Terzo brano
L’indomani
ebbi a malapena la forza di trascinarmi in Sala Grande per i pasti e il resto
della scuola era conciato più o meno come me. Intorno ai tavoli si
affollavano volti insonnoliti e stanchi, parecchi studenti saltarono il pranzo
e i quattro ragazzi di Grifondoro erano tra questi. C’era soltanto Lily Evans con le sue amiche e persino lei sbadigliava in modo
indecoroso.
La
faccenda del bacio di Black e Murton aveva raggiunto
una certa risonanza; Melissa Hopkirk giurava che lei
li aveva proprio visti e che non c’erano dubbi, e non vedevo
perché avrebbe dovuto mentire. Candice,
comunque, fingeva che tutto quel baccano non la riguardasse affatto e sedeva
elegantemente al suo tavolo con un sorriso compiaciuto aleggiante sulle labbra.
Lei, ovviamente, aveva lo stesso aspetto fresco e splendente di sempre.
Io mi
domandavo se Black e Lupin fossero insieme, se con loro ci fossero anche gli
amici o se fossero soli e si stessero chiarendo. Se Lupin fosse molto
arrabbiato, se avesse creduto alla storia del bacio o se invece non gli
importasse.
Di
sicuro Black era molto scrupoloso nel non dare adito a sospetti. Anche troppo,
a mio avviso.
Naturalmente
non andai nella stanzetta. Non ce la facevo proprio e comunque dubitavo che
loro avessero la forza di trascinarsi fin lassù, anche nel caso in si
trovassero insieme. Sapevo, inoltre, che adesso sarebbe stato più
complicato riuscire a sgattaiolare in quel corridoio silenzioso. Durante quegli
ultimi giorni i miei amici erano stati troppo presi dal Ballo, ma ora che
l’affare si era concluso sarebbero tornati ad essere personali normali e
di solito studiavamo insieme. Spesso, almeno. Sarebbe stato strano se
d’improvviso avessi preso a disertare sistematicamente le nostre sessioni
di ripasso.
A cena
invece erano presenti, tutti e quattro. James Potter sprizzava cuoricini dagli
occhi e Lily Evans non era da meno, Minus doveva avere ancora sonno e Black e Lupin,
ahimè, non si guardavano nemmeno in faccia. Direi per l’esattezza
che Lupin si comportava come se Black non fosse nemmeno esistito, nonostante i
tentativi di quest’ultimo di ricordargli la propria presenza. Sirius
finì per rovesciargli addosso “accidentalmente” del succo di
zucca tanto per farsi notare, ma non credo che la mossa sia stata molto
intelligente. Lupin a quel punto più che indifferente divenne ostile.
Ero in
pensiero.
Ed era
da pazzi che mi prendessi tanto a cuore i problemi di due ragazzi che non
conoscevo, di cui non sapevo praticamente nulla e che non avevano idea di chi
fossi. Eppure non riuscivo a farne a meno. Osservavo Sirius Black e lo vedevo
guardare Lupin come se da lui fosse dipesa la sua stessa sopravvivenza. Non
capivo, in effetti, come James Potter potesse non rendersi conto di nulla.
Doveva avere delle mani di Gigante sugli occhi, oppure essere una persona
estremamente discreta. Ora, apparentemente Potter – poteva confermarlo
chiunque – di discreto aveva ben poco, ma quell’unica volta che
l’avevo visto con Black lontano dal pubblico avevo notato una persona
diversa, completamente differente dal Caposcuola chiacchierato che conoscevano
tutti.
Erano
così complessi, quei ragazzi. Non facevano che attirarsi
l’attenzione in qualunque maniera possibile, eppure riuscivano ad essere
se stessi solo nei rari momenti in cui il mondo si dimenticava di loro e si
chiudevano nel proprio universo privato.
Non
tornai alla stanzetta per qualche giorno. Dovevo studiare moltissimo per la mia
relazione, dovevo presentarla il venerdì e Seb,
che era fortissimo in Incantesimi, si era offerto insistentemente di aiutarmi.
Lo faceva sempre.
Ovviamente
non avevo trovato un motivo plausibile per declinare la gentile proposta e mi
ero vista costretta ad accettare, anche perchè il suo aiuto mi faceva
davvero comodo. Mi consolavo dicendomi che vista la freddezza che si
dimostravano Black e Lupin non stavano certo a chiacchierare nell’aula
vicino a Astronomia, ma il pensiero finiva per deprimermi anziché
risollevarmi.
Il
lunedì la situazione non era sensibilmente cambiata, Lupin rispondeva a
Black a monosillabi e cercava di non dare a vedere agli altri amici che ci
fossero dei problemi. Martedì, sotto gli occhi di nove persone tra cui
un’allibita professoressa McGranitt, che
dovette togliergli dei punti, mandò al diavolo il compagno con una serie
di epiteti poco lusinghieri che fecero sbiancare la povera donna. La sua
giustificazione fu “mi stava minacciando perché gli dessi i
compiti di oggi da copiare, altrimenti avrebbe fatto cose turche nel mio
letto.” La professoressa tolse dei punti anche a Black.
Lupin ci
sapeva fare, con le frottole.
Mercoledì
Sirius iniziava a dare segni di cedimento. Era triste e abbattuto e persino
Potter dovette accorgersene. Lo vidi parlottare con lui e riempirgli il
bicchiere più volte, durante la cena, scompigliandogli i capelli con
fare dispettoso. Lupin era di marmo, quasi livido, non lo guardava neanche.
Giovedì
sera, infine, dopo cena, Candice Murton
risolse involontariamente la situazione: passò accanto ai quattro
Grifondoro lasciando cadere un libro con fare casuale. Un vecchio trucchetto da dama ottocentesca, effettuato solitamente col
fazzolettino di trine. Black non se ne accorse minimamente, anche se il manuale
si era schiantato esattamente accanto al suo piede. Probabilmente stava
fissando Lupin e il mondo circostante era svanito dalla sua percezione. Fu
questi, comunque, evidentemente mosso a compassione, a chinarsi e raccogliere
il volume, porgendolo alla ragazza. Candice era
così infuriata che addirittura arrossì di collera, girò i
tacchi e marciò via al colmo dell’indignazione. Il solo commento
di Black fu:
“Ma
quando te l’ha dato, quel libro, Remus?”
Doveva
essergli difficile pensare a qualcuno che non fosse lui.
James
Potter si ribaltò dal ridere e Remus non poté trattenere una
risatina incredula. Li vidi guardarsi per un istante, appena un secondo, e mi
sentii meglio. Nei loro occhi c’erano un sacco di cose che spiegare a
parole mi risulta impossibile.
Decisi
che l’indomani sarei tornata alla stanzetta.
Peccato
che loro non ci vennero. A cena, però, li vidi chiacchierare. Era
sollevata. Mi sentivo più di buonumore anche io e il tutto continuava ad
essere privo di senso.
Il
sabato Seb e Julia mi
trascinarono a fare pupazzi e palle di neve. Aveva nevicato e Hogwarts sembrava
immersa in un bianco immacolato. Non riuscii a liberarmi di loro e nemmeno ne
avevo troppa voglia, perché ci divertimmo molto.
La
domenica ebbi finalmente un nuovo incontro ravvicinato coi ragazzi. Come sempre
a loro insaputa.
Avevo
liquidato i miei amici con la scusa di voler effettuare un ultimo ripasso in
solitudine per concentrarmi pienamente. In seguito avrei riutilizzato parecchie
volte quella spiegazione raffazzonata, senza che nessuno mi chiedesse
chiarimenti. Niente di strano, in questo: io ero Maude,
la semplice e silenziosa Maude, una ragazza senza
tanti grilli per il capo, come diceva mia madre con sollievo. Nessuno poteva
certo immaginarsi che spiassi una coppia di ragazzi intenti a vivere la loro
vita nell’intimità di un’aula vuota: io stessa stentavo a
crederci.
Quando
li sentii arrivare mi mancò un battito: era tutto a posto tra loro? O
qualche strascico si faceva ancora sentire? Fissavo la fessura nella porta con
attenzione spasmodica, guardandoli mentre entravano nell’aula.
Silenziosi.
Fu Black
a interrompere quel mutismo prolungato, dopo che Lupin si fu seduto.
“Non
è colpa mia se mi è venuta di nuovo a cercare.”
Lupin lo
guardò ed annuì, vago.
“Io
non ho detto una parola,” si giustificò.
“Non
c’è bisogno che parli, con quella faccia,” osservò
Black di rimando.
“Quale
faccia?”
“Quella
faccia da: ho bevuto due litri di succo di limone puro e ora forse
morirò di acidità.”
Lupin
scoppiò a ridere suo malgrado, nonostante la smorfia per trattenersi,
quindi scrollò la testa.
“Non
sono affatto acido.”
“Nemmeno
i limoni lo sono,”commentò Black con sufficienza, appoggiandosi
allo spigolo della cattedra.
“Piantala
con questi limoni,” intimò Lupin, incrociando le braccia.
“E
tu piantala di fare quella faccia.”
“Io
non sto facendo facce,” protestò Lupin esasperato.
“Io
non sto facendo facce,” lo motteggiò Black facendogli il verso, ed
incrociò a sua volta le braccia assumendo una buffa espressione
inequivocabilmente acida e piuttosto somigliante, ad onor del vero.
Repressi
a stento una risata.
“Pagliaccio.”
“McGrannitt.”
“Sirius!”
“E’
la verità,” si difese l’interpellato, noncurante.
Si
guardarono per qualche istante in cagnesco, prima di prendere a ridacchiare in
sincrono.
“Non
le somiglio affatto,” puntualizzò Lupin divertito.
“Certo
che no, Minerva. Ops. Remus, volevo dire
Remus,” sghignazzò Black, mentre l’altro estraeva un libro
dalla sacca di scuola e glielo lanciava contro senza tanti complimenti. Sirius
lo schivò per un pelo, senza smettere di ridere.
Ero
molto sollevata. L’atmosfera non era del tutto distesa ma almeno stavano
scherzando e ridevano insieme, quindi immaginai che le cose fossero più
o meno sistemate.
“Sei
proprio un bambino,” commentò Lupin rassegnato.
“Ma
ti piace che lo sia,” aggiunse Black vittorioso.
“Non
mi sembri nella posizione di fare il gradasso.”
Quest’ultima
frase di Remus Lupin fu abbastanza asciutta e il sorriso sul volto di Black si
spense in un’espressione colpevole. Si staccò dalla cattedra ed
avvicinò l’altro ragazzo con ragionevole prudenza.
“Ma
non è colpa mia,” protestò, risentito.
“Se
vai in giro a baciare la gente come se niente fosse poi non puoi far finta che
sia strano se la gente si aspetta che tu lo rifaccia,” osservò
Lupin freddamente.
Molto freddamente.
Glaciale.
Black
non trovò nulla da ribattere e chinò la testa, abbattuto.
“Non
fare quella faccia,” esclamò Lupin, sbuffando.
“Quale
faccia?” chiese Black, speranzoso.
Remus
sollevò lo sguardo su di lui, cercando di rimanere serio. I suoi occhi
però stavano ridendo, fissi sull’altro ragazzo con una tenerezza
indicibile.
“Quella
faccia da: mi hanno ucciso i familiari e derubato di tutti i miei averi e in
più ho appena calpestato una merda di ippogrifo.”
Mi
dovetti tappare la bocca con forza mentre Black esplodeva nella sua risata
ululante.
“Non
credo che mi dispiacerebbe,” osservò tra le risate. “Per i
familiari, dico.”
“Invece
la merda di ippogrifo sarebbe un gravissimo problema
per le tue belle scarpe nuove,” commentò Lupin condiscendente.
Gettai un’occhiata ai piedi di Black, infilati in un paio di qualcosa che
un tempo dovevano essere stati, forse, stivali. Ma poteva anche trattarsi di
ciabatte sformate.
Il mio
commento all’epoca, nel diario, fu: “le scarpe di Black sono
raccapriccianti, cadono a pezzi.
Tipicamente Grifondoro.”
“Conta
quel che c’è dentro,” rispose il ragazzo con fare altero.
“Merda
di ippogrifo,” concluse Lupin con un sorriso
pieno di pietà.
Black
non si trattenne oltre, slanciò il corpo in avanti e afferrò il
volto dell’altro per aggredirlo letteralmente con un bacio alquanto
famelico. Lupin lo lasciò fare senza troppo fastidio.
Ero
deliziata. C’erano un’intimità e una confidenza tra di loro
che mi lasciavano completamente disarmata, tanto da darmi l’impressione
che non avessero mai fatto altro che stare insieme.
“Merdofilo,” borbottò Black contro il viso di
Lupin.
La
risata di Remus risuonò leggera nell’aula, mentre gettava indietro
la testa con spasso. Sirius Black ne approfittò per accovacciarsi
parzialmente al suo fianco, abbassandosi per stare alla stessa altezza.
“Non
si dice così, vero?” domandò innocentemente, facendolo
ridere ancora di più.
Lo stava
facendo apposta. Sperava di rabbonirlo, evidentemente, ma mi dava anche
l’idea che sentirlo ridere fosse uno dei grandi piaceri della sua vita.
Lo stava a guardare con aria rapita, un sorriso involontario appena accennato
sulle labbra.
Nessuno,
nessuno mi aveva mai guardata in quella maniera. Né avevo mai visto un
simile sguardo omaggiare qualcun altro.
Chissà
com’era il mio, di sguardo, in quei momenti. Probabilmente li osservavo
con la stessa intensità adorante con cui si guardavano tra loro. Ero
affascinata dal loro strano equilibrio tutto sghembo, dal loro oscillare tra il
riso e la ripicca senza mai perdere del tutto la misura, con naturale
accortezza.
Remus
Lupin aveva smesso di ridere, Black colse l’occasione fornita dalla sua
momentanea quiete per farsi spazio contro il banco e accoccolarsi sulle sue
gambe.
Lupin
protestò sonoramente, emettendo un gemito di sofferenza.
“Sei
un falso magro,” si lamentò con espressione da martire.
“Sono
praticamente perfetto, sotto ogni punto di vista. Come…come si
chiama?” domandò Sirius corrucciato, grattandosi il mento.
“Chi?”
chiese Lupin perplesso, passandogli un braccio intorno alla vita.
“Quella
con l’ombrello. La strega del film babbano per
bambini che ci hai fatto vedere quest’estate a casa tua, la sera della
sbronza,” spiegò Black impaziente.
Fortunatamente
Lupin scoppiò a sghignazzare senza ritegno, perché questa volta
non riuscii a trattenere del tutto il principio di risata che mi esplose tra le
labbra, avendo intuito di che parlasse.
“Mary
Poppins,” boccheggiò Remus, viola per il
ridere.
“Sì!
Praticamente perfetto, come Mary Poppins,”
confermò Black soddisfatto.
Lupin
proruppe in una nuova, frenetica risata.
“Mi
piacerebbe vederti col suo cappellino,” biascicò senza fiato.
Anche
Sirius Black si mise a ridere.
Ridevano,
uno in braccio all’altro, e Merlino sa se non sembravano giusti e
armoniosi in modo quasi irreale. Anch’io, ormai, ero scossa da un riso
silenzioso, le labbra strette allo spasmo.
“Mi
starebbe benissimo, avrei dovuto averne uno al Ballo,” continuò
Black, altero, quando si furono calmati.
“Non
credo che Candice avrebbe apprezzato,”
osservò Lupin, sferzante.
Sirius
Black esitò solo per un istante, prima di scrollare le spalle.
“Ma
tu sì,” osservò noncurante. “Questo è
l’importante.”
“Strano.
Io non ho molto apprezzato il bacio.”
Black
sbuffò, circondandogli il collo con un braccio.
“Ma
te l’ho detto, ora ne parlano tutti. A chi verrebbe in mente che sono qui
con te, adesso?”
“Che
nobile sacrificio, Sirius, sono commosso,” affermò Lupin, tra lo
scherzo e il risentimento.
“Sei
incontentabile,” ribatté l’altro con fare annoiato.
Remus
Lupin non gli rispose, limitandosi ad appoggiare la testa alla sua spalla.
“Potresti,
e dico potresti,” suggerì Black con fare casuale,
“riappropriarti di ciò che è tuo.”
“Potrei
cederlo a lei,” ribatté Lupin indifferente.
“Sono
un ragazzo-oggetto,” sospirò Black melodrammatico.
Non era
del tutto falso. Le ragazze della scuola se lo contendevano come un bel pupazzo
e mi chiesi se non ci fosse un fondo di autentico rimpianto per quella
condizione. Un tempo pareva esserne più che lusingato e fomentava
decisamente gli animi, ma forse ora non era più così entusiasta e
quella cosa doveva iniziare a stargli stretta.
“Col
cervello che ti ritrovi non puoi pretendere molto di più,” rispose
Lupin a voce bassa, voltandogli il viso con una mano, delicatamente. Mentre
poggiava le labbra sulle sue sentii provenire da Black un mugugno che suonava
molto simile a qualcosa come “vaffanculo”.
Ero di
nuovo dove non dovevo essere. E me ne resi conto con drammatica evidenza quando
Black, senza staccare la bocca da quella del compagno, come se fosse stato il
boccaglio di una bombola d’ossigeno, riuscì in qualche acrobatica
maniera – ancora non mi spiego come – a incastrarsi tra il banco e
la sedia di modo da far passare una delle due gambe oltre il corpo
dell’altro, così da sederglisi in
braccio a cavalcioni. Sapeva essere un contorsionista
nato, all’occorrenza.
A quel
punto la mia situazione si faceva decisamente spinosa. Sgranai gli occhi con un
moto di terrore nel rendermi conto di quali parti dei loro corpi entravano in
contatto in quella maniera e a diciassette anni mi ero fatta almeno
un’idea della dinamica dell’anatomia umana. Il successivo gemito
proveniente probabilmente da Remus Lupin me lo confermò inappellabile.
Emisi un
lungo respiro scomposto gettando un’occhiata intorno.
Non
avevo vie di fuga.
E quei due
continuavano a baciarsi con metri di lingua completamente persi in se stessi.
C’era anche la possibilità che se fossi uscita e me ne fossi andata
non se ne sarebbero accorti; forse nemmeno se mi fossi messa a ballare la
lambada avrebbero notato qualcosa. Ma non desideravo verificarlo. Quando poi
Sirius Black si mosse, spingendosi contro il corpo dell’altro con un
lamento roco e decisamente erotico, oltre ad avvampare come un cerino che
prende fuco – avevo caldo persino nei capelli – mi resi conto che
non potevo proprio rimanere lì. Comunque mi traballavano le ginocchia e
i sussurri emessi da quel groviglio di membra non aiutavano molto la mia
lucidità.
Pensai
che forse se avessi corso non sarebbero riusciti a mettere a fuoco la mia
figura.
Per un imperscrutabile
disegno divino e con mia immensa fortuna, non fu necessario:
un’oscillazione più marcata del bacino di Black fece
definitivamente cedere il già precario equilibrio della sedia su cui
erano arrampicati: d’un tratto li vidi sbilanciarsi e precipitare
indietro, schiantandosi a terra con sedia, borsa dei libri e tutto quanto,
accompagnati da un gran fracasso.
La
caduta fu tanto violenta che per qualche istante temetti che si fossero fatti
male. Poi li sentii gemere – di dolore questa volta, grazie al cielo
– e mi raggiunse la sonora imprecazione di Black, seguita dalla risata
spezzata e ansimante di Lupin, cui si unì subito dopo anche lui.
Erano
spariti dalla mia visuale e non potevo accertarmi delle loro condizioni, ma se
ridevano non poteva essere niente di mortale.
Riemerse
per primo Remus Lupin, arruffato e sghignazzante, quindi tese la mano e
recuperò il compagno, che si rizzò in piedi massaggiandosi la
testa.
“Cambiamo
location,” decise Black con una smorfia.
Ne fui
estremamente sollevata.
Quando se
ne furono andati crollai a sedere con un lungo sospiro spossato. Mi era andata
bene e ringraziavo quella santa sedia. Mi sembrava ancora di arrossire se
ripensavo al loro modo famelico di saltarsi addosso. E non ripensarci, al
momento, mi era difficile.
Mi resi
conto dopo un po’ che mi stavo sventolando il quaderno verso il viso come
un ventaglio. Scoppiai a ridere nervosamente, denigrando la mia vergognosa
attitudine: ero un’orribile guardona, mi stavo comportando come una
malata. Poi mi tornò in mente la caduta dei due ragazzi e la mia risata
si fece ancor più frenetica, scrosciante.
Magnifici.
Erano stati assolutamente esilaranti.
Ad ogni
modo, quella sera mi dissi che avrei smesso di spiarli.
Non ci
credevo nemmeno io.
Per
qualche giorno, comunque, non osai tornare alla stanzetta.
Eccomi di ritorno.
Avrete notato una certa lentezza. Mi scuso
sentitamente, ma ho un nuovo progetto per le mani che occupa la maggior parte
del mio tempo dedicato alla tastiera del pc.
A questo proposito, se vi interessa saperne di
più sul mio nuovo lavoro potteriano (si fa per
dire, di Potter Potter c’è ben poco), vi
invito a raggiungermi qui:
http://black-pf.livejournal.com/
E
dopo un po’ di sana pubblicità, passiamo ai ringraziamenti.
FireAngel : temo di non poter rispondere alla
tua domanda e chiarificare il tuo dubbio senza fare spoiler, quindi dovrai
tenerti la curiosità… grazie per gli auguri di guarigione,
ovviamente ormai sono sana e salva anche perché sennò sarebbe
preoccupante. A presto.
fog: mannaggia…
belle, belle parole. Tu mi commuovi sempre. Questa volta ti sei superato e non
sai che bello leggere cotale recensione. Hehe, hai
notato Snape…e l’idea di Maude di presentarsi che sì, è assurda ma mi
è uscita così e mi ha fatto ridacchiare. Sono felice che ti
piacciano tanto i miei personaggi, sono estasiata dal fatto che ti trasmettano
tante impressioni e tanta concretezza. Come mi rendi lieta. Scusa se non ti ho
più risposto alla mail e grazie per le ultime dritte, mi farò
sentire al più presto che ho un paio di cosette da chiederti. Ciao ciao.
Briseide: hahaha…lo
spacciatore di fiducia mi sembra calzante. Ebbene, mia cara, tutto quello che
dici sullo spettacolo del fuoco che brucia, sull’ingiustizia e sull’amarezza
è come suppongo tu sappia perfettamente condiviso dalla sottoscritta me
medesima me stessa. Vedo che Candice proprio non ti
è piaciuta, eh? ^__^ Non me ne sorprendo. Non è un personaggio
piacevole né lo diventerà. Comunque Remus non fallisce
totalmente, dai… E’ un osso duro, il sudicio ibrido. A presto
Squizz: Eeehm…
lo so. Ogni tanto ci butto dentro un po’ di angoscia e dolore. Se no,
appunto, non sarei io. Hehehehm… mi fa molto
piacere che si entri in sintonia col personaggio di Maude,
gli originali sono sempre un po’ un salto nel buio. E che la scenetta ti
abbia così toccata, è molto bello. Spero che continui ad essere
così e che mi “amerai” lo stesso anche con i miei cenni
angosciosi.