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Autore: Textor Fabulis    13/09/2013    0 recensioni
Durante l'ultimo anno del diciannovesimo secolo una serie di misteriosi omicidi viene perpetrata nella città di Londra. A gestire le indagini troviamo l'ispettore Hugh Lamarr, attempato poliziotto di origini francesi, impegnato a cercare di sbrogliare una matassa che sin dall'inizio sembra rivelarsi piuttosto intricata.
Riuscirà a scoprire il mistero che si cela dietro queste morti? Oppure rimarrà invischiato in qualcosa di più grande di lui?
Genere: Mistero, Thriller, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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La platea del teatro era piena, così come i palchetti. Lo spettacolo aveva un grande successo. Era un’operetta buffa, dalla trama non particolarmente elaborata, che tuttavia lui, pur avendo assistito alla performance più volte, non aveva mai capito appieno, poiché non gli importava dello svolgimento della storia. Lui aveva occhi e orecchie solo per la sua ragazza, Adele.
Bella, con la pelle chiara e liscia e lunghi e mossi capelli biondi che ondeggiavano seguendo il ritmo del suo sinuoso corpo, mentre si muoveva sul palco. Gli occhi azzurri scrutavano apprensivi la folla, mentre le labbra rosee si dischiudevano per pronunciare le sciocche battute di quella rappresentazione così di moda in quel caldo Marzo 1899. Non era poi così brava a recitare, ogni tanto scordava qualcosa oppure incespicava, ma forse solo lui se ne accorgeva, preso com’era dall’osservarla.
Quella sera era l’ultima volta che la vedeva.
Si erano accordati quella mattina per incontrarsi dopo lo spettacolo su di un ponte su un rigagnolo che confluiva placido nel Tamigi. Era stato il luogo del loro primo incontro e sarebbe anche stato quello del loro definitivo addio.
Aveva pagato un vetturino per arrivare fino lì in carrozza. Era qualche giorno che non pioveva e quindi le ruote non si sarebbero impantanate sulla strada solitamente fangosa che conduceva al ponticello. Quando arrivò lei non c’era. Dovette aspettarla per due ore intere, fino alle tre di notte, durante le quali ebbe il tempo di cambiare idea più volte sulla sua decisione. Non voleva farlo, non voleva. Tuttavia le circostanze e gli eventi si erano tutti rivoltati contro di loro e ormai restava solo una cosa da fare: obbedire.
A notte inoltrata lei era arrivata, sembrava non sospettasse nulla. Si erano abbracciati e baciati in piedi su quel piccolo ponte, mentre il rumore dell’acqua sottostante li cullava dolcemente. Adele si era poi appoggiata alla spalletta ad osservare il fiumiciattolo, sembrava assente.
Silenziosamente lui aveva afferrato una grossa pietra che si trovava in terra vicino ai suoi piedi e si era avvicinato. Non c’era nessuno in giro. Era il momento. Aveva alzato il braccio, pronto per colpirla alla nuca, ma lei, voltandosi di scatto, l’aveva guardato negli occhi e lui aveva esitato.
Erano occhi colmi di tristezza. Lasciata cadere la pietra, l’abbracciò. Poi, un forte dolore gli fece lasciare la presa. Sul suo fianco era conficcato un pugnale. Anche lei sapeva.

L’ispettore Hugh Lamarr, di origini francesi, era un uomo di cinquantadue anni, dal fisico ancora slanciato ed atletico, coi capelli brizzolati, che cominciavano a lasciare chiazze scoperte sulla testa, e una quantità di rughe spropositata per la sua età. I suoi occhi tuttavia erano ancora di un vivido verde, guizzanti e rapidi come in gioventù. Un paio di baffetti completava il quadro di quest’uomo che avanzava a grandi passi lungo il corridoio dell’obitorio. Erano le 5.30 del mattino quando aveva ricevuto la telefonata del suo superiore che lo informava di avergli affidato un nuovo caso di omicidio. Un lattaio aveva trovato il cadavere di un giovane neanche mezz’ora prima di quella comunicazione. Era il quinto omicidio che gli veniva affidato in meno di tre mesi e quel che è peggio è che i delitti sembravano avere un punto in comune.
Ad aspettarlo davanti alla porta della camera mortuaria, dove il medico legale lo attendeva per comunicargli i risultati dell’autopsia, stava James Carter, il suo assistente. Era un uomo di neanche trent’anni, con capelli biondicci ed una barbetta incolta, dallo sguardo trasognato e dai limpidi occhi azzurri, a cui era stato imposto dal padre di intraprendere la carriera in polizia, quando invece lui avrebbe preferito seguire la scuola d’arte. Difatti non era granché come poliziotto, ma in compenso era un formidabile disegnatore e ritrattista.
Si salutarono con un singolo e stanco cenno del capo, dato che erano pur sempre le prime ore del mattino, ed entrarono nella camera, dove ad accoglierli c’erano il cadavere di un giovane sui venticinque anni, dall’aspetto nobile e ben curato, con una vistosa ferita da taglio al fianco, e il medico legale Norman Jenkins, amico di vecchia data di Lamarr.
Difatti lavoravano insieme da anni, l’ispettore e quel buffo ometto basso e grassoccio, completamente calvo, ma con degli enormi baffoni da tricheco che incoronavano un viso giocondo dall’incarnato chiarissimo.
<< Allora dottore, cosa abbiamo qui?>>
<< Una volta eri solito salutare Lamarr, ma non fa niente. Come avrai notato al primo sguardo la causa della morte di questo ragazzo è una profonda ferita da coltello al fianco destro. Quando hanno portato qui il corpo vi era ancora conficcata l’arma del delitto. L’ho mandata in centrale come prova, ma non ha niente di speciale. Coltelli del genere puoi trovarne ovunque in città.>>
<< Saltiamo i particolari tecnici Norman. Anche questo c’è l’ha? Il tatuaggio intendo.>>
<< Sì, sulla schiena, per essere più precisi sulla scapola sinistra. Aiutatemi a girarlo.>>
Una volta girato il corpo i due agenti furono in grado di vedere il tatuaggio che Lamarr avrebbe tanto preferito che quell’uomo non avesse. Un teschio visto frontalmente di cui era disegnata soltanto la metà sinistra, quindi un occhio, una narice e via dicendo.
Su cinque cadaveri, cinque tatuaggi divisi a metà.. In ordine cronologico, il primo aveva la metà sinistra di una spada, il secondo quella destra di un calice, il terzo la destra di una candela e gli ultimi due entrambi un teschio ed entrambi la metà sinistra.
Ormai era chiaro che i casi erano tutti collegati, ma la polizia brancolava nel buio. Nemmeno l’ombra di un indizio. Che fosse un assassino che marchiava le suo vittime era impossibile, non avrebbe avuto tempo tra l’omicidio e il momento del ritrovamento di tatuare un disegno così ben fatto. Quindi l’ipotesi era stata subito scartata, in favore di quella di un ipotetico “gioco al massacro” in cui le due persone con le due metà dello stesso tatuaggio dovevano uccidersi. Questa possibilità era talmente ovvia che persino Carter ci era arrivato subito, ma non per questo significava che fosse meno plausibile.
Tuttavia Lamarr credeva che sotto ci fosse qualcosa di più, qualcosa di grosso. Non sapeva ancora cosa, ma c’erano troppi punti che non tornavano. Com’era possibile che gli assassini sparissero senza lasciare alcuna traccia da seguire? Com’era possibile che nessuno venisse mai a reclamare il corpo delle vittime? Ne parenti, ne amici, niente. I quattro morti precedenti a quest’ultimo erano stati sepolti senza nome sulla lapide e l’ispettore sapeva che anche in questo caso sarebbe stato lo stesso. Era un rompicapo. E Lamarr odiava i rompicapi.
<< Scusa Hugh, ma adesso ho un altro corpo di cui occuparmi, quindi se vuoi scusarmi.>>
Col filo dei suoi pensieri interrotto, l’ispettore si congedò e uscì dalla stanza col suoi assistente e insieme lasciarono l’obitorio, diretti verso la centrale di polizia.
  
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