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Autore: MaidOfOrleans    11/09/2013    2 recensioni
Un poliziotto che ha perso tutto più di una volta.
Una ragazza che ha perso tanto, ma la cui vita deve ancora iniziare.
Una stupidaggine che conduce a una tragica fatalità.
Una salvezza miracolosa.
Un pericolo difficile da evitare.
Una convivenza forzata.
Qualcosa che, all'improvviso, restituisce i colori al mondo.
Qualcosa che, così com'è iniziato, di colpo deve finire.
Genere: Azione, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Chin Ho Kelly, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: Incompiuta
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When you’re out there, doing what you’re doing
How’re you just getting by?
Tell me, how’re you getting by?
(P!nk- Try)
 
 When you’re out there, doing what you’re doing
How’re you just getting by?
Tell me, how’re you getting by?
(P!nk- Try)
 
Impossibile.
Il luogotenente Chin Kelly, task force Five-O, non era un uomo che si arrendesse facilmente. Perciò, a dispetto dell’ora- era decisamente troppo presto per comportarsi in modo equilibrato- e dei quattro tentativi a vuoto che avevano preceduto quello corrente, riaprì il libretto di istruzioni, saltò la sezione in tedesco e quella in spagnolo e si fermò a pagina trentasei. 
Programmazione funzioni. Impostazioni. Consigli di utilizzo.
Chin prese un respiro profondo e chiuse gli occhi. Era il momento di soccombere all’evidenza. Se non c’era scritto da nessuna parte come cambiare quella musichetta orribile, significava che non c’era modo di farlo. E proprio mentre tentava di metabolizzare tale consapevolezza, il nemico sputò due fette di pane tostate quasi a puntino e produsse per la terza volta in mezz’ora quel rumore odioso. Taratatà.
Era frustrante, si disse Chin, sbocconcellando un angolo della prima fetta (croccante ma non bruciacchiata, doveva ammetterlo). Sul lavoro, gli oggetti elettronici gli obbedivano. Bastava essere pazienti, come diceva sempre a Steve, dimostrarsi delicati; le SIM card più rovinate, mezze divorate dalla sabbia e dall’acqua, tra le sue mani si aprivano come conchiglie, lasciando intravvedere la perla, le informazioni che avrebbero consentito al team di fare qualche passo avanti nelle indagini. Tra le sue competenze nel curriculum non c’era forse scritto conoscenza e padronanza delle nuove tecnologie?
Ed eccolo lì, in una cucina vuota e troppo ordinata, che litigava con un comunissimo tostapane.
Chin aprì il frigorifero, e ne scrutò il contenuto con scarso interesse. Era decisamente ora di fare la spesa, ma la squadra stava per far scattare una trappola che aveva passato mesi ad oliare, a danno di un grosso gruppo di contrabbandieri. Per tutta la settimana i turni di sorveglianza sarebbero stati lunghi, le nottate brevi. Forse poteva passare dalla signora Hurley, la sua vicina: era gentile in modo quasi irritante, e se le avesse chiesto di comprare due cose anche per lui mentre era al centro commerciale non si sarebbe certo rifiutata. Senza che Chin riuscisse a fermarli, i suoi occhi percorsero il muro che aveva di fronte e si posarono su una lavagnetta un po’ storta. La conca dove avrebbe dovuto trovarsi il pennarello era vuota, ma gli scarabocchi che la ricoprivano erano ben leggibili, nonostante la fretta di chi li aveva tracciati: uova, assorbenti, carta igienica, ketchup, carote, deodorante!!, fazzoletti, zucchero. Quante volte Malia gli aveva telefonato alle due, in pausa pranzo, per chiedergli se per caso aveva “buttato un occhio” a quella lavagnetta prima di uscire. “Ho scordato la lista a casa, che stupida…ma due cose le avevo segnate ieri sera! Tesoro, ti ricordi mica?” Lui sorrideva della disorganizzazione di lei, delle sue dimenticanze, della mania di scriversi tutto e di abbandonare le preziose notazioni sulla libreria dell’ingresso. Erano passati più di tre anni da quello zucchero annotato con foga, dalle sue “f” che si confondevano con le “p”, da quando qualcuno, in quella villetta che all’esterno non era cambiata di una virgola, aveva avuto bisogno di assorbenti.
Più di tre anni da quando…
Chin si riscosse bruscamente al suono di una macchina che risaliva il vialetto d’ingresso. Per un istante restò immobile, i sensi in allerta; solo quando ebbe individuato e riconosciuto il muso dell’auto gli tornò in mente ciò che era accaduto il giorno prima. La moto, la sua adorata moto, era dal meccanico per un guasto minimo ma seccante, e si era messo d’accordo con sua cugina Kono affinché passasse a prenderlo per andare al lavoro. Abbandonò la seconda fetta di pane a malincuore, anche perché la guida di Kono non si poteva esattamente definire un toccasana in una mattina iniziata con il piede sbagliato. Si chiuse la porta dalle spalle, ricordandosi di non telefonare a Malia per chiederle se le fosse venuto in mente di prendere le chiavi.
“Ehi, cugino!” Il finestrino del guidatore era aperto, e i capelli castani di Kono le sferzavano il viso. Si chinò a baciarlo sulla guancia, e Chin percepì il suo profumo: limone e qualcosa di piccante, forse pepe. La poliziotta, lo sapeva bene, non era un tipo da vaniglia. Malia, invece…
“Come va oggi?”
La Domanda. Ogni tanto, si sorprendeva ancora a riflettere sulla facilità con cui lui e Kono se l’erano posta l’un l’altro quasi tutti i giorni dall’infanzia in avanti. “Come stai?” “Bene, e tu?”: il più banale dei dialoghi, il modo più convenzionale per iniziare una conversazione. Da poco più di tre anni, però, quelle due parole avevano assunto una sfumatura del tutto diversa. Il solito, abusato “Come va?” era diventato complesso, problematico: nella testa di Chin, suonava più come un “E’ un giorno buono, o uno di quelli da dimenticare? Quante pillole hai preso per dormire, stanotte? Hai avuto gli incubi?”.
“Più o meno”, rispose, quasi sincero. “Ho avuto da ridire con il tuo maledetto tostapane.”
“Mio? Vuoi dire quello che ti ho regalato?” La ragazza si immise nella tangenziale di Honolulu senza uno sguardo agli specchietti, e il poliziotto si strinse con un certo disagio la cintura di sicurezza.
“Esatto. Quando il pane è pronto, si ostina a fare una musichetta veramente odiosa.”
Kono si voltò a guardarlo e sollevò il sopracciglio. Un sorriso le fremeva agli angoli della bocca.
“Davvero? E Chin Kelly, il genio informatico, non è in grado di ridurre al suo volere un vile elettrodomestico?”
“Sarà vile,  ma è ostinato. Per favore, cugina, rallenta.”
“Neanche per sogno. E naturale che è ostinato, te l’ho comprato io.”
Chin rise, grato come sempre alla cugina e alla sua spensieratezza. Certo, anche Kono era cambiata: la ragazzina irruente che lui e Malia portavano in macchina alle competizioni di surf aveva lentamente lasciato il posto ad una donna che come tutte, forse più di molte, aveva collezionato cicatrici, e non solo nel corpo. Eppure, nonostante tutto, lei era capace di svegliarsi al mattino e, se non sorridere, trovare qualche ragione valida per alzarsi dal letto.
“Cugino, rilassati. Siamo quasi arrivati e siamo interi.”
Il poliziotto liquidò le prese in giro di Kono con una smorfia, ma fu comunque sollevato quando lei parcheggiò alla buona nello spazio riservato agli agenti.
Dopo aver preso al volo un caffè da asporto, i due si avviarono verso i locali che fungevano da quartier generale alla task force; due voci maschili si inseguivano lungo il corridoio, e non ci fu nessuna sorpresa nel rendersi conto che i loro proprietari erano nel mezzo di un’accesa discussione.
“Diavolo, Steve, ma quante volte devo ripetertelo? Non si può irrompere in casa di qualcuno senza un mandato!”
“Ah, no? Neppure se quel qualcuno è un contrabbandiere che con ogni probabilità ha iniziato a far entrare armi sull’isola per conto della Yakuza?”
“A maggior ragione! Questo tizio sa il fatto suo, Steve. Un passo falso e tutto quello che abbiamo contro di lui si scioglie come neve al sole.”
“Qui non c’è la neve, tanto per cominciare. Secondo, noi non facciamo passi falsi.”
“Oh, certo. Perché naturalmente sfondare le porte altrui a calci in pieno giorno non sarebbe un passo falso, e...ciao, Kono! Chin, maledizione, faglielo notare che è pazzo, a te a volte sta a sentire.”
Nonostante la perpetua stretta al petto, Chin non poté trattenere un sorriso. Dalla nascita del team Five-O, cinque anni prima, il luogotenente Steve McGarrett e il detective Danny Williams non avevano praticamente fatto altro che litigare sui rispettivi metodi d’indagine, riuscendo nel contempo, senza che nessuno capisse come, a risolvere in maniera brillante un numero improponibile di casi. Sulla carta, in effetti, l’alchimia tra la durezza noncurante delle regole di Steve e lo stile pacato e riflessivo del collega era ottima; nella triste pratica, i due funzionavano alla grande, ma trascorrevano il novanta per cento del tempo ad insultarsi a vicenda.
“Argomento di discussione?” si informò immediatamente Kono, lanciando un caffè a McGarrett. Lui lo afferrò al volo. “Grazie, ci voleva.”
Kono sbuffò. “Già, lo immaginavo, capo.”
“Ti prego” disse lentamente Chin, sapendo prima ancora di concludere che era una battaglia persa. “Rassicurami. Non ti è venuto in mente di andare alla villa di Tom Henley senza autorizzazione, di buttare giù la porta e di entrare, vero?”
Persino se non aveva dormito per giorni, come in quel momento, Steve McGarrett emanava un fascino implacabile, quello, pensavano, anche se non tutti in questi termini, i suoi collaboratori, dei vulcani che sospirano appena sotto la superficie delle Hawaii, come le bolle che si creano nell’impasto dei pancake quando lo si versa nella padella rovente. La potente aura magnetica dell’energia distruttiva. Il luogotenente piantò gli occhi scuri e cerchiati in faccia a Chin. “Non abbiamo prove contro quel verme. Perciò, la conclusione logica è che dobbiamo andarcele a prendere.”
“Ah, sì?” scattò Danny, mentre le sue mani si affannavano ad allentare la cravatta. “Pensavo che la conclusione logica fosse aspettare che si tradisca da solo.”
“Potrebbe non succedere mai!”
“E’ vero”, intervenne Kono “Ma, capo, Chin e Danno non hanno torto. Alle spalle di Henley c’è Akira Noshimuri. Una minuscola violazione del protocollo, e gli avvocati migliori dell’isola ci faranno a pezzi.”
“Niente effrazioni”, concluse Chin con voce ferma. McGarrett ringhiò, preso dall’esasperazione, ma il poliziotto gli lesse negli occhi la consapevolezza. Il loro capo era uno degli elementi migliori che avesse mai incontrato, ma a volte andava ricondotto con fermezza sulla via se non proprio della capacità di controllo, almeno della legalità.
Nel frattempo, Kono aveva attraversato la stanza e si era fermata davanti al proiettore, su cui campeggiava la faccia di Tom Henley: bianco, sui quarantacinque, capelli rossicci e arruffati e una brutta cicatrice sopra l’occhio. “Abbiamo elementi a bizzeffe contro di lui”, mormorava, “Ma, se non riusciamo a collegarlo a Noshimuri, la Yakuza la farà franca. Ancora.”
“Beh”, osservò Danny, dopo aver passato qualche istante in disparte, come sempre quando rifletteva “Nessuna legge ci vieta di capitare in macchina vicino a casa sua. Né, se è per questo, di partire quando lui esce, e di andare, sempre e naturalmente per qualche strana coincidenza, nella sua stessa direzione.”
“Un pedinamento?” domandò Chin “In pieno giorno? E poi, che ti dice che proprio oggi incontrerà Noshimuri, o qualcosa del genere?”
Steve, galvanizzato dall’idea che dopotutto qualcosa da fare ci fosse, era praticamente già fuori dalla stanza. “E’ probabile che succeda! Il carico di armi che siamo riusciti a rintracciare dovrebbe arrivare domani. Noshimuri non lascerebbe mai che uno esterno alla famiglia si occupi da solo di un affare così redditizio. Gli metterà alle costole un affiliato, o lo controllerà lui stesso.”
“Frena trenta secondi, cowboy. Ci serve comunque un piano.”
Danny si chinò sul computer, sbirciando da sopra la spalla di Kono, che stava già cercando una visione satellitare della via in cui abitava Henley. “Il soggetto è in casa”, affermò.
Steve sorrise, e in quel momento anche Chin la avvertì: la scossa, il brivido. Quando ci arrivava vicino, molto vicino, il momento in cui si rendeva conto che il topo non aveva più scampo. Tendere trappole e farle scattare, spulciare le vite degli altri per non guardarsi dentro.
“Muoviamoci”, disse il capo.  
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  
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