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Autore: ManuFury    10/09/2013    2 recensioni
(...) Mi ci vuole un altro secondo per mettere a fuoco, per focalizzare la scena dal punto di vista dei miei compagni: ho urlato, ho lanciato via il mio Markza e sto correndo incontro ai nemici armato solo delle mie mani. Quasi m’immagino del fumo che mi circonda, degli spuntoni che emergono dalle mie spalle e la pelle che assume una colorazione rossastra.
Garron Paduk, il Rager. Sarebbe anche credibile. (...)
(Quarta Classificata al Contest "7 vizi capitali Contest" indetto da KatherineXx)
Genere: Azione, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Tutto il mondo sembra scomparire, inghiottito da una nera bolla d’inchiostro. Ogni cosa è buia attorno a me, fredda e vuota come una stanza senza arredi, senza luce, senza vita stessa.
Per un attimo, ho la sensazione di essere tornato indietro, al giorno dell’esplosione della bomba che mi sfregiò il volto dandomi solo un motivo in più per odiare il Governo. Anche allora il mondo si era fatto oscuro e freddo. Le sensazioni che provo, in effetti, sono le stesse: sento la paura, confusione di chi non capisce cosa sta accadendo, l’affanno che sempre accompagna il non sapere e un altro lungo elenco che ora come ora va ad attorcigliarsi in testa e nel corpo come una serpe, avvolgendosi alle mie membra e bloccandole sul posto come quelle di una statua di marmo.
Che è successo?
Non capisco e sento l’ansia crescere, soffocare tutte le altre sensazioni; finché, come quel giorno, nelle tenebre vedo nascere una scintilla: al principio è solo un piccolo e rosso puntino in lontananza come una stella appena nata, ma via via si fa più grande, più colorata e più bollente, bruciando di colpo ogni altra sensazione come un incendio scoppiato in una foresta di alberi secchi.
La conosco questa sensazione, ci ho convissuto per una vita.
È ira.
In un attimo il mondo torna con violenza quello di sempre: con le sue forme e colori, con i suoi edifici decadenti e con il calore del sole che si mischia a quello dell’ardore che sento dentro e ricordo…
 
Sofia, io e alcuni altri ragazzi che uscivamo per un controllo sul confine. Era strano che i Vermi non si fossero ancora fatti vivi, era quasi un mese che non ne vedevamo, da qui il motivo della nostra uscita.
Mi ero appostato dietro un edificio per metà crollato, controllando il perimetro con il mio fedele Markza mentre gli altri lo setacciavano a piedi, le armi in pugno e i sensi sempre all’allerta.
Non c’erano tracce di Locuste, sempre più strano, ma forse era meglio così, forse quelle schifose si erano veramente arrese.
Sofia usciva in quel momento da un palazzo appena setacciato e si voltava verso di me, sorrideva allegra e abbassava leggermente l’arma per potermi mandare un bacio con la mano. Sorridevo anch’io e in quel momento, dal nulla, sfruttando abilmente quell’attimo di distrazione due Droni sbucarono da un angolo, diretti verso Sofia, verso la MIA Sofia.
Il mio cuore, che batteva solo per lei, si fermò e il sorriso mi morì sulle labbra.
E il mondo scomparve…
 
La rabbia che sento in questo momento scioglie con il suo calore ogni altra emozione, liberando le mie membra, ridandomi il controllo del mio corpo.
“SOFIA!” Urlo alzandomi di scatto tanto in fretta da sentire le articolazioni delle mie ginocchia scricchiolare per il troppo tempo in cui le ho mantenute irrigidite. Non ci bado, come non mi curo delle grida dei miei compagni: mi dicono di fermarmi, di aspettarli, credo, non ne sono certo.
Lancio in aria il mio Markza e ignorando tutto e tutti, scatto in avanti.
L’ira ritorna, più potente e aggressiva, esplode nel mio petto come una granata incendiaria. Quel sentimento che credevo ormai scomparso con l’arrivo di Sofia, quella ragazza che aveva abbandonato tutto per me; la collera adesso ruggisce con me come se non si fosse mai realmente separata, legata a doppio filo alla mia anima, così come, tempo addietro, era successo con Sofia.
Mentre supero con un balzo il muro abbattuto dietro al quale mi ero appostato la mia mente, incredibilmente, mi riporta davanti agli occhi l’immagine di un Rager.
Per un istante il mio corpo carico di adrenalina rallenta, persino la mia rabbia cessa il suo incontrollato ribollire.
Un Rager? Ma che cazzo d’idee mi passano per la testa?
Mi ci vuole un altro secondo per mettere a fuoco, per focalizzare la scena dal punto di vista dei miei compagni: ho urlato, ho lanciato via il mio Markza e sto correndo incontro ai nemici armato solo delle mie mani. Quasi m’immagino del fumo che mi circonda, degli spuntoni che emergono dalle mie spalle e la pelle che assume una colorazione rossastra.
Garron Paduk, il Rager. Sarebbe anche credibile.
Solo che tutto questo non mi aiuta a recuperare Sofia, io ho bisogno dell’ira, la devo sentire pompare nelle mie vene, stimolando la produzione di adrenalina così da non sentire la stanchezza o il dolore.
Ringhio proprio come una di quelle schifosissime Locuste che hanno osato sfiorare la mia amata e raggiungo l’angolo dell’edificio dove li ho persi.
Niente: solo macerie, qualche stentato arbusto dalle piccole foglioline gialle, macchine ribaltate e il sibilo del vento tra i palazzi abbandonati.
Non posso averli persi. Non posso!
La mia furia ribolle a livelli mai visti, se fosse una caldaia, il contato a fianco sarebbe sicuramente esploso da un pezzo.
La chiamo, urlo il nome di Sofia, ma quello che mi esce dalle labbra è solo un lamento, un’accozzaglia di suoni senza senso.
Avanzo tra i detriti, i muscoli tesi al limite, gli occhi che ballano con una punta di follia a farli brillare e il pulsare doloroso delle mie tempie, la mia rabbia ha sempre avuto un prezzo, più o meno lo stesso di una sbronza. Il cuore mi martella in petto allo stesso ritmo delle tempie. Il respiro è pesante, profondo e fatto con la bocca proprio come un’animale, come un Rager furioso che ha appena perso il suo bersaglio.
Come in un videogioco posso quasi vedere il moltiplicatore della mia collera aumentare sempre di più, così come in proporzione scende la lucidità dei miei ragionamenti: non controllo dietro agli angoli per vedere se ci sono nemici, non cerco di mascherare i miei passi, non proseguo furtivo da riparo a riparo. Non bado a quello che potrebbe capitarmi, sono troppo cieco di furia per pensarci.
Per questo quando aggiro una macchina ribaltata, non mi accorgo nemmeno della massiccia figura accovacciata lì dietro, al riparo.
La Locusta si alza in silenzio e afferrato il fucile Gnasher come una mazza, mi colpisce con violenza alle spalle. Probabilmente crede di avermi stordito, se non addirittura ucciso con quel colpo, per questo si stupisce non poco quando un lieve brontolio sale dal profondo della mia gola mentre drizzo le spalle, leggermente incurvate per la botta ricevuta. Non barcollo, non cado a terra: il dolore non l’ho nemmeno sentito, Dio benedica l’adrenalina e tutti i suoi magnifici effetti.
Mi volto verso la Locusta, non è un Drone, come quelli che hanno preso la mia amata, è un Granatiere, non che m’importi: è uno schifosissimo Verme e lo voglio vedere morto!
Scatto senza lasciargli il tempo di sparare o di tentare di difendersi, il che è notevole per un umano.
Lo aggredisco brutalmente a mani nude: dovrebbe essere più forte di me, ma me ne fotto altamente di questi dettagli. Lo disarmo facilmente e senza concedergli nemmeno una delle mie famose battute di spirito, gli metto le mani al collo. Il Granatiere tenta di difendersi, ma avverto poco: il rumore di tessuto stracciato, il calore del sangue che scorre in rivoletti sul mio petto, lungo il collo mischiandosi col calore pulsante che sento dentro. Sento le sue urla strozzate e le mie: grido disperato con gli occhi quasi lucidi, chiedo dove hanno portato Sofia, impreco, bestemmio, lancio onomatopee senza senso.
Vedo gli orridi occhietti brillanti della Locusta spegnersi un po’ alla volta mentre le mie mani stringono ancora e ancora come indistruttibili e inarrestabili tenaglie. Dalla mia bocca continua a fluire un fiume sconnesso di domande e suoni che non avranno mai una risposta.
L’ardore che sento dentro e la mia ira aumentano, alimentate dall’immagine della mia donna che viene portata via, di conseguenza la mia lucidità cala nuovamente.
Sarà per questo che non avverto i miei compagni avvicinarsi.
Riesco solo a focalizzare che sto agendo e pensando come un Rager, sto uccidendo come un Rager. Sono un Rager.
Lezione numero uno contro questo tipo di Locusta, lezione impartitami proprio da Sofia: come si abbatte un Rager?
Evidentemente i miei compagni hanno avuto un’ottima maestra e hanno studiato a fondo. Mi colpiscono alla testa con il calcio di un Lancer, come farebbero con un Rager.
Per un istante vedo tutto nero e sento di colpo la mia rabbia scemare, lasciandomi al freddo. Muovo le labbra a pronunciare un nome… Sofia… e perdo il contatto con la realtà.
 
Quando apro gli occhi, mi accorgo che è notte inoltrata: la porzione di cielo che scorgo dalla finestrella della mia stanza è blu scuro, puntellato da qualche brillante stella che mi ammicca da lontano.
In secondo luogo mi accorgo del silenzio che mi circonda, ma vista l’ora direi che è normale. Dopo il mio corpo registra dell’altro: il pulsare ritmico e doloroso delle tempie come se qualcuno vi stesse conficcando dei chiodi, un bruciore intenso al petto attenuato dal fresco di fasciature fresche. Le fasciature di Sofia.
Non nego di avere una sgradevole sensazione addosso al pensiero della mia amata, anche se non ne ricordo il motivo, ma mi ritrovo a sorridere poiché quelle fasciature sono inimitabili. Provo a tendere un braccio verso la parte di letto matrimoniale che deve essere occupato dal suo corpo. Ed è allora che mi accorgo che le mie braccia sono incapaci di muoversi, bloccate come sono lungo i miei fianchi.
Spalanco gli occhi e sento il cuore perdere il suo ritmo regolare mentre mi volto e nelle tenebre non così fitte, vedo il vuoto al mio fianco.
E ricordo…
La rabbia monta di nuovo e tento di alzarmi: sento le giunture gemere a quel movimento, ma non è per questo che non riesco nel mio intento. Alzo la testa, adirato e vedo le cinghie: una al petto, una alla vita, una alle ginocchia; sono tre spesse cinture di cuoio che mi tengono inchiodato a questo maledetto letto.
Inizio subito ad agitarmi, urlando, provando a liberarmi come se fossi una bestia in gabbia.
Non riesco a fare niente se non provocarmi fitte dolorose al petto.
Nessuno viene a controllarmi o a calmarmi come faceva lei quando avevo gli incubi e mi agitavo nel sonno.
Respiro forte, con l’ira che mi cresce in petto, prima di avvertire una gelida lacrima lungo la pelle, a sbollentare il calore della mia collera. Mi fa ancora più male sapere che lei non sarà qui, al mio fianco, ad asciugarla.
Singhiozzo in silenzio mentre i ricordi affiorano come bolle nella mia testa. Mi rendo conto che tra me e un Rager c’è una bella differenza: un Rager sente solo il calore della sua rabbia, che muta il suo corpo in una perfetta macchina di distruzione; io… ho anche altri sentimenti.
O almeno, li avevo… prima di oggi.
 
 
 
***
 
HOLA! ^_^
 
Finalmente ho abbandonato il blocco dello scritto per questo Fandom che adoro e ora mi diverto non poco a riempirlo fino all’orlo! ^^
Ho lasciato da parte il buon vecchio Baird (che ancora adoro, sia chiaro… u_u) per questa nuova coppia, scoperta da poco, ma che già adoro! *q*
Lui è così dolce e tenero! E poi… è un cecchino, gente, un cecchino!
Va bene, chiusa parentesi Garron ( *Q*) torniamo a cose serie *coro di risate* … ehi, pure io so essere seria, un po’ di rispetto! -.-‘’
Dicevo… allora, questa è stata scritta per il Contest “7 vizi capitali Contest” indetto da KatherineXx sul forum di efp. Indovinate un po’ che vizio ho scelto?
IRA! *tutti in coro*
Ma che bravi! ^^
Esatto… e, guarda caso, il vizio corrisponde anche al Prompt 14) Ira della Challenge “La sfida dei duecento prompt” indetta da msp17.
Sono riuscita a far combaciare le due cose alla perfezione, che potrei volere di più? ^^
Ok… angoletto sclero chiuso, mi ritiro. u_u
Ci sentiamo presto, non so bene dove, ma ci sentiremo! ;)
ByeBye
 ManuFury! ^_^
& i Gears al Completo!  
 
 
 
 
  
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