Storie originali > Epico
Segui la storia  |       
Autore: GoneWithTheWind    15/09/2013    0 recensioni
Hermann Hesse diceva "Gran parte dei nostri sogni li viviamo con assai maggiore intensità della nostra esistenza da svegli." Iris, la protagonista di questa storia, non potrebbe essere più d'accordo di così. La sua vita è perfetta: ha una famiglia molto unita e molti amici di cui fidarsi, ma notte dopo notte, strani sogni ricorrenti e una strana frase non fanno altro che tormentarla. Quando verrà a conoscenza della sua vera natura e di un'antica quanto tormentata storia d'amore, sarà costretta a scegliere tra ciò che è e ciò che è destinata ad essere.
Tratto dal Capitolo II
" Le tre creature si riunirono in cerchio attorno all’assassino, lasciando avanzare quella che era sempre stata davanti a quest’ultimo; con una forza sovrumana, ella prese per il collo Horestes bruciandolo vivo: una fiamma nera incenerì il corpo e dell’uomo non vi fu più traccia.
“Επιστροφή, Τισιφονε, τον Όλυμπο, σας περιμένει”
Spero che questa storia possa piacervi e che possa sorprendervi capitolo dopo capitolo. Vi auguro buona lettura e spero che recensirete numerosi!
Genere: Introspettivo, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
                                                                                         CAPITOLO III

In quel momento, lo sguardo di Davide comunicava perplessità più che stupore. Se ne restava lì fermo, reggendosi il mento col pollice e l’indice, con lo sguardo nel vuoto e un’espressione leggermente accigliata, tipica di quando si ritrovava un caso difficile sul quale riflettere.  A un tratto, espirò profondamente e tornò alla realtà.

“Dunque se ho ben capito, ieri notte, cioè… questa mattina alle tre ma… non fa differenza, hai sognato questo tizio che uccide senza motivo un altro tizio innocente, si reca in una grotta, trova una ragazza bellissima che si trasforma in una specie di Medusa dai pugni di fuoco che assieme ad altri due mostri come lei torturano il tizio con la scusa di “ristabilire l’equilibrio”!” sottolineò quell’ultima affermazione facendo le virgolette con le dita “ Poi tuo fratello ti ha detto che bisbigliavi qualcosa d’incomprensibile, scottavi come se avessi la lava al posto del sangue e sentivi una strana ira…” il ragazzo scosse la testa velocemente e si fece scappare un sorrisetto, poi alzò lo sguardo e lo rivolse verso Iris “ A questo punto, non so se sei davvero pazza e quindi hai un collegamento psichico con questi mostri, oppure questo è tutto un sogno, pioveranno mutande dal cielo e sentirò mia madre dirmi che devo svegliarmi perché altrimenti non mi farà più fare colazione!”

“Grazie mille per il conforto, Davide…” rispose Iris stizzita.

“Dai non dirmi che te la sei presa! Non solo fai sogni così strani, ma ti arrabbi anche se cerco di fare un po’ d’ironia?” in quel momento Davide scoppiò a ridere.

Iris sospirò e, stizzita, riprese “Non solo sogno roba di questo genere, poi devo anche farmi prendere in giro da te!”

“E va bene, la smetto…” Davide fece un sorrisino e abbassò lo sguardo, tornando di nuovo a pensare. “Secondo me, mi stai sopravvalutando… Non sono Mago Merlino, non ho un bestiario o roba del genere e non sono nemmeno Sigmund Freud, come pensi che io possa aiutarti con questi sogni?”

“Dade, so che è una cosa difficile, ma non so a chi altro riferirmi! E poi tu mi hai consigliato di scrivere sul quadernetto quelle parole. Cavolo, da quando stiamo cercando di risolvere questa faccenda, gli incubi si ripresentano con meno frequenza, quindi avevi ragione tu! Per favore, so che ci stiamo fossilizzando su degli stupidi sogni che probabilmente significano che ho degli istinti violenti molto repressi, ma non so perché voglio venire a capo di tutto ciò!” rispose Iris, sperando che Davide la prendesse sul serio.

“Va bene… va bene… Dammi quel quaderno e fammi vedere che cosa ti ha portato a disegnare quella tua mente perversa.” rise Davide.

Iris si sentiva sollevata. In quei momenti, avrebbe sempre potuto contare su Davide, perché lui non si sarebbe mai tirato indietro. Insieme avevano affrontato molte situazioni e belle o brutte che fossero riuscivano sempre a darsi forza a vicenda, erano uniti da un legame molto forte e di certo nessuno dei due avrebbe lasciato l’altro in difficoltà.
Gli sorrise e lo abbracciò forte “Grazie Sigmund, sapevo che non mi avresti lasciata nelle mani di un altro psicanalista!” Davide le diede una pacca sulla spalla e risero entrambi di gusto; il ragazzo iniziò a sfogliare il quadernetto.

“Vedo che ti sei data da fare con l’arte…” stava guardando un disegno di Xander, uno dei tanti, e sul suo viso c’era uno dei suoi sorrisetti maliziosi.

“Beh, se la metti così… Ti consiglio vivamente di girare pagina, è quella che ci interessa.” Gli rispose Iris lievemente rossa in viso.
Quando il ragazzo voltò pagina, sbiancò. I suoi occhi grigi erano fissi sul foglio, intenti a scorgere ogni singolo particolare di quell’orripilante figura. “Capisco perché hai urlato ieri notte: è orribile, Iris.” le disse senza distogliere lo sguardo dal foglio “ La buona notizia è che penso di sapere di cosa si tratti…”

Su allora, dimmelo!” rispose impaziente Iris.

“Non sono un esperto di mitologia, ma credo che questa sia proprio una Furia.” Il ragazzo la guardò stupito e anche un po’ perplesso.

“Una Furia?! E cosa diamine è?”

“Le Furie, da quanto ne so, erano creature preolimpiche, capaci di dominare il fuoco. Erano gli spiriti della vendetta e punivano chi assassinava familiari, ospiti e chiunque venisse meno ad un giuramento mediante tortura psicologica e poi fisica, fino alla morte.”

Iris sbiancò “E che mi dici del loro aspetto?”

“Beh, il loro aspetto è come quello del tuo disegno, ma possono assumere sembianze umane, credo.” rispose Davide alquanto incerto.

“E lui che pensava di non potermi aiutare…” disse tra sé e sé Iris guardando Davide, intento a sfogliare il suo quadernetto. 

In quel momento pensò che c’era una buona e una cattiva notizia: aveva capito finalmente che cosa fossero quelle creature, ma dall’altra parte non poteva fare a meno di farsi altre domande, alle quali di certo non avrebbe potuto rispondere il suo migliore amico. Una piccola parte di sé sperava che, avendo scoperto chi fossero quelle creature, non ci fosse più motivo di sognarle, mentre l’altra parte pensava che ci fossero ancora troppe cose da chiarire nonostante si trattasse di semplici sogni ricorrenti.

Iris aprì la finestra e un vento gelido le scompigliò i capelli. “In un certo senso, tutto quadra” pensò la ragazza “le Furie uccidevano coloro che venivano meno ai giuramenti, oppure gli assassini e quella faccenda del “ristabilire l’equilibrio” seppur macabra, ha un fondamento. “Certi crimini non possono restare impuniti”.

Una mano si appoggiò sulla sua spalla destra, accarezzandola “Su Iris, non pensarci troppo lo hai detto stesso tu “sono solo sogni”. Ti voglio bene e non voglio assolutamente che tu stia così!”.

Iris si voltò verso Davide e lo abbracciò: in quei momenti, con un abbraccio si potevano riassumere molte parole da “Sono contenta che tu mi stia sostenendo” al “Grazie per non avermi portato al più vicino manicomio”.

“Adesso andiamo a mangiare un bel pezzo di torta con una bella cioccolata, e non accetto un “no” come risposta!” disse il ragazzo sfoggiando un caldo sorriso.

“Ok, ma non ingozzarti come al tuo solito, però: non vorrei avere incubi anche su di te!” disse Iris maliziosamente. Lei e Davide si prendevano in giro su tutto, il sarcasmo era il loro pane quotidiano e proprio per quella ragione, un abbraccio come quello che aveva ricevuto prima era qualcosa di speciale quanto inusuale.

Verso le sette e mezza, Iris si mise in cammino per tornare a casa. Aveva da poco iniziato a nevicare e candidi fiocchi di neve si adagiavano delicatamente sui suoi capelli corvini. La città poi era stupenda in quel periodo: le luci provenienti dai negozi e dai palazzi davano un’aria scintillante alla città, i viali alberati erano imbiancati di neve e gli alberi erano decorati con lucine multicolore. Iris avrebbe tanto voluto potersi fermare per disegnare quel meraviglioso paesaggio, ma sapeva di dover tornare a casa entro le otto, perciò proseguì promettendo a sé stessa che, tornata a casa, avrebbe tramutato quella semplice idea in un altro disegno.

Il quartiere in cui abitava non era bello come quello di Davide, ma le piaceva lo stesso, perché le dava un senso di calore familiare. Le strade erano sempre molto pulite, le villette sempre curate, e la domenica mattina molti bambini giocavano in strada, creando pupazzi di neve, trainando slittini, combattendo a palle di neve e tanti e tanti altri divertimenti. Casa sua era la terzultima a sinistra, aperto il grande cancello nero, vi era un piccolo viottolo di pietra marrone chiara che arrivava ad una breve scalinata di marmo bianco e che conduceva alla porta d’ingresso. La facciata era color avorio e aveva tre piani, compresa la soffitta, vi erano cinque grandi finestre al piano terra, altre cinque al primo piano e due piccole finestrelle tonde in soffitta.

Iris aprì il cancello e salì la breve scalinata marmorea fino alla porta d’ingresso, che aprì con due scatti veloci. “Mamma sono tornata!” disse a gran voce, appese la sciarpa e il giubbotto all’attaccapanni e poggiò le chiavi sul mobiletto poco più in là.

“Ciao tesoro” l’abbracciò sua madre con le mani sporche d’impasto “Questa sera ho preparato io stessa il pane, ho avuto un problema alla macchina e non sono riuscita a comprarlo” le sorrise dolcemente.

“Avresti potuto telefonarmi, sarei andata io a prenderlo” le rispose la ragazza.

“Ho provato a telefonarti ma il tuo cellulare era spento, Iris. Sai bene che devi tenerlo acceso sempre.” la rimproverò sua madre “Comunque, circa mezz’ora fa ha telefonato un ragazzo, mi pare che si chiamasse Alessandro, mi ha chiesto di te e io ho detto che eri uscita”.

Un brivido percorse la schiena di Iris: non aveva mai ricevuto una telefonata da parte sua e le faceva piacere che volesse parlarle. Prese velocemente il cordless e salì in camera sua, quando sua madre la bloccò con le sue tipiche paroline magiche.
“Qualcuno mi nasconde qualcosa…”

Iris alzò gli occhi al cielo: di tutte le cose di cui avrebbe voluto parlare, sua madre avrebbe dovuto scegliere proprio Xander? Fece finta di non aver sentito e continuò imperterrita a salire le scale. Dopo aver chiuso la porta della sua camera, si sedette sul letto e compose lentamente il numero del ragazzo. “Sto davvero per farlo?” pensò la ragazza, ma ormai le sue dita avevano già fatto tutto il lavoro e non le restava altro da fare che chiedergli per quale motivo l’avesse cercata.
Uno squillo, due squilli, tre, quattro, cinque… “Pronto?”

Iris rimase pietrificata: era proprio lui e non sapeva come iniziare la conversazione. Si fece coraggio e, cercando di sembrare più calma possibile, rispose:“ Xander sei tu? Cioè certo che sei tu, è casa tua…” Iris si coprì il viso con le mani, imbarazzata più che mai: in meno di un minuto era stata capace di incasinare tutto a causa della sua timidezza. 

Sentì dall’altro capo del telefono che il ragazzo stava sorridendo “Ciao Iris, ho telefonato poco fa a casa tua, ma tua madre mi ha detto che eri uscita.”

“Ehm.. si, appunto… Cosa volevi?” chiese Iris al culmine dell’imbarazzo.

“Nulla di importante, volevo solo sentirti!” disse semplicemente Xander. In quel momento, Iris divenne rossa come un peperone: come mai voleva sentirla? Non si era mai comportato in questo modo e iniziava a chiedersi se volesse che la loro amicizia divenisse più solida oppure se anche lui provasse qualcosa di più. Cercò di contenere quell’ondata di emozioni e, in assenza di parole, le scappò un risolino.

“Allora, come mai oggi non sei andata a scuola?”

“Beh, è una lunga storia. E’ sufficiente se ti dico di essermi alzata un quarto d’ora prima dell’inizio delle lezioni?” rispose Iris, stranamente meno a disagio. La voce di Xander le piaceva molto e in alcuni momenti la calmava. “Piuttosto, come ve la siete cavata con l’interrogazione di fisica?”

“ Quell’ippopotamo spara compiti a sorpresa ci ha risparmiati. A dire il vero, ha continuato a spiegare come se lo avesse dimenticato, ma meglio così, no?” disse il ragazzo contento.

“Vi è andata bene! La prossima volta, invece di fare la battaglia dei libri dovremo studiare seriamente: non possiamo correre rischi simili!” esclamò la ragazza con tono di rimprovero.

“Che topo di biblioteca che sei! Ammettilo, ci siamo divertiti tanto!”.

Sorrise. “Hai ragione, è stato divertentissimo.” ammise.

“Hey Iris, visto che domani è sabato, ti va di uscire?”.
Il cuore di Iris mancò di un battito, ma poi si accorse che Xander non aveva ancora finito di parlare “ovviamente con Gabriele, Davide, Silvia, Giada e tutti gli altri.” Ed ecco che la nuvoletta sulla quale stava viaggiando svanì nel nulla, lasciandola in caduta libera sul duro soffitto della realtà. 

“E tu credevi davvero che Xander volesse uscire solo con te?” ghignò la sua stramaledetta vocina interiore. Come poteva darle torto, ma magari sarebbe successo qualcosa lo stesso, perciò rispose: “Ehm, certo! Magari domani ci organizziamo con gli altri, okay?”

“Benissimo, allora ci vediamo domani a scuola… se ti svegli in tempo!” scherzò Xander.

“Ha-ha-ha, sto morendo dal ridere!” disse sarcastica Iris. Stava per riagganciare quando sentì il ragazzo chiamare il suo nome “Si?”

“Buonanotte, Iris”

“Buonanotte anche a te, Xander” ed entrambi riagganciarono. Iris si buttò sul letto stringendo il telefono all’altezza del cuore e ripetendo mentalmente quella dolcissima buonanotte. Stava già pensando all’indomani, quando quella vocina interiore si fece ancora sentire. “Non illuderti Iris, sai come va a finire quando non sei sicura di una cosa, ma continui a fantasticarci su.”

“Ma taci!” esclamò Iris. Era sicura che se ci fosse stato qualcuno lì con lei l’avrebbe presa davvero per una pazza.
F
aceva molto freddo e fuori aveva iniziato a fioccare molto, dunque la ragazza decise di farsi una bella doccia calda, altro modo per schiarirsi le idee e per stare al caldo allo stesso tempo. Come la sera precedente il suo unico pensiero erano le Furie, quella sera lo era Xander. “Buonanotte, Iris”… Il suo nome non era mai stato pronunciato così dolcemente, soprattutto da lui. Non voleva illudersi, ma allo stesso tempo non poteva fare a meno di pensare a cosa sarebbe successo il giorno dopo: e se avessero superato quel sottile muro che li divideva? 

Il richiamo di sua madre dal piano di sotto la fece tornare con i piedi per terra. Uscì velocemente dalla doccia e si asciugò i lunghi capelli corvini: odiava quando non riusciva a dargli una forma. Poche volte li lasciava alla forma naturale, cioè lievemente mossi, infatti molto spesso preferiva piastrarli, perché le piaceva di più e perché erano anche più ordinati.

“Iris, sbrigati! La cena di raffredda!” esclamò sua madre dalla cucina. La ragazza scese velocemente e si sedette a tavola. Sua madre stava servendo la cena e dopo qualche minuto rincasò anche il padre. Aveva lo stesso aspetto strano della sera precedente: i folti capelli corvini erano spettinati, non portava gli occhiali, il nodo della cravatta era allentato, il bavero della camicia era stropicciato e i documenti non si trovavano nella valigetta, ma alla rinfusa nelle sue mani. Per un uomo impeccabile come lui, quell’aspetto sciatto era uno strano segno.

L’uomo poggiò le carte sul tavolino all’ingresso e prese posto a capotavola. “Ciao ragazzi. Ciao Diana” disse senza scomporsi troppo.

“Ciao Carlo, com’è andata la giornata, caro?” chiese sua madre. Notò che c’era qualcosa di strano anche in lei: di solito quando suo padre rincasava, nonostante non gli piacessero quel genere di attenzioni, la donna gli dava sempre un bacio. Quella sera invece erano entrambi distaccati: che sua madre avesse capito le ragioni della sciatteria dell’uomo?

“Come al solito. Solite scartoffie, solite stupidaggini dei colleghi… A voi com’è andata ragazzi?”

“Papà oggi abbiamo giocato una partita spettacolare! Pensa che ad un certo punto è venuto anche a nevicare: è stato molto emozionante. Abbiamo vinto nove a sette! Avremmo fatto anche dieci se il signorino accanto a me avesse continuato a giocare, invece di ritirarsi negli spogliatoi perché faceva freddo” disse Fabio dando un debole pugno sulla spalla del fratello, che fece per un attimo la parte del sostenuto e poi rise.

“ Tu, Iris, stai un po’ meglio rispetto a questa mattina?” disse il padre con un tono di preoccupazione nella voce.

“Si, papà.” Guardò l’uomo cercando di capire se stesse pensando ancora al biglietto, ma non scorgendo nulla nel suo sguardo continuò “Oggi sono andata da Davide, nulla di più”.

“Iris, cosa voleva quel ragazzo, Alessandro?” disse sua madre.

La ragazza arrossì di colpo e stornò l’argomento con la scusa della data di un compito in classe. La donna, però, si accorse dalla reazione di sua figlia che le cose stavano diversamente, tant’è vero che scosse lievemente la testa con rassegnazione.

La cena proseguì come tutte le altre sere, tra chiacchiere e discussioni, e dopo più di mezz’ora tutti si alzarono dalla tavola: sua madre sparecchiava, suo padre guardava il telegiornale, Sergio litigava con Fabio per il possesso del bagno e Iris stava per entrare nella camera.

La ragazza spalancò la porta e fissò la finestra afflitta “Per questa sera nessun disegno…”pensò. S’infilò il pigiama lentamente, accese l’abat-jour sul comodino e si mise sotto le coperte. Era quasi sul punto di addormentarsi quando sentì dei rumori al piano di sotto; fece per riaddormentarsi, quando sentì le urla dei suoi genitori.

Iris si nascose sulle scale e riuscì ad intravedere sua madre con le spalle rivolte verso il lavello, aveva le mani intorno al volto e stava singhiozzando. Suo padre si avvicinò lentamente alla donna, il parquet scricchiolava sotto i suoi passi pesanti, le sollevò il mento, ma quest’ultima cercava di non incrociare il suo sguardo.

“Diana finiscila di piangere. Sai bene che non sopporto che tu lo faccia.” Disse l’uomo duro.

“Non mi toccare Carlo!” disse la moglie irata scostando violentemente la mano del marito dal mento “ Tu pensi che io sia una stupida, che non mi sia accorta che rincasi sempre più tardi, che non ti comporti più allo stesso modo nei miei riguardi!”

Gli occhi marroni della donna erano rossi dal pianto, ma stavolta cercavano lo sguardo dell’uomo, che invece abbassò di colpo la testa. Iris non capiva che cosa stesse succedendo tra i suoi genitori: certo, aveva notato un cambiamento quella sera a cena, ma non pensava che ci fosse sotto qualcosa di così grave da far piangere sua madre.

“Perché non mi guardi? PERCHE’!” urlò la donna piangendo sempre più.

Ad un tratto, l’uomo alzò la testa e fissò la moglie, sempre più irata, avvicinò sempre più il volto al suo, finché non furono entrambi a pochi centimetri di distanza e le prese le mani.

“Calmati…” disse con tono pacato “Diana, ultimamente è un periodo molto stressante, non sta andando molto bene allo studio legale, molti dei miei colleghi sono stati licenziati e non posso permettere che ciò accada anche a me, perciò molto spesso rincaso tardi.”

“Carlo…” la donna sembrava essersi calmata, si asciugò le lacrime col dorso della mano e riprese “Io… non ti credo. Se ci fossero stati tutti questi licenziamenti me lo avresti detto e di certo le tue camicie non odorerebbero di profumo femminile… Sei un pessimo bugiardo.”

“Da quando odori le mie camice?” disse l’uomo arrabbiato e sorpreso allo stesso tempo.

“Da quando ho smesso di fidarmi di te!” gli urlò contro la donna. “E per favore, cerca di comportarti decentemente: questa faccenda resterà tra me e te, per il bene dei ragazzi.”

“Ma ti rendi conto che stiamo litigando per delle tue supposizioni? Non hai prove per dimostrare che io ti stia tradendo e il profumo non è una di queste. Diana vedi di tornare in te!”

“Hai ragione, non ho prove schiaccianti, ma comunque non riesco a crederti. Ricorda che sono successe tante cose tra noi Carlo e io non ho dimenticato!” La donna si scansò e andò in direzione delle scale, lasciando il marito basito ancora davanti al lavello. 

Iris salì velocemente e chiuse con estrema cautela la porta della sua stanza: non sapeva chi avesse ragione o chi avesse torto e milioni di domande le ronzavano attorno come insetti fastidiosi. Perché sua madre non voleva credere a suo padre? Cos’era successo tra loro in precedenza? Suo padre era sincero? Ne avrebbero parlato a lei e ai suoi fratelli?

La ragazza tornò a letto col cuore a pezzi, si coprì fin sopra alla testa e senza neanche accorgersene si addormentò.

Era una notte stellata e la luce argentea della luna illuminava un vasto paesaggio verdeggiante: vi erano alberi molto alti e di diversi tipi, alcuni dal tronco grande e nodoso, altri dalla chioma ampia, altri dalle foglie lanceolate, altri ancora carichi di frutti. C’erano qualche cespuglio e diversi arbusti sparsi qua e là e fiori, tanti fiori dai petali colorati. Alcune ragazze dalle vesti bianche e dai capelli fluenti si prendevano cura di quel meraviglioso paesaggio, cantando meravigliose canzoni e giocando tra di loro. 

Un giovane in tunica bianca camminava sul morbido prato: la carnagione olivastra risaltava il candore dell’indumento, aveva i capelli neri corvini, gli occhi talmente scuri da non riuscire a distinguere la pupilla, il naso lungo e dritto, le labbra sottili, i lineamenti facciali abbastanza marcati e il fisico nerboruto. 

Lo seguiva una fanciulla altrettanto bella, dai lunghi capelli neri come le penne di un corvo, dalla carnagione chiara, quasi splendente, dagli intensi occhi marroni e dal fisico snello e slanciato: era la stessa creatura del sogno precedente.


I due giovani si sedettero ai piedi di un maestoso albero dalla chioma ampia e ricco di candidi fiori. La fanciulla era diversa dal sogno della sera precedente: quell’espressione dura era completamente scomparsa dal suo volto, i suoi occhi scuri erano dolci come quelli di un cerbiatto, aveva un sorriso splendido, nessuno mai avrebbe potuto immaginare in che razza di mostro potesse trasformarsi.

“Mia Tisifone, la tua bellezza è qualcosa di ancor più meraviglioso delle stesse stelle” il ragazzo staccò un fiore dall’albero e glielo porse con delicatezza: la fanciulla l’annusò e lo sistemò tra i capelli.

“Citerione, le tue tenere attenzioni mi lusingano.” Disse timidamente.

Restarono a guardare le stelle: Citerione le illustrava le varie costellazioni, raccontandole qualche storia e restarono sotto quell’albero quasi fino all’alba. Ad un tratto, lo sguardo di Tisifone s’incupì e si alzò di scatto.

“Cos’hai mia bella?” chiese il giovane perplesso.

“Citerione…devo andare, le mie sorelle hanno bisogno di me.” La fanciulla corse via, lasciandosi alle spalle quel meraviglioso paesaggio illuminato dalle prime luci del mattino.

“Tisifone! Tisifone!” Citerione continuava a chiamare il suo nome, ma la ragazza non si voltò nemmeno per una volta.

Arrivata abbastanza lontano, nel punto in cui la foresta s’infittiva sempre più, Tisifone si trasformò in quel mostro del sogno precedente e volò via più veloce del vento.

Επιστροφή, Τισιφονετον Όλυμποσας περιμένει”.
 
  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Epico / Vai alla pagina dell'autore: GoneWithTheWind