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Autore: Nihal_Ainwen    21/09/2013    4 recensioni
Kim Jongin è un abile killer in cerca di vendetta;
Park Chanyeol un normale studente universitario;
Oh Sehun è il figlio viziato del capo di una banda di criminali;
Byun Baekhyun è semplicemente autodistruttivo.
Cosa avranno in comune? Niente, apparentemente.
Genere: Angst, Dark, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, Crack Pairing | Personaggi: Baekhyun, Baekhyun, Chanyeol, Chanyeol, Kai, Kai, Sehun, Sehun
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti
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[Prima di dire qualsiasi cosa, mi scuso per l’ennesimo ritardo: ora che sono rientrata a scuola il tempo per scrivere è diminuito drasticamente, sigh. In secondo luogo, devo ammettere che ho avuto molti dubbi nell’ultimo periodo sul fatto di continuare o no questa storia. I motivi sono svariati, ma uno dei tanti è che mi sto pentendo della direzione che diedi al plot quando nacque. Nonostante tutto non ho voglia né tempo per modificare le cose, allo stesso tempo non mi va di lasciare l’ennesima storia incompleta. Indi per cui sappiate che la trama non piace più nemmeno a me, più o meno. Chiarito questo, vi avverto che la parte iniziale di questo capitolo è molto brutta e tratta di un tema molto molto delicato: spero di non aver combinato casini, perché scriverla mi è costato un sacco. Ovviamente, se leggete qualcosa di inappropriato o indelicato, vi supplico di dirmelo. Concludendo, grazie tanto alla Bibiru e alla ZessCode per il supporto morale: è anche per voi che questo capitolo è qua, ricordatevelo. p.s. Perdonatemi eventuali errori, ma al momento non mi prende di rileggere, scusate tantissimo. XOXO]




Mi ero sempre domandato come, una persona come me, potesse essere stata così fortunata almeno in campo lavorativo. Non solo guadagnavo più che bene, ma facevo anche un lavoro che mi piaceva non troppo lontano da casa mia, una ventina di minuti a piedi al massimo. Sotto quell’ambito, mi sentivo quasi realizzato ed era anche l’unico posto dove mi sentissi quasi sereno, escludendo i momenti in compagnia di quella pertica sorridente denominata Park Chanyeol. In realtà, né quest’ultimo né il lavoro, mi sembravano motivazioni sufficienti per provare a vivere una vita normale, o almeno non ancora. Di recente però, le parole di Kai continuavano a rimbombarmi nel cervello, in ogni momento in cui la mia mente non fosse concentrata altrove. “Se continui ad essere così fottutamente acido, scapperà via anche lui.”, mi aveva detto quando mi aveva riportato i vestiti, riferendosi al ragazzo al mio fianco. Cominciavo a rendermi conto, per mia sfortuna, che non avrei saputo come fare, se mi avesse abbandonato anche lui, sapendo però che avrebbe avuto tutte le buone ragioni per farlo. Il problema, l’enorme guaio, era che avevo cominciato a considerare la sua presenza scontata, eppure, ogni volta che lo trovavo a casa o che entrava dalla porta d’ingresso, il mio cuore perdeva un battito. Non era felicità, poteva esserne lo spettro probabilmente, o forse era qualcosa di ancora diverso: avevo dimenticato da tempo, come fosse provare determinate emozioni che mi ero precluso anni addietro.
Stavo per perdermi di nuovo nei ricordi di quel giorno di otto anni fa, quando sentii qualcuno venirmi addosso, sulla strada che mi portava dal negozio dove lavoravo a casa. Alzai lo sguardo verso l’individuo, almeno per fargli notare che avrebbe dovuto scusarsi, ma non appena i miei occhi incontrarono i suoi, decisi che non era il caso di fargli notare proprio niente. Mi allontanai di qualche passo, per poi scusarmi velocemente e superarlo affrettando il passo, con una certa ansia di arrivare nel mio appartamento. Non so bene perché mi fossi comportato così, ma c’era qualcosa che non mi piaceva nella faccia di quell’uomo, il modo in cui mi guardava mi aveva spaventato e fatto venire voglia di scappare. Che reazione ridicola per un ragazzo di ventiquattro anni, stavo pensando mentre scuotevo la testa. Mi stavo ancora dando del bambino, quando sentii qualcuno afferrarmi per un braccio, facendomi vedere le stelle dal dolore a causa dei tagli, e mi girai verso la persona in questione inviperito. Rabbrividii, rendendomi conto che era lo stesso tizio di prima, e mi odiai per aver scelto di fare il turno di pomeriggio, dato che ora la strada era decisamente meno affollata che di giorno. Cercai di non partire in quarta, nonostante la sensazione che avessi fosse tutt’altro che buona, invitando con educazione quell’uomo a lasciarmi tornare a casa. La risposta che mi diede non fece che peggiorare le cose: mi avrebbe fatto tornare a casa, solo dopo aver “giocato” con me. Spalancai la bocca, domandandomi se per “giocare” intendesse quello che pensavo, e cominciai a guardarmi intorno inorridito. Tutti quelli che si trovavano in giro a quell’ora, erano sicuramente persone che tornavano a casa dopo una stancante giornata di lavoro, troppo presi dalla fretta di rincasare o dalla spossatezza per notarmi. Anche perché la voce aveva deciso di abbandonare momentaneamente la mia gola, impedendomi di urlare o di emettere alcun suono che non fosse qualche basso lamento. L’uomo sorrise, o meglio, storse la bocca in una strana smorfia che avrebbe dovuto sembrare un sorriso, forse perché persone del genere non erano capaci di sorridere normalmente. Non appena mi accorsi che la presa sul mio braccio si era allentata, seppur di poco, ne approfittai per liberarmi con uno strattone, ignorando il dolore delle pelle che si squarciava nuovamente. Mi girai e cominciai a correre senza nemmeno rendermi conto di che direzione avevo preso, mentre sentivo il familiare liquido caldo colarmi sotto le fasce, fino a raggiungere il polso. Il sangue cominciò a gocciolare nel mio palmo, fino a bagnarmi le dita e cadere sull’asfalto del marciapiede, costringendomi a fermarmi senza fiato per constatare l’entità del danno. Peccato però, che non appena cominciai a tirarmi su la manica della giacca, il tizio poco raccomandabile mi afferrò per il braccio ancora sano, questa volta facendomi urlare dallo spavento. Qualcuno si girò, semplicemente per poi voltarsi dall’altra parte, credendo forse che fosse un mio parente o qualcosa del genere, proseguendo tranquillamente per la loro strada. Non mi rimaneva che dibattermi, mentre l’uomo mi trascinava non so esattamente bene dove, con un braccio inutilizzabile e l’altro bloccato nella sua morsa. Avevo paura, paura di essere costretto a fare qualcosa di estremamente umiliante, perché non era certo il dolore a preoccuparmi. Allo stesso tempo però, in un momento del genere, avevo paura anche di quello, perché non ero stato io a cercarmelo e non sarei stato io a goderne: non volevo che mi guardasse, che mi toccasse. Cominciai a implorarlo di lasciarmi andare, senza ovviamente ottenere nessun risultato, se non quello di farlo ridere dei miei tentativi inutili.
Mi stavo quasi rassegnando a quell’orribile trattamento, imponendomi di cercare di farlo essere il meno penoso possibile, quando l’uomo davanti a me si bloccò all’improvviso, strattonandomi con malagrazia. Serrai gli occhi, non osando guardare quello che sarebbe avvenuto da lì a poco, mentre sentivo le lacrime cominciare a solcarmi le guance, lasciando una scia calda sulla pelle del mio viso. Ad un tratto però, la presa sul mio braccio svanì ed io barcollai all’indietro stupito, alzando lentamente le palpebre, solo per vedere il molestatore steso a terra, con una mano premuta sul naso sanguinante. Il sollievo mi pervase, quando lo vidi alzarsi e superarmi con una spallata, buttandomi a terra, ma almeno lasciandomi lì senza farmi altro. Alzai gli occhi ancora pieni di lacrime verso il mio soccorritore, tenendomi il braccio sanguinante con l’altra mano, non essendo in grado di alzarmi da solo. Rimasi quasi shockato, nel constatare che conoscevo la persona che mi aveva aiutato, sottraendomi ad un destino più che orribile. Si chinò su di me, senza nemmeno darmi il tempo di ringraziarlo a dovere, aiutandomi ad alzarmi con aria preoccupata e passandomi un braccio intorno alla vita, com’era ormai quasi d’abitudine.
-Come ti senti? Ti ha…toccato?- mi chiese, mentre io mi stringevo involontariamente a lui, ricominciando a piangere per la tensione accumulata e per il sollievo di essere finalmente al sicuro. -Ti porto a casa.- mi disse ricambiando la stretta, dopo che l’ebbi rassicurato scuotendo il capo, per fargli capire che grazie a lui non aveva avuto il tempo di farmi nulla. –Lo lascerò per ultimo, in modo che sappia che la morte sta arrivando a prenderlo.- lo sentii mormorare tra sé e sé, troppo confuso per chiedergli di cosa stesse parlando e a chi si riferisse. –Voglio che quel verme schifoso sappia che ogni azione si paga.- continuò, mentre sentivo la rabbia cieca crescere nella sua voce.
L’ultima cosa che vidi, prima di svenire tra le braccia del mio salvatore, fu il familiare portone del mio palazzo, segno che ero finalmente arrivato a casa; l’ultima cosa che percepii invece, fu la sensazione piacevole di essere preso in braccio, beandomi del calore che emanava il suo petto come la prima volta.
 
Qualcuno mi stava accarezzando i capelli; qualcuno con un tocco gentile e delicato, le dita calde che ogni tanto mi sfioravano la fronte, spostando la frangia rossastra. Se non mi fosse stato chiaro sin dal principio che quelle erano le mani di un uomo, avrei quasi creduto di essere tornato indietro nel tempo, a quando mia madre era viva e mi metteva a letto la sera. Avevo il sospetto di conoscere già l’identità del ragazzo che mi stava abbracciando, perciò aprii lentamente gli occhi per verificare se avessi ragione. Solo per scoprire che mi sbagliavo: mi sarei aspettato di trovarmi davanti il viso di Kai, dato che era stato lui a riportarmi a casa, invece quello che si presentò ai miei occhi era il sorriso tutto denti di Park Chanyeol. Aveva stampata sul volto la solita espressione da cucciolo mezzo idiota, però ormai lo conoscevo abbastanza bene da capire quanto in realtà fosse preoccupato, cosa che mi dispiaceva un po’.
Mentre lui ancora sorrideva, sentii una presenza familiare strusciarsi contro il mio collo, regalandomi la sensazione di morbidezza e calore che avevo cominciato ad apprezzare. Dobi, il gattino nero che mi aveva regalato proprio l’altro ragazzo, cominciò a fare le fusa rannicchiandosi come al solito sotto il mio mento, leccandomi piano una guancia. Inizia ad accarezzargli la testolina, percependo che anche lui doveva aver capito che c’era qualcosa che non andava, cercando di rassicurarlo come meglio potevo.
-Era preoccupato per te, non è stato zitto un secondo.- mi informò il moro ancora sdraiato al mio fianco.
-Povero amore…- mormorai al micio che cominciava a rilassarsi. –Kai è andato via?- gli chiesi alzando gli occhi su di lui, domandomi cosa gli avesse raccontato effettivamente il mio soccorritore.
-No, è in cucina a fare il latte. Ha detto che è l’unica cosa che sa cucinare.- mi rispose annuendo. –Mi ha chiesto di “dargli il cambio” quando sono arrivato, hai avuto gli incubi hyung.- mi rivelò stringendo involontariamente la presa intorno alle mie spalle, facendomi notare che indossavo il pigiama.
-Mi dispiace… Non dovreste preoccuparmi.- sbiascicai, sentendomi la persona più orribile ed ipocrita dell’universo, perché in realtà ero contento della sua presenza nel mio letto.
-Me l’hai ripetuto un’infinità di volte, quando capirai che non serve a nulla?- sbuffò lui esasperato.
-Ancora non capisco perché mi hai preso tanto a cuore.- ammisi perplesso, osservando Dobi che crollava addormentato grazie alle mie carezze, come faceva quasi tutte le sere.
-Mi dicono che ho un debole per i casi disperati.- affermò alzando le spalle, mentre io spostavo piano il gattino in quella che ormai era la sua “parte” di letto, attento a non svegliarlo di nuovo.
-Non mi puoi aiutare, nessuno può.- sbottai io, sentendo l’ansia crescere dentro di me senza un motivo apparentemente valido, decidendo di alzarmi e raggiungere Kai in cucina.
-Lasciami provare, tanto non mi arrendo così facilmente.- ribatté lui afferendomi per il braccio a cui mi ero fatto male poco prima, facendomi mugolare per il dolore.
-E’ proprio questo il tuo problema: non demordi.- lo accusai voltandomi, per poi lasciarmi riportare a letto, seduto sulle sue gambe innaturalmente lunghe. –Qualsiasi altra persona sana di mente, non perderebbe ancora il suo tempo con uno come me dopo un anno e mezzo. Perché tu invece sì?- mi lamentai, non avendo però la forza di cacciarlo o di fare cose di quel genere.
-Non posso dirtelo hyung, è un segreto.- scherzò lui come al solito, poggiando la testa sulla mia spalla.
-Sei proprio un coglione senza speranze, Chanyeol.- lo rimproverai, meravigliandomi del tono lamentoso con cui era uscita fuori la mia voce mentre parlavo.
-Posso chiederti quando e perché hai cominciato a…farti del male?- mi sorprese facendosi improvvisamente serio, passandomi le braccia intorno alla vita.
-Otto anni fa, andavo ancora a scuola. Per quanto riguarda il perché, posso dirti che era per distrarmi dal dolore psicologico.- gli confessai, stupendomi di me stesso. –Non pensavo che sarebbe diventata una dipendenza, quando l’ho fatto le prime volte.- continuai massaggiandomi le tempie.
-Avevi sedici anni giusto?- mi interruppe lui, facendomi sdraiare di nuovo con la schiena sul materasso.
-Sì esatto, sai fare bene i conti.- mi complimentai sorridendo, più per alleggerire l’aria che per altro.
-Come mai soffrivi così tanto da non poterlo sopportare? Psicologicamente intendo…- mi domandò, pensando bene di approfittare di quel mio momento di apertura nei suoi confronti.
-Perché mia madre aveva il cancro, di nuovo.- lo accontentai, cercando di non piangergli addosso. –Dopo tre anni è morta, e mio padre l’ha seguita quattro mesi dopo. Si è lasciato morire d’amore, non poteva stare senza di lei.- gli raccontai nascondendo il viso sulla sua spalla. –Ovviamente le cose sono degenerate, da quando non dovevo più…nascondermi davanti a loro. In più ero maggiorenne da un anno quando se ne sono andati, perciò eccomi qua.- proseguii respirando profondamente.
Lui non disse niente, cosa che apprezzai molto, dato che qualunque cosa avesse detto sarebbe stata completamente inutile; si limitò a cullarmi tra le sue braccia, stringendomi forte ma allo stesso tempo delicatamente, senza farmi sentire dolore da nessuna parte. Era la prima persona a cui confidavo il motivo che mi aveva portato a quella droga, ma sapevo che a lui potevo dirlo: che anche se non fosse riuscito a comprendere le mie azione, ne avrebbe almeno capito il motivo. Con Chanyeol stavo…bene.
Lo realizzai solo in quel momento, mentre lui cominciò a sussurrarmi parole rassicuranti all’orecchio, poiché si era accorto che avevo cominciato a tremare visibilmente. Non sapevo bene nemmeno io cosa mi facesse rabbrividire, se il ricordo di mia madre o la tensione accumulata per lo scampato stupro, sapevo solo che se non ci fosse stato lì lui, probabilmente mi sarei sfogato in qualche maniera deleteria. Probabilmente avrei infierito ancora sui miei polsi, o mi sarei indotto il vomito…c’erano tante di quelle possibilità. Il punto era che non lo stavo facendo, ed era solo grazie a quel ragazzo smisuratamente alto.
Credevo ormai di non essere più capace di provare affetto, per merito suo invece ero stato costretto ad ammettere che non era così, poiché mi ero affezionato immediatamente al cucciolo che mi aveva regalato; pensavo che non sarei mai più stato in grado di preoccuparmi per qualcuno, e anche lei avevo dovuto capitolare, dato che per lui mi preoccupavo eccome; ero convinto di aver perso qualsiasi capacità di amare, di provare amore…ma mi ero sbagliato di nuovo, perché non avrei saputo come altro definire quel misto di sensazioni che mi pervadevano quando ero con lui. Era così incredibile, così improbabile, che mi ero deciso a considerarlo impossibile. Il fatto che fossi innamorato di lui però, non cambiava affatto le cose: come avrei potuto amarlo nel modo giusto, se non riuscivo a volere bene a me stesso? Come potevo trattarlo come meritava e rispondere alla sue necessità, se mi odiavo sin dal primo giorno in cui avevo cominciato a sfregiarmi? Non potevo, semplicemente non ne sarei stato capace.
-Non mi lasciare… Non mi abbandonare anche tu.- piagnucolai alla fine, pentendomene subito dopo.
-No che non ti lascio, io voglio restare.- mi rassicurò lui, baciandomi una guancia con incertezza. –Vado a controllare che Kai non abbia fatto saltare in aria la cucina, aspettami qua.- esclamò alzandosi col sorriso. –Ti porto una bella tazza di latte caldo, ne hai bisogno.- mi spiegò, prima di uscire dalla stanza.
Mi sentii immediatamente solo e triste, quando vidi la sua ampia schiena sparire tra gli stipiti della porta, mentre si apprestava a raggiungere l’altro ragazzo in sala. Perciò, non potei fare a meno di prendere in braccio Dobi, interrompendo il suo pacifico sonno, per poi cominciare ad accarezzarlo. Il gattino non sembrò affatto volermene, per averlo svegliato così brutalmente, iniziando a fare le fusa tra le mia braccia, mordicchiando le mie bende per gioco come faceva spesso per divertirsi.
 
Il giorno dopo, nonostante la ferma opposizione di Kai e Chanyeol, uscii di casa alla solita ora per andare a lavoro, non intenzionato a lasciarmi condizionare dagli avvenimenti del giorno prima. In realtà, se si fosse trattato dello stesso orario di ieri, probabilmente mi sarei inventato qualche scusa per non andare, ma essendo il turno prima di pranzo, mi sentivo alquanto più sicuro. Solo quando ormai ero a metà strada, mi ricordai che quel giorno avrei dovuto attaccare un’ora dopo, dandomi dell’idiota per essermene dimenticato. Tornare indietro sarebbe stato controproducente, anche solo per il fatto di dovermi sorbire quei due che si erano piazzati a casa mia, ma anche perché non avrei fatto in tempo a raggiungere il mio piano che sarei dovuto riuscire di nuovo. Mentre ancora riflettevo su come impiegare tutto quel tempo extra, mi imbattei nella nuova pasticceria che aveva aperto non meno di due settimane fa; da fuori non sembrava male. Stavo ancora osservando i dolci in vetrina, ignorando il fatto che avessi già fatto colazione, quando mi ricordai di una conversazione avuta un paio di giorni fa con l’amante dei casi disperati. Mi aveva detto di esserci stato, e aveva anche portato un paio di paste, e che aveva incontrato un ragazzo che conosceva; si era messo a raccontarmi che questo tizio, la mattina se ne stava lì in mezzo ai fiorellini e ai colori pastello, mentre la sera faceva il barista al pub dove si era ubriacato la sera che avevamo visto il film. Ebbi la forte tentazione di ringraziarlo, per essersi assicurato che il mio cucciolo tornasse a casa sano e salvo, e senza rendermene conto ero già dentro per vedere se lo riconoscevo. Scossi immediatamente la testa, shockato dalle mie stesse azioni facendo per uscire, quando il profumo di dolci mi fece ricordare che avevo del tempo extra da perdere. Che male c’era ad assaggiare qualcosa? Assolutamente nessuno. Stavo giusto cominciando a guardarmi in giro, che notai una ragazza seduta ad un tavolo fissarmi socchiudendo gli occhi, come se cercasse di riconoscere in me qualcuno che aveva già visto da qualche altra parte. Le lancia un’occhiata di sfuggita, assicurandomi che sì, ci eravamo già incontrati, in quanto era una delle ragazze che avevo truccato con più piacere, essendo mezza occidentale. Non capitavano spesso clienti stranieri in negozio, perciò mi era rimasta impressa quella bionda, se non altro perché era anche la cugina di Sehun, l’unico ragazzo a cui mi ero concesso una seconda volta. La salutai con la mano sorridendo, gesto che ricambiò con piacere, per poi tornare agli appunti che aveva davanti, lasciandomi scegliere cosa volevo ordinare in tranquillità assoluta.
-Serve una mano?- mi chiese un ragazzo da dietro il bancone, con un sorriso quasi più dolce della torta che stavo guardando da quando avevo messo piede dentro.
-Vorrei prendere tutto, anche se credo di aver già scelto inconsciamente.- gli risposi, tirando fuori un minimo di gentilezza da non so bene quale remoto angolo del mio misero corpo.
-Ti posso fare una domanda?- sussurrò lui, sporgendosi in avanti con fare cospiratorio e una strana espressione sul viso dai tratti delicati, che lo faceva sembrare molto più giovane di quello che doveva essere.
-Mi avvalgo della facoltà di non rispondere in anticipo, se mi sembrerà opportuno non farlo.- gli concessi, incuriosito da tutta quella sua confidenza e da cosa volesse sapere.
-Ti chiami Baekhyun per caso?- proseguì dopo aver annuito alla mia condizione, lasciandomi a fissare i suoi occhi sconcertato, non capendo come avesse fatto ad indovinare il mio nome. –Oh, Channie è bravo a descrivere le persone. Ho capito subito che eri tu.- mi spiegò ammiccando.
Così quello era il “pasticciere picci picci” di giorno e il “barista tutto brillantini” la sera, nonché il conoscente di Chanyeol. E a quanto pare, quest’ultimo, non si era dato problemi a fornirgli il mio identikit.
-Ma non ha un caz-…nient’altro da fare?- mi corressi arrossendo leggermente, imbarazzato per il termine che stavo per usare davanti ad un completo sconosciuto.
-Sento molto peggio sull’altro posto di lavoro, credimi.- mi tranquillizzò ridacchiando. –Scommetto che è questa che vuoi.- indovinò indicando la torta che mi aveva attirato da subito.
-In realtà…Non so nemmeno cosa sia, mi piaceva…l’aspetto.- confessai annuendo incerto, mentre leggevo il nome sul suo cartellino: Kim Minseok. –Comunque ho cambiato idea, voglio quel cosa là.- lo informai, indicando un piccolo bicchierino di cioccolato con dentro la panna.
-Almeno sai cos’è no?- scherzò lui servendomi, sempre con il sorriso dolce sul volto da bambino. –Comunque quella torta si chiama “Biancaneve” ed è una sottospecie di strudel, solo con il cioccolato intorno.- mi chiarì lui, indicando la tortina con la glassa rossa e bianca che avevo puntato all’inizio.
La prima frase che mi venne in mente fu “Specchio, specchio delle mie Brame...”.
 
 
   
 
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