Non chiedermi perché…
*Dedicata
a Titty90 per ringraziarla di quella che mi ha dedicato, ma soprattutto perché ha
accettato la mia amicizia, senza chiedere perché…*
“Bene, allora esci dalla mia vita e
non entrarci mai più!!!”
Queste
erano state le ultime parole che gli aveva rivolto prima di chiudergli la porta
in faccia.
Lui aveva
cercato di farsi perdonare; aveva gridato, aveva tirato pugni alla porta, ma
lei non aveva ceduto. Era sparita dalla sua vita.
L’ennesima
litigata, la più forte. Quella volta l’aveva combinata davvero grossa;
quell’estate lontana al Lava Spring non era niente in confronto.
E ora,
mentre era a quella noiosa festa ‘per celebrità’, le
sue parole gli erano tornate in mente per chissà quale ragione.
Troy
sbuffò, bevendo un sorso dal suo bicchiere di champagne.
Gabriella
aveva sempre avuto ragione. Tutte le volte che gli diceva che era cambiato, che
era un egoista, che sembrava vivere perennemente con una maschera. Era proprio
così, ma lui era stato troppo testardo per ammetterlo.
E l’aveva
persa, definitivamente.
Chi ci
aveva messo lo zampino, anche quella volta? Già, proprio Sharpay Evans. Quella
biondina presuntuosa e scaltra. Pronta a tutto per ottenere quello che voleva.
Li aveva
separati al liceo, e c’era riuscita anche anni dopo.
No, Troy
non aveva tradito la donna che amava. Semplicemente, grazie a Sharpay era
riuscito ad entrare all’università, si era sentito in debito nei suoi confronti
e non le diceva mai di no.
La
biondina rigirava la questione a suo favore; ben presto, Troy si era ritrovato
a partecipare a più eventi mondani di quanti riuscisse a programmarne, spesso
lasciando a casa Gabriella, che non ne andava pazza.
E i loro
litigi aumentavano, non c’era mai un attimo di pace. Fino all’ultima volta in
cui l’aveva vista.
Dopo
quella notte, Gabriella aveva salutato i suoi amici, aveva fatto le valigie ed
era partita per una destinazione a lui sconosciuta.
Lui era
rimasto solo, con la morte nel cuore. Persino i suoi amici non lo chiamavano
più, arrabbiati quanto la ragazza.
Solo
Sharpay era rimasta accanto a lui, pronta come una gatta davanti alla tana del
topo.
Ma Troy
non era così stupido, e l’aveva respinta. Non l’aveva mai voluta, e mai
l’avrebbe fatto.
Si era
buttato a capofitto nello studio e nella squadra; raggiunta la laurea, si era
dedicato solo al basket.
Ma, per
ogni cosa provasse a fare, sentiva sempre che gli mancava una parte di lui.
Quella parte dai dolci occhi da cerbiatta, che spesso aveva fatto piangere.
Non ne
aveva più trovate altre come lei, non riusciva a dimenticarla.
Per
questo, a ventisei anni, era detto uno dei ‘più ambiti scapoli di New York’.
Già, si
era trasferito. Era troppo il peso dei ricordi, ad Albuquerque. Non aveva più
niente da fare lì: niente amici, niente amore, quindi meglio cambiare aria.
Pensava
che magari sarebbe riuscito a trovare un’altra ragazza da amare almeno la metà
di quanto avesse amato Gabriella. Illusione grossissima, perché la cercava
ancora nelle altre, nonostante tutto.
Scosse la
testa, e mandò giù un altro sorso di alcol. Almeno per quella sera voleva
divertirsi, e tentare di dimenticare quello che era successo cinque anni prima.
###
“E ancora… ancora tu. Ma non
dovevamo vederci più… e sento tutto il mio dolore. Quello che non so, quello
che non ho vissuto, quello che mi manca. Per sempre. Ma quante braccia ti hanno
stretto per diventare quello che sei. Come hai ragione. Come è vero. Che
importa. Tanto lei non me lo dirà, purtroppo. Così resto in silenzio. E la
guardo. Ma non la trovo. Allora vado a cercare quel film in bianco e nero
durato due anni. Una vita. Quelle notti passate sul divano. Lontano. Senza
riuscire a farmene una ragione. Graffiandomi le guance, chiedendo aiuto alle
stelle. Fuori, sul balcone, fumando una sigaretta. Seguendo poi quel fumo verso
il cielo, su, più su, oltre… lì, dove proprio noi eravamo stati. Quante volte
ho nuotato in quel mare notturno, perso in quel cielo blu, portato dai fumi
dell’alcol, dalla speranza di incontrarla di nuovo. Su e giù, senza sosta.
Lungo Hydra, Perseo, Andromeda… e giù fino a Cassiopea. Prima stella a destra e
poi dritto, fino al mattino. E ancora oltre. E a tutte chiedevo: “L’avete
vista? Vi prego… ho perso la mia stella. La mia isola che non c’è. Dove sarà
ora? Cosa starà facendo? Con chi?”. E intorno a me il silenzio di quelle stelle
imbarazzate. Il rumore fastidioso delle mie lacrime sfinite. E io stupido che
cercavo e speravo di trovare una risposta. Datemi un perché, un semplice
perché, un qualsiasi perché. Ma che sciocco. Si sa. Quando finisce un amore si
può trovare tutto, tranne che un perché.”
“Gabriella,
ma stai ancora a leggere? Dai, che facciamo tardi!”
La mora
trasalì e chiuse di scatto il volume: “Tu
farai tardi, Holly. Ti ho detto che non vengo!”
Holly
spuntò fuori dalla sua camera, vestita di tutto punto ma con un asciugamano
attorno alla testa per trattenere i capelli bagnati: “Ancora con questa storia?
Adesso basta, me l’hai promesso! Sei vestita e pettinata, una serata fuori non
ti ucciderà! Come tua superiore, te lo ordino!”
Gabriella
sbuffò e appoggiò il libro sul tavolino. Doveva smetterla di perdersi in quelle
favole romantiche.
L’amore
non esisteva, punto e basta. O meglio, era solo uno strumento per ferire. E lei
ne sapeva qualcosa.
Holly
sciolse l’asciugamano, liberando la cascata di ricci rossi, e la prese per
mano: “Forza, la macchina ci aspetta di sotto!”
La spinse
dentro la limousine, e si rilassò contro lo schienale.
“Ooh,
adoro questa macchina. Ora, Gabriella, ricordati che non ti ho portata qui solo
per lavoro! Cerca anche di divertirti!” l’ammonì.
Lei annuì
e si mise a guardare fuori dal finestrino.
Holly Harris
era una famosa fotografa di moda, conosciuta per i suoi bellissimi servizi e la
sua giovane età, che l’aveva presa sotto la sua ala quando aveva cominciato a
lavorare come giornalista.
Da quel
momento, si poteva dire che erano diventate grandi amiche, e Holly non perdeva
occasione per portarla con sé in ogni luogo andasse.
“Tu
scrivi, io fotografo! Meglio di così!” ripeteva sempre.
Perciò,
pure quella sera l’aveva costretta a vestirsi elegante ed ad accompagnarla a
quella festa, anche se Gabriella non ne aveva assolutamente voglia.
La
limousine si fermò davanti ad un alto palazzo, ed un ragazzo in uniforme andò
ad aprire loro la portiera.
“Sorridi,
Gabry… per una volta, goditi le feste dei VIP!”
Gabriella
sbuffò e la seguì lungo il percorso che le portava dalla macchina all’entrata
del palazzo, scintillante per i flash dei fotografi.
Non le
erano mai piaciuti quegli eventi mondani; ricordavano guai, per lei. Si maledì
mentalmente per non aver accettato subito l’invito di Taylor a passare il
week-end da lei. Le sarebbero bastate poche ore di treno per incontrarla!
Raggiunsero
quella che sembrava una discoteca, e la mora arricciò il naso: le si sarebbero
frantumati i timpani, se la musica avesse tenuto quel volume per il resto della
serata.
Un
cameriere in livrea le passò accanto con un vassoio di bicchieri di champagne,
e lei ne prese uno.
“Ecco,
brava, ubriacati! Per questa volta hai il mio permesso! Ora scusami, ma penso
di aver visto Johnny Depp là in fondo e vorrei tanto scambiarci due
chiacchiere!” Holly sparì in mezzo alla folla prima che riuscisse a fermarla.
-Perfetto!-
pensò esasperata –E ora che ci faccio qui?-
La sua
timidezza ritornava spesso a galla, quando era sola in mezzo a tanti
sconosciuti.
Beh, certo,
nessuno poteva classificare pienamente George Clooney o Brad Pitt nella lista
degli ‘sconosciuti’, ma lei non ci aveva mai parlato, e non aveva voglia di
farlo!
Cominciò a
gironzolare per la grande sala affollata, sorridendo ogni tanto a qualcuno che
la salutava, e bevendo dal suo bicchiere.
Poi,
all’improvviso, le sembrò di riconoscere qualcuno, tra la gente.
Guardò
meglio: no, probabilmente si era sbagliata. Uno stupido scherzo della sua
mente.
Scosse la
testa, e ritornò indietro.
###
Holly
lasciò soddisfatta anche quel gruppo di persone, ridendo felice.
Bene, era
riuscita a fissare un appuntamento con il signor Bloom per un servizio
fotografico, e aveva già deciso che Gabriella si sarebbe occupata
dell’intervista.
Le piaceva
proprio, quella ragazza, anche se sembrava sempre nascondere qualcosa.
Per quanto
provasse a farla divertire, i suoi occhi rimanevano perennemente tristi.
Qualcuno
chiamò il suo nome, lei si girò per rispondere e si scontrò con una persona.
“Oh, mi
scusi! Non volevo!” si scusò.
“Non si
preoccupi! Tutto a posto?”
Holly alzò
lo sguardo, e incrociò due occhi azzurri come il cielo; sarebbe arrossita, se
non fosse stata abituata a lavorare spesso con uomini molto belli.
Ghignò
sorpresa: “Il signor Troy Bolton, colui che non si fa mai fotografare!
Piacere!”
Troy
sorrise confuso, stringendo la mano che lei gli porgeva: “Piacere. Lei
sarebbe…?”
“Holly
Harris, fotografa di moda.”
“Ah,
certo. Ho sentito molto parlare di lei, mi è capitato anche di vedere alcuni
suoi servizi. Molto belli, davvero.”
Lei
ringraziò con un cenno del capo: “Avrò mai il piacere di fotografare anche lei?
Sa, tra di noi è una specie di ‘trofeo’. Lo schivo e aitante playmaker,
incatturabile per molti obbiettivi.”
Troy
sorrise e scosse la testa, leggermente confuso. Era simpatica, quella donna.
Aveva spirito.
Le lanciò
un’occhiata, mentre lei continuava a parlare. Sembrava avere una trentina
d’anni, ed era davvero carina.
“Come mai
è qui, signor Bolton?”
Lui alzò
le spalle: “Mi hanno invitato. Non posso sempre rinunciare, giusto? E lei?”
“Un po’
per lavoro, un po’ per divertimento. Ho portato anche una mia collega più
giovane, così impara qualcosa in più! Ehi, eccola lì!” Holly allungò una mano
tra la folla e afferrò per un braccio una ragazza dai lunghi capelli a boccoli
“Tesoro, voglio presentarti il nostro prossimo soggetto!”
Gabriella si
voltò al richiamo del suo capo, e si sentì mancare. Perse la presa sul suo
bicchiere di champagne, che cadde a terra in piccoli frammenti, gli occhi le si
riempirono di lacrime.
~ E ancora… ancora tu. Ma non
dovevamo vederci più… e sento tutto il mio dolore. Quello che non so, quello
che non ho vissuto, quello che mi manca. ~
“Ti senti
bene, Gabriella?”
Lei non
rispose alla domanda di Holly, rimase ferma con gli occhi incatenati nei suoi.
Senza riuscire a staccarsi.
Mille
ricordi si affacciavano nei loro cuori; mille sorrisi, mille rimpianti, troppo
dolore, troppa felicità.
Poi
Gabriella ricacciò indietro le lacrime che prepotenti cercavano di uscire, e
scappò via, incapace di rimanere un solo istante in più.
Holly si
voltò verso Troy, senza capire cosa fosse successo: “Ma… voi due vi conoscete,
immagino.”
Lui non
potè far altro che annuire: “Siamo… siamo stati insieme fino… a cinque anni fa…
ed è stata colpa mia se… è finita…”
Quell’ultima
frase fu appena sussurrata, tanto che la giornalista fece fatica a comprendere.
“Oh.
Capisco. Allora… sei tu quello per cui è sempre triste…”
Troy si
girò di scatto: “Cosa?!”
Lei fece
spallucce: “Non l’ho mai vista ridere di cuore, neanche una volta. Ha sempre un
ricordo che la blocca, ma io non ho tutta questa confidenza per chiederle il
perché. Allora, è evidente che non ti ha ancora dimenticato. E nemmeno tu, a
quanto pare.”
Il ragazzo
strinse il pugno. Il suo cuore batteva troppo forte.
La sua
punizione. Averla e non poterla avere. Proprio quella sera, il ricordo del loro
ultimo incontro.
“Troy…”
sussultò quando sentì la mano di Holly sul suo braccio “Le cose non accadono
per coincidenza. C’è sempre una ragione a tutto. Quindi, non è stato un caso se
stasera vi siete rivisti. Valla a prendere. Ho visto come vi guardavate; è il
momento giusto per provare a riparare i vostri errori. Corri da lei.”
Lui la
guardò. Forse aveva ragione. Lui rivoleva Gabriella, perché l’amava, perchè era
tutto ciò che gli serviva. La sua stella, la sua Isola Che Non C’è.
-Non c’è una stella in cielo che non possiamo
raggiungere…-
Doveva
tentare. Senza un perché.
###
Gabriella
piangeva silenziosa sul balcone del palazzo.
Sotto di
lei, New York scorreva luminosa e viva, ma lei vedeva tutto nero.
Perché
doveva sempre soffrire? Perché, perché, quando cercava di dimenticarlo, lui
ricompariva? Cosa aveva fatto di tanto male?
Voleva
soltanto poter essere felice, invece era stata segnata per sempre.
Una
cicatrice che non sarebbe mai più andata via.
Si coprì
la bocca con una mano per nascondere i suoi singhiozzi disperati.
Non ci
sarebbe riuscita, lo sapeva. Avrebbe per sempre portato con sé quel sentimento
che non la lasciava andare.
Lei amava
Troy, con tutto il cuore. Lo stesso Troy che l’aveva fatta soffrire, che la
faceva soffrire.
Sentì la
porta a vetri aprirsi, ma non si girò. Non le importava più niente.
Che la
vedessero, che la compatissero. Non poteva certo andare peggio di così.
“Gabriella…”
Il suo
nome, pronunciato dalla sua voce. Un
colpo al cuore, un altro, un singhiozzo più forte.
Lo sentì
avvicinarsi, ma senza raggiungerla. Forse per paura, chissà.
“V-vattene via…” balbettò con voce rotta.
Ma Troy
rimase fermo, dietro di lei, ad ascoltarla piangere con il cuore che si
lacerava ad ogni singulto.
“TI HO
DETTO DI ANDARTENE!!” Gabriella si girò urlando, e lui fece un passo indietro,
spaventato dalla sua rabbia.
Lei
tremava, il viso arrossato e solcato dalle linee nere del trucco colato,
piangeva senza sosta.
“Non mi hai
già fatto abbastanza male, eh?! Vuoi divertirti ancora?!” urlò disperata.
Troy si
sentiva malissimo. Aveva ragione lei, solo lei. Perché non riusciva a lasciarla
andare?
“Io…io non
ho mai voluto farti del male, Gabriella…” mormorò.
Una
sensazione di deja-vu li avvolse. Come tanti anni prima, le stesse parole, le
stesse lacrime. Ma su quel ponticello c’era un filo di speranza in più.
Lei rimase
ferma a singhiozzare, le braccia strette al petto, lo sguardo fermo a terra.
Il ragazzo
le si fece vicino, le accarezzò una guancia, asciugandole le lacrime.
Gabriella
rabbrividì, un po’ per il vento fresco che le spostava i capelli, un po’ per
quel contatto che le mancava ormai da così tanto tempo.
Voleva
separarsi da lui, ma non ci riusciva. Sentire le sue mani calde sul volto la
riportava indietro di tanti anni, così felici…
Lo guardò
negli occhi, sentendosi morire: “Perché? Perché continui a perseguitarmi?”
Troy non
rispose, continuò solo ad tergerle le guance bagnate.
“Io… io
non ce la faccio ad essere presa in giro di nuovo, Troy. Non voglio essere la
stupida che aspetta a casa perché non appartiene al tuo mondo. E… e mi sembrava
di avertelo già detto. Perchè?”
Lui
sorrise timidamente: “Non chiedermi perché ti amo, Gabriella. Non chiedermi
perché non riesco a vivere senza di te. Non chiedermi perché non ti riesco a
dimenticare.”
Gabriella
ricominciò a piangere, stringendo la sua camicia tra le mani: “Come faccio a
sapere che non mi stai mentendo di nuovo? Che sei davvero tu? Io non ti conosco
più, Troy! Non sapevo più chi eri, come faccio a saperlo adesso?!”
“Perché
adesso ho capito, Gabriella! Non ho più bisogno di essere chi non sono, di
presentarmi a mille e mille feste, di cantare per promessa! Adesso non ci sono
più borse di studio, squadre che cercano nuovi talenti! Non c’è più Sharpay
che…”
La ragazza
si sottrasse alla sua presa, interrompendolo: “Oh, Sharpay, Sharpay, sempre
Sharpay! Non è soltanto sua la colpa! E visto che ti piace tanto, perché non
sei con lei invece che qui a distruggere me?!?”
“Io non
posso stare con lei, Gabriella!” anche Troy iniziò ad urlare “Lo vuoi capire
che posso amare solo te?!? Che per quanto possa cercare, in ogni donna vorrò
sempre te? Che ti sogno ogni santa notte, chiedendomi dove sei, cosa fai o con
chi sei?!”
Gabriella
gli diede le spalle, appoggiandosi al parapetto. Era distrutta, sia fisicamente
che mentalmente.
Non ce la
faceva a rispondere, no. Ogni singola fibra del suo corpo voleva voltarsi,
abbracciarlo e baciarlo. Ma, da qualche parte nel suo cuore ferito, c’era un
piccolo mormorio che le diceva di no. E lei non sapeva chi ascoltare.
Lui
l’abbracciò da dietro, stringendola forte: “Riproviamoci, Gab. Sarà diverso,
questa volta. Sarà perfetto.”
Lei guardò
giù, le lunghe colonne luminose delle auto in fila. Lontana, misteriosa, la
Statua della Libertà.
Sentiva il
cuore di Troy battere contro la sua schiena, impazzito, veloce. Battere
all’unisono con il suo.
-Cosa devo
fare?- pensò disperata.
“So che
sarà difficile ricominciare da capo, ma se ci impegneremo ce la potremo fare.
Siamo una squadra, ricordi?” le mormorò all’orecchio.
A
Gabriella sfuggì un sorriso, e insieme a lui tornarono a galla altri ricordi.
Se prima
aveva pensato solo a quelli brutti e dolorosi, ora ripensava alle emozioni che
le aveva fatto provare. Al suo sorriso, al suo abbraccio, al suo calore.
E poi,
lontana, le ritornò in mente una frase letta su un libro di quando era bambina.
Se solo, per una volta ancora,
potessi perdermi nel calore di un tuo abbraccio…
Se solo, per una volta ancora,
potessi perdermi nel cielo dei tuoi occhi…
Lei
poteva. Poteva tornare ad essere viva, insieme a quella parte che le mancava da
cinque anni.
Si girò
verso di lui, mentre il vento dispettoso le spostava una ciocca di boccoli
davanti al viso.
Troy
subito gliela sistemò dietro all’orecchio, come quando erano ragazzi; Gabriella
arrossì, ebbe la conferma di tutto.
“No…”
mormorò scuotendo la testa, con un sorriso.
Troy
rischiò di avere un infarto, ma lei lo fissò negli occhi: “Non ti chiedo perché
mi ami. Perché avrei la stessa risposta che dovrei darti io…”
Incrociò
le braccia attorno al suo collo, e lo baciò.
Rimasero
così, a lungo, in un bacio che racchiudeva tutte le loro risposte.
Senza
chiedere un perché.
Fine
Probabilmente
vi sto stressando con tutti questi aggiornamenti, ma finché non avrò il mio computer…
Beh,
questo è il mio regalo di compleanno (evvai!!) per voi. Spero che vi sia
piaciuta!
Quante
volte vi sarete chiesti perché si ama una persona? Secondo me, non esiste
risposta. Ecco il perché (eheh) del titolo, o dell’ultima frase di Gabriella.
Ah,
per la cronaca, il libro che lei stava leggendo è “Ho voglia di te” di Federico
Moccia.
Ringrazio
chi mi ha commentato in “Prova di coraggio”: Armony_93; romanticgirl; scricciolo91;
ciokina14; Herm90.
Un
bacione a tutte e un grazie in anticipo!!
Hypnotic Poison