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Autore: emotjon    11/09/2013    32 recensioni
Dieci ragazzi che non si conoscono. Cinque ragazzi e cinque ragazze. Cinque coppie. Cinque incontri, alcuni casuali, altri dalla nascita, ma tutti determinati dal destino. Cinque città diverse, cinque situazioni completamente differenti. Cinque storie d'amore, alcune nate col passare degli anni, altre nate semplicemente dall'incontro di due sguardi, in quel momento in cui le iridi di lei si uniscono a quelle di lui, creando l'intreccio perfetto nel momento perfetto.
Cinque storie guidate dalla stessa frase. Una parola che detta al momento giusto può far nascere un'infinità di brividi lungo la schiena, può rendere le ginocchia molli, è capace di creare dal nulla uno sciame di farfalle nello stomaco.
Si dice che uno sguardo valga più di mille parole.
E se invece ne valesse solo una? Una sola parola, gridata con tutto il fiato che si ha in corpo.
Una parola. Una sola. Amami.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Liam Payne, Louis Tomlinson, Niall Horan, Zayn Malik
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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A cinque ragazze straordinarie, che mi sostengono qualsiasi cosa io scriva.
Ad Anna Chiara (Claire, nella storia) alias Heartbreak girl.
Ad Aida (Heidi, nella storia) alias Dulce Tequila.
A Barbara (Barbie, nella storia) alias _imliamssmile.
A Caterina (Katherine, nella storia) alias catelovesniall.
Ad Isabella (Isabel, nella storia) alias hopeandfaith.
Per le recensioni, che ogni volta mi fanno piangere.
Per i complimenti che non credo di meritare. Per le notifiche su facebook e twitter.
Per il sostegno, gli abbracci a distanza e il bene che mi volete.
Grazie. un enorme, gigantesco, GRAZIE.
xx Fede.

GIVE ME LOVE.


Dieci ragazzi che non si conoscono. Cinque ragazzi e cinque ragazze. Cinque coppie. Cinque incontri, alcuni casuali, altri dalla nascita, ma tutti determinati dal destino. Cinque città diverse, cinque situazioni completamente differenti. Cinque storie d'amore, alcune nate col passare degli anni, altre nate semplicemente dall'incontro di due sguardi, in quel momento in cui le iridi di lei si uniscono a quelle di lui, creando l'intreccio perfetto nel momento perfetto.
Cinque storie guidate dalla stessa frase. Una parola che detta al momento giusto può far nascere un'infinità di brividi lungo la schiena, può rendere le ginocchia molli, è capace di creare dal nulla uno sciame di farfalle nello stomaco.
Dieci paia di occhi, nati a due a due proprio per incontrarsi, per creare scintille, per unirsi e mischiarsi fino a diventare una cosa sola, unica e incredibile nel suo genere. Occhi chiari, occhi scuri, occhi perfetti gli uni per gli altri. Occhi profondi come una tazza di cioccolata calda, o occhi chiari come il cielo d'estate. Due paia di occhi verdi, gli uni color smeraldo, che cambiano colore a seconda dell'umore, gli altri verdemare, quasi celesti, o grigi, o color nocciola.
Migliaia di sfumature diverse, in dieci paia di occhi.
Anche se a volte il colore, seppur indefinito, di un paio di iridi, non conta niente. Semplicemente non importa. Può capitare che da uno sguardo si noti prima tutt'altro. Altro che non sia il colore. Altro che può essere paura, felicità, dolore, menefreghismo, una richiesta di aiuto, o semplicemente... amore.
Si dice che uno sguardo valga più di mille parole.
E se invece ne valesse solo una? Una sola parola, gridata con tutto il fiato che si ha in corpo.
Una parola. Una sola. Amami.
 

Nelle ultime due ore, Claire non aveva fatto altro che prepararsi per quel dannato ballo di primavera. Non che non le piacesse divertirsi, anzi. Solo, non era il tipo di ragazza che passa tre ore davanti ad uno specchio a riempirsi di lacca e di mascara o a lisciare i capelli fino a farli sembrare spaghetti. A diciassette anni, Claire poteva dire di piacersi, anche senza passare ore davanti allo specchio.
Non c'era bisogno di osservare il proprio riflesso tanto a lungo. Sapeva perfettamente cosa avrebbe visto. Dal viso forse troppo rotondo, agli occhi forse troppo grandi, ai capelli, mossi e lunghi quasi fino a metà schiena. Forse era troppo pallida, o forse i suoi occhi erano troppo verdi, ma ormai aveva imparato a fregarsene del parere della gente.
Aveva imparato ad amare i suoi capelli mossi o i suoi occhi verdi, tanto belli da non avere il bisogno di truccarli, se non con un velo di mascara. I suoi occhi erano unici, non ce n'erano altri uguali, in nessuna parte del mondo. Erano suoi e basta. Verdi, quasi color prato. Ma anche verdemare, fino a diventare grigi quando perdeva la pazienza o color nocciola quando era triste.
Dei meravigliosi occhi cangianti di cui nessuno aveva mai compreso appieno il colore, fino a quella sera, quando un paio di occhi altrettanto verdi e altrettanto strani avrebbero incontrato i suoi, salvandola e riportandola a galla, facendola innamorare con un solo sguardo, in un vicolo della periferia di Holmes Chapel.
E mentre Claire si infilava il suo vestito blu sopra al ginocchio, quasi annoiata dall'ennesimo ballo scolastico, a chilometri di distanza la diciannovenne Heidi stava infilando una tuta e un paio di scarpe da ginnastica, pronta per andare a correre con la sua migliore amica.
Si guardò qualche istante allo specchio dell'ingresso, legando i capelli color cioccolato fondente in una coda alta, in modo che i riccioli non le ricadessero sul viso e sul collo. Si fece l'occhiolino e si salutò con la mano, come faceva ogni volta prima di uscire di casa, ma stavolta esitò, soffermandosi qualche istante a guardare il proprio riflesso.
Un viso proporzionato, dalla pelle color ebano, era contornato da una massa di riccioli cioccolato. E su quel viso senza imperfezioni facevano capolino due occhi incredibili. Due occhi che Bradford non aveva mai visto, prima del suo arrivo. Due pozzi di tenebra, quasi neri, che al sole brillavano fino quasi a diventare rosso fuoco. Neri come la notte, come il mare d'inverno, ma accesi e brillanti come il sole, le stelle e la luna, senza distinzione.
Due occhi che avevano visto l'amore solo una volta, due occhi che avevano bisogno dell'amore, come tutti. Ma che erano stati traditi, e sottovalutati. Heidi, andando avanti con la sua vita come se non fosse successo niente, si era vendicata. Non aveva fatto trasparire alcuna emozione, continuando a sorridere. E continuando a cercare un modo nuovo per sorridere, un'altra persona da amare.
Due occhi neri, profondi, ignari del fatto che in quel pomeriggio inoltrato di aprile, si sarebbero innamorati di nuovo, due occhi che avrebbero trovato l'anima gemella. Quel ragazzo dai capelli corvini e gli occhi cioccolato dal quale non sarebbe più riuscita a distogliere lo sguardo.
Nel frattempo, Barbie si era scordata l'ombrello a casa quella mattina, e ora uscendo dalla biblioteca non faceva altro che maledire oggetti inanimati a destra e a manca. Malediceva di tutto, dal bidone della spazzatura al palo della luce, fino alla vecchietta che non riusciva ad attraversare la strada del centro di Wolverhampton, deserto a quell'ora.
E mentre malediceva qualsiasi cosa le capitasse a tiro, scrutava il mondo intorno a sé con i suoi profondi occhi castani, tanto profondi da potertici perdere dentro quando li fissavi. Erano castani, quasi cioccolato. Ma anche verdi, nelle rare giornate di bel tempo, o color miele quando era particolarmente felice o eccitata per qualcosa.
Barbie aveva sempre detestato il proprio corpo. Si era sempre vista troppo grossa, brutta e tutto il resto. Troppo bassa, coi capelli troppo gonfi e gli occhi troppo scuri. Le labbra troppo pronunciate e quel carattere davvero troppo timido. Si era odiata, letteralmente, per tanto tempo.
E quello che diceva la gente alle sue spalle non aveva aiutato la sua autostima, proprio per niente.
Solo una persona era riuscita a farle cambiare idea su sé stessa. Un giorno dopo l'altro, dicendole che era bellissima, era riuscito a comportarsi da perfetto migliore amico, mettendole in testa la verità un abbraccio dopo l'altro, un sorriso dopo l'altro. Grazie a quel ragazzo dagli occhi nocciola, Barbie era più sé stessa, più bella, più spontanea.
Quei due si amavano, forse da sempre. Il problema era che non l'avrebbero mai ammesso l'uno all'altra, nemmeno sotto tortura. Barbie non aveva mai amato nessuno che non fosse lui, non si era mai sentita tanto bene e tanto amata come con lui.
Lo stesso ragazzo che stava per comparire dal nulla riparandola dalla pioggia.
Perché c'erano sempre stati l'uno per l'altra. E forse era proprio ora di smetterla di essere solo amici perché, ammettiamolo, non aveva più senso. Essere amici era una parte, minuscola, del loro rapporto.
Erano sempre stati più di quello, molto di più. Anche se si ostinavano a negarlo.
Per essere aprile, a Mullingar faceva proprio freddo. Okay che l’Irlanda è sempre stata fredda, ma Katherine non aveva mai visto un inverno tanto lungo, nei suoi vent’anni. Non aveva mai sentito freddo come quell’anno, e i suoi occhi del colore dell’oceano, leggermente a mandorla, non avevano mai visto tanta neve.
Quel pomeriggio, comunque, Kat se ne stava accoccolata in un angolo del divano di pelle, con una tazza di cioccolata bollente tra le mani, cercando di scaldarsi. Si passò la mano libera dalla tazza tra i lunghi capelli biondo scuro, ma con le punte più chiare. Aveva i capelli mossi, specialmente sulle punte, sempre perfetti nonostante l’inclemente e odioso clima irlandese.
Si passò poi una mano sugli occhi, soffocando uno sbadiglio e sorridendo, apparentemente per niente. Apparentemente, perché in realtà c’era qualcuno che sapesse a cosa era dovuto il sorriso della ragazza dagli occhi blu. Il suo migliore amico, dagli occhi altrettanto blu, che proprio in quel momento stava percorrendo il vialetto di casa della bionda, sotto la neve, rischiando di scivolare ad ogni passo.
Katherine era la sua migliore amica dall’asilo, in pratica. Avevano fatto tutte le scuole assieme, e ora anche l’università. Ma Niall era stanco di essere solo il suo migliore amico. stanco di guardarla e non poter posare le labbra sue. Stanco di abbracciarla come amico e non poter andare oltre, nonostante la volesse, tanto.
Così, aveva attraversato mezza Mullingar, per dire alla sua migliore amica quanto fosse innamorato di lei. Quanto la amasse, da sempre forse.
E Niall non era l’unico stanco quel giorno.
Louis, ventidue anni, non la faceva più a guardare la più bella ragazza che avesse mai piede nel suo locale e non fare niente. La guardava e basta, o le serviva la colazione. La guardava solamente, eppure gli sembrava di conoscerla da sempre. Non che potesse fare di più che guardarla, a dirla tutta.
Isabel era la minorenne più carina e desiderabile che avesse mai visto.
Minorenne, appunto.
Ma quel pomeriggio proprio non si aspettava di vederla, perciò sul viso del castano non poté far altro se non formarsi un sorriso. Sorriso che però si spense in un battito di ciglia, quando la vide sedersi al solito tavolo e piangere. Gli occhi celesti di Louis si spensero all’improvviso, e fu come se gli spezzassero il cuore con uno scalpello.
Distrutto, in mille pezzi.
Perché una ragazza tanto bella non avrebbe dovuto piangere.
Secondo Louis quegli occhi tanto belli e tanto strani allo stesso tempo, non erano fatti per versare lacrime di dolore. Lei, con quegli occhi grigi come nuvole temporalesche, quasi neri in quel momento, e quei capelli rosso fragola, legati in uno chignon disordinato, non avrebbe dovuto piangere in quel modo. Non avrebbe dovuto soffrire, ma in quel momento stava singhiozzando, senza nemmeno curarsi di asciugare le lacrime dalle guance.
Gli occhi di Isabel erano… speciali, in un certo senso. O almeno, lo erano diventati per Louis da qualche mese a questa parte. Erano grigi. Semplicemente grigi, a prima vista. Grigi come le nuvole che portano pioggia, ma anche color ghiaccio quando riflettevano il colore della neve, o ancora quasi neri quando era triste, proprio come in quel momento.
Quel momento in cui nella mente di Louis si accese una lampadina.
Quel momento in cui Claire stava uscendo dalla palestra della scuola dove si teneva il ballo, per riprendere fiato. Chiuse gli occhi per un istante, facendo un respiro profondo e godendosi la brezza primaverile che lambiva la cittadina di Holmes Chapel in quei giorni. E con gli occhi ancora chiusi, quasi non le venne un colpo quando si sentì prendere violentemente per un polso e trascinare via.
Lontana dalla scuola, lontana dalla sua auto, lontana dalla musica, e lontana dalla sua migliore amica. Lontana da tutti e da tutti. Dove nessuno l’avrebbe sentita se si fosse azzardata ad urlare, se ne avesse avuto la forza. In quel vicolo sudicio, stretta tra il muro e il corpo fin troppo muscoloso di un ragazzo che la ragazza dagli occhi verdi non aveva mai visto in vita sua.
«Cosa vuoi?», riuscì ad esalare la ragazza, cercando di tenere la voce ferma.
Ma in realtà, fissando i suoi occhi tanto limpidi in quelli scurissimi del ragazzo che aveva di fronte, Claire era terrorizzata come mai lo era stata in vita sua. Spaventata al punto che sentì il cuore fermarsi nel petto per un istante. Spaventata al punto da non riuscire ad urlare. Governata totalmente e senza riserve dalla paura.
Il ragazzo scoppiò a ridere, a qualche centimetro dal suo viso.
Puzzava terribilmente di alcool, mentre le sue mani si muovevano lungo il corpo della mora, fino a sollevarle lentamente ma con forza l’orlo del vestito blu che indossava, fino ad arrivare a metà coscia, mentre le sue labbra le lasciavano una serie di baci sul collo. Baci rubati, baci non voluti. Baci sporchi, che fecero scendere una lacrima bollente sulla guancia della ragazza.
Ma fu solo una lacrima. Solo un attimo.
E la paura svanì, davanti a un paio di occhi tanto verdi e tanto simili ai suoi da far male. Da far paura, in un certo senso. Ma tutto un altro tipo di paura, una paura altrettanto pericolosa, ma allo stesso tempo decisamente innocua.
E nell’istante esatto in cui Claire veniva salvata dal misterioso ragazzo dagli occhi verdi, nel momento in cui i loro sguardi si intrecciavano per la prima volta, Heidi stava correndo con la musica a palla nelle orecchie e la migliore amica che teneva il suo passo sostenuto senza problemi.
Correva per scaricare la tensione, l’odio e la rabbia che provava da quando era stata tradita, quando un coglione dagli occhi incredibilmente belli l’aveva ammaliata, usata e poi gettata via. Correva per spegnere i pensieri, Heidi, aveva iniziato due anni prima, e non aveva più smesso.
Correva come sempre, ma forse era leggermente distratta quel giorno, quando si schiantò contro un ragazzo… bellissimo. Ma forse come aggettivo non rende abbastanza. Correva nella direzione opposta alle due ragazze, in pantaloni della tuta neri e canotta bianca smanicata. Con quel ciuffo di capelli corvini perfettamente tirato su, quel centimetro di barbetta incolta che lo rendeva terribilmente sexy e quelle labbra sottili che Heidi non voleva altro se non sentire sulle sue, muoversi in sincrono fino a smettere di respirare.
«Cazzo», borbottò la ragazza allontanandosi dal suo petto, mentre la migliore amica se la rideva sotto i baffi. Cazzo. Un po’ per essergli finita contro a tutta velocità, un po’ perché quello era il ragazzo più bello che Heidi avesse mai visto nei suoi diciannove anni.
I suoi occhi erano tanto profondi da farle desiderare di affogare.
E non appena un sorriso divertito comparve su quel volto che sembrava disegnato da chissà quale scultore, Heidi si sentì svenire da quanto era bello quel sorriso con la lingua tra i denti. Fu come se il suo buonsenso fosse partito per non tornare più e le gambe le fossero diventate di gelatina. Ma nello stesso momento Heidi iniziò a credere in una cosa nella quale non aveva mai fatto affidamento.
L’amore a prima vista.
A Wolverhampton intanto, mentre Heidi si innamorava degli occhi e del sorriso di quel ragazzo, Barbie veniva riparata improvvisamente dalle migliaia di gocce che dal cielo le stavano crollando addosso, bagnandola fino alle ossa. Si voltò sorpresa, ma non poté fare nient’altro se non aprirsi in un sorriso, quando riconobbe il suo salvatore.
Un sorriso riconoscente, grato. Un sorriso che avrebbe potuto illuminare qualsiasi cosa, spegnendo addirittura il sole. Un sorriso spensierato, incantevole. Un sorriso che compariva sempre e solo in presenza di Liam, sempre e solo da quando la ragazza si era resa conto di essere innamorata persa del suo migliore amico.
«Dovresti smetterla di pedinarmi», gli fece notare la castana posandogli un bacio su una guancia, tanto vicino alle labbra da far arrossire entrambi, soprattutto il maggiore che colto alla sprovvista si passò una mano tra i capelli che stavano ricrescendo, totalmente imbarazzato.
«Scusa», mormorò Liam lasciandole un bacio sulla tempia, in modo da poter respirare il profumo inebriante del suo shampoo. «Mi ha detto tua madre che forse avevi lasciato l’ombrello a casa…». Liam si bloccò sentendo le labbra della migliore amica scontrarsi con le sue. E sorrise, vedendola arrossire.
Era ancora più bella quando lo faceva.
Erano fermi in mezzo al marciapiede semi deserto, e un ragazzino con lo skateboard gli era appena andato addosso, spingendo Barbie contro Liam. Scatenando un bacio che volevano entrambi da tanto tempo. Facendo cadere l’ombrello al ragazzo, e lasciando così che la pioggia li nascondesse al resto del mondo.
Erano solo loro. Loro e quel bacio rubato.
Intanto Katherine stava per strozzarsi con un sorso di cioccolata calda, dato che al suono del campanello quasi non le venne un infarto, da quanto era concentrata sui suoi pensieri. Non aspettava nessuno, quel pomeriggio. E stava pensando proprio al suo migliore amico, in effetti. Per cui immaginate la sorpresa della bionda quando se lo trovò davanti, infreddolito e ricoperto di neve.
Si portò una mano alla bocca, sorpresa, reprimendo una risata.
Era davvero troppo carino, anche se in quel momento sembrava un pulcino bagnato, con i capelli biondi umidi e schiacciati sulla fronte. I suoi occhi però brillavano anche in quel caso, come del resto avevano sempre fatto in presenza della mia migliore amica. Katherine lo fece entrare, continuando a sorridere.
Perché proprio non capiva cosa ci facesse lì.
Ma era inutile negare che la situazione le piacesse, tanto.
«Niall, che…?».
«Sono uno stupido», la interruppe voltandosi e posandole due dita intirizzite sulle labbra. Kat si ritrovò ad inarcare un sopracciglio, non capendo. Stupido? Niall era la persona più dolce che avesse mai conosciuto, l’unico che riuscisse a farla ridere per un nonnulla e riuscisse a scaldare il suo animo di ghiaccio con un semplice abbraccio.
Scioglieva il muro di ghiaccio dietro al quale la bionda nascondeva il suo cuore.
L’unico che ci fosse mai riuscito. L’unico che ci avesse mai provato.
Niall era suo, in un certo senso. Il suo stupido, in questo caso.
«Non capisco di che stai parlando», ammise la bionda prendendogli le mani e stringendole nelle sue, cercando di scardargliele. Continuò a guardarlo negli occhi, quegli occhi che di solito riusciva a leggere tranquillamente, come fossero un libro aperto, spalancato sulla pagina del presente.
Ma questa volta era come se il libro fosse stato chiuso, e senza lasciare alcun segno.
«Sarei dovuto venire qui, in questo modo, anni fa», le disse Niall scuotendo la testa con un mezzo sorriso. «Avrei dovuto dirtelo anni fa, quando tua madre ti comprò quel vestito con le frange che tanto odiavi, o quando in piscina non volevi metterti in costume perché ti vedevi grassa… per me eri perfetta lo stesso…». Si fermò qualche secondo per prendere fiato, mentre Katherine si posava una mano sul cuore, che batteva fortissimo, come se volesse uscirle dal petto.
Per lui era perfetta. Kat proprio non riusciva a credere alle proprie orecchie. Incredula, fece scivolare la coperta che teneva ancora sulle spalle e prese il viso di Niall tra le mani, per poi lasciargli un bacio a fior di labbra. Il bacio più puro di questo mondo. «Sono tutto tranne che perfetta…».
Il ragazzo la bloccò con un altro bacio a stampo, zittendola. «Ti amo proprio perché non sei perfetta, Kat. Ti amo quando arrossisci, quando ti mordicchi il labbro fino a farlo sanguinare. Quando leghi i capelli o quando li lasci sciolti…». Stavolta fu la bionda a interromperlo, sfiorandogli il labbro inferiore con il pollice, mentre cercava inutilmente di non commuoversi.
La amava quando sorrideva, quando la vedeva ridere, o quando era giù di morale. Amava la sua passione per la musica, per i libri e per il disegno. La amava in inverno, quando teneva la sciarpa di lana fino a sopra il naso. E la amava d’estate, quando andavano in piscina e la ragazza faceva ancora fatica a rimanere in costume.
Amava il vizio che aveva di passarsi una mano tra i capelli quando era nervosa.
La amava tutta, dalla punta dei capelli al segno dell’infinito tatuato sul collo del piede.
«Cos’hai detto?», scherzò Katherine nascondendo il viso nell’incavo del suo collo, in modo da non doverlo guardare negli occhi quando avrebbe ripetuto di amarla. Inspirò il profumo del suo migliore amico, come se ne andasse della sua stessa vita. E aspettò di nuovo quelle due parole che avrebbero potuto riempirle in cuore fino a farglielo esplodere.
«Ti amo».
Due parole. Un sussurro.
Cinque lettere, minuscole.
Un mondo.
E mentre un “ti amo” riempiva l’aria silenziosa e non più tanto fredda del salotto di Katherine, a chilometri di distanza Charlotte Tomlinson scuoteva la testa, divertita dalla richiesta del fratello maggiore.
A Louis si era accesa una lampadina, come succede nei cartoni animati, così era corso in cucina a cercare di decorare un cupcake. La sorella era comparsa dopo una decina di minuti, ad opera quasi compiuta, e quando Louis le aveva chiesto di portare al tavolo della ragazza dai capelli rossi quei due cupcake, alla piccola Tomlinson era venuto da ridere.
Ma dopo un milione di moine aveva acconsentito, stampandosi sul viso il suo solito sorriso da cameriera e portando al tavolo di Isabel i due cupcake coperti e un cappuccino al cioccolato, sotto lo sguardo incredulo della ragazza. Di colpo smise di piangere e si asciugò le guance con una mano, rapita dalla curiosità.
Guardò Lottie posare il vassoio e inarcò un sopracciglio, aspettando una spiegazione.
«Ha detto mio fratello di darti il primo cupcake, e poi il secondo se avessi obbedito al primo», spiegò la bionda in breve, passandosi una mano dietro la nuca, visibilmente in imbarazzo. Suo fratello non aveva mai fatto una cosa del genere. Per nessuna ragazza, nemmeno per Eleanor. Quei due erano stati insieme tre anni, e Louis ovviamente era stato male quando si erano lasciati.
L’aveva amata, tanto.
Era stato lasciato. E aveva sofferto. Finché quella chioma color fragola non aveva fatto capolino nel suo locale. L’aveva guardata per mesi, ed aveva ricominciato a sorridere a poco a poco. Pur sapendo che si stava invaghendo di una ragazzina che non avrebbe potuto essere sua se non due anni dopo. Si erano scambiati sorrisi per mesi, e ora finalmente il castano si era deciso a fare qualcosa, fregandosene di tutto e di tutti.
Isabel intanto stava scoprendo il primo cupcake, rimanendo a bocca aperta.
Louis aveva recuperato un sacchetto di lettere di zucchero dalla dispensa e aveva composto una scritta, che come previsto aveva fatto sorridere Isabel. “Smile”, aveva scritto Louis. E a Isabel era venuto da ridere, facendo comparire due meravigliose fossette su quel viso che fino a poco primo era stato tristissimo.
Allora Lottie le aveva passato il secondo cupcake, per poi tornare in cucina con un sorriso.
E alla vista del secondo dolcetto, Isabel quasi non si sciolse sulla sedia. Si era portata di nuovo una mano davanti alla bocca, cercando di non commuoversi. “You are beautiful”. Sei bellissima.
Isabel non conosceva Louis, se non di vista, ma all’improvviso si trovò a desiderare di essere amata proprio da quel ragazzo più grande, che chissà come era riuscito a farla sorridere con un gesto tanto dolce e semplice da non sembrare vero.
Claire intanto si era accasciata contro il muro del vicolo, cercando di sfuggire allo sguardo del ragazzo dagli occhi verdi. Cercò di mostrarsi forte, davanti a quello sconosciuto. Ma dopo una manciata di minuti era crollata, scoppiando in un pianto silenzioso quanto liberatorio, ritirandosi al tocco del ragazzo quando lo sentì avvicinarsi per aiutarla a tirarsi su.
La ragazza sentiva che non doveva aver paura, eppure era terrorizzata.
In stato di shock.
Fissò col fiato corto la mano del ragazzo tesa verso di lei e quando la prese e si sentì a casa, fu come se le stessero togliendo un peso enorme dal cuore, come se ogni minima preoccupazione fosse volata via con un solo contatto. Lasciò che la aiutasse a tirarsi su, ma le tremavano le gambe, così senza che nemmeno se ne accorgesse si ritrovò abbracciata a lui.
Aggrappata a quello sconosciuto come fosse stato la sua ancora di salvezza. Stringendo il tessuto della sua felpa quasi fino a farsi male alle dita, come per trattenerlo con sé. Non voleva che se ne andasse, non adesso che l’aveva trovato.
L’aveva appena salvata dal buio, e nemmeno conosceva il suo nome.
«Io sono Harry, comunque», mormorò il ragazzo riccio, le labbra a qualche millimetro dall’orecchio della mora. E Claire si ritrovò a sorridere, nonostante tutto. Un sorriso stentato, timido, sconvolto dalla paura che aveva provato poco prima. Ma pur sempre un sorriso. Perché quel nome, detto in quel momento, le avrebbe cambiato la vita. Oltre che avergliela salvata.
«Claire», mormorò la ragazza di rimando.
Ma in realtà sulla punta della lingua aveva una richiesta. Avrebbe voluto chiedere a quel ragazzo di prenderla con sé, di baciarla fino a farle dimenticare tutto e non avere più fiato. Avrebbe voluto chiedergli di amarla, perché non aveva nessun altro che lo facesse. O più semplicemente perché ne aveva bisogno.
«Amami, Harry», disse in un soffio, quasi senza rendersene conto.
Non ci mise molto a venire esaudita, dato che Harry si chinò su di lei, posando le labbra sulle sue. Il primo bacio di Claire. Un bacio voluto da entrambe le parti, un bacio sentito, un bacio di cui avevano bisogno tutti e due. Un bacio delicato, due lingue in contatto l’una con l’altra, ma la cosa più pura del mondo.
Pura come gli occhi di Claire. Pura come gli occhi di Harry.
Un bacio dal salvatore alla ragazza uscita dalle tenebre.
Un semplice bacio, mille parole non dette. Perché non ce n’era bisogno. Claire, con quella semplicissima richiesta, aveva detto tutto quello che c’era da dire. Amami. Una parola, cinque lettere.
Ma tutto un mondo che nessuno dei due avrebbe mai potuto esprimere a parole.
A Bradford intanto il tempo si era come fermato, come immobilizzato nel punto esatto in cui lo sguardo di fuoco di Heidi aveva incontro il cioccolato fuso degli occhi del moro. Si erano imbambolati, entrambi, ma alla fine lui era riuscito a tirar fuori un sorriso leggermente imbarazzato. Un sorriso incredibile, tra le altre cose.
«Zayn, piacere», riuscì a dire dopo un po’. Gli occhi di Heidi l’avevano bloccato. Era come intimidito, lui che di solito se ne fregava di tutto e di tutti. Non riusciva a smettere di guardarla, né a smettere di pensare a quanto potesse essere profumata la sua pelle o morbide le sue labbra.
«Heidi», mormorò la ragazza, altrettanto stranita da quell’incontro.
Due mani che si sfiorano, un contatto insulso, quasi inesistente. Un tocco, per una manciata di secondi, che riuscì a portare ad entrambi un miliardo di brividi lungo la schiena. Heidi sentì la pelle d’oca formarsi sulle braccia, e sentì freddo. Un freddo strano, misto all’eccitazione. Una sensazione che la mora non provava da… anni, ormai.
«Dovrei guardare dove vado, perdonami».
Una semplice voce, roca, dall’accento straniero, euroasiatico. Una voce, che alle orecchie di Heidi suonò come la più dolce delle canzoni. E per un attimo, immaginò di sentirlo cantare per lei, mentre le accarezzava la schiena nuda dopo aver fatto l’amore…
Scosse impercettibilmente la testa, scacciando a malincuore il pensiero.
E si stava allontanando con un mezzo sorriso sulle labbra, credendo che non sarebbe mai successo. Ma sperando che Zayn la fermasse, che la desiderasse quanto lei desiderava lui. E infatti… «Posso offrirti un caffè, almeno? Mi sentirei meno in colpa», le sussurrò in un orecchio, trattenendola per un polso.
E la riccia si ritrovò ad annuire, senza riuscire a trattenere un sorriso.
Un caffè? Anche due, e magari poi anche un sorso da quella pelle color cappuccino, se dovesse avanzare tempo. Beh, in fondo, perché avrebbe dovuto ignorare l’attrazione sessuale? Che senso avrebbe avuto? Nessuno.
Meglio provare ad amare, fino all’ultimo secondo.


TRE ANNI DOPO.
Katherine stava cercando, inutilmente e da più di un’ora, di togliere quello stramaledetto sacchetto di patatine dalle manine paffute del pccolo Daniel. Daniel James Horan. Un piccolo e goloso monello di un anno e mezzo dagli occhi celesti e i capelli castano chiaro. Gli occhi della stessa incredibile sfumatura di quelli del padre. I capelli di un colore pressoché indefinito, il mix perfetto tra i capelli di Kat e quelli di Niall.
«Daniel, porca paletta!», borbottò la ventitreenne, tirando ancora le patatine verso di sé, ancora senza successo. Quel bambino sembrava un rammollito, ma se si provava a togliergli del cibo si trasformava in un piccolo lottatore di sumo.
Mangiava di continuo. Proprio come il padre, del resto.
«Paletta!», strillò Dan lasciando di scatto le patatine e battendo le manine paffute.
Katherine si mise a ridere, tirandolo su dal divano e spazzandolo dalle briciole, per poi riempirlo di baci ovunque, dai capelli ai piedini rosei. Era stato un altro inverno gelido nella piccola cittadina irlandese, ma per Daniel non era mai stato un problema, dato che dormiva nel lettone.
Era stato un altro inverno magico, e Niall aveva proprio l’intenzione di renderlo incredibile, più di quanto non fosse già stato. Così, quel giorno di aprile – quasi maggio ormai – Niall era di nuovo ricoperto di neve, e stava di nuovo suonando al campanello, come tre anni prima.
Un attimo a Dan era sceso dall’abbraccio della madre, per poi caracollare fino alla porta ridendo e facendo alzare a Kat gli occhi al cielo. Lo seguì fino all’ingresso e lo tirò su, stringendolo a sé, per poi finalmente aprire la porta. E rimanere completamente a bocca aperta. Sorpresa e scioccata allo stesso tempo.
Niall James Horan.
In smoking e ricoperto di neve. Inginocchiato, nella neve, con una scatoletta di velluto blu in una mano intirizzita, e un sorriso di quelli veri impresso sulle labbra tremanti. Aveva aspettato anni prima di averla, aveva patito il freddo e da quando era arrivato il suo piccolo ometto, aveva patito anche il sonno.
Erano cambiati insieme, erano cresciuti insieme. E non facevano altro se non amarsi, sempre. Ed ora erano di nuovo lì, sotto la neve di Mullingar, come in un circolo vizioso. Era come un rituale, la neve. Quella cosa che piaceva a entrambi, e che in un modo o nell’altro aveva segnato tutta la loro vita insieme, fin da bambini.
Solo che questa volta Niall non ebbe bisogno di dire niente, e così Kat, se non un “sì” appena sussurrato, tanto che quando lasciò che Dan tornasse ad abbuffarsi di patatine, credette di non essere stata sentita. Il suo era stato un sussurro, quasi portato dal vento. Ma Niall l’aveva sentita, l’avrebbe sentita sussurrare quel “sì” anche a chilometri di distanza, da quanto lo voleva.
Prese la mano di Kat nella sua, e le infilò l’anello.
“Give me love”, ci aveva fatto incidere all’interno. Ancora quella piccola frase, ancora quella richiesta, muta e senza parole. Amami. E baciandosi sotto la neve, in quella mattina di fine aprile, sentirono di essere stati esauditi entrambi.
Si sarebbero amati sempre. Superando qualsiasi ostacolo. In qualsiasi caso.
E se Katherine era rimasta sorpresa dal gesto del suo ragazzo, Barbie stava per essere tramortita dalla sorpresa. Dopo quel bacio sotto la pioggia, la ragazza aveva avuto paura, e aveva fatto l’unica cosa che credeva possibile. Era scappata.
Scappata dai problemi, da sé stessa, da Liam.
E scappata dalla cosa più importante, scappata dall’amore.
Scappata dal dolore che credeva avrebbe provato quando Liam le avesse detto che per lui era troppo poco, che non la voleva se non come migliore amica. Aveva creduto a quello che avrebbe pensato la ragazzina fragile che era un tempo, quando ancora non aveva Liam a salvarla da sé stessa.
Così aveva continuato gli studi trasferendosi a Londra, e si era laureata, per poi tornare a Wolverhampton a inizio anno, dove insegnava in una storia materna del centro. Immaginate la sua sorpresa quando entrando nell’aula dei giochi con i bambini della sua classe, vide una peonia bianca sulla cattedra. Si portò una mano alla bocca, a dir poco incredula.
Una peonia bianca.
Tutti sapevano che i suoi fiori preferiti erano le rose gialle, tranne uno, l’unico che sapesse la verità. Perché lui non era tutti. La peonia bianca era il suo fiore preferito, e l’unico che la conoscesse tanto a fondo da saperlo, era anche l’ultima persona che Barbie avrebbe voluto rivedere: Liam James Payne.
Non voleva vederlo. Si diceva che era sbagliato, tutto quanto.
Sbagliato che lo amasse, sbagliato che lui ricambiasse. Tutto sbagliato.
Ma allora era anche sbagliato che non avesse smesso di pensare a lui per tre anni? Che ogni volta che Barbie chiudeva gli occhi, vedesse quelli color nocciola di Liam, o che pensasse ancora a quel bacio che c’era stato. A quelle labbra perfette sulle sue…
Ed era sbagliato che fosse gelosa al solo pensiero di poterlo vedere con un’altra?
Era sbagliato che lo amasse? La risposta non arrivò troppo tardi, quando lanciando un’occhiata nel parcheggio vide le nuvole accumularsi, cariche di pioggia. Si accorse di quella figura nel parcheggio, con l’ombrello aperto, solo quando iniziò a diluviare, e il ragazzo lasciò cadere a terra l’unica cosa che lo riparava dalla pioggia. E la ragazza si mise a ridere, accorgendosi finalmente che l’unica ad aver sbagliato in tutta quella situazione, era stata proprio lei.
Si era auto convinta di sbagliare ad amarlo. Si era auto convinta che il suo migliore amico non potesse ricambiare. Rise e pianse insieme, iniziando a correre fuori dalla classe, in corridoio e nel parcheggio, fregandosene dell’acqua che le scorreva addosso. Si tolse i tacchi e continuò a correre, lasciandoli cadere in una pozzanghera.
Corse, fino a finire tra le braccia di Liam, che non poté trattenersi dal ridere, tirandola su da terra quanto bastava per lasciarle un bacio sulla punta del naso, proprio come faceva quando erano bambini. Quando Barbie aveva paura Liam le baciava il naso, spazzando via tutte le preoccupazioni e i problemi.
«Ho pensato che magari ti eri dimenticata l’ombrello», le sussurrò il ragazzo, praticamente soffiandoglielo sulle labbra. Barbie scosse la testa con un mezzo sorriso, per poi unire le labbra a quelle del ragazzo che in cuor suo aveva sempre amato.
Si lasciò sollevare da terra e legò le gambe intorno al bacino del castano, fregandosene di quello che avrebbe potuto dire la gente vedendoli in quel modo, fregandosene di tutto. Perché se il loro amore era sopravvissuto a tre anni di distanza, sarebbe sopravvissuto a tutto, a qualunque cosa o a chiunque avesse provato a spezzarlo.
«Ti ho sempre amata, B., lo sai?».
Il cuore della ragazza perse un battito a quelle parole, ma subito dopo la fece aprire nel miglior sorriso che fosse mai apparso sul suo volto. Si riappropriò di quelle labbra che avrebbe voluto per sé anni prima. Avrebbe voluto quelle labbra soffici sulle sue sempre, per sempre.
E quel bacio significava tutto, tutto quello che la timida Barbie non sarebbe mai riuscita a dire ad alta voce, per paura di rovinare tutto. Con la paura irrazionale che tutto finisse. In quel bacio c’era tutto l’amore di una ragazza piena di paura per il ragazzo apparentemente perfetto.
Un ragazzo che però la amava più di quanto avesse mai amato nessun altro.
Paura. Amore. Dolcezza. Felicità.
Tutto in un solo bacio, tutto racchiuso tra quelle labbra.
A Bradford, Zayn Malik si stava mordendo le labbra a sangue, pensieroso. Più pensieroso del solito, si intende. Si sollevò su un gomito con un mezzo sorriso sulle labbra, continuando a guardare Heidi che dormiva, nascosta parzialmente dal lenzuolo bianco che faceva un contrasto incredibilmente affascinante con la sua pelle scura. Il lenzuolo la copriva fino alla fossette di Venere, mentre i suoi ricci di tenebra erano sparsi disordinatamente sul cuscino.
Per Zayn, era la cosa più bella di questa terra. Il suo angelo, caduto per salvarlo.
Allungò una mano verso la schiena della ragazza, prendendo ad accarezzarla, dalla nuca al punto in cui il lenzuolo iniziava a coprirla, e ritorno. Con la punta delle dita. Senza fermarsi neanche per un secondo, nemmeno quando la sentì sospirare. Anzi, continuò a sfiorarla, senza smettere un attimo di sorridere.
E iniziò a canticchiare a bocca chiusa, “They don’t know about us”.
Solo la melodia, senza cantare le parole. Parole che avrebbe voluto urlare al mondo da quanto desiderava che Heidi fosse sua, a tutti gli effetti. Perché lei era sua, da quel giorno di tre anni prima, quando si erano schiantati in quel parco. Ed erano finiti nel letto della riccia dopo due settimane, amandosi come nessuno dei due aveva mai amato prima.
Smise per qualche secondo di sfiorarla, passando a lasciarle una scia di baci lungo la spina dorsale. Sentendo le labbra del moro praticamente sul sedere, Heidi rise, con la voce ancora impastata dal sonno. «Il giorno che ci siamo conosciuti ho immaginato proprio una cosa del genere…», ammise voltandosi verso il ragazzo, bellissimo nonostante praticamente non avesse dormito e avesse i capelli distrutti dal sesso.
La relazione di quei due era sempre stata strana. Sempre. E sempre per lo stesso motivo. Si amavano, ma non se l’erano mai detto. Mai, in tre anni. E in effetti non si poteva nemmeno dire che stessero insieme, più che altro andavano a letto insieme. Ma…
«Devo dirti una cosa, piccola». Le labbra della ragazza si curvarono in un sorriso a quel nomignolo, e annuì, lasciando che Zayn continuasse. «Ti amo», mormorò, praticamente contro le sue labbra.
Semplice e diretto, senza distogliere o interrompere il contatto.
«Lo so», mormorò di rimando Heidi, leccandosi il labbro inferiore e nel contempo assaporando anche quello di Zayn. Il moro aveva un sopracciglio inarcato, come se si aspettasse una risposta, una conferma. «Ti amo anch’io», aggiunse con un sorriso, appena prima che si riunissero per l’ennesima volta. Due corpi fusi insieme, mille brividi, mille parole dette senza il bisogno di parlare. Ogni volta come fosse la prima, come se non ci fosse un domani. «Dal primo istante, Zayn… amami».
«Sempre, piccola», le disse lui con un mezzo sorriso una volta ripreso fiato.
Non che ci fosse bisogno che si dicessero di amarsi, certo. Ma in quel momento era come se davvero fossero diventati un tutt’uno. Si erano trovati, amati, avevano fatto l’amore – spesso – e avevano litigato. Ma erano ancora lì, entrambi, ancora insieme.
E non si sarebbero divisi molto facilmente, poco ma sicuro.
La periferia di Holmes Chapel era deserta quel giorno di fine aprile. Erano tutti in centro, per chissà quale premiazione del corpo della polizia locale. Claire invece girovagava apparentemente senza meta nei pressi del suo vecchio liceo, mano nella mano con quello che era il suo ragazzo da quasi un anno.
Ben le teneva la mano, semplicemente, mentre la ragazza dagli occhi di smeraldo si guardava intorno, alla ricerca di un certo vicolo. Quello stesso vicolo sudicio che anni prima le aveva cambiato la vita, facendole conoscere Harry Styles.
Aveva odiato quel posto.
Ma in fondo si sentiva come se ci dovesse andare, perché era lì che aveva dato il suo primo bacio. Era lì che era stata amata per la prima volta.
Harry e Claire non si erano più rivisti, dopo quella sera. Claire ci aveva pensato per mesi, dopo che l’aveva riaccompagnata a casa in macchina. Aveva ripensato alle sue mani, al suo abbraccio, al suo sorriso, alle sue labbra. Non aveva dimenticato nemmeno per un istante quegli occhi, non avrebbe potuto nemmeno in un milione di anni. I suoi ricci castani erano rimasti impressi nella mente della castana, così come il sapore delle sue labbra carnose.
Piccoli particolari che non ne volevano sapere di sparire.
E all’improvviso Claire si bloccò, stringendo più forte del suo ragazzo e passandosi la mano libera tra i capelli. non riuscì a trattenersi dal sorridere come un ebete, al vedere proprio Harry Styles appoggiato ad un lampione con le mani nelle tasche. Lo sguardo spento, come fosse perso nel vuoto.
Si voltò verso di lei, sentendosi osservato, e inarcò un sopracciglio.
Il suo cuore perse un battito.
Harry era proprio all’angolo di quel vicolo, ma di certo Claire non poteva immaginare di trovarlo lì. Se l’avesse saputo, probabilmente sarebbe passata più spesso da quelle parti, magari anche solo per unire il proprio sguardo a quello del riccio, anche se solo per un istante.
Lasciò di scatto la mano di Ben e corse tra le sue braccia. Tra le braccia del ragazzo che l’aveva salvata tre anni prima. Un ragazzo che per lei era niente, ma che per una manciata di minuti era stato tutto.
«Claire», mormorò il riccio con voce roca, stringendola a sé.
Perché girava da quelle parti da sempre, solo con la speranza di rincontrarla, lei e i suoi occhi così simili ai suoi da sembrare irreali. Perché aveva tentato di dimenticarla, lei, le sue labbra perennemente color ciliegia e il suo odore. Perché le aveva regalato un primo bacio indimenticabile. Perché l’aveva salvata, e non riusciva a togliersi quella sera dalla mente.
Perché al vederla con un altro, era come se gli avessero distrutto il cuore.
Perché a modo suo l’aveva amata, anche solo per la durata di quel bacio.
L’aveva amata, proprio come Claire gli aveva chiesto, ed era stato ripagato con la stessa quantità di amore. Perché quei due erano legati indissolubilmente da un filo rosso che non si sarebbe spezzato nemmeno se ci fosse stato Ben in mezzo, come era in effetti.
«Ti ricordi», esalò la ragazza con le lacrime agli occhi.
E Harry rise, facendo rispuntare su quel viso da angelo quelle fossette che nessuno aveva più visto per tre lunghi anni. Quelle fossette che lo caratterizzavano da sempre, erano sparite quella sera, se n’erano andate con Claire. Le aveva lasciate a lei, come volesse che lo dimenticasse.
Respirò quell’odore che gli era mancato così tanto, in silenzio.
In silenzio, ma con una richiesta a fior di labbra, che però Harry si rifiutava di pronunciare. Stavolta era lui quello solo, quello che aveva bisogno di essere amato, ma si impose di rimanere in silenzio, pur di non rovinare la vita di quella meravigliosa ragazza.
Ma evidentemente doveva avere il cervello momentaneamente staccato dal cuore, quando si allontanò per prenderle il viso tra le mani e sfiorarle una guancia con le dita, che stranamente non tremavano.
«Amami, Claire», le sussurrò in un orecchio, facendola sorridere. e la ragazza gli posò inaspettatamente un bacio sulle labbra, alzandosi in punta di piedi per arrivarci meglio, e tenendo gli occhi aperti. Aperti, spalancati. In modo da non perdersi la visione dei suoi occhi che da verde spento – quasi grigi – tornavano dello stesso verde smeraldo che l’aveva fatta innamorare tre anni prima.
«Sempre, Harry», mormorò dopo un po’ Claire, cercando di smetterla di arrossire e cercando di riprendere fiato, invano. Era l’unico ragazzo di cui mai innamorata davvero. Nonostante tutto, nonostante Ben. Era sempre stato Harry, e sempre lo sarebbe stato. Fino a che il sole fosse sorto a est e tramontato a ovest, fino a che avesse avuto aria per respirare. Fino alla fine. «Ti amo», aggiunse lasciandogli un ultimo bacio a fior di labbra, per poi allontanarsi.
Senza voltarsi indietro.
Prendendo la mano del suo ragazzo e tornando a casa, senza voltarsi nemmeno quando lo sentì risponderle. «Sì, anch’io», mormorò il ragazzo con un sorriso, scompigliandosi i ricci e camminando per la sua strada. Certo, sarebbe sempre stata Claire, ma magari avrebbe trovato un’altra ragazza da salvare, o che semplicemente con uno sguardo sarebbe riuscita a farlo innamorare.
Magari, chi lo sa.
E infine, ultima ma non meno importante, Isabel.
La ragazza dai riccioli rosso fragola, quella che Louis era riuscito a conquistare con un cupcake. Perché dicendole che era bellissima, la barriera del dolore della ragazza era crollata come un castello di carte con un folata di vento. E non faceva che ripensarci, fissando quella foto che si erano fatti un anno prima, mentre Louis dormiva con la testa posata sulle gambe della ragazza.
Si erano dati il primo bacio due mesi dopo quel giorno di tre anni. Un altro mese e Isabel era andata contro tutto e tutti pur di stare con quel ragazzo di sei anni più grande. Stavano insieme da due anni e nove mesi ormai, nonostante i genitori della ragazza all’inizio non volessero. Sei anni di differenza erano tanti, vero, ma quando la rossa guardava in quegli occhi tanto azzurri da poterci annegare, vedeva un ragazzino.
Quel ragazzino che riusciva ancora a farla ridere come se si fossero appena conosciuti. Lui, che le scompigliava sempre i ricci dopo aver fatto l’amore, nonostante sapesse che non lo sopportava. Lui, che la faceva sciogliere con un sorriso. Lui, che la rendeva più bella, meno goffa e migliore, in ogni senso possibile.
Lui, che il giorno del diciottesimo compleanno di Isabel le aveva fatto trovare, a scuola, un vassoio di cupcake. Di quelli al cioccolato, con la crema alla fragola sopra. “I love you”. Una lettera di zucchero su ogni cupcake.
Lui, che in quel momento aveva appena fissato i suoi occhi color cielo nei suoi pozzi d’argento. Un attimo, e una lacrima rotolò giù dal suo occhio sinistro, lungo la guancia, sulle labbra e fino al mento, per poi scivolare via. Fu quella lacrima che lo fece scattare come una molla, nonostante fosse ancora mezzo addormentato.
«Piccola, che hai?», le chiese dolce, lasciandola accoccolarsi contro il suo petto.
«Pensavo ai cupcake dell’anno scorso», mormorò. Una mezza verità. E teneva gli occhi chiusi, per evitare che l’amore della sua vita leggesse la verità in quegli specchi color acciaio. Respirava il suo profumo come se fosse stata l’ultima volta, perché stava per dirgli una cosa, che se Louis non l’avesse amata, avrebbe rovinato tutto.
Se non l’avesse amata.
«E…?», le sussurrò in un orecchio, capendo che non era quello che voleva dirgli.
«Mi ami Lou?». Il maggiore rise leggermente. Ma poi annuì, vedendola seria e determinata come non era mai stata. «Prometti che non mi lascerai mai», aggiunse lasciando scorrere un’altra lacrima, ma asciugandola con la stessa velocità in cui era uscita dal proprio nascondiglio.
Sapeva perfettamente che Louis la riempiva di attenzioni, si preoccupava per lei e tutto il resto. Sapeva che aveva aspettato che lei fosse pronta per fare l’amore, quando invece la voleva più di qualsiasi altra cosa al mondo. Proprio perché la amava. Solo, Isabel voleva sentirsi dire che era sua, e che lo sarebbe stata sempre. Per sempre.
«Mi stai facendo preoccupare, piccola…».
«Quando tra sei mesi sarò enorme non mi vorrai più!», sbottò alzandosi dal divano e facendo per scappare da lui. Ma le tremarono le gambe, e si accasciò malamente sulla moquette, iniziando a piangere dal nervoso. Louis non disse una parola. La prese semplicemente tra le braccia e la strinse a sé lasciandole un bacio tra i ricci perfettamente disordinati.
«Non ti lascerò mai, lo sai… sei troppo importante e troppo speciale perché ti possano portare via da me», le disse lasciando che si sfogasse contro il suo petto. Louis non capiva, ovviamente, la frase criptica pronunciata dalla sua ragazza. Ma glielo aveva promesso lo stesso, perché era vero.
Non l’avrebbe lasciata. Nemmeno se il mondo fosse finito il giorno dopo.
Piuttosto sarebbe morto con lei, tenendola tra le braccia.
Isabel fece un respiro profondo, accennando un sorriso. Si allontanò dall’abbraccio del castano e si asciugò le guance dalle lacrime e dal mascara colato irreparabilmente. Poi si passò una mano tra i ricci e fissò i suoi occhi grigi in quelli color cielo del suo amore.
Sospirò lentamente, e «Sono incinta Lou, di sei settimane», disse cercando di tenere la voce ferma. In realtà era più in ansia che mai. Più in ansia che al loro primo bacio, il primo appuntamento o la prima volta. Più in ansia di quando aveva detto alla madre di voler stare con lui, andando in contro a tutto.
Vide una lacrima scivolare lungo la guancia di Louis e temette il peggio.
Le scappò un singhiozzo, ma quando il ragazzo fece affondare lo sguardo nei suoi occhi color tempesta e lo vide sorridere… inarcò un sopracciglio, totalmente e irreparabilmente confusa. Il sorriso di Louis William Tomlinson era qualcosa di dannatamente perfetto. La cosa più perfetta che Isabel avesse mai avuto il privilegio di vedere.
Fino a che non sentì le parole che uscirono qualche istante dopo dalle sue labbra rosee.
«Non ci credo, porca carota», mormorò passandosi una mano tra i capelli e tirandone le punte. Isabel rise, sollevata. Pensava che l’avrebbe presa a parolacce, o che l’avrebbe lasciata su due piedi, senza nemmeno pensarci per un istante. «Immagina un piccolo angioletto dai capelli rossi e gli occhi celesti», le disse facendola sdraiare sulla moquette e sdraiandosi sopra di lei. La fece ridere tra le lacrime, mentre le riempiva il viso di piccoli baci.
«Non mi stai lasciando, quindi…», azzardò la rossa a due millimetri dalle sue labbra.
Il ragazzo alzò gli occhi al cielo, per poi fiondarsi sulle labbra di lei. Affamato, bisognoso e pieno d’amore. Più del solito, addirittura. «Spero tanto che sia goloso di cupcake almeno quanto te, piccola».
Isabel sorrise e gli diede un’altra serie di baci.
«Ti amo, Boo», mormorò sorridendo.
«Anch’io piccola, non puoi immaginare quanto», mormorò di rimando congiungendo di nuovo le labbra con quelle di lei, baciandola fino a non avere più fiato, fino alla fine.
 

Modi diversi di amare. Storie diverse, totalmente differenti. Dieci ragazzi che si sono amati, di coppia in coppia, senza mai incrociare le strade degli altri. Ma legati da un sussurro, un grido di aiuto, una richiesta, un soffio di vento. Legati dal sentimento, dall’amore in ogni minima sfumatura possibile.
Legati tra loro da uno sguardo.
Due paia di iridi che si incontrano e non vogliono più mollarsi. Verde nel verde. Castano nel nocciola. Tenebra nel cioccolato. Blu nell’azzurro. Ciel sereno nella tempesta. Due paia di iridi che si incontrano per caso, o che si conoscono da sempre. Due paia di iridi che confessano il loro amore solo con uno sguardo. Due paia di iridi che si cambiano la vita.
Un salvataggio.
Un ombrello dimenticato.
Uno scontro alla luce del tramonto.
Un ragazzo infreddolito.
E un cupcake.
Cinque eventi scatenanti, cinque paia di occhi. Cinque ragazzi e cinque ragazze. Cinque paia di labbra. E una parola a fare da filo logico a tutto quanto. Un filo indistruttibile, tenace e pieno d’amore.
Amami. Una parola, un desiderio, una richiesta. Un mondo.






 
   
 
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