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Autore: Rogue    17/10/2004    4 recensioni
Mentre quella luminosa serata autunnale cominciava a sfumare nel velluto nero della notte il maggiore Misato Katsuragi sedeva da sola al tavolo della cucina in compagnia di una bella scorta di birre...
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Misato Katsuragi, Ritsuko Akagi, Ryoji Kaji, Shinji Ikari
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tra il sogno e la morte

TRA IL SOGNO E LA MORTE


Mentre quella luminosa serata autunnale cominciava a sfumare nel velluto nero della notte il maggiore Misato Katsuragi sedeva da sola al tavolo della cucina in compagnia di una bella scorta di birre ghiacciate. Era il suo compleanno, trent'anni.
Nell'appartamento regnava il silenzio più assoluto e l'odore di chiuso e la patina di polvere che ricopriva i mobili davano l'impressione che non vi abitasse nessuno, sembrava che tra quelle quattro squallide mura il flusso del tempo si fosse fermato. Forse era così, forse lei era davvero sola là dentro. No, dietro ogni porta si potevano incontrare i fantasmi del passato, veri padroni della casa, e il silenzio parlava, denso e appiccicoso, carico di significati.

"Sei finita, non ci servi più…"

Cercando di ignorare quelle voci, che diventavano sempre più insistenti e fastidiose, Misato si scolava una lattina dopo l'altra, un fiume di alcol dove affogare i ricordi. Proprio una bella festa…tanti auguri maggiore!

A trent'anni è normale cominciare a sentirsi maturi ma lei aveva già superato da un pezzo quella fase, ora doveva fare sforzi per non sentirsi marcia. Era mai stata pura? Sì, forse prima di quel giorno lontano, quando la sua innocenza era stata macchiata di sangue. Anche lei era stata una bambina come tutte le altre, aveva indossato abitini di pizzo e giocato con le bambole…e che cos'era diventata? Una povera donna sola e stanca, costantemente in fuga dalla realtà.
A volte passava intere giornate distesa sul letto senza mangiare né bere e pensava alla morte. Il suicidio come soluzione definitiva, l'unico mezzo per liberare finalmente l'anima dai vincoli del corpo e purificarla dalla corruzione della carne. Voleva dare vita eterna allo spirito, rinascere come materia incorporea…Sapeva bene che tutto quel suo crogiolarsi in simili pensieri altro non era che un modo per trascorrere il tempo e che non avrebbe mai avuto il coraggio di farla finita, ma tutte quelle speculazioni occupavano le sue ore e la facevano sentire, seppure per un breve lasso di tempo, al centro dell'universo, rallentando così l'avanzata di quell'incolmabile vuoto che come un ragno maligno tesseva instancabilmente la tela in ogni angolo del suo cuore e rischiava di impossessarsi del suo essere. Non si trattava di ipocrisia né di inutile nichilismo ma di puro e semplice istinto di sopravvivenza, quel continuo volgere lo sguardo verso l'aldilà era il suo ultimo disperato tentativo di restare attaccata alla vita, di gridare al mondo che non era ancora giunto il momento della sua fine.

Comunque quel giorno era il suo compleanno e per una volta aveva deciso di bandire i pensieri tristi, molto meglio bere. Bere, bere, bere, ecco la risposta! Sentire quel liquido fresco e corroborante scivolarle dentro e scorrerle nelle vene come nuova linfa appagava i suoi sensi e sembrava infonderle una grande sicurezza. Mesci più che puoi e fingiti felice, poco dopo arriva l'euforia.

"Al diavolo Shinji, che continui pure a fare la vittima! Quanto ad Asuka, che muoia di fame. Statevene pure rinchiusi nelle vostre stanze a piangere, continuate a odiarmi, ma non aspettatevi di trovarmi ancora qui al vostro risveglio, con voi ho chiuso".

Completamente ubriaca e con la mente annebbiata uscì dalla porta principale e si diresse verso la macchina; i suoi movimenti erano dettati da una confusa determinazione che diventava più forte ad ogni passo. Istante dopo istante nella sua testa si delineavano i contorni dapprima molto sfocati e poi sempre più nitidi di un triste progetto: voleva guidare senza meta fino alla fine del mondo e annullarsi tra le genti, anonima e senza legami. Afferrato il volante con impeto disperato fece ingranare la marcia e partì alla cieca verso l'ignoto. Ormai l'aria intessuta di stelle aveva l'odore dolce della notte e nelle profondità della sua anima cupi brandelli di sogni lottavano per emergere. Poteva percepire l'intenso sforzo degli astri, che brillavano a più non posso per imprimere la loro presenza nel firmamento, e la quieta malinconia dei fiori, che raccolti nel silenzio delle loro corolle si preparavano ad assistere all'alba. Alta nel cielo splendeva la luna piena, come sempre severa e imperturbabile.
Mentre le ruote della macchina macinavano chilometri nella sue mente annebbiata dall'alcol si affollavano immagini sempre più tetre.

Un'esplosione, i lineamenti di suo padre, gli occhi di Shinji, Asuka gli angeli il cielo il mare l'acqua il sangue passato presente futuro il giorno la vita la notte la morte…il volto di Kaji…il volto di Kaji…

Anche quella notte si trovava al centro del lugubre cerchio in balia del crudele burattinaio, ridotta a mero tramite tra l'essenza mortale e il divino. Anche quella notte sarebbe stata annientata. Cercava di non cedere all'oblio e mantenersi lucida ma era perfettamente consapevole dell'inutilità dei suoi tentativi, cominciava già a perdere la percezione della realtà, gli incubi danzavano intorno a lei in un macabro sabba… All'improvviso la macchina si scontrò con un camion; un lampo di luce abbagliante, poi il buio.

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Una grande stanza d'ospedale bianca e asettica, al centro solo un lettino di ferro rivestito da un lenzuolo, anch'esso bianco.
Le facoltà mentali di Misato si erano riattivate già da qualche giorno ma il suo corpo non voleva saperne di muoversi, anche se il cervello era rimasto intatto e continuava a funzionare alla perfezione tutti gli altri organi erano addormentati. Paralisi totale. Non riusciva nemmeno a parlare, si trovava sospesa in una sorta di limbo dove le voci dei medici e della gente intorno a lei arrivavano come echi lontani, ovattate e distorte, quasi surreali.
Non era triste, al momento tutto quello che riusciva a sentire erano una forte pesantezza diffusa nelle membra e stanchezza della sua natura umana.
Per tutto il periodo in cui era stata incosciente discreto e leggero come un'ombra qualcuno aveva vegliato instancabilmente accanto a lei, qualcuno che l'amava molto più di quanto lei stessa non si fosse mai resa conto: la professoressa Ritsuko Akagi, sua amica fin dai tempi dell'università. La fissava in silenzio, come sempre rigida e distaccata, ma in quei suoi occhi freddi non era difficile intravedere una sincera apprensione, un sentimento dettato dal vero affetto.

"Scusi se la disturbo signorina, ma mi sento in dovere di consigliarle di andare a casa a riposare, ormai sono giorni che non dorme e deve essere molto stanca …"

Ritsuko rispose alla giovane infermiera che le aveva appena rivolto la parola con un mezzo sorriso e la congedò con un cenno del capo. Non aveva alcuna intenzione di uscire da quella stanza, niente sarebbe riuscito ad farla spostare di un centimetro da quella scomoda sedia su cui aveva deciso di rimanere fino al risveglio dell'amica.
D'altronde cosa mai avrebbe potuto fare una volta tornata a casa, forse continuare a macerarsi nel proprio dolore? Nei mesi precedenti all'incidente aveva smesso completamente di frequentare le altre persone e ormai viveva reclusa nel suo appartamento, uscendo solo di tanto in tanto per fare la spesa al supermercato all'angolo. Passava le sue giornate a nuotare nel senso di colpa, un mare immenso dove sperava di poter annegare il suo morboso desiderio di legare a sé il comandante Ikari, l'odio feroce per Rei, la frustrazione professionale. Anche lei come Misato si era pericolosamente avvicinata alla bocca dell'abisso, ma al contrario dell'altra aveva deciso di provare a uscire dal tunnel che stava percorrendo in linea retta verso il capolinea; mentre l'altra a forza di vivere immersa nella penombra aveva finito per assorbirla e fondersi con essa, arrivando a un punto di non ritorno, lei aveva impiegato ogni singolo residuo di forza di volontà rimastole in corpo per fermare il salto nel buio che si approssimava a compiere. Certo, sarebbe stato un processo graduale, ma in qualche modo ne sarebbe uscita, in fondo la sua indole misurata e razionale non le avrebbe mai permesso di spingersi troppo oltre.
A un certo punto per contrastare la noia e allontanare i brutti pensieri che le ronzavano intorno al capo si mise a parlare sommessamente, convinta di rivolgersi a un uditorio sordo, non immaginava infatti che la donna che giaceva immobile come un cadavere vicino a lei potesse ascoltare le sue parole.

"Dopo tutti questi anni ci troviamo ancora una volta una accanto all'altra, certo che insieme ne abbiamo passate tante! Chissà che cosa diresti se potessi vederti in questo momento?
Ma cosa diavolo sto facendo? Ora parlo da sola, probabilmente il prossimo passo sarà mettermi a ululare alla luna."

Mille gelidi occhi rossi apparivano e scomparivano alternamente nell'aria, tutti uguali, tutti puntati verso Ritsuko. Gli occhi vuoti della bambina senz'anima.

"Fino a quando continuerai a perseguitarmi Rei Ayanami? Cosa ti ho fatto di male? Lasciami in pace una volta per tutte!"

Un alito di vento smosse lievemente la tenda azzurra, azzurra come i capelli di lei.
Lei, lei, lei, sempre e solo lei.

"Lo sai che non vali niente? Sei solo una bella bambolina riempita di paglia…eppure lui continuerà a vedere solo te, nient'altro che te. Proprio come successe a mia madre…perché? Mostro, mostro, mostro!"

Ormai i nervi della controllatissima professoressa Akagi stavano per cedere, la parte più debole stava per prendere il sopravvento su quella razionale. Le sue parole ripresero a scorrere impetuose e mentre unite ai singhiozzi venivano portate alla deriva dalla disperazione, Misato cominciò a perdere definitivamente la percezione della realtà. Il suo corpo si faceva leggero, l'aria rarefatta…

"Ricorda piccola mia, non sottovalutare mai l'importanza dei sogni. Anche quando dormiamo respiriamo, siamo vivi. I personaggi che impersoniamo la notte, le avventure che viviamo e le bizzarre creature che incontriamo non sono solo miraggi, pallidi riflessi di ciò che vorremmo essere, fare o avere, ma importanti simboli, e se interpretati nel modo giusto possono fornire la risposta a molte nostre domande. Non confondere il sonno con la morte, sarebbe un grave errore."

Queste parole gli erano state dette da sua madre diversi anni addietro; era ancora molto piccola e per ovvie ragioni a suo tempo non gli aveva dato un gran peso, ma non erano state cancellate, per tutti quegli anni erano rimaste chiuse in un remoto cassettino negli abissi del suo io in attesa di venire ripescate al momento opportuno. Ora quel momento era arrivato.

L'ininterrotto fluire delle parole di Ritsuko la cullava dolcemente nel vuoto, ormai privo del suo significato e simile piuttosto al canto indistinto del vento, e come un fiume in piena la spingeva sempre più a largo, sempre più a largo…Misato continuò ad avanzare nel mondo dei sogni fino a essere proiettata nella tenebra. Vuoto assoluto.
Ovunque guardasse vedeva solo nero: nero a posto del cielo, nero a sostituire la terra.
Galleggiare nel vuoto, non era forse questa la vera pace? Niente pensieri, niente ricordi, solo l'infinita dolcezza del nulla.
Con sua grande sorpresa si rese conto di essere completamente nuda e dotata di un bel paio di ali, ali da libellula sottili e trasparenti come il vetro. Per la prima volta dopo molti anni il suo corpo non le apparve impuro ma bello a candido e pregna di questa nuova concezione di sé prese a librarsi nell'aria, beandosi della tranquillità del posto. Ora era libera, non doveva più preoccuparsi di niente, ormai i fantasmi del passato erano lontani anni luce da lei e in quel luogo non avrebbero mai potuto raggiungerla…
Gira, gira, gira fino a dimenticare chi sei.

Polvere.

…………………………………………………………………………………………………………………


"Ci si rivede, Katsuragi."

Lui. La sua voce. Non poteva sbagliarsi, l'avrebbe riconosciuta fra mille.
Silenzio.
Paralizzata dall'incertezza Misato non riusciva a muoversi: da un lato avrebbe voluto correre via per evitare di incontrarlo, ma dall'altro fremeva dalla voglia di voltarsi ed accertarsi così della sua presenza. Non poteva fare altro che aspettare che accadesse qualcosa, immobile, scossa solo da un lieve tremore.
Finalmente un braccio le cinse la vita, lui era alle sue spalle. Inizialmente non riconobbe il suo tocco, troppo tempo era passato dall'ultima volta che l'aveva stretta, ma la pelle non dimentica, e quando cominciò ad accarezzarle delicatamente il fianco con mano ferma e decisa capì di non essersi sbagliata: era Kaji.

L'iniziale indifferenza fu presto cancellata da brividi di gioia, che si trasformarono poi in un moto di disgusto. Allontanò bruscamente la mano dell'uomo e fu colta da un conato di vomito, poi fu di nuovo presa dalla voglia di vederlo, parlargli, abbracciarlo…niente da fare, non trovava né il coraggio di voltarsi verso di lui né le parole che eventualmente avrebbe potuto dirgli. Forse aveva paura di illudersi ancora, di trovarsi davanti il nulla, di vederlo svanire davanti ai suoi occhi. Chissà, forse temeva di affrontare i ricordi, di soffrire ancora come prima e più di prima, forse non voleva vederlo, forse lo desiderava, forse era arrabbiata, forse confusa, forse voleva scappare, forse…
Nel suo conflitto interiore subentrò poco a poco l'angoscia, che come un fastidioso e affilato spillo le pungeva piano il cuore.

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Da quel maledetto spiffero filtrava un alito di vento freddo e il gelido ordine della stanza era turbato solo dal rosso di una piccola macchiolina che spiccava sul pavimento. Una stupida macchia di sangue. Era lì da tempo indefinito e ormai avrebbe dovuto essersi opacizzata, ma invece ogni giorno sembrava brillare di più e rifulgere con maggiore violenza della sua cupa luce di morte. Infastidito, più volte Shinji aveva pensato di cancellarla, ma fino a quel momento la pigrizia aveva sempre avuto il sopravvento su ogni altro impulso, impedendogli così di compiere perfino le azioni più banali, che comprendevano anche l'alzarsi per pulire per terra. Molto meglio restare a letto ad ascoltare musica a tutto volume, isolato da tutto e da tutti e in perfetta tranquillità; premendosi le cuffie nelle orecchie avrebbe potuto evitare di sentire Asuka che piangeva nell'altra stanza, continuare ad ignorare i suoi singhiozzi…
A un certo punto gli parve di percepire un seccante rumore proveniente dall'esterno dei nebulosi mondi sonori in cui era profondamente immerso: il trillo di un telefono.
Perché avrebbe dovuto fare la fatica di andare a rispondere quando c'era qualcuno che poteva farlo al posto suo? Di solito ogni volta che ricevevano una chiamata Misato si precipitava al telefono; che pena quella donna, sempre così bisognosa di contatti umani…non poteva rassegnarsi finalmente alla sua solitudine? Stavolta il suono non cessava, quell'odioso pigolio continuava insistentemente a ripetersi a intervalli regolari.

"Mantieni la concentrazione, Shinji, segui il flusso delle note…non farti distrarre…"

Ma il telefono continuava a squillare.

"Accidenti, devo proprio alzarmi!"

Il ragazzo attraversò il corridoio col cuore in gola, timoroso di ciò che avrebbe potuto sentire passando davanti alla porta di lei. Per fortuna quella sera Asuka era tranquilla, dalla sua camera non proveniva alcun rumore.

"Pronto?"

"Shinji? Sono la professoressa Ritsuko Akagi, volevo informarti che la tua tutrice è stata ricoverata in ospedal…"

Le parole di Ritsuko caddero nel vuoto perché Shinji non le diede il tempo di finire il discorso: buttò giù con rabbia la cornetta e corse via verso la sua stanza, dove si rinchiuse nuovamente sbattendo la porta. L'aria era pesante, intrisa di un nauseante odore dolciastro.

"Stai male Misato? Chi se ne frega!"

Dopo aver gridato queste parole con tutto il fiato che aveva in corpo, il third children si accasciò per terra, vicino alla macchia di sangue, e prese a fissarla distrattamente oltrepassandola con lo sguardo. I suoi pensieri non erano rivolti alla macchia in sé, ma alle circostanze in cui era stata lasciata: l'ultima volta che Misato aveva provato a parlargli. Lei parlava, parlava, parlava e piangeva implorandolo di uscire un po' di lì, ma lui non aveva voglia di ascoltarla, e dopo aver pazientato per un po' facendo finta che nella stanza non ci fosse nessuno in un accesso d'ira feroce l'aveva colpita, non tanto forte da farle realmente male, ma abbastanza da lasciarle una grossa ferita nell'animo.
Da qualche parte aveva letto che il male del corpo è facilmente arginabile,mentre il male dello spirito può essere incurabile perché trascende la morte fisica…chissà se era vero?
"Non voglio finire così…"

Carico di rimorso, stanco e afflitto, all'improvviso Shinji provò un fortissimo desiderio di richiamare Ritsuko per sapere qualcosa sulle attuali condizioni della signorina Misato; voleva vederla, parlarle, scusarsi con lei per il suo comportamento sprezzante e infantile. Aveva sbagliato a riversarle addosso tutta la sua rabbia , dopotutto che colpa aveva lei della sue disgrazie? Nei suoi confronti era stato decisamente ingiusto, ma sebbene ormai se ne fosse reso conto non riuscì a trovare la forza di trascinarsi verso il telefono.
Seduto sul duro pavimento e turbato da mille confusi pensieri, riuscì a trovare conforto solo in una vecchia foto di Ayanami: come sempre stringendola al petto riuscì lentamente a ritrovare la calma; nel giro di pochi minuti fu avvolto da soffici vapori caldi e cadde nell'oblio, dimentico di tutti i suoi problemi e finalmente sereno. Una lacrima gli rigò il volto, andando a bagnare il suo sorriso di bambino addormentato.

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-Le persone non sono morte quando giacciono nella tomba, ma quando infine rinunciano ai loro sogni. -

"Io non voglio morire!"

-Allora non scappare più. -

"Non ce la faccio a rimanere qui."

-Sei solo una vigliacca -

"Può darsi ma non mi importa, io qui sto male."

-Mi fai pena. -

"Ora basta, ho il diritto di preservarmi dal dolore!"

Misato aveva deciso di provare ad ascoltare la sua coscienza, cosa che aveva smesso di fare da molto tempo; purtroppo però l'oppressione provocatagli dall'indecisione si tramutò presto in vera e propria claustrofobia, aveva le vertigini e si sentiva soffocare.

-Vigliacca, vigliacca, vigliacca!-

"Sta' zitta…zitta, zitta!"

Ancora una volta l'istinto ebbe la meglio sulla ragione e la donna si mise a correre a perdifiato senza una meta precisa, voleva solo andarsene da lì.
Correva, correva, correva, ma per quanto si allontanasse dopo un po' sentiva di nuovo la presenza di Kaji, come se non si fosse mai spostata di un millimetro dal punto in cui si trovava all'inizio. Quando si fu un poco calmata ed ebbe recuperato un barlume di lucidità si rese conto di girare in tondo; se non si fosse fermata avrebbe continuato a seguire lo stesso percorso per chissà quanto tempo.

"Bene, sono prigioniera di questo sogno e probabilmente fino a quando non avrò affrontato la fonte dei miei turbamenti non riuscirò a uscirne."

Dopo aver pensato queste cose si fermò esattamente di fronte a Kaji , decisa a guardarlo dritto in faccia. Al primo tentativo gli occhi le si riempirono di lacrime e fu costretta a distogliere lo sguardo, ma pochi minuti dopo riprovò ad alzare timidamente le palpebre e stavolta riuscì a non farsi sopraffare dall'emozione. Occhi scuri, intelligenti e un pochino maliziosi, così li ricordava, ora invece apparivano profondi e intensi, ma tuttavia stranamente distaccati. Riflessi nelle sue iridi ancora circonfuse di una calda luce marrone ormai era facile scorgere i dettami della vita ultraterrena, il totale distacco dalla natura mortale e dalle brame della carne e una grande calma interiore.

"Ti amo."

Misato non avrebbe mai immaginato quello che simili parole avrebbero potuto smuoverle dentro. Tante volte negli ultimi dieci anni aveva sognato di sentirsele rivolgere, sola nel suo letto aveva fantasticato all'infinito come una ragazzina sulla scena che ora si stava svolgendo davanti a lei, ma adesso che il momento era finalmente arrivato, adesso che i suoi semplici viaggi mentali si erano materializzati davanti ai suoi occhi, si rese conto di non avere la più pallida idea di cosa rispondere. Non riusciva a trovare le parole adatte per esprimere la sua gioia. Lui era là, illusione o figura reale lui c'era davvero, e lei sentiva di precipitare di nuovo nel suo antico mutismo. Perché proprio ora?

"Ecco le parole che avrei voluto dirti tanto tempo fa: ti amo Katsuragi."

"Io…io non…ecco…"

-Stupida, stupida, stupida!-

Il frammentario farfugliare di Misato si protrasse ancora per alcuni minuti, poi lei si scosse dalla sorta di trance in cui era caduta e protese una mano verso il volto di Kaji. La pelle dell'uomo era tiepida e gradevole al tatto.

"Ora…ora sono felice."

I due cominciarono a sfiorarsi e poi ad accarezzarsi, alla fine i loro gesti culminarono in un malinconico quanto tenero bacio.
Mai avrebbero pensato che un semplice bacio sulle labbra potesse essere un'esperienza tanto intensa, eppure quella volta fu così. Parole non dette, sentimenti repressi, tanto calore, tutto sfociò in un unico vibrante fluire di emozioni. Ciò che in precedenza non erano mai riusciti ad esternare fuoriuscì finalmente dai loro corpi con estrema naturalezza. L'ora del chiarimento era arrivata, ricomponendo i cocci di due anime fatte a pezzi dagli eventi e riavvicinando i due corrispondenti cuori, separati dalla morte.

"Rivederti è stato bello, Katsuragi."

Dopo che ebbe pronunciato queste ultime parole, il corpo di Kaji si sgretolò in mille frammenti di vetro trasparente che schizzarono ovunque e cominciarono a turbinare veloci nell'aria ferma, andando a formare piccole spirali simili a galassie in miniatura.
La più luminosa di quelle schegge graffiò la guancia di Misato e il liquido rosso sgorgato da quella lieve ferita si mischiò alle sue lacrime, in modo tale che sembrava piangesse sangue…

"Non può finire così…"

"Addio."

Sangue, ricordi e pelle sciolta nel vento…

…………………………………………………………………………………………………………


Misato aprì lentamente gli occhi, che furono subito invasi da una luce bianca. Quando si guardò intorno si rese conto di trovarsi in una spoglia stanza d'ospedale. Istintivamente si passò una mano sul volto e, non trovando ferite, scoppiò a piangere.

"Era solo uno stupido sogno…"

"Spesso i sogni sono più reali della stessa realtà, perché oltre ad essere vivi durante il sonno togliamo ogni freno inibitore alla nostra anima a lasciamo venire a galla il nostro vero io."

"…"

"Hai ragione mamma, non è stato inutile."

Su una sedia accanto al lettino di ferro vide la sua vecchia amica Ritsuko addormentata, con la testa che le ciondolava sul petto e le braccia abbandonate lungo i fianchi, e non poté fare a meno di sorridere paragonando l'immagine che ora le si parava davanti a quella della donna sempre rigida a controllata che conosceva da una vita. Per non le svegliarla le sussurrò a voce molto bassa un sincero "grazie" e poi provò ad alzarsi in piedi.
Niente da fare, le gambe non volevano saperne di muoversi,

"Devo essere paziente."

Allora un po' triste rivolse lo sguardo verso la finestra, oltre la quale un grande prato si estendeva verde speranza verso l'orizzonte, e si mise a fissare l'azzurro del cielo, che a un certo punto parve restringersi nell'iride di un occhio che la guardava con dolcezza.

"Che sia l'occhio del futuro?"

…………………………………………………………………………………………………………………...

Fine
  
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