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Autore: suni    16/03/2008    7 recensioni
E’ passato molto tempo, eppure non li ho mai dimenticati. [...] Anche se i miei ricordi e i loro visi sono pallide figure sfumate e imprecise, tranne pochissime immagini straordinariamente nitide che mi accompagnano da sempre, ricordo ancora. Perché ai tempi di Hogwarts io e loro due, anche se non avevamo niente in comune, condividevamo un segreto.
Solo che loro non lo sapevano.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: I Malandrini, Nuovo personaggio | Coppie: Remus/Sirius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Terzo brano

 

 

L’indomani ebbi a malapena la forza di trascinarmi in Sala Grande per i pasti e il resto della scuola era conciato più o meno come me. Intorno ai tavoli si affollavano volti insonnoliti e stanchi, parecchi studenti saltarono il pranzo e i quattro ragazzi di Grifondoro erano tra questi. C’era soltanto Lily Evans con le sue amiche e persino lei sbadigliava in modo indecoroso.

La faccenda del bacio di Black e Murton aveva raggiunto una certa risonanza; Melissa Hopkirk giurava che lei li aveva proprio visti e che non c’erano dubbi, e non vedevo perché avrebbe dovuto mentire. Candice, comunque, fingeva che tutto quel baccano non la riguardasse affatto e sedeva elegantemente al suo tavolo con un sorriso compiaciuto aleggiante sulle labbra. Lei, ovviamente, aveva lo stesso aspetto fresco e splendente di sempre.

Io mi domandavo se Black e Lupin fossero insieme, se con loro ci fossero anche gli amici o se fossero soli e si stessero chiarendo. Se Lupin fosse molto arrabbiato, se avesse creduto alla storia del bacio o se invece non gli importasse.

Di sicuro Black era molto scrupoloso nel non dare adito a sospetti. Anche troppo, a mio avviso.

Naturalmente non andai nella stanzetta. Non ce la facevo proprio e comunque dubitavo che loro avessero la forza di trascinarsi fin lassù, anche nel caso in si trovassero insieme. Sapevo, inoltre, che adesso sarebbe stato più complicato riuscire a sgattaiolare in quel corridoio silenzioso. Durante quegli ultimi giorni i miei amici erano stati troppo presi dal Ballo, ma ora che l’affare si era concluso sarebbero tornati ad essere personali normali e di solito studiavamo insieme. Spesso, almeno. Sarebbe stato strano se d’improvviso avessi preso a disertare sistematicamente le nostre sessioni di ripasso.

A cena invece erano presenti, tutti e quattro. James Potter sprizzava cuoricini dagli occhi e Lily Evans non era da meno, Minus doveva avere ancora sonno e Black e Lupin, ahimè, non si guardavano nemmeno in faccia. Direi per l’esattezza che Lupin si comportava come se Black non fosse nemmeno esistito, nonostante i tentativi di quest’ultimo di ricordargli la propria presenza. Sirius finì per rovesciargli addosso “accidentalmente” del succo di zucca tanto per farsi notare, ma non credo che la mossa sia stata molto intelligente. Lupin a quel punto più che indifferente divenne ostile.

Ero in pensiero.

Ed era da pazzi che mi prendessi tanto a cuore i problemi di due ragazzi che non conoscevo, di cui non sapevo praticamente nulla e che non avevano idea di chi fossi. Eppure non riuscivo a farne a meno. Osservavo Sirius Black e lo vedevo guardare Lupin come se da lui fosse dipesa la sua stessa sopravvivenza. Non capivo, in effetti, come James Potter potesse non rendersi conto di nulla. Doveva avere delle mani di Gigante sugli occhi, oppure essere una persona estremamente discreta. Ora, apparentemente Potter – poteva confermarlo chiunque – di discreto aveva ben poco, ma quell’unica volta che l’avevo visto con Black lontano dal pubblico avevo notato una persona diversa, completamente differente dal Caposcuola chiacchierato che conoscevano tutti.

Erano così complessi, quei ragazzi. Non facevano che attirarsi l’attenzione in qualunque maniera possibile, eppure riuscivano ad essere se stessi solo nei rari momenti in cui il mondo si dimenticava di loro e si chiudevano nel proprio universo privato.

Non tornai alla stanzetta per qualche giorno. Dovevo studiare moltissimo per la mia relazione, dovevo presentarla il venerdì e Seb, che era fortissimo in Incantesimi, si era offerto insistentemente di aiutarmi. Lo faceva sempre.

Ovviamente non avevo trovato un motivo plausibile per declinare la gentile proposta e mi ero vista costretta ad accettare, anche perchè il suo aiuto mi faceva davvero comodo. Mi consolavo dicendomi che vista la freddezza che si dimostravano Black e Lupin non stavano certo a chiacchierare nell’aula vicino a Astronomia, ma il pensiero finiva per deprimermi anziché risollevarmi.

Il lunedì la situazione non era sensibilmente cambiata, Lupin rispondeva a Black a monosillabi e cercava di non dare a vedere agli altri amici che ci fossero dei problemi. Martedì, sotto gli occhi di nove persone tra cui un’allibita professoressa McGranitt, che dovette togliergli dei punti, mandò al diavolo il compagno con una serie di epiteti poco lusinghieri che fecero sbiancare la povera donna. La sua giustificazione fu “mi stava minacciando perché gli dessi i compiti di oggi da copiare, altrimenti avrebbe fatto cose turche nel mio letto.” La professoressa tolse dei punti anche a Black.

Lupin ci sapeva fare, con le frottole.

Mercoledì Sirius iniziava a dare segni di cedimento. Era triste e abbattuto e persino Potter dovette accorgersene. Lo vidi parlottare con lui e riempirgli il bicchiere più volte, durante la cena, scompigliandogli i capelli con fare dispettoso. Lupin era di marmo, quasi livido, non lo guardava neanche.

Giovedì sera, infine, dopo cena, Candice Murton risolse involontariamente la situazione: passò accanto ai quattro Grifondoro lasciando cadere un libro con fare casuale. Un vecchio trucchetto da dama ottocentesca, effettuato solitamente col fazzolettino di trine. Black non se ne accorse minimamente, anche se il manuale si era schiantato esattamente accanto al suo piede. Probabilmente stava fissando Lupin e il mondo circostante era svanito dalla sua percezione. Fu questi, comunque, evidentemente mosso a compassione, a chinarsi e raccogliere il volume, porgendolo alla ragazza. Candice era così infuriata che addirittura arrossì di collera, girò i tacchi e marciò via al colmo dell’indignazione. Il solo commento di Black fu:

“Ma quando te l’ha dato, quel libro, Remus?”

Doveva essergli difficile pensare a qualcuno che non fosse lui.

James Potter si ribaltò dal ridere e Remus non poté trattenere una risatina incredula. Li vidi guardarsi per un istante, appena un secondo, e mi sentii meglio. Nei loro occhi c’erano un sacco di cose che spiegare a parole mi risulta impossibile.

Decisi che l’indomani sarei tornata alla stanzetta.

Peccato che loro non ci vennero. A cena, però, li vidi chiacchierare. Era sollevata. Mi sentivo più di buonumore anche io e il tutto continuava ad essere privo di senso.

Il sabato Seb e Julia mi trascinarono a fare pupazzi e palle di neve. Aveva nevicato e Hogwarts sembrava immersa in un bianco immacolato. Non riuscii a liberarmi di loro e nemmeno ne avevo troppa voglia, perché ci divertimmo molto.

La domenica ebbi finalmente un nuovo incontro ravvicinato coi ragazzi. Come sempre a loro insaputa.

Avevo liquidato i miei amici con la scusa di voler effettuare un ultimo ripasso in solitudine per concentrarmi pienamente. In seguito avrei riutilizzato parecchie volte quella spiegazione raffazzonata, senza che nessuno mi chiedesse chiarimenti. Niente di strano, in questo: io ero Maude, la semplice e silenziosa Maude, una ragazza senza tanti grilli per il capo, come diceva mia madre con sollievo. Nessuno poteva certo immaginarsi che spiassi una coppia di ragazzi intenti a vivere la loro vita nell’intimità di un’aula vuota: io stessa stentavo a crederci.

Quando li sentii arrivare mi mancò un battito: era tutto a posto tra loro? O qualche strascico si faceva ancora sentire? Fissavo la fessura nella porta con attenzione spasmodica, guardandoli mentre entravano nell’aula. Silenziosi.

Fu Black a interrompere quel mutismo prolungato, dopo che Lupin si fu seduto.

“Non è colpa mia se mi è venuta di nuovo a cercare.”

Lupin lo guardò ed annuì, vago.

“Io non ho detto una parola,” si giustificò.

“Non c’è bisogno che parli, con quella faccia,” osservò Black di rimando.

“Quale faccia?”

“Quella faccia da: ho bevuto due litri di succo di limone puro e ora forse morirò di acidità.”

Lupin scoppiò a ridere suo malgrado, nonostante la smorfia per trattenersi, quindi scrollò la testa.

“Non sono affatto acido.”

“Nemmeno i limoni lo sono,”commentò Black con sufficienza, appoggiandosi allo spigolo della cattedra.

“Piantala con questi limoni,” intimò Lupin, incrociando le braccia.

“E tu piantala di fare quella faccia.”

“Io non sto facendo facce,” protestò Lupin esasperato.

“Io non sto facendo facce,” lo motteggiò Black facendogli il verso, ed incrociò a sua volta le braccia assumendo una buffa espressione inequivocabilmente acida e piuttosto somigliante, ad onor del vero.

Repressi a stento una risata.

“Pagliaccio.”

McGrannitt.”

“Sirius!”

“E’ la verità,” si difese l’interpellato, noncurante.

Si guardarono per qualche istante in cagnesco, prima di prendere a ridacchiare in sincrono.

“Non le somiglio affatto,” puntualizzò Lupin divertito.

“Certo che no, Minerva. Ops. Remus, volevo dire Remus,” sghignazzò Black, mentre l’altro estraeva un libro dalla sacca di scuola e glielo lanciava contro senza tanti complimenti. Sirius lo schivò per un pelo, senza smettere di ridere.

Ero molto sollevata. L’atmosfera non era del tutto distesa ma almeno stavano scherzando e ridevano insieme, quindi immaginai che le cose fossero più o meno sistemate.

“Sei proprio un bambino,” commentò Lupin rassegnato.

“Ma ti piace che lo sia,” aggiunse Black vittorioso.

“Non mi sembri nella posizione di fare il gradasso.”

Quest’ultima frase di Remus Lupin fu abbastanza asciutta e il sorriso sul volto di Black si spense in un’espressione colpevole. Si staccò dalla cattedra ed avvicinò l’altro ragazzo con ragionevole prudenza.

“Ma non è colpa mia,” protestò, risentito.

“Se vai in giro a baciare la gente come se niente fosse poi non puoi far finta che sia strano se la gente si aspetta che tu lo rifaccia,” osservò Lupin freddamente.

Molto freddamente.

Glaciale.

Black non trovò nulla da ribattere e chinò la testa, abbattuto.

“Non fare quella faccia,” esclamò Lupin, sbuffando.

“Quale faccia?” chiese Black, speranzoso.

Remus sollevò lo sguardo su di lui, cercando di rimanere serio. I suoi occhi però stavano ridendo, fissi sull’altro ragazzo con una tenerezza indicibile.

“Quella faccia da: mi hanno ucciso i familiari e derubato di tutti i miei averi e in più ho appena calpestato una merda di ippogrifo.”

Mi dovetti tappare la bocca con forza mentre Black esplodeva nella sua risata ululante.

“Non credo che mi dispiacerebbe,” osservò tra le risate. “Per i familiari, dico.”

“Invece la merda di ippogrifo sarebbe un gravissimo problema per le tue belle scarpe nuove,” commentò Lupin condiscendente. Gettai un’occhiata ai piedi di Black, infilati in un paio di qualcosa che un tempo dovevano essere stati, forse, stivali. Ma poteva anche trattarsi di ciabatte sformate.

Il mio commento all’epoca, nel diario, fu: “le scarpe di Black sono raccapriccianti, cadono a  pezzi. Tipicamente Grifondoro.”

“Conta quel che c’è dentro,” rispose il ragazzo con fare altero.

“Merda di ippogrifo,” concluse Lupin con un sorriso pieno di pietà.

Black non si trattenne oltre, slanciò il corpo in avanti e afferrò il volto dell’altro per aggredirlo letteralmente con un bacio alquanto famelico. Lupin lo lasciò fare senza troppo fastidio.

Ero deliziata. C’erano un’intimità e una confidenza tra di loro che mi lasciavano completamente disarmata, tanto da darmi l’impressione che non avessero mai fatto altro che stare insieme.

Merdofilo,” borbottò Black contro il viso di Lupin.

La risata di Remus risuonò leggera nell’aula, mentre gettava indietro la testa con spasso. Sirius Black ne approfittò per accovacciarsi parzialmente al suo fianco, abbassandosi per stare alla stessa altezza.

“Non si dice così, vero?” domandò innocentemente, facendolo ridere ancora di più.

Lo stava facendo apposta. Sperava di rabbonirlo, evidentemente, ma mi dava anche l’idea che sentirlo ridere fosse uno dei grandi piaceri della sua vita. Lo stava a guardare con aria rapita, un sorriso involontario appena accennato sulle labbra.  

Nessuno, nessuno mi aveva mai guardata in quella maniera. Né avevo mai visto un simile sguardo omaggiare qualcun altro.

Chissà com’era il mio, di sguardo, in quei momenti. Probabilmente li osservavo con la stessa intensità adorante con cui si guardavano tra loro. Ero affascinata dal loro strano equilibrio tutto sghembo, dal loro oscillare tra il riso e la ripicca senza mai perdere del tutto la misura, con naturale accortezza.

Remus Lupin aveva smesso di ridere, Black colse l’occasione fornita dalla sua momentanea quiete per farsi spazio contro il banco e accoccolarsi sulle sue gambe.

Lupin protestò sonoramente, emettendo un gemito di sofferenza.

“Sei un falso magro,” si lamentò con espressione da martire.

“Sono praticamente perfetto, sotto ogni punto di vista. Come…come si chiama?” domandò Sirius corrucciato, grattandosi il mento.

“Chi?” chiese Lupin perplesso, passandogli un braccio intorno alla vita.

“Quella con l’ombrello. La strega del film babbano per bambini che ci hai fatto vedere quest’estate a casa tua, la sera della sbronza,” spiegò Black impaziente.

Fortunatamente Lupin scoppiò a sghignazzare senza ritegno, perché questa volta non riuscii a trattenere del tutto il principio di risata che mi esplose tra le labbra, avendo intuito di che parlasse.

“Mary Poppins,” boccheggiò Remus, viola per il ridere.

“Sì! Praticamente perfetto, come Mary Poppins,” confermò Black soddisfatto.

Lupin proruppe in una nuova, frenetica risata.

“Mi piacerebbe vederti col suo cappellino,” biascicò senza fiato.

Anche Sirius Black si mise a ridere.

Ridevano, uno in braccio all’altro, e Merlino sa se non sembravano giusti e armoniosi in modo quasi irreale. Anch’io, ormai, ero scossa da un riso silenzioso, le labbra strette allo spasmo.

“Mi starebbe benissimo, avrei dovuto averne uno al Ballo,” continuò Black, altero, quando si furono calmati.

“Non credo che Candice avrebbe apprezzato,” osservò Lupin, sferzante.

Sirius Black esitò solo per un istante, prima di scrollare le spalle.

“Ma tu sì,” osservò noncurante. “Questo è l’importante.”

“Strano. Io non ho molto apprezzato il bacio.”

Black sbuffò, circondandogli il collo con un braccio.

“Ma te l’ho detto, ora ne parlano tutti. A chi verrebbe in mente che sono qui con te, adesso?”

“Che nobile sacrificio, Sirius, sono commosso,” affermò Lupin, tra lo scherzo e il risentimento.

“Sei incontentabile,” ribatté l’altro con fare annoiato.

Remus Lupin non gli rispose, limitandosi ad appoggiare la testa alla sua spalla.

“Potresti, e dico potresti,” suggerì Black con fare casuale, “riappropriarti di ciò che è tuo.”

“Potrei cederlo a lei,” ribatté Lupin indifferente.

“Sono un ragazzo-oggetto,” sospirò Black melodrammatico.

Non era del tutto falso. Le ragazze della scuola se lo contendevano come un bel pupazzo e mi chiesi se non ci fosse un fondo di autentico rimpianto per quella condizione. Un tempo pareva esserne più che lusingato e fomentava decisamente gli animi, ma forse ora non era più così entusiasta e quella cosa doveva iniziare a stargli stretta.

“Col cervello che ti ritrovi non puoi pretendere molto di più,” rispose Lupin a voce bassa, voltandogli il viso con una mano, delicatamente. Mentre poggiava le labbra sulle sue sentii provenire da Black un mugugno che suonava molto simile a qualcosa come “vaffanculo”.

Ero di nuovo dove non dovevo essere. E me ne resi conto con drammatica evidenza quando Black, senza staccare la bocca da quella del compagno, come se fosse stato il boccaglio di una bombola d’ossigeno, riuscì in qualche acrobatica maniera – ancora non mi spiego come – a incastrarsi tra il banco e la sedia di modo da far passare una delle due gambe oltre il corpo dell’altro, così da sederglisi in braccio a cavalcioni. Sapeva essere un contorsionista nato, all’occorrenza.

A quel punto la mia situazione si faceva decisamente spinosa. Sgranai gli occhi con un moto di terrore nel rendermi conto di quali parti dei loro corpi entravano in contatto in quella maniera e a diciassette anni mi ero fatta almeno un’idea della dinamica dell’anatomia umana. Il successivo gemito proveniente probabilmente da Remus Lupin me lo confermò inappellabile.

Emisi un lungo respiro scomposto gettando un’occhiata intorno.

Non avevo vie di fuga.

E quei due continuavano a baciarsi con metri di lingua completamente persi in se stessi. C’era anche la possibilità che se fossi uscita e me ne fossi andata non se ne sarebbero accorti; forse nemmeno se mi fossi messa a ballare la lambada avrebbero notato qualcosa. Ma non desideravo verificarlo. Quando poi Sirius Black si mosse, spingendosi contro il corpo dell’altro con un lamento roco e decisamente erotico, oltre ad avvampare come un cerino che prende fuco – avevo caldo persino nei capelli – mi resi conto che non potevo proprio rimanere lì. Comunque mi traballavano le ginocchia e i sussurri emessi da quel groviglio di membra non aiutavano molto la mia lucidità.

Pensai che forse se avessi corso non sarebbero riusciti a mettere a fuoco la mia figura.

Per un imperscrutabile disegno divino e con mia immensa fortuna, non fu necessario: un’oscillazione più marcata del bacino di Black fece definitivamente cedere il già precario equilibrio della sedia su cui erano arrampicati: d’un tratto li vidi sbilanciarsi e precipitare indietro, schiantandosi a terra con sedia, borsa dei libri e tutto quanto, accompagnati da un gran fracasso.

La caduta fu tanto violenta che per qualche istante temetti che si fossero fatti male. Poi li sentii gemere – di dolore questa volta, grazie al cielo – e mi raggiunse la sonora imprecazione di Black, seguita dalla risata spezzata e ansimante di Lupin, cui si unì subito dopo anche lui.

Erano spariti dalla mia visuale e non potevo accertarmi delle loro condizioni, ma se ridevano non poteva essere niente di mortale.

Riemerse per primo Remus Lupin, arruffato e sghignazzante, quindi tese la mano e recuperò il compagno, che si rizzò in piedi massaggiandosi la testa.

“Cambiamo location,” decise Black con una smorfia.

Ne fui estremamente sollevata.

Quando se ne furono andati crollai a sedere con un lungo sospiro spossato. Mi era andata bene e ringraziavo quella santa sedia. Mi sembrava ancora di arrossire se ripensavo al loro modo famelico di saltarsi addosso. E non ripensarci, al momento, mi era difficile.

Mi resi conto dopo un po’ che mi stavo sventolando il quaderno verso il viso come un ventaglio. Scoppiai a ridere nervosamente, denigrando la mia vergognosa attitudine: ero un’orribile guardona, mi stavo comportando come una malata. Poi mi tornò in mente la caduta dei due ragazzi e la mia risata si fece ancor più frenetica, scrosciante.

Magnifici. Erano stati assolutamente esilaranti.

Ad ogni modo, quella sera mi dissi che avrei smesso di spiarli.

Non ci credevo nemmeno io.

Per qualche giorno, comunque, non osai tornare alla stanzetta.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Eccomi di ritorno.

Avrete notato una certa lentezza. Mi scuso sentitamente, ma ho un nuovo progetto per le mani che occupa la maggior parte del mio tempo dedicato alla tastiera del pc.

A questo proposito, se vi interessa saperne di più sul mio nuovo lavoro potteriano (si fa per dire, di Potter Potter c’è ben poco), vi invito a raggiungermi qui:

 

http://black-pf.livejournal.com/

 

 

 

 

 

E dopo un po’ di sana pubblicità, passiamo ai ringraziamenti.

 

   FireAngel : temo di non poter rispondere alla tua domanda e chiarificare il tuo dubbio senza fare spoiler, quindi dovrai tenerti la curiosità… grazie per gli auguri di guarigione, ovviamente ormai sono sana e salva anche perché sennò sarebbe preoccupante. A presto.

   fog: mannaggia… belle, belle parole. Tu mi commuovi sempre. Questa volta ti sei superato e non sai che bello leggere cotale recensione. Hehe, hai notato Snape…e l’idea di Maude di presentarsi che sì, è assurda ma mi è uscita così e mi ha fatto ridacchiare. Sono felice che ti piacciano tanto i miei personaggi, sono estasiata dal fatto che ti trasmettano tante impressioni e tanta concretezza. Come mi rendi lieta. Scusa se non ti ho più risposto alla mail e grazie per le ultime dritte, mi farò sentire al più presto che ho un paio di cosette da chiederti. Ciao ciao.

   Briseide: hahaha…lo spacciatore di fiducia mi sembra calzante. Ebbene, mia cara, tutto quello che dici sullo spettacolo del fuoco che brucia, sull’ingiustizia e sull’amarezza è come suppongo tu sappia perfettamente condiviso dalla sottoscritta me medesima me stessa. Vedo che Candice proprio non ti è piaciuta, eh? ^__^ Non me ne sorprendo. Non è un personaggio piacevole né lo diventerà. Comunque Remus non fallisce totalmente, dai… E’ un osso duro, il sudicio ibrido. A presto

   Squizz: Eeehm… lo so. Ogni tanto ci butto dentro un po’ di angoscia e dolore. Se no, appunto, non sarei io. Hehehehm… mi fa molto piacere che si entri in sintonia col personaggio di Maude, gli originali sono sempre un po’ un salto nel buio. E che la scenetta ti abbia così toccata, è molto bello. Spero che continui ad essere così e che mi “amerai” lo stesso anche con i miei cenni angosciosi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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