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Autore: BlueButterfly93    19/09/2013    1 recensioni
(REVISIONE STORIA COMPLETATA)
MIKI: ragazza che, come il passato le ha insegnato, indossa ogni giorno la maschera della perfezione; minigonna e tacchi a spillo. È irraggiungibile, contro gli uomini e l'amore. Pensa di non essere in grado di provare sentimenti, perché infondo non sa neanche cosa siano. Ma sarà il trasferimento in un altro Stato a mettere tutta la sua vita in discussione. Già da quando salirà sull'aereo per Parigi, l'incontro con il ragazzo dai capelli rossi le stravolgerà l'esistenza e non le farà più dormire sogni tranquilli.
CASTIEL: ragazzo apatico, arrogante, sfacciato, menefreghista ma infondo solamente deluso e ferito da un'infanzia trascorsa in solitudine, e da una storia che ha segnato profondamente gli anni della sua adolescenza. Sarà l'incontro con la ragazza dai capelli ramati a far sorgere in lui il dubbio di possedere ancora un cuore capace di battere per qualcuno, e non solo..
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Lo scontro di due mondi apparentemente opposti, ma in fondo incredibilmente simili. Le facce di una medaglia, l'odio e l'amore, che sotto sotto finiranno per completarsi a vicenda.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ubriaca d'amore, ti odio!'
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                           CAPITOLO 2

              Scontri il primo giorno di scuola






 

«Come si chiama?» entrando in casa, chiesi a zia Kate per la seconda volta.

«Nathaniel, hai visto che figo? È anche ricco» era troppo ostinata nelle apparenze e soprattutto nel guardare le disponibilità economiche di ogni persona, non era cambiata per nulla.

«Zia non è troppo giovane per te?!? E poi soldi qui, soldi lì, non esistono solo i soldi nella vita.» sembravo quasi io l'adulta in quello strano dialogo che stavamo avendo. 

Se solo fosse stato possibile avrei abolito i soldi e inserito qualche altro sistema come forma di moneta. Era anche a causa dei soldi se la mia famiglia era morta già prima di nascere. 

«Ma infatti io sto provvedendo per te, mia cara nipote».

«Non ne ho bisogno, ma grazie del pensiero!»

«Ma che? Ti ho vista come lo guardavi. Lo stavi mangiando con gli occhi, signorina». 

«È un bel ragazzo, vero. Ma io non voglio relazioni, lo sai bene. Ora chiuso il discorso!» stroncai quel discorso sul nascere, altrimenti chissà quanto tempo ancora sarebbe durato. Altre volte ci aveva provato, aveva tentato di smuovere quella mia concezione sulle relazioni d'amore ma mai l'aveva avuta vinta. 

Zia Kate, seppur molto diversa da me era l'unica donna alla quale confidavo i miei segreti, le mie paure, le mie gioie. Lei sapeva tutto di me ed io sapevo tutto di lei; la lontananza non aveva mai fatto del male al nostro rapporto e anzi visti i nostri ultimi dialoghi pensai che, al contrario, la vicinanza avrebbe portato parecchi disguidi. Da quando mi ero trasferita a Parigi l'avevo trovata molto più impicciona del solito. 

Nonostante zia Kate stesse continuando a ribattere sulla mia ultima affermazione non l'ascoltai, ed iniziai a sbirciare e più che altro ammirare quella che sarebbe stata la mia nuova casa. Era tutto in un perfetto stile veneziano, una villa destinata a far sentire i propri abitanti dei veri e propri sangue blu, dei membri appartenenti ad una famiglia reale.La zia, notai, non si era risparmiata ad arredare la nuova casa; anche una sola sedia di quelle poteva arrivare a costare su per giù mille euro. Tutte le pareti erano bianche con il tamponato dorato, perfetto per i mobili in quello stile reale. Sui soffitti erano dipinti degli affreschi solitamente presenti nelle chiese o nelle reggie. Tutti i mobili erano in stile veneziano, quei mobili che le persone "normali" potevano solamente sognare di possedere guardando un film antico. 

«Zia non ti pare di aver esagerato con le spese per questa casa?» non potevo tenermi tutto per me. Era tutto troppo eccessivo per una giovane donna sola con a carico un'adolescente. 

«Oh non preoccuparti tesoro mio. Questa era la casa dei miei sogni, ho utilizzato gran parte dell'eredità lasciata dai nonni, me la meritavo. Ce la meritiamo dopo tutto» sentii il peso di quel "dopo tutto" gravarmi sulle spalle. Sapevo si riferisse a me, alla mia famiglia. Davanti a quelle sue parole però mi sentii già meglio. Sapere che non aveva fatto quei sacrifici solo per me, ma anche per lei, per una sua specie di sogno, mi rasserenò. 

«Cosa aspetti? Corri a vedere la tua stanza» quando aggiunse quelle parole con leggerezza, mi scrollai di ogni insicurezza. 

E senza farmelo ripetere due volte, lasciando le valigie all'entrata di casa, salii in fretta le scale dal corrimano d'oro e proprio difronte alla loro fine, una porta con scritto "MIKI" mi fece capire che quella sarebbe stata la mia futura stanza. Il mio nome non era scritto su quelle solite targhette, ma era inciso proprio sulla porta con lettere che sembravano essere d'oro. Era bellissima, era perfetta. Per evitare ulteriori battibecchi aveva messo da parte le sue preferenze e aveva inserito sulla porta il mio soprannome, non il mio nome di battesimo. La ringraziai mentalmente quando sfiorai, con l'indice della mano, l'iniziale. Aprii la porta e davanti a me si presentò una stanza enorme. Non era bellissima, lo era di più. Il soffitto era sempre dipinto con un affresco, ma al posto di angeli c'erano raffigurati una principessa ed un principe, si guardavano innamorati occhi negli occhi e si sfioravano le mani. Non potei fare a meno di guardare il vestito della principessa; rosa, ampio e pieno di diamanti. La dama aveva dei lunghi capelli ricci e tra i boccoli una corona che richiamava le pietre del vestito. 

«Ma sì quella è la principessa Sissi, guardavo sempre il cartone da piccola». Riconobbi la mia principessa preferita e per un attimo tornai bambina; a quando era tutto quasi normale.

Accanto a Sissi c'era Franz, il suo amore, con la solita divisa da imperatore bianca che non mi era mai piaciuta. Guardandoli così innamorati un po' li invidiai. Quella specie di affresco era tratto da un dipinto vero e non da un film o un cartone animato e più l'osservavo, più mi chiedevo come diamine facevano ad amarsi realmente in quel modo, con quella forza e costanza? Nella storia vera, loro due avevano sofferto molto, avevano perso tutti i loro figli e dovuto sopportare mille difficoltà eppure il loro amore era rimasto ed era più fortedi ogni cosa. A quei tempi pensai fosse impossibile trovare due persone così innamorate, col tempo invece dovetti ricredermi. 

Un altro aspetto caratterizzante di quella mia nuova stanza era il letto a baldacchino. Tutta la stanza era sui toni del rosa, dagli armadi - con dei fiori dipinti - alla scrivania. A destra del letto c'era un séparé, un tempo usato dalle dame per cambiarsi, ai nostri tempi usato come abbellimento o anche come spogliatoio. Affianco a quello vi era una porta; l'aprii e con mia grande sorpresa trovai un bagno. Avevo persino il bagno personale. Un bagno tutto per me. In camera. Ero incredula. ERA TUTTO TROPPO PERFETTO, quasi mi faceva paura.

Dopo aver girovagato per tutta la stanza mi lasciai cadere sul letto, ero molto stanca. Per un momento persi la concezione del tempo e lasciandomi coccolare dalla trapunta soffice del letto, mi addormentai. Sognai me stessa vestita come la Principessa Sissi dell'affresco, ero contesa da due uomini che per conquistarmi avrebbero dovuto combattere una battaglia all'ultimo sangue. Quando vidi i volti dei due uomini, mi spaventai. 

Com'era possibile? 

Era forse l'ennesimo scherzo del destino quello? 

Un volto apparteneva al nuovo vicino di casa, Nathaniel e l'altro volto apparteneva a niente poco di meno che, il ragazzo punk rozzo dai capelli rossi; il ragazzo scostumato incontrato sull'aereo. Stavano combattendo, entrambi erano feriti e perdevano molto sangue, ma il ragazzo dai capelli rossi sembrava essere perennemente in vantaggio.

E se in passato avessi potuto predire il futuro dei successivi quattro mesi, avrei saputo sin da subito che non c'era situazione più reale di quella battaglia. 

Proprio mentre il rosso era pronto a conficcare la spada nel cuore del povero e innocente Nathaniel, per ucciderlo definitivamente, la sua immagine mi fece sussultare e prendere coscienza all'improvviso. Mi svegliai quindi, improvvisamente.

Urlai «cazzo le valigie» e senza darmi il tempo di riprendermi fisicamente e mentalmente dal breve sonno, uscii dalla mia nuova camera e scesi le scale recuperando i bagagli. 

Mi diede una mano zia Kate che mi aiutò a portare tutte le valigie nella mia stanza.

«Era carino questo tipo con le tue stesse valigie, almeno?» secondo zia Kate dovevo essere attratta da ogni soggetto di sesso maschile, non era possibile quella sua nuova ossessione.

«Zia, devi capire che non posso guardare con secondi fini ogni essere umano che mi passa davanti solo perché ha il pisello» forse risultai un po' volgare, ma ero già stanca di quei suoi argomenti e di quel suo volermi trovare per forza un ragazzo. Non volevo nessuno al mio fianco. Per il sesso avrei trovato qualcuno adatto in un secondo momento, non di sicuro a poche ore dal mio arrivo in quel nuovo Stato.

«Le cose belle sono state fatte per essere guardate, sarebbe un peccato non farlo.» continuò e stranamente non disse neanche una parola per come mi ero rivolta volgarmente. Mi stupì. 

Facendo cadere il discorso senza rispondere ad una zia che altrimenti avrebbe continuato all'infinito a parlare di ragazzi, posai la prima valigia sul letto e l'aprii. Era la valigia che conteneva i miei slip, pigiami, reggiseni e fortunatamente non l'aveva presa quel cafone. A prima vista, guardando i bagagli, non trovai alcun segno distintivo che invece il personale addetto dell'aeroporto mi aveva assicurato di aver messo. 

Aprii la seconda valigia e apparteneva anche quella a me. Avevo messo qualche maglione e vestiti di vario genere. Trovai un foglio di carta chiuso intorno al manico del bagaglio e al di sopra vi era scritto il mio cognome. Cercai di capire la logica di quel meccanismo visto che il mio nome era inciso solo su quella valigia, mentre le altre potevano essere tranquillamente scambiate con una valigia uguale. Se zia Kate se ne fosse accorta avrebbe iniziato con le sue solite manie d'avvocato...

«Ma cos... che razza d'incompetenti, andrebbero denunciati. Non possono mettere il nome solo ad una valigia e lasciare tutte le altre senza nome» ecco, come non detto. Attaccò a parlare di leggi varie, ma io non l'ascoltai e non la degnai di risposta. 

Continuai ad aprire le restanti tre valigie pregando di non ritrovarmi oggetti strani, visto il soggetto mi sarei aspettata di tutto. Era troppo per il cielo chiedere di avere semplicemente i miei oggetti e vestiti? Nella terza valigia, la più piccola, avevo inserito i prodotti vari del make-up e quella, avendo una forma diversa rispetto alle altre, non poteva di sicuro essere scambiata. Nella quarta valigia trovai le mie scarpe, tirai un sospiro di sollievo perlomeno l'indomani non avrei iniziato scuola scalza. 

Restava l'ultima valigia e non capii se fu suggestione o presentimento, ma avevo una bruttissima sensazione al riguardo, ebbi quasi il timore di aprirla. 

«Zia aprila tu» mi allontanai dal letto timorosa, quasi come se all'interno di quel bagaglio potesse esserci una bomba. 

Zia Kate mi guardò confusa ma non fece storie e si avvicinò al letto con nonchalance per aprire la fantomatica valigia. Strinsi gli occhi e pregai che lì dentro ci fosse il mio diario segreto insieme ai miei oggetti personali, ma...

«Oh mio Dio!» urlò schifata mia zia. Aprii dallo spavento gli occhi e scoppiai a ridere per l'immagine della zia con in una mano un paio di slip da donna visibilmente usati e nell'altra un pacco di profilattici dallo scatolo stropicciato. 

Quando venni a contatto con la realtà e mi avvicinai con cautela alla valigia oggetto del crimine, mi venne quasi da strapparmi i capelli per il disordine e la nausea che mi provocò quell'immagine. All'interno vi erano maglie e boxer da uomo piegati male insieme a reggiseni e slip di varie taglie e genere. Quel piccolo dettaglio mi fece pensare fossero appartenenti tutti a donne diverse. Era d'aspettarselo per come si era presentato il ragazzo.

«Beh, perlomeno tiene attivo l'amico...» sdrammatizzò la mia cara zia. Era una tipa con le mentalità aperte, non tutta casa, chiesa e austera come la maggior parte degli avvocati. 

«E complimenti a lui per i suoi gusti» aggiunse tirando fuori dalla valigia un lubrificante della Durex effetto fresco, tra l'altro, pieno per metà a testimonianza del suo recente utilizzo. 

Alla vista di quel barattolo e del commento di zia Kate arrossii di colpo e mi coprii il volto con entrambe le mani per l'imbarazzo, quasi come se fossi io la colpevole. Insomma non era bello aprire una valigia insieme ad una zia e trovarsi quel genere di cose. 

Come se quella valigia non appartenesse ad un estraneo, zia Kate continuò a sbirciare tra gli oggetti e l'intimo. La incitai a smettere ma non mi diede ascolto. 

Quando trovò "un anello del piacere per il suo affare" sempre marcato Durex, ritenni che era davvero arrivato il momento di porre fine a quello scempio. Sembrava quasi avesse fatto una vacanza in Italia appositamente per acquistare quegli aggeggi. Sì, come se non ne vendessero in Francia. 

«No ok, questo è troppo. Zia chiudi la valigia. Devo solo aspettare la sua chiamata, vedrai che chiamerà appena si accorgerà dello scambio. Devo mantenere la calma. Devo...» entrai in panico mentre obbligavo zia Kate a rimettere ogni cosa al suo posto. Chiusi velocemente quel bagaglio e cercai di eliminare dalla mente gli oggetti visti, ma non fu facile. 

Nella mia ultima valigia - quella capitata in mani sbagliate - erano presenti tutti i miei oggetti personali ed in più il mio diario segreto, lì dove avevo inserito ogni dettaglio della mia vita, del mio vero essere, lì dove scrivevo sin da piccola senza indossare maschere. Zia Kate sapeva dell'esistenza di quel diario, ma non l'aveva mai letto, nessuno ne aveva mai letto i contenuti, solo io. Sperai nel buon senso del rosso e nella sua educazione che purtroppo a vederlo a primo impatto non aveva come doti del suo essere. 

«E se lo leggesse?!?» entrai in panico anche per quello mentre mi lasciai cadere sul pavimento quasi sconfitta. 

Zia Kate mi seguì e si sedette accanto a me per consolarmi «No tesoro non lo leggerà, vedrai» mise una sua mano sulle mie ginocchia e proseguì «e poi anche se fosse... non lo conosci, dopo lo scambio delle valigie non dovrai vederlo mai più in vita tua».

Erano rari i momenti di affetto tra noi due, non eravamo due persone espansive. A testimoniarlo era il fatto che da quando avevo messo piede in Francia non ci eravamo scambiate neanche un bacio o un abbraccio; avevamo entrambi questa caratteristica, almeno qualcosa in comune c'era in noi due. Ma ci volevamo bene lo stesso. Eppure quel momento in cui i nostri corpi erano l'uno accanto all'altro mi fece sentire bene, mi sentii coccolata come era capitato rare volte nella mia vita, ed inevitabilmente mi rasserenai. 

 

 


Castiel

Come ormai quasi ogni anno, parte di quell'Estate 2013 la trascorsi in Italia. Avevo amici ed anche qualche parente lì. Fui però costretto a ritornare in Francia per l'inizio di un altro anno straziante di scuola e sull'aereo per Parigi conobbi una strana ragazza che tendeva a fare la saccente e sembrava si sentisse la Regina del mondo. Voleva dettare ordini per delle stupide valigie ma non sapeva che con me non poteva vincere. Infatti avevo deciso volutamente di lasciare quell'aereo di fretta, una volta atterrati, giusto per darle del filo da torcere e per una sottospecie di vendetta dettata dal fatto che mi aveva disturbato proprio mentre stavo ascoltando una dei pezzi preferiti sul mio mp4. Doveva essere sicuramente una maniaca dell'ordine o una di quelle troppo innamorata dei suoi vestiti ed oggetti personali, altrimenti non si sarebbe spiegato tutto quel suo nervosismo... insomma erano solo delle valigie. Cosa potevano contenere di così importante e speciale? Giusto per poterla contattare in caso di scambio, e per potermi divertire un po con lei ed i suoi nervi, avevo persino accettato di prendere quel bigliettino con sopra scritto il suo numero di telefono.

Presi dalla tasca posteriore dei miei jeans neri quel cartoncino ed iniziai a giocarci girandolo tra le dita. "Miki Rossi" c'era scritto sopra al suo numero di cellulare. Era italiana ma parlava un francese con un accento perfetto, ed era bella. Molto bella. Indossava una gonna sottile e molto corta dalla quale le s'intravedevano delle belle gambe. Quelle come lei le conoscevo bene; si vestivano in modo appariscente solo per farsi guardare e per aggiungere alla loro lista un'altra conquista, aspettavano il momento giusto per abbindolare un ragazzo, farlo innamorare e dopo essersi prese tutto di lui lo lasciavano, solo, abbandonato al suo destino. Sembrava quasi stessi parlando di Debrah, la mia ex, ma era quella l'impressione che a primo impatto Miki mi aveva dato di lei. Eppure il suo viso sembrava essere in contraddizione con il suo modo di vestire e di atteggiarsi. Il suo volto era dolce ed innocente, caratteristiche mortali per uno come me. Adoravo le donne e lei era perfetta se solo avesse tenuto quella bocca chiusa...

A distanza di mesi e poi di anni mi accorsi di quanto mi sbagliavo. Miki era perfetta in tutto e per tutto. Miki non era solo fisico, non era tacchi alti e minigonna. Miki aveva carattere, forza, non si lasciava battere da nessuno. Aveva sempre la risposta pronta. Miki era una bomba ad orologeria capace di far esplodere tutto me stesso con i suoi forti sentimenti. Quando amava, amava con tutta se stessa, dava tutto, ogni parte del suo essere. E Miki mi amava e mi ama; con tutta se stessa. Persino guardandola su quel letto di ospedale sono stato capace di accorgermene. Trasmette amore e addirittura coi suoi occhi scuri riesce ad illuminare, con il suo sentimento, tutta la stanza. 

Posai momentaneamente il cartoncino con il suo numero e per la curiosità di sapere se le fantomatiche valigie fossero state scambiate realmente o se quella fosse stata solamente una fissazione prodotta dal cervello della bella Miki, aprii le due valigie che avevo portato con me. 

Presi la prima e subito trovai oggetti che non sarebbero potuti appartenere al sottoscritto mai e poi mai. La fissazione di Miki era divenuta realtà. Iniziai a sbirciare nella valigia, trovai album di cantanti italiani che non avevo idea di chi potessero essere, album di cantanti pop che invece piacevano alla mia ex ragazza e altri oggetti femminili che preferii non analizzare. 

A quel punto, aprii l'altra valigia sperando che almeno una fosse la mia e fortunatamente trovai i miei vestiti puliti. La sfortuna aveva voluto che miss Perfettina avesse tra le mani la mia valigia con vestiti sporchi, parecchi oggetti apparentemente strani e, aspetto imbarazzante, gli slip ed i reggiseni delle donne venute a letto con me. Avevo la tendenza a conservare l'intimo delle ragazze in modo tale da ricordarmi un po' di tutte e rammentare se quella notte ne sarebbe valsa la pena di un'altra o se avessi dovuto gettarla nel dimenticatoio. Dall'intimo ricordavo il volto, soprattutto il corpo, della ragazza e di conseguenza la notte di fuoco trascorsa insieme. Era uno strano metodo il mio, ma in quel modo evitavo inutili strazi di donne che mi cercavano e che non avevo voglia di rivedere una seconda volta. 

Scossi la testa e tornai a guardare la valigia di Miki, da una tasca vidi spuntare una specie di quaderno parecchio grosso e quello attirò più di tutto la mia attenzione. Lo presi tra le mani senza esitazione e vidiche sulla copertina rigida rosa con brillantini vi era riportata la scritta "Diary". Lo aprii per capire meglio...

 

"Caro diario,

è la prima volta che scrivo e per questo mi presento: sono Micaela o 7anni. I miei genitori non mi anno mai voluto bene. mia mamma è una prostituta gli uomini che vengono la chiamano così ma io non so cosa sigifica, a casa nostra vengono tanti maschi e non capisco perche non vengono anche le femmine. Nella stanza da lavoro lei non mi a mai fatto entrare ma io quando lei non ce entro. Ho trovato un letto con le manette come quelle dei carabinieri che arrestano le persone cattive e dei palloncini che profumano di frutta. I palloncini erano chiusi dentro una cosa di plastica ed avevano una forma allungata e strana erano ancora da gonfiare. Con tutta queste cose non capisco credo proprio che vado al compiuter per vedere cosa vuole dire prostituta e dopo che leggo ti dico. Mio padre invece è stato cattivo io lo chiamavo uomo nero. Secondo me è lui quello che dicono che va a rubare i bambini cattivi. Ma io non riesco a parlare di lui. Ora devo correre.

Ora vado a cucinare, a domani mio amico diario"


Chiaramente dal linguaggio e dai molteplici errori di grammatica si capiva bene che a scrivere fosse stata una bambina. Certo, all'epoca, per avere sette anni doveva aver affrontato difficoltà non poco gravi. Iniziai a rivalutare quella ragazza; forse era vero il detto "l'apparenza inganna". Restai scosso per quella rivelazione: la mamma di Miki era una prostituta. Caspita. Ad un certo punto, tornai in me stesso e seppellendo la curiosità riacquistai il buon senso, decisi che quel diario era sin troppo intimo e privato per esser letto da me, estraneo. Non sarebbe stato giusto sbirciare nel passato complicato e triste di una persona che non conoscevo bene. Neanch'io avrei voluto facessero una cosa di quelle con la mia vita. 

Posai ogni cosa al proprio posto e chiusi la valigia. Decisi che avrei chiamato la proprietaria del bagaglio l'indomani, in quel momento non ne avevo voglia. 

 

 


Miki

«Sveglia piccola Miki» la voce dolce di zia Kate cercava di smuovermi dal sonno. Per un risveglio meno traumatico aveva persino utilizzato il mio nome abbreviato.

Nonostante quel piccolo dettaglio, mi voltai dalla parte opposta e decisi di continuare a dormire per altri cinque minuti. 

«Dai alzati su, non puoi rischiare di far tardi proprio il primo giorno di scuola» m'incitò nuovamente la zia che aveva assistito alla mia voglia di vivere pari a zero. 

A quel punto presi il cuscino e lo girai intorno alla mia testa per coprirmi le orecchie. Qualsiasi suono m'infastidiva, ogni mattina era un trauma alzarsi, non amavo svegliarmi presto... ma quel giorno ancor di più. Ed era tutta colpa di quel cafone di ragazzo dai capelli rossi. La sera prima avevo aspettato fino a tardi inutilmente una sua chiamata o un suo messaggio, ma nulla, anche a distanza e non vedendolo doveva farmi per forza innervosire. E poi per colpa dei contenuti osceni di quella sua valigia, zia Kate aveva sbirciato e mi aveva disturbata facendo ritardare di parecchio la sistemazione dei vestiti. Tutto inevitabilmente ed inesorabilmente era collegato al ragazzo dai capelli rossi.

Quando zia Kate mi richiamò una terza volta decisi che era arrivato il momento reale di alzarsi e subito, senza perdere tempo, corsi a sistemarmi per quel nuovo inizio. 

«Ti accompagno?» chiese zia vedendomi scendere le scale dopo mezz'ora. Ero riuscita a fare una doccia e sistemarmi in un tempo record. Mi complimentai con me stessa. 

Ancora non le avevo rivolto la parola, sembrava stesse avendo un monologo, poveretta. 

«Vorrei fare una passeggiata a piedi, tanto è la strada che mi hai fatto vedere ieri, giusto?» il giorno prima, durante il tragitto di ritorno dall'aeroporto a casa, mi aveva spiegato la strada da percorrere per arrivare a scuola e visto che non era particolarmente difficile e lontano volevo farlo a piedi. Da sempre ero stata abituata ad essere indipendente e da lì in poi pur vivendo con un'altra persona non sarebbe cambiato nulla. 

«Sì certo, prosegui dritto per venti minuti e poi svolta a destra.» mi ripeté zia Kate mentre prendeva le ultime cartelle per poter uscire anche lei di casa e andare a lavorare. Il suo studio era dalla parte opposta dalla scuola, quindi, tra l'altro, non sarebbe stata di passaggio. 

Presi una mela dal cesto di frutta presente al centro del tavolo e salutando zia Kate partii per dirigermi verso scuola. Inevitabilmente ripensai a Ciak. Quello sarebbe stato il nostro primo anno distanti, soli, abbandonati al nostro destino. Se solo gli avessi raccontato del mio passato avrei potuto mandargli un messaggio, dirgli quanto già la sua mancanza si faceva sentire e poi magari gli avrei augurato un buon inizio di anno scolastico. Ma lo conoscevo, ed essendo troppo nervoso nei miei confronti, avrebbe valutato quel messaggio solo come una presa in giro. 

I miei pensieri furono interrotti da passi rumorosi, vicini e dietro di me. Voltai lievemente la testa e con la coda dell'occhio vidi che si trattava di Nathaniel, il mio nuovo vicino di casa biondo. Arrossii di colpo e mi voltai di scatto aumentando i passi. Non avrebbe dovuto pensare fossi una specie di stalker; già la sera prima aveva notato lo stessi fissando. Stava percorrendo la mia stessa strada, pensai che anche lui venisse nella mia scuola. 

Dopo venti minuti esatti arrivai a destinazione e svoltando a destra mi ritrovai il cancello del mio nuovo liceo. Nathaniel mi sorpassò e senza degnarmi di uno sguardo - giustamente non mi conosceva - mi sorpassò per entrare di fretta all'interno della struttura. Mi fermai a fissare per qualche minuto l'edificio, era grandissimo e giallo. Al centro, ben in vista, vi era riportato il nome del liceo "Dolce Amoris". 

Ad un tratto una voce stridula mi urlò contro e vidi dirigersi verso me una signora abbastanza paffutella e bassa da sembrare un arancino con i piedi. Senza offesa, ma faceva ridere. Era anche vestita tutta di rosa. 

«Signorina vuole un invito scritto per decidersi ad entrare? Si beccherà un bel ritardo il primo giorno di suola, si sbrighi e corra in classe!»

«Le chiedo scusa, Signora, sono nuova e non so dove sia la mia classe» le risposi con calma evitando ulteriori drammi. 

«Ah lei è Micaela Rossi, la ragazza disagiata che ora si è trasferita per vivere con la zia!»

Ero quello agli occhi degli altri? Un disagio. La verità faceva male e faceva male ancor di più il fatto che la zia avesse provveduto a rivelare a tutti il mio passato. Ecco uno dei motivi per il quale avevo rimandato da sempre il trasferirmi a Parigi. Sola mi sarei gestita meglio, avrei gestito le cose da far sapere e quelle che avrei preferito tenere per me, nascondere. Ma nonostante quel piccolo particolare, ancora una volta, quel giorno, mi rialzai e indossai la maschera della persona forte, la mia maschera doveva essere inscalfibile agli occhi degli altri. 

«Preferirei che la mia storia restasse privata, al di fuori dalle vicende scolastiche, se è possibile. Comunque sì, Piacere sono Miki Rossi. Lei invece dev'essere...» lasciai la frase in sospeso per farmi rivelare la sua identità. Chiamarla confetto gigante rosa non mi sarebbe sembrato il caso anche se, lei mi aveva definito "disagio", fui tentata a farlo. 

«Si, piacere Signora Direttrice -mi porse la mano e gliela strinsi- noi ci teniamo molto alla privacy dei nostri studenti. Del suo curriculum ne è a conoscenza solamente il segretario delegato ma lui ha come obbligo professionale il silenzio. Ora vada subito in aula delegati per terminare il modulo d'iscrizione».

Senza rispondere alla direttrice antipatica, mi voltai ed entrai nel liceo in direzione dell'aula delegati, anche se non avevo idea di dove si potesse trovare.

I corridoi erano già completamente vuoti, segno che le lezioni fossero iniziate. Così girovagai alla ricerca di una piantina, in quel modo avrei trovato tutte le aule o stanze. 

E bloccai di colpo la mia camminata quando, invece della piantina, vidi sbucare da un angolo nascosto - sembrava quasi un sottoscala, uno scantinato - ciuffi di capelli rossi. Subito mi balenò per la testa a chi potessero appartenere quei capelli. Non credo ci fossero molti soggetti con quel colore. Ma non poteva essere lui, vero?

Quando però la sua figura si fece sempre più vicina e la potei vedere interamente, capii che era realmente lui. Il tipo strano dell'aereo. Il ragazzo della valigia scambiata. Il punk rozzo che non si era degnato di chiamare subito per potermi ridare il bagaglio. E inevitabilmente la sua presenza mi fece innervosire.

«Ah -sbuffai- quando intendevi scomodarti per chiamare al numero che ti ho lasciato e ridarmi la valigia?»

«Ciao, anche per me è bello incontrarti di nuovo -disse sarcasticamente- piacere Castiel Black, a me hanno insegnato le buone maniere, non so a te...» con entrambe le mani nelle tasche anteriori dei suoi jeans neri e con nonchalance voleva rifarsi per le parole dette in aereo. Da quel momento capii il tipo, voleva essere sempre lui ad avere l'ultima parola. L'unico problema restava il fatto che anch'io... 

«Buone maniere un corno. In aereo sembravi tutto tranne che un tipo dalle buone maniere, quindi... "fai come ti è fatto che non è peccato". Comunque piacere Miki, ora puoi restituirmi la valigia, gentilmente?!?» marcai l'ultima parola per fargli notare "le mie buone maniere". 

«Ti sembro un mago per caso?»

«Come scusa?» pensai di non aver sentito bene. 

«Come potrei far apparire dal nulla la tua valigia? E poi per quale motivo avrei dovuto portarmela dietro? -sbuffò- Ma ti devo spiegare proprio tutto? Si vede proprio che sei una ragazzina» ad un tratto da divertito divenne scocciato. 

«Ah si?!? La ragazzina ti sta per mandare a quel paese. Fai in modo di ridarmi la valigia entro oggi, grazie» ed io ero più scocciata di lui. Non avrebbe vinto. 

«Dammi il tuo indirizzo» alzò gli occhi al cielo apparentemente e maggiormente nervoso. 

Senza aggiungere parola, mi poggiai ad un armadietto che trovai a lato, strappai un foglio da uno dei miei quaderni, scrissi l'indirizzo della mia nuova casa e glielo diedi. Lo guardai male, mi voltai e me ne andai senza aggiungere parola o salutarlo. Non li avevo mai tollerati i tipi come lui. 

Camminai ancora un po' e quando finalmente trovai, appesa ad un muro, la famosa piantina della scuola, subito mi accorsi che l'aula delegati si trovava proprio davanti l'entrata principale del liceo. Io quindi ero entrata dall'ingresso secondario; evviva al mio senso dell'orientamento.

Senza attendere ulteriormente camminai velocemente verso l'aula agognata, la trovai, bussai ed entrai. 

Sull'uscio della porta mi apparve solamente il sedere di un ragazzo impegnato a raccogliere fogli sparsi per tutto il pavimento. E non era niente male. Ma non riuscivo a intravedere il suo volto, così percependo le sue evidenti difficoltà mi piegai e aiutai a raccogliere i fogli.

«Salve, io sono la ragazza nuova. La direttrice mi ha appena detto di venire qui» gli dissi porgendogli i fogli raccolti dal pavimento. 

«Oh grazie» arrossì appena si voltò verso di me. Eravamo entrambi ancora inginocchiati sul pavimento e cavolo... quello era Nathaniel. 

Mi alzai di scatto e lui m'imitò. Non ne riuscivo a capire il motivo ma percepii un imbarazzo strano nell'aria. 

«Ah sì ciao. Piacere io sono Nathaniel Daniels, il segretario delegato del liceo». Mi porse la mano ed io gliela strinsi delicatamente ed a lungo. Sembravo inebetita improvvisamente per la sua bellezza. Da così vicino era ancora più perfetto. Caspita. 

Fece un po' di forza per togliere la sua mano dalla mia mentre io sorridevo da ebete più totale. I suoi occhi dorati mi squadravano curiosi ed un po' imbarazzati, quando lo vidi squadrarmi abbassai il volto. 

«Tieni. Questi sono i moduli da firmare» spezzò il silenzio porgendomi dei fogli. 

Li presi ed iniziai a fissare i fogli come se fossero l'oggetto più interessante della stanza. Non sapevo cosa mi fosse preso, Nathaniel mi metteva una strana agitazione in corpo. La sua bellezza semplice mi aveva stregata. 

«Ehi, hai capito cosa ti ho detto? O non capisci bene il francese? Forse posso spiegarti in inglese?» mi chiese sorridendo e neanche un po' spazientito. Lui sì che era un ragazzo dalle buone maniere. 

«ehm...ehm -finsi un colpo di tosse- sì, la capisco perfettamente. Scusa, ora firmo tutto» arrossii e prendendo la penna che avevo già nella tasca, firmai.

Improvvisamente mi assalì una strana voglia di fare conversazione con lui; ma non sapevo come procedere.

«Perfetto. Siamo nella stessa classe» disse quasi sorpreso. Evidentemente aveva appreso quel dettaglio in quel momento e anch'io.

«Oh, la sezione A?» 

«Sì. Aspetta, poso gli ultimi documenti e andiamo insieme, se non ti dispiace» 

"Altro che dispiacere..."

«Certo. Ti aspetto!» risposi con fin troppo entusiasmo. 

Non sapevo cosa mi stava accadendo. Quando finì con i documenti, neanche dopo cinque minuti, uscimmo dalla sala delegati e c'incamminammo verso l'aula della nostra prima ora di lezione. 

Mi ricordai dei dettagli rivelatami poco prima dalla direttrice, così decisi di chiarire sin da subito per evitare che la voce si spargesse in giro. 

«Ehm... volevo chiederti un favore... non so come... ok, beh... come dire, sì ecco... Purtroppo mia zia ha fatto inserire nel curriculum alcuni aspetti delicati della mia vita; beh, ecco... sì... ci terrei che questi rimanessero privati, non vorrei si sapesse in giro e soprattutto non vorrei essere giudicata per la mia storia» ero inesperta e mi sentivo a disagio nel parlare della mia vita. Sapere che qualcuno oltre zia Kate fosse a conoscenza di aspetti delicati della mia infanzia mi faceva sentire strana; mi sentivo debole, indifesa e non volevo. Quello stesso giorno avrei provocato la terza guerra mondiale una volta rientrata a casa, zia Kate non avrebbe dovuto permettersi.

«Stai tranquilla Miki, noi ci teniamo alla privacy degli studenti. E poi non ne avrei fatto parola ugualmente con nessuno. Non sono quel genere di persona» mi rassicurò il ragazzo dai capelli color del grano. E mi sorrise con un sorriso dolce. Troppo per i miei gusti. Pronunciava sempre la parola giusta al momento giusto, sapeva come rasserenare una persona, sapeva far star bene. Più parole scambiavo con lui e più mi piaceva. 

«mi stai dando un gran sollievo. Grazie Nath» tirai un sospiro di sollievo e d'istinto lo chiamai con un nome abbreviato che mi venne in mente al momento, forse osai troppo. 

Nell'udire quel nome divenne rosso ma non capii se per la rabbia o per la vergogna. Mi dispiacque. 

«N-Nath?!?» mi chiese per confermare se avesse sentito bene o meno quel nome. Iniziai a maledirmi, la mia stupida boccaccia aveva già rovinato tutto. 

«S-sì... ti ho infastidito chiamandoti così? Se è così davvero scus...» 

m'interruppe e «oh no, no che non m'infastidisce. Anzi mi hai sorpreso. Nessuno mi chiamava così da un pezzo. Ormai per tutti sono solo il "segretario delegato"; alcuni addirittura arrivano a chiamarmi con l'appellativo "Signore"» mi colpì quella sua confessione. Ormai mi ero convinta di aver sbagliato qualcosa. 

«Perfetto! Allora è arrivato il momento che qualcuno ti chiami di nuovo così, Nath» gli feci l'occhiolino e lui ricambiò con un altro sorriso. 

«ecco la nostra aula» poi aggiunse mostrandomi la porta con le mani. 

Da bravo gentiluomo qual'era aprì la porta e fece entrare prima me. Mi stupii anche per quel bel gesto che avevo visto compiere solo nei film d'amore. 

Appena dentro iniziai a guardare la mia futura classe. L'aula era composta da dieci banchi (in posti da due) e diciannove alunni, il mio posto era stato già aggiunto. Le pareti erano gialle e i banchi bianchi, insomma una tipica aula scolastica. Quello che poi scoprii essere il professore di arte, aveva già iniziato la sua lezione, eravamo in ritardo di mezz'ora.

Nath interruppe la lezione: «Professore, lei è la nuova alunna Micaela Rossi ma chiamatela pure Miki, lo preferisce»

Il fatto che Nath conoscesse molti aspetti di me e della mia vita senza che fossi io ad averla raccontata, gli fece accumulare punti. Peccato che l'amore non faceva per me. In un'altra vita sarebbe stato il ragazzo ideale, lo capii già solo in mezz'ora di conoscenza. Iniziai ad essere meno in collera con zia Kate; ma una bella strigliata d'orecchie non gliel'avrebbe tolta nessuno. Doveva imparare a parlare solo della sua vita e non anche di quella degli altri. 

«Bene. Grazie signor delegato, allora Miki... vieni pure e parlaci di te» disse il professore incitandomi a farmi avanti.

Era giunto il momento che più temevo e mi sudarono persino le mani. Ero sempre andata bene a scuola, avevo voti eccellenti, eppure quando arrivava il momento delle presentazioni sudavo freddo. Forse avevo troppi segreti da nascondere. 

«Ciao a tutti sono Miki, ho 16 anni, vivo con mia zia perché i miei genitori lavorano per tutto il mondo in una compagnia aerea. Mi piace vestirmi di marca e adoro la scuola».

L'ultima frase potevo benissimo risparmiarla. Cosa mi era girato per la testa? Un mio difetto? In un momento di pura vergogna e agitazione mi uscivano parole istintive dalla bocca; il che in uno sprazzo di vita quotidiana sarebbe stato un buon aspetto, davanti ad una classe di liceo, davanti a diciotto adolescenti un po' meno. 

Davanti alle mie parole vidi qualche volto, ancora sconosciuto, sgranare gli occhi e guardarmi quasi schifato. Me lo meritavo. Tutti odiavano la scuola, tutti odiavano le persone ricche e dire "mi piace vestirmi di marca" equivaleva a classificarsi come una ragazza viziata e ricca da far schifo. Abbassai il volto per la vergogna fin quando non sentii una voce provenire dalla fine dell'aula: «ochetta novellina» che mi fece risollevare il volto dallo stupore. E non era stupore per la frase utilizzata, quella me la meritavo. Lo stupore era per l'appartenenza a quella voce. Voce che avevo imparato a conoscere bene in un solo giorno.

Castiel. Cosa ci faceva Castiel Black nella mia stessa classe?

Senza poter connettere al meglio quelle troppe informazioni, il professore mi fece distrarre sgridando subito il rosso: «Castiel ora chiedi scusa alla tua nuova compagna compiendo il bel gesto di farla sedere accanto a te per il resto dell'anno» sembrava quasi stesse parlando ad un bambino. 

E poi chi diavolo avrebbe voluto vedere questo "bel gesto" da parte sua? Io no sicuramente.

«Oh no, non si preoccupi professore. Non posso sedermi accanto ad un pomodoro, potrebbe sporcare i miei vestiti...»

«Le oche non possono sporcarsi; stanno sempre nei loro laghi a starnazzare.» erano battute ed insulti infantili i nostri, sembrava quasi ci fossimo messi d'accordo.

«Ragazzi adesso basta, altrimenti sarò costretto a mandarvi dalla direttrice» aggiunse il professore, ma nessuno dei due si degnò ad ascoltarlo. 

«Sarò pure oca ma tu non ti sei visto con quei capelli e con i vestiti da barbone che ti ritrovi» ormai non potevo dargliela vinta. 

«Ragazzina mi stai facendo innervosire, non ti conviene farlo» sembrava quasi una minaccia la sua. Ed io non volevo altro che quello. Amavo essere provocata per poi rispondere con il peggio di me. 

«Oh allora sì che ho paura. Sto già tremando» feci la finta mossa che solitamente si fa quando è freddo. 

Il battibecco continuò per altri cinque minuti, quando poi il professore si rese conto di non poter più proseguire la lezione per colpa nostra: «Ora basta venite con me» c'impose. 

Entrambi lo seguimmo ed in un attimo ci trovammo nell'ufficio della direttrice. Quando ci vide e fu informata dei fatti, ci fece accomodare su due sedie davanti alla sua scrivania in legno ed iniziò anche lei la sua ramanzina.

«Signorina Miki, lei ha un curriculum perfetto e dei voti altrettanto perfetti ora cosa le è preso? È la cattiva influenza del signor Black a provocarle tutto questo?»

Quella sua frase risultò parecchio e troppo falsa per le mie orecchie. Non ero solo una ragazza disagiata, fino a mezz'ora prima, per lei? 

«Tzé... Ma se neanche la conosco!» s'intromise lui sentendosi messo in ballo.

«le chiedo scusa, sono nervosa, sa... il trasloco e tutto il resto» conclusi io. Mi stava antipatica, ma non potevo di certo risponderle male. Non volevo peggiorare la situazione già critica. 

«Nervosismo o meno non si accettano questo genere di cose il primo giorno di scuola -sospirò- comunque sia vi beccate entrambi una punizione che comporterà, terminate le lezioni, pulire tutta la scuola oggi pomeriggio ed essere vicini di banco per un anno intero. Che questo piccolo accaduto sia d'insegnamento agli altri alunni. Dovete pensarci due volte prima di litigare per delle sciocchezze, dovete volervi tutti bene». concluse così la lezione di vita, la direttrice.

«Ma no cazzo, ho le prove della band oggi.» Sempre molto delicato, Castiel.

«Castiel non usare questi termini nel mio ufficio -sbatté la mano sulla sua scrivania- e se ti lamenterai ancora, resterai una settimana dopo scuola a pulire!»

Con un finto colpo di tosse, poi, m'inserii anch'io nel discorso «Ehm... invece per quanto riguarda la questione di essere vicini di banco, non potrebbe essere rivista e cambiata? La situazione credo non gioverebbe al rendimento scolastico dell'intera classe. Ecco, vede... io ed il Signor Black siamo incompatibili caratterialmente e litigare sarà inevitabile»

«Ed è qui che si sbaglia signorina Rossi, il vostro rapporto sarà presto visto come esempio per il resto della classe. Presto vi accorgerete che i caratteri apparentemente incompatibili possono creare capolavori insieme»

«IMPOSSIBILE!» quasi urlammo in sincrono io e Castiel. 

 

Ma nulla in realtà era davvero impossibile.

 







N.A. CAPITOLO REVISIONATO E CORRETTO (2017)

  
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