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Autore: Elwerien    21/03/2008    6 recensioni
"Costretta a letto non poteva contare sulla compagnia di Shikamaru, inviato a Suna per una missione segreta da compiere insieme agli alleati della Sabbia. Sospirò, indispettita per la propria solitudine.
Il vento aveva smesso di ululare, lo vedeva dalle chiome finalmente quiete dei pioppi; ma al suo urlo si era sostituito l’insistente crepitio della pioggia. Pioggia abbondante, e pesante: lo sentiva dal rumore sordo che produceva sulla finestra, sul tetto. Non le piaceva. Innanzitutto, la faceva sentire imprigionata; poi, era un chiaro segnalo che la primavera era sempre più lontana, e il profumo dei fiori inesistente."
[ShikaIno]
Genere: Romantico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ino Yamanaka, Shikamaru Nara
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Fresia
-di Elwerien-



Dalla finestra vedeva chiaramente le chiome degli alberi piegarsi alla furia di quel freddo vento di inizio marzo, e le fronde agitarsi come rapite da una misteriosa follia. Ipnotizzata da quella danza, si permise di scivolare in una dolce sonnolenza, comodamente sprofondata fra le lenzuola, costretta a letto da quella ferita che l’ultima missione aveva deciso non dovesse esserle risparmiata.
Tentò di stiracchiarsi, indolenzita dalla prolungata immobilità, ma un gemito di dolore per la pelle tirata sui punti la fece desistere dall’intento.
Sospirò. Si annoiava.
La lama che le aveva inferto il colpo doveva contenere qualche strana sostanza, perché non era possibile usare i jutsu medici sulla ferita. E costretta a letto non poteva contare sulla compagnia di Chouji, in missione nel lontano paese dell’Acqua, né in quella di Shikamaru, inviato a Suna per una missione segreta da compiere insieme agli alleati della Sabbia.
Sospirò di nuovo, indispettita per la propria solitudine.
Non sapeva quando i due sarebbero tornati, ma non sarebbe poi stato così male quel non voluto riposo se il tempo non avesse avuto quel sapore di burrasca. Erano i primi giorni di marzo e sapeva che la primavera doveva essere vicina, ma quelle nuvole cupe e il vento gelido che fuori dalla sua stanza martoriava gli alberi le dicevano che era ancora inverno, e che il tempo del sole e dei fiori era lontano. Rimpiangeva i bei giardini che attendevano di fiorire, e pensava tristemente ai boccioli senza profumo delle serre della sua famiglia. Si chiese come fossero i posti deve si trovavano in quel momento Chouji e Shikamaru: erano freddi e sterili come Konoha? Di certo Suna non doveva abbondare di flora, rifletté. E provò una piacevole sensazione di calore -che nulla aveva a che fare con le pesanti coperte- al pensiero che, anche a una così grande distanza, forse qualcosa li accomunava.
Ma che tipo di missione gli era stata affidata? La Godaime non aveva voluto dirglielo, ed era da tre lunghe settimane -da quando lui era partito- che cercava a tratti di tenere a freno la curiosità, il risentimento e i tentativi di indovinare. Aveva a che vedere con l’Akatsuki? Non se ne sarebbe stupita, data la situazione in cui vertevano i tempi, ma in cuor suo sperava di no: era un nemico pericoloso e troppi alti erano i rischi che il Team 10 venisse mutilato. Oppure riguardava Sasuke? Erano giunte strane voce sui suoi spostamenti negli ultimi periodi, strane e incomplete. Ma se si fosse trattato di quello, non avrebbe certo visto quella stessa mattina Naruto attraversare il viale di fronte a casa sua insieme a Sakura. No: sarebbe di certo partito ovunque lo conducessero le voci, giungendo prima di qualsiasi squadra speciale.
Priva di solide basi, aveva occupato il tempo fantasticando. Vedeva Shikamaru ora combattente valoroso, ora pigro inguaribile; a volte invece, quando il tempo si faceva particolarmente tetro, lo vedeva nelle peggiori delle spoglie, sanguinante a terra. Ma poi, presa dal panico e dalla paura che tali pensieri si avverassero, cambiava in fretta la storia, e nelle immagini appariva lei che lo curava. Certo, se in quella oscura missione fosse stato veramente ferito, lei non sarebbe mai apparsa sulla scena. Qualcun altro l’avrebbe guarito, oppure, incapace di dargli quelle cure di cui lei era esperta, sepolto; e nella solitudine maligna e bieca che la circondava, giungevano pensieri molesti a farle visita. Certo, erano solo strane fantasie che le procurava a volte la febbre, ma non poteva fare a meno di riflettere su quella Temari della Sabbia, se ricordava bene il nome. L’aveva conosciuta ai tempi degli esami dei chuunin, cinque anni prima. Com’era diventata? Forse era attraente, forse era per lei che Shikamaru tardava tanto.
Non che fosse gelosa, questo doveva essere ben chiaro. Ma la curiosità, si sa, è donna, e lei voleva sapere -forse per istinto naturale, forse per quella fitta insistente che la colpiva quando ci pensava, una fitta vicino al cuore e lontana parecchi centimetri dalla sua cicatrice.
Il vento aveva smesso di ululare, lo vedeva dalle chiome finalmente quiete dei pioppi; ma al suo urlo si era sostituito l’insistente crepitio della pioggia. Pioggia abbondante, e pesante: lo sentiva dal rumore sordo che produceva sulla finestra, sul tetto. Non le piaceva. Innanzitutto, la faceva sentire imprigionata; poi, era un chiaro segnalo che la primavera era sempre più lontana, e il profumo dei fiori inesistente.
Fu mentre rifletteva su queste cose che sentì la porta di casa sbattere e poi un rumore di passi che si dirigevano vero le scale e –ne era sicura- nella sua stanza.
Per la prima volta in quelle tre settimane, non seppe cosa pensare.
Sentiva i tonfi di quel camminare, lenti e pesanti. Chi era?
Un ladro, forse. Che sciocco. Non sapeva che andava a rubare in casa di una ninja.
Ma mentre il legno scricchiolava, ricordò di essere inferma, e che il letto era la prigione della sua debolezza.
Forse era sua madre. O suo padre.
Ma non riconosceva i passi.
Forse era Sakura, o Tsunade, che andavano a visitarla per controllare la sua ferita.
Ma l’avevano già medicata quella mattina.
Prese a sudare freddo, maledicendo la propria ferita. Cupi pensieri cominciarono ad affacciarsi nella sua mente. Immaginava nemici oscuri, cupi assassini, neri mostri della sua infanzia. Quando infine la porta si spalancò, il suo cuore batteva forte come non mai in quelle tre settimane.
La figura che entrò nella stanza era avvolta in un pesante mantello, che gocciolava, fradicio; Ino credette di non averlo mai visto prima, e i suoi peggiori sospetti parvero confermati, fino a quando la figura non abbassò il cappuccio. E fu allora che il suo cuore, che fino a quel momento aveva preso a battere come impazzito, perse un colpo.
Era Shikamaru.
Non lo vedeva da quasi un mese, e le parve cambiato: di certo quando era partito i capelli non erano così lunghi, né la pelle tanto scura, sicuramente cotta dal sole di Suna.
Lanciò in un angolo il mantello grondante, e con la massima naturalezza si sedette su una sedia vicino al letto, bofonchiando un annoiato “Sono tornato”. Ino si sarebbe quasi aspettata di vederlo sbadigliare e lamentarsi per la mancanza delle nuvole nel cielo tetro.
Rimase per un attimo interdetta, senza sapere se andare su tutte le furie per la sua venuta improvvisa dopo un mese in cui non aveva avuto sue notizie, oppure se gettargli le braccia al collo per la felicità.
Ma prima di decidere quale fosse la migliore opzione, lui interruppe il flusso dei suoi pensieri. -Mendekouze, Ino-chan-, disse. –Dopo tutto questo tempo, potresti anche dire qualcosa-.
A dispetto di quell’aria da forestiero, era decisamente rimasto Shikamaru Nara.
-Dove sei stato?- gli chiese lei. Avrebbe voluto essere meno brusca, ma le parole le uscirono prima che lei avesse potuto rifletterci.
Parli troppo, Ino, le ripetevano in molti. E avevano ragione.
Lui tardò un po’ a rispondere, e lasciò vagare lo sguardo fuori dalla finestra, dove la pioggia si riversava potente.
-In missione, lo sai-.
-E proprio non mi vuoi dire che tipo di missione era?-.
-No. È un segreto-. Pareva scocciato, ma sorrise impercettibilmente.
-Doveva certo essere difficile se ci hai messo così tanto tempo- protestò Ino.
-No, era noiosa- affermò lui enigmatico. –Ci ho messo tanto perché per il ritorno ho fatto un’altra strada, più lunga-.
-Oh?- esclamò lei, spalancando gli occhi per la curiosità. Il pigro Shikamaru che allungava volontariamente la strada?
Shikamaru si alzò e si avvicinò alla finestra, mentre la pioggia si faceva più forte e minacciava un temporale memorabile. Ino notò che nel suo giubbotto da chuunin c’era un rigonfiamento, ma non disse nulla.
-Sapevo che a Konoha c’era brutto tempo- disse lui. –Scommetto che neanche un fiore è sbocciato, anche se è quasi primavera-.
-No, infatti-. Ino non sapeva dove volesse andare a parare.
-Sono stato nel paese dell’Erba- confessò. –Lì invece sembra quasi estate, c’è una flora profumata e rigogliosa. Ti sarebbe piaciuto, credo-.
-Immagino di sì…- disse lei, sempre più confusa. Shikamaru che deviava per chilometri al solo scopo di guardare dei fiori? Il mondo si era forse capovolto?
No, doveva esserci un altro motivo, più serio e forse collegato a quella missione, e lei era intenzionata a scoprirlo.
-Perché sei andato fin lì?- chiese, nel tono più innocente possibile.
Shikamaru raggiunse con la mano il rigonfiamento nella tasca del giubbotto, e ne trasse fuori quello che sembrava un barattolo di vetro, che le porse.
Doveva essere un fiore, quello che c’era dentro, e sembrava una fresia; non era ancora appassita, e questo significava che era davvero del Paese dell’Erba, terra dei leggendari fiori longevi. Guardò Shikamaru, ancora grondante di pioggia, senza sapere cosa pensare. Aveva davvero fatto quel viaggio per portarle un fiore?
-Per portare un po’ di primavera anche a te, Ino-.
Ino sorrise, e aprì il barattolo. Un delicato aroma dilagò nella stanza.
-Grazie, Shikamaru-.


***Fine***

   
 
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