tutti i giorni. E non dovevo minimamente pensare di escluderne uno dai miei pensieri con il timore di ferire l'altro, perché sarebbe stato come cancellare una parte del mio essere e per essere felice non dovevo permettere che questo succedesse.
Abbozzai un sorriso e tirai su con il naso. "Grazie", borbottai, rovistando nella borsa alla ricerca del pacchetto di fazzoletti.
Mr Klant mi sorrise. "Ci vediamo tra un mese, allora", disse congedandomi mentre mi soffiavo il naso.
Annuii e mi alzai, infilandomi il cappotto che avevo appoggiato sulla sedia.
"Sa, Amanda", disse il dottore mentre mi accompagnava alla porta. "Sono contento dei progressi che sta facendo".
"È in gran parte merito suo", dissi con un sorriso, asciugandomi le ultime lacrime e sperando che il mascara non avesse fatto un disastro.
"Affronti sempre tutto con forza, mi raccomando".
Mr Klant aprì la porta del suo ufficio, seguendomi sulla soglia. "Forza", ripetei annuendo.
"E per ogni prob... Oh, è già qui!", esclamò alla volta di una persona alle mie spalle.
Mi voltai, un po' curiosa di vedere chi fosse il prossimo cliente e impaziente di scendere da Austin che mi stava aspettando in auto, ma quando lo feci rimasi letteralmente a bocca aperta.
Davanti a me c'era un uomo sui venticinque anni, alto e dalle spalle larghe, con i capelli castani e due occhi azzurri profondi come l'oceano. Due occhi azzurri che erano stato il mio porto anni prima e che avevo creduto di aver dimenticato. E invece erano ancora impressi a fuoco nella mia mente, con quello sguardo accigliato e sorpreso che assumevano ogni volta che succedeva qualcosa di imprevisto.
E quello era stato decisamente un'imprevisto.
"Signorina, le presento il Dottor Rown, il mio nuovo collega", disse Mr Klant, indicando l'uomo che mi fissava con occhi sgranati. "Dottor Rown, questa è Am...".
"Amanda", sussurrò questo e rabbrividii al suono del mio nome. Quando mi era mancato il modo delicato con cui pronunciava quelle sette scialbe lettere: in bocca sua diventavano poesia, quasi qualcosa di magico alle mie orecchie.
"Come fa a conoscerla?", chiese sorpreso Mr Klant. Poi si illuminò e, dopo averci guardati a fondo, si mise una mano tra i capelli. "Merda", mormorò poco professionalmente. Intercettò il mio sguardo. "Adam?", mi chiese quasi a bassa voce, ricordandosi il nome del Dottor Rown e collegando tutto.
Io non mi ero ancora mossa, troppo sorpresa da quell'incontro inaspettato e ancora indecisa se gioirne o esserne spaventata. Adam mi aveva riconosciuta e non avevo visto astio o rabbia nei suoi occhi così chiari, ma le parole che mi aveva detto l'ultima volta che ci eravamo visti anni prima erano impresse nella mia mente con il fuoco e in quel momento rimbombavano nelle mie tempie come tamburi.
Presi un respiro profondo, cercando di calmare il cervello che non la smetteva di rielaborare informazioni e annuii alla volta di Mr Klant. Poi alzai lo sguardo verso Adam e abbozzai un sorriso timido. "Ciao", lo salutai.
Lui soppesò un attimo le mie parole e ricambiò il saluto con una certa freddezza e distanza. Non ci rimasi così male come temevo e di questo dovetti ringraziare Mr Klant, che fremeva al mio fianco, in imbarazzo.
"Hai realizzato il tuo sogno", fu l'unica cosa che seppi sussurrare dopo un'infinito minuto di silenzio.
Adam sgranò gli occhi, sorpreso di constatare che ricordavo tutto e poi annuì solamente. "Tu?", mi chiese, quasi per cortesia che per reale interesse, o così almeno sembrava dal suo sguardo attento.
"Anch'io", dissi solo, sistemandomi nervosamente la borsa sulla spalla e fingendo di guardare l'orologio. "Ora devo andare", dissi cercando di sembrare più sicura di quanto fossi. "A presto". Non sapevo a chi era rivolto quel saluto, ma non mi fermai ad accertarmene, andando a passo svelto verso l'ascensore.
"Amanda", mi richiamò Lui. Mi voltai appena. "Ti... mi ha fatto piacere rivederti".
Annuii, incerta se sorridere o meno, ma non riuscii a fermare gli angoli della bocca che si sollevarono automaticamente. Incontrai per un secondo lo sguardo del Dottore e vi lessi tutto quello che stavo provando in quel momento. Gioia, tristezza, incredulità, stupore, incertezza. Salii veloce in ascensore e mi appoggiai alla parete prendendo un grosso respiro.
Lo avevo rivisto.
Dopo quasi tre anni di silenzio il mio passato mi era ricomparso davanti nel momento meno opportuno, con il cuore ancora debole per quell'ora di ricordi forzati e gli occhi umidi dalle lacrime. Ma, in fondo, mi aveva lasciata esattamente così, tra i singhiozzi e il cuore a pezzi, senza voltarsi indietro, con quel suo sguardo azzurro e ghiacciato che mi faceva tremare. Mi aveva rivolto i peggiori insulti del mondo, ferito e umiliato, ma non me l'ero presa perché sapevo di meritarmeli tutti, dal primo al l'ultimo. E checché ne dicesse Mr Klant, una donna che andava a letto con un uomo, mentre a casa c'era il suo ad aspettarla non poteva essere chiamata in nessun altro modo che puttana. E mi ero sentita esattamente così quella sera, tra le braccia di quello sconosciuto. Avevo tradito l'uomo che amavo con tutta me stessa per una discussione e non meritavo di stare più al suo fianco. Questi erano i fatti, ma farli accettare al mio cuore era stato tutto un'altro paio di maniche. Sapevo di aver sbagliato e volevo tornare indietro per cancellare ogni cosa, ma non avevo una bacchetta magica e la mia Fata Smemorina era andata in vacanza da un pezzo. E non ero capace nemmeno di comprare il perdono di Adam, non me lo meritavo e per questo non avevo combattuto per lui. Avrei potuto insistere, urlare, cercare di spiegare e farmi capire, invece l'unica parola che era uscita dalla mia bocca era stata "scusa", talmente sussurrata tra le lacrime che non ero sicura l'avesse sentita. E poi, avevo una piccola consolazione, se così la potevo chiamare. Adam mi aveva mollata, ma alle sue spalle si era lasciato il dono più grande che potesse farmi, un bambino. Solo l'idea di abbracciare il figlio di Adam era stata abbastanza per farmi alzare la testa e decidere di continuare a vivere. Certo, sarei stata una madre single, non sarebbe stato semplice, ma ce l'avrei fatta e, forse, un giorno Adam sarebbe tornato, se non per me, per il suo bambino. E non m'importava non averlo più accanto, perché sapevo che quel piccolo ci avrebbe uniti per sempre. Invece tutte quelle certezze erano crollate nel giro di un paio di mesi. Ero nervosa e irritabile, tutto stava andando per il verso sbagliato, ma quando quella mattina mi ero svegliata in preda a violenti crampi e dolorose contrazioni mi ero spaventata tantissimo. Poi era arrivata la notizia, e il fulmine mi aveva direttamente colpita in testa, tramortendomi. Non avevo più Adam e non avevo nemmeno più il suo bambino. Ero stata troppo codarda per tornare da lui e dirglielo, come era giusto che fosse essendo anche suo figlio e per un attimo mi chiesi se avesse pensato a quel bambino che aveva abbandonato per così tanto tempo.
Il suono dell'ascensore mi riportò alla realtà e uscii in fretta prima che le porte si richiudessero.
Quell'incontro mi aveva colpita, non come quel fulmine anni prima, ma un po' di dolore c'era stato comunque. Dolore dovuto alla consapevolezza che non avrei avuto più niente a che fare con lui, dovuto ai miei errori e, sì, anche ai suoi. Perché, se in un primo momento mi ero martirizzata e mi ero data la colpa per tutto, a mente fredda avevo capito che un po' di colpa anche lui l'aveva. Alla fine, era per il suo rifiuto che ero uscita, quella sera. Era per dimenticare i suoi occhi azzurro ghiaccio che mi dicevano di non volere il mio bambino, il nostro bambino, che avevo accettato le attenzioni di quel ragazzo. Era per convincermi che tutto sarebbe andato per il meglio che avevo esagerato con i drink. Certo, tutte scelte consapevoli, ma era partito tutto da lui, dalla sua refrattarietà ai sentimentalismi nonostante anni insieme, dalla sua infondata paura per le relazioni serie, paura che ero certa di aver cancellato con la mia presenza, ma che si era ripresentata con l'annuncio della gravidanza. Un impegno grande, enorme a dire poco, ma che non potevamo ignorare: avevamo fatto il danno, ora ci dovevamo preoccupare delle conseguenze. Ma Adam, come al solito, aveva preferito tirarsi indietro e quella volta io non ero stata abbastanza svelta ad allungare la mano e riprenderlo con me, anzi, mi ero arresa al pensiero che nemmeno io ero riuscita a cambiarlo.
Con un sospiro spinsi la porta a vetri della clinica e uscii, andando a passo svelto verso la macchina di Austin, parcheggiata al solito posto.
"Ehi!", mi salutò quando entrai. Di solito non commentava i miei occhi lucidi o la mia scarsa voglia di parlare dopo quelle sedute, ma quel giorno rimase un attimo di più a fissarmi e dovetti dedurre dal suo sguardo di avere una faccia davvero scoinvolta. "Tutto bene?", mi chiese appunto.
Annuii, incerta se parlare o meno di quello che era successo.
Austin pensò anche a questo, accendendo la macchina e sorridendomi. "Cioccolata?", propose con quel suo tono dolce che adoravo.
Annuii di nuovo. Non sapevo cosa sarebbe venuto fuori se avessi parlato, ma temevo di scoppiare a piangere da un momento all'altro, quindi rimasi in silenzio per tutto il tragitto verso il solito bar vicino a casa sua, dove facevano una cioccolata calda deliziosa.
"L'ho rivisto", sussurrai mentre camminavamo dal parcheggio al bar, uno accanto all'altro senza però toccarci.
Austin mi guardò confuso, ma gli bastò incrociare il mio sguardo per capire. Non disse niente, limitandosi ad entrare nel bar e chiedere un tavolo per due e il suo silenzio mi fece pentire di quella rivelazione. C'era un motivo se non parlavamo mai del nostro passato e forse non era stata una buona idea tirare fuori il mio così all'improvviso. Ma quell'incontro inaspettato con Adam mi aveva fatto capire che non era giusto tenere nascoste ad Austin certe cose, anche se mi faceva male ricordarle. Dovevamo dirci tutto, la fiducia era alla base di ogni rapporto e sapevo che senza anche questo sarebbe crollato.
Ci sedemmo ad un tavolino piuttosto appartato e cercai di sorridere educata al cameriere che ci portò i menù. Non ne avevamo effettivamente bisogno, perché quando tornò erano nello stesso punto di dove li aveva lasciati ed entrambi ordinammo una cioccolata calda con panna.
"Dove?", mi chiese Austin dopo qualche minuto di silenzio.
"Allo clinica di Mr Klant", risposi, capendo subito a cosa si riferisse.
Austin mi inchiodò con i suoi occhi castani. "Cosa significa?".
"Non devi preoccuparti, ci siamo solo salutati", cercai di tranquillizzarlo. E, in fondo, era quello che era successo.
Austin sospirò. "Non so cosa dirti", ammise, aspettando a continuare perché erano arrivate le nostre cioccolate.
Scossi le spalle, prendendo un po' di panna con un dito e portandomela alla bocca. "Non dire niente. Volevo solo che lo sapessi".
"Beh, sono contento che tu ti sia confidata".
"E voglio raccontarti tutto", dissi con voce incerta. Non mi piaceva rivangare il passato, ma era giusto che Austin mi conoscesse in tutte le mie forme.
"No", disse invece lui con sicurezza. "Non mi interessa, Amanda".
"Non vuoi sapere perché è finita?", gli chiesi sorpresa.
Austin scosse la testa. "Non mi interessa", ripeté. "È passato".
Involontariamente, mi allargai in un sorriso e mi sporsi ad abbracciarlo, dandogli un piccolo bacio a stampo al sapore di cioccolato. Ero contenta di sapere che Austin mi amava a tal punto da non voler sapere nulla su di me che non lo riguardasse e che sapeva quanto doloroso fosse per me ricordarmene. "Grazie", sussurrai sulle sue labbra, sorridendo. Avevo incontrato Adam, ma il pensiero di lasciare Austin per tornare con lui non mi aveva ancora sfiorata. Certo, lo amavo ancora con tutta me stessa, ma adesso non era più come alle superiori, ora c'era Austin e non avrei fatto del male anche a lui.
"Ti va di salire da me?", mi chiese con un sorriso quando finimmo le cioccolate.
Io annuii, stranamente euforica. Non sapevo ben dire se quell'improvvisa felicità era dovuta all'aver rivisto Adam o all'amore di Austin, ma non me ne importava nemmeno così tanto. Ero felice, questo bastava per farmi sorridere e attaccarmi al bracco di Austin con forza.
Dopo aver pagato uscimmo e attraversammo la strada. Austin, infatti, abitava esattamente davanti al bar, in un appartameno in una moderna palazzina. Era un monolocale abbastanza piccolo, al secondo piano, ma io adoravo il modo in cui era arredato, semplice ma maschile e il profumo che aleggiava sempre mi ricordava il profumo di casa e di felicità. Per questo ero sempre contenta di andare a da lui, ovviamente anche per la fantastica cucina di ultima generazione che gli avevano regalato i genitori quando aveva comprato l'appartamento. Era il mio sogno, quel posto: moderna e lucida, con tutti i comfort possibili e immaginabili e un enorme frigo con erogatore di acqua e ghiaccio.
"Cucino io, stasera!", esclamai infatti quando entrammo in casa.
Austin ridacchiò mentre mi sfilavo la giacca e la buttavo sul divano. Erano appena le sei del pomeriggio, ma avevo in mente una cena impegnativa, quindi mi misi subito all'opera, sotto lo sguardo divertito di Austin che, seduto sul tavolo, mi guardava bevendo una lattina di birra.
L'atmosfera era particolarmente allegra, quella sera e, dopo cena, finimmo direttamente in camera sua e facemmo l'amore con urgenza e passione, come non ci capitava da parecchie settimane. Lo sentivo presente e attento ai miei desideri e, ancora alle prese con un'euforia incontrollabile, avevo goduto di quella serata più del normale.
"Accidenti", borbottò Austin circondandomi le spalle con un braccio e facendomi appoggiare la testa sulla sua spalla. "Questa sera sei insaziabile". Scoppiai a ridere, sentendo il cuore scoppiare di gioia e beandomi di quella sensazione così rara per me. "E ti lamenti anche?", lo provocai, passando languidamente una gamba sulla sua.
"Certo che no!", ridacchiò lui. "Ma ho bisogno di un attimo per riprendere le forze, se non vuoi giocare da sola".
"Stai diventando vecchio", scherzai.
"Ma se abbiamo la stessa età!", sbottò facendo una smorfia divertita. Poi mi mise un dito sulla fronte. "E poi sei tu quella vecchia: guarda qua che rughe", rise.
"Ti faccio vedere io come sono vecchia", esclamai balzando in ginocchio sul materasso e mettendomi a cavalcioni su di lui.
Dallo scherzo a fare di nuovo l'amore non impiegammo molto e ci trovammo di nuovo abbracciati e ansimanti dopo un'amplesso straordinario.
"Mi ucciderai", mugolò coprendoci con il piumone che, nella foga, era finito per terra.
"No, ci rimetterei solo io", ridacchiai sbadigliando.
Austin mi abbracciò più stretta. "Dormi, piccola. Domani dobbiamo andare entrambi al lavoro".
Annuii e mi accoccolai sul suo petto caldo, cullata dai battiti del suo cuore che, lento, scandiva i suoi respiri sui miei capelli.
Ero quasi nel mondo dei sogni quando sentii Austin accarezzarmi dolcemente la schiena e sospirare. "Lo so che tornerai da lui, Mandy", sussurrò prima di lasciarmi un bacio sulla fronte.
Mugolai qualcosa che doveva somigliare a un "non è vero", ma lentamente persi il controllo con la realtà e mi addormentai.
Se avessi resistito un attimo di più, avrei visto il sorriso amaro di Austin e una lacrima solitaria solcargli la guancia.




Salve gente!
Avrei dovuto pubblicare domani, ma tra la valigia e i compiti sono davvero ristretta con i tempi. Per questo ci tenevo a darvi questo capitolo prima di partire per la Norvegia (e, a questo proposito, aggiungo che settimana prossima non so quando avrò tempo di aggiornare, visto che tonerà martedì sul tardi e il giorno dopo dovrò andare a scuola) e, alla fine, vi lascerò anche un piccolo spoiler del terzo.
Beh, in generale credo che fosse abbastanza scontato il ritorno di Adam. In fondo, è la loro storia d'amore: è come guardi un film rosa e sai già dall'inizio come andrà a finire, perché ormai nessun finale non sarà scontato. La cosa che cambia, però, è ciò che si trova in mezzo, quello che succede tra l'inizio e la fine. E vi assicuro che non sarà così facile per Amanda venire a compromessi con i suoi sentimenti, le sue paure e la sua realtà, perché lei non vuole ferire nessuno, ma, si sà, al cuor non si comanda e, come Austin ha già capito, quell'incontro sarà solo l'inizio di qualcosa che dovrà ancora crescere.
Spero che vi sia piaciuto, anche a chi, per adesso, non conosce ancora i protagonisti. Rigrazio di cuore Ali_13 e Sonny_chan che hanno recensito e che mi seguono dall'inizio di quest'avventura. E ovviamente tutti quelli che leggono in silenzio o che, per noia, hanno aperto solamente il link per poi richiuderlo!
a presto (spero)
mikchan


SPOILER...
capitolo tre:  PRESENTS, SNOW AND ILLNESS

[...] "Oh, Amanda! Non dire sciocchezze".
"Ma se si è pure presentato!", esclamai.
"È stato solo educato", borbottò mia madre.
"E si è preso una cotta per te".
"Sono vecchia per queste cose", ribatté lanciandomi un'occhiataccia.
"Invece dovresti trovarti un uomo", affermai sicura, afferrandola per un braccio prima che entrasse nel negozio accanto.
"Sì, con la fortuna che ho mi troverò accoppiata con un cane", ironizzò alzando gli occhi al cielo.
"Quel George era simpatico e qualcosa mi dice che non rifiuterebbe una bella donna come te".
"Piantala di adularmi", mi rimproverò senza saper nascondere un sorriso.
"Oh, e va bene", sbottai alzando le mani in segno di resa. "Fai come credi, però ti stai perdendo l'occasione di essere felice".
"Ma io sono felice", ribattè.
"Hai capito cosa intendo", dissi scuotendo la testa.
Mi madre rise e poi mi prese per mano. "Ci penserò", mi promise. "Ora però occupiamoci di te".
[...]
  
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