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Autore: Bale    09/09/2013    5 recensioni
Il dottor Carter si ritrova a svuotare l'armadietto di Mark Greene dopo la sua morte e le emozioni, inevitabilmente, lo travolgono
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Carter, Mark Greene
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Lo Stetoscopio







Gli bastò aprire quell’armadietto per sentirsi completamente messo in discussione.

John Truman Carter non aveva mai provato quelle sensazioni.

Si sentiva addolorato per la morte del Dottor Greene. Le sue viscere, nel suo ventre, si contorcevano e, all’improvviso si sentì come svuotato, come se le viscere non le avesse mai avute.

Sapeva che non sarebbero tornate molto presto, così sospirò e si sollevò sulle punte dei piedi per sbirciare meglio ciò che l’armadietto conteneva.

Non si era mai sentito così solo, così abbandonato, nemmeno quando aveva perso suo fratello. Allora aveva sofferto molto, ovviamente, ma in quel momento provava qualcosa di totalmente diverso, amplificato da quell’armadietto che doveva svuotare e da quel salottino che mai più si sarebbe riempito della voce di Mark Greene.

Non era stato il suo mentore, quello era Benton, eppure Carter sapeva bene che l’impronta lasciata dal dottor Greene nel suo cuore e soprattutto nel suo modo di fare il medico, era indelebile, eterna.

Sospirò, poi allungò una mano per afferrare qualcosa. Era un pacchetto di sigarette. Probabilmente era lì da molto tempo. Era ancora intatto.

John chiuse gli occhi e lo rivide: Mark Greene scioccato ed impaurito per l’aggressione subita nel bagno del Pronto Soccorso, che si stringeva nel cappotto spaventato, con il volto coperto di escoriazioni e cerotti e la sigaretta tra le dita affusolate. Aveva ripreso a fumare allora, per la paura, per superare un ostacolo che aveva creduto insormontabile, ma che, alla fine, era riuscito a lasciare dietro di sé, sul suo cammino non molto lungo, ma pieno di eventi belli e meno belli, che in un modo o in un altro lo avevano reso quello che era: il dottor Mark Greene.

Spesso lo aveva rassicurato, gli era stato accanto. Con poche parole  era riuscito a spronarlo, a dargli la spinta giusta per andare avanti, a dargli la forza di non mollare.

La vita era stata assai ingiusta con lui. Aveva amato Jennifer, con la quale aveva avuto Rachel, la sua splendida bambina, ma alla fine la fiaba era finita e, purtroppo, senza un lieto fine.

Aveva amato Susan, ma lei se n’era andata proprio quando lui aveva finalmente trovato il coraggio di rivelarle i suoi sentimenti.

Alla fine aveva amato Elizabeth Corday, il chirurgo, la donna impacciata e un po’ imbranata.

La dottoressa Corday gli era sempre sembrata un po’ una bambina timida, inesperta, un po’ spaventata dal mondo, ma quando entrava in ospedale e soprattutto in sala operatoria, diventava un ottimo e perfetto chirurgo.

Ad ogni modo, anche la storia con Elizabeth aveva avuto più momenti bui che momenti belli. Si erano separati probabilmente a causa di quello che Rachel aveva fatto ad Ella, la loro bambina, la seconda figlia di Mark, quella che non avrebbe mai conosciuto suo padre.

Che destino crudele!

Mark, alla fine, si era ammalato. Aveva lottato contro il cancro, si era operato, ma non era mai guarito.

Carter scosse la testa, travolto da una valanga di emozioni.

No, non si sentiva di dire che Mark aveva perso la sua battaglia. Non era vero.

Mark Greene aveva vinto ancor prima di lottare, a prescindere dall’esito della battaglia. Era un vincente, ce l’aveva fatta comunque.

Aveva lasciato lui, John Carter, lì, commosso e addolorato, mentre svuotava il suo armadietto e mentre sentiva rimbombare nella testa tutte le parole dolci e incoraggianti che il dottor Greene gli aveva rivolto nel corso della sua carriera di medico. Aveva vinto, indubbiamente.

In fondo, però, Mark Greene aveva insegnato a John e a tutti i medici e tirocinanti che avevano avuto l’onore di lavorare con lui, non soltanto a fare una diagnosi, a praticare un massaggio cardiaco o intubare i pazienti; Mark Greene aveva insegnato loro la vita, quella vera.

Non c’era stato bisogno di dare troppe spiegazioni. Lui, semplicemente, aveva mostrato loro cosa un medico deve fare e soprattutto come deve comportarsi un uomo vero.

Era proprio per questo motivo che Mark era un vincente.

Aveva vinto la sua battaglia con la vita semplicemente perché aveva vissuto a pieno, giorno dopo giorno e, soprattutto, non aveva mai veramente considerato i fallimenti come tali. Per lui erano stati soltanto un nuovo punto di partenza, una rinascita.

Asciugandosi una lacrima, John si rese conto di aver tolto tutto dall’armadietto.

Era rimasto soltanto lo stetoscopio.

Lo afferrò delicatamente e se lo rigirò tra le mani.

Senza pensarci due volte, si sfilò il suo dal collo e lo gettò nello scatolone dove aveva raggruppato la roba di Mark. Atterrò con un tonfo accanto ad una foto di Elizabeth ed Ella, ma Carter non lo notò.

Si portò lo stetoscopio di Greene dietro la testa e lo sistemò intorno al suo collo.

Poi uscì dal salottino dei medici per ributtarsi nella mischia, ma stavolta aveva qualcosa di diverso, di nuovo. In un solo istante era cresciuto.


 
   
 
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