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Autore: hapworth    11/09/2013    2 recensioni
Aveva già avuto modo di crogiolarsi nel calore intossicante degli abbracci di Jack: il biondo sembrava fin troppo propenso alle dimostrazioni di amicizia, quasi da risultare troppo affettuoso, per certi versi – ma forse era lui che, semplicemente, non c’era abituato.
[Jack/Fon]
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Quello che segue è un piccolissimo spaccato di Ilegenes: adoro Fon e Jack e non potevo non scriverci sopra qualcosa, per quanto banale e piuttosto stupido. Situato durante il capitolo 17, ne riprendo una situazione lasciata a metà: le frasi in corsivo all’inizio appartengono al manga.
I personaggi non mi appartengono ma sono delle rispettive autrici dell’opera originale, io li ho solo presi in prestito per un momento fluffoso, ecco ùù
Buona lettura a chi vorrà addentrarsi in questa cosettina ><

By athenachan


Non mi dire che hai paura
 
«Ma per caso… Hai paura dei tuoni?»
«No, non ne ho paura. È solo che non riesco ad addormentarmi.»

Fon si era sentito scoperto, a quella domanda. Non lo avrebbe mai ammesso, ma la verità era proprio quella: ne aveva timore perché non riusciva, ancora, a dormire tranquillo. Le notti in cui era agitato faceva l’incubo, ma durante le notti di pioggia, durante i temporali con i tuoni, non riusciva mai a prendere sonno.
Non importava quanto ci provasse, quanto rimanesse tra le coperte calde; non c’era mai abbastanza calore, abbastanza sicurezza. Fu in quell’istante, nell’osservare il profilo di Jack rivolto verso di sé, che non poté fare a meno di pensare ad una possibilità mai valutata prima di allora.
Aveva già avuto modo di crogiolarsi nel calore intossicante degli abbracci di Jack: il biondo sembrava fin troppo propenso alle dimostrazioni di amicizia, quasi da risultare troppo affettuoso, per certi versi – ma forse era lui che, semplicemente, non c’era abituato. Nessun’altro, però, si comportava come lui; neppure Crudup, benché il suo atteggiamento ricordasse molto quello del ragazzo.
«Jack…» mormorò, dopo qualche minuto di silenzio, nel quale si era persa l’ultima parola del loro discorso, quel piccolo aneddoto di famiglia che, Fon, non avrebbe forse mai capito: certo, suo padre adottivo non lo aveva mai trattato freddamente, ma faceva male ricordare i baci del buongiorno di suo padre, gli abbracci caldi di sua madre – che così tanto somigliavano a quelli di Jack, perché avevano la capacità di calmare il suo odio, la sua sete di vendetta.
«Che c’è Fon?» aveva la voce impastata, chiaro segno che si era quasi assopito completamente in quei minuti di completo silenzio; il moro fu tentato di non dire nulla, conscio che sarebbe probabilmente risultato stupido e infantile – proprio come il fratellino di Jack – ma, senza guardarlo, trovò la determinazione per chiedere ciò che gli era venuto in mente poco prima.
«Posso venire… Lì?»
Lo chiese timidamente, in quell’atteggiamento che forse poco gli apparteneva, però sentiva che era l’unica cosa che avrebbe potuto fare in quel momento. Fon era consapevole che, quella notte, non sarebbe riuscito a prendere sonno.
Una leggera risata costrinse il diciassettenne a voltare il viso nella direzione del proprio compagno di stanza: sorrideva con una mano sulle labbra, l’espressione divertita e quella leggera risatina ancora nell’aria. Fon si indispettì, gli occhi blu pavone si assottigliarono, per poi distogliere lo sguardo, a disagio: aveva ragione, si era appena reso ridicolo!
«Pensavo di essere stato piuttosto chiaro, prima.» mormorò il maggiore; l’altro avvertì il fruscio del corpo sulle lenzuola, sopra il materasso che cigolò appena e, tornato a guardare Jack, si stupì nel vederlo ancora con quel suo sorriso disponibile e un braccio a tenere sollevato il lenzuolo, quasi aprendogli le braccia, invitandolo contro il suo petto caldo.
«Non sei mai chiaro.» rispose, mentre si alzava dal proprio letto e, a passi veloci, si andava a lanciare quasi, contro il corpo del compagno di stanza. La verità era che si sentiva in imbarazzo: il calore sulle proprie guance pallide, benché fossero al buio, sembrava fin troppo evidente.
«Che carino che sei.» lo prese in giro Jack, prima di rinchiuderlo nel suo abbraccio rassicurante; un tuono si fece udire fuori dalla finestra e il moro si strinse alla maglia del biondo, rabbrividendo. Poi, come resosi conto della sua azione, rilasciò un poco il tessuto morbido e caldo, sollevando il viso e incontrando gli occhi chiari di Jack.
«Non ho sette anni, io.»
«Lo so, lo so. Vuoi fare il duro anche mentre ti abbraccio?»
Fon sbuffò, prima di appoggiarsi, più tranquillo, contro il petto del ragazzo più grande. Eccolo di nuovo, quel caldo rassicurante, pieno di tranquillità e pace. Sembrava purificarlo, come se la voce, quella che gli diceva di volere vendetta, si affievolisse lentamente, dimenticata in un angolo della propria mente: certo, era sempre pronta ad uscire, però non la sentiva più, non con la stessa intensità.
«Zitto e dormi.» sospirò, chiudendo gli occhi blu pavone, prima di cominciare ad assopirsi. Jack era la sua pace, la sua salvezza; riusciva a fargli fare ciò che voleva, trattenendolo per un braccio ma anche con uno sguardo, con le parole… Ma i suoi abbracci erano la cosa che più gli piaceva.
Jack era reale, sincero, qualcosa che sull’Isola sembrava raro quasi quanto gli occhi di Fon.

Fine
   
 
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