Storie originali > Storico
Ricorda la storia  |      
Autore: Yoan Seiyryu    22/09/2013    3 recensioni
Il volto di Elizabeth Eleanor Siddal non verrà mai dimenticato, una donna di umili origini che ha l'occasione di diventare la modella di John Everett Millais, uno tra gli esponenti maggiori della Confraternita dei Preraffaelliti. Viene raffigurata nel momento in cui Ophelia, personaggio shakesperiano appartenente all'Amleto, è trascinata dalle acque del fiume. Quali sono i sentimenti di Lizzie a riguardo? E' davvero pronta per intraprendere una strana simile? Entrare in un mondo simile equivale a perdersi in un abisso senza fondo, riuscirà Lizzie a mantenersi in superficie?
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: L'Ottocento
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Questa one-shot ha partecipato al contest di Marge86: "I titoli del Maestro"

 


Ophelia





John Everett Millais era affacciato alla piccola finestra del suo studio, con un pezzo di stoffa si ripuliva le dita dai colori che aveva preparato per continuare il suo nuovo dipinto.
Le unghie erano inumidite dal rosso e dall’azzurro, il giallo colava sui polpastrelli e non vi era modo di sbiadirlo. In fondo un pittore che non si divertiva con i propri colori, non poteva essere considerato un grande creatore ed un creatore era di rimando un artista.
John era il meno carismatico della Confraternita dei Preraffaelliti, fondata principalmente insieme a Dante Gabriel Rossetti e William Holman Hunt, quegli amici con cui amava trascorrere le serate insieme a suon di  birra per scambiare opinioni sulle future opere che nessuno desiderava mai acquistare.
Tranne le proprie, ovviamente. John aveva ancora uno stile conservatore che piaceva agli espositori delle mostre.
Ruskin, il critico d’arte, si mostrava perennemente ostile alle opere di Hunt e Rossetti, ma quelle di John riuscivano a raggiungere piccoli spazi sulle pareti della Royal Accademy di Londra.
In quel momento si avvide che la sua modella era intenta ad attraversare la strada in tutta fretta, era in leggero ritardo, solitamente non capitava mai.
Sorrise appena, era entusiasta del lavoro che stava portando avanti con tanto zelo, desiderava terminarlo il prima possibile per mostrare a Ruskin quello che sarebbe stato il suo maggior capolavoro.
Era piuttosto certo che non potesse essere diversamente, fino ad allora non aveva mai dipinto nulla di così attraente.
Si voltò rapidamente ed ordinò all’unico servitore a cui poteva appellarsi di accendere altre candele e di posizionarle sotto la vasca colma d’acqua che aveva fatto trascinare nel suo studio.
Ormai erano settimane che conviveva con essa, svuotata o meno dal suo contenuto, era sempre motivo di grande ispirazione.
Alcune andavano già spegnendosi, in fondo le aveva fatte accendere poco prima dell’arrivo della sua modella, per consentirle un bagno tiepido, ma non aveva previsto quel ritardo.
In quel momento sentì bussare alla porta, si precipitò prima del servitore per poterla andare ad aprire, non voleva perdere altro tempo.
Si ritrovò davanti una bellezza rara, una di quelle in grado di trascinarti via come un fiume in piena, una di quelle che non potrai mai dimenticare.
John non era attratto da lei, non si era mai accostato ad una donna in quel modo, preferiva dipingerle. O per il semplice fatto che nella sua testa giaceva un altro volto che avrebbe desiderato stringere tra le proprie mani.
I lunghi capelli morbidi e rossi come fiamme si adagiavano sulle spalle, gli occhi chiari e lucenti si soffermarono sul pittore, volgendo un sorriso all’angolo della bocca.
“Lizzie!” esclamò lui, aprendo di più la porta per lasciarla passare.
Elizabeth Eleanor Siddal, la modella preferita della Confraternita, colei che avrebbe donato loro i migliori dei dipinti.
Lei gli rimandò uno sguardo leggermente imbarazzato, non si sentiva ancora come a casa sua e preferiva rispettare certe regole, anche se negli angoli dei pittori esse erano difficili da rispettare.
“Oh, entra pure” aggiunse quasi subito John, arrossendo fino alla punta delle orecchie, prima di scostarsi per lasciarla passare.
Lizzie Siddal si fece avanti, chinando la testa come segno di ringraziamento, senza accennare ad alcuna parola.
Era sempre silenziosa, qualità che a John piaceva molto, preferiva essere una attenta osservatrice che un diletto per gli orecchi altrui. Tranne per quello che sarebbe diventata in futuro, in compagnia di Rossetti.
“Perdonami, di solito non mi piace arrivare tardi. Quando lavoravo in cappelleria ero costretta ad essere sempre in anticipo” aggiunse in tono di scusa continuando ad incamminarsi verso la zona aperta dello studio, dove giaceva la grande vasca.
“Solitamente le modelle non sono mai in orario, ti sei calata nella parte” le  sorrise bonariamente, anche se fu allora che Lizzie si voltò per lanciargli uno sguardo carico di furia.
“Non mi sono calata nella parte, io sono una modella a tutti gli effetti” disse a denti stretti, divorandolo con gli occhi che si erano piegati leggermente per sembrare più induriti.
John deglutì, non era mai stato forte caratterialmente e le discussioni non facevano parte delle sue peculiarità.
Si limitò a scrollare le spalle, in realtà finì per pensare che in futuro Lizzie sarebbe potuta cadere tra le braccia di Rossetti, diventando una modella a tutti gli effetti, cucendosi addosso una reputazione che il Signor Siddal aveva paura che potesse ottenere.
“Non intendevo offenderti Lizzie, mi dispiace” sussurrò John, pentito per aver parlato troppo, senza badare ai possibili sentimenti di lei.
Per ovviare a quella spiacevole situazione, indicò con un gesto la veste bianca che Lizzie indossava ad ogni seduta di posa, per interpretare il personaggio che il pittore avrebbe riportato sulla tela.
Lei non se lo fece ripetere, forse un po’ pentita per essersi mostrata aggressiva nei suoi confronti. A volte le capitava di sentirsi autorizzata ad uscire fuori dagli schemi, ma John Millais era sempre stato gentile con lei, perché trattarlo in quel modo?
Non riusciva a spiegarselo. La vita che aveva scelto era diversa dalla precedente, una giovane commessa intenta a imbastire cappelli che si era ritrovata a fare da modella ad un grande artista come William Hunt e subito dopo a lavorare per John Millais, il più amato della Royal Academy, dopo William Turner.
Dunque cos’è che stava cambiando in lei? Non era forse in grado di affrontare tutto quello che si prospettava per lei?
Sarebbe divenuta immortale, non avrebbe potuto cedere a nessuna un’occasione simile. Lei era Elizabeth Siddal, la futura Ophelia che avrebbe allietato i critici d’arte e riempito le mostre.
Sentì chiudere le finestrelle, era il momento di iniziare a posare come tutte le altre volte.
Indossò la bianca veste dopo essersi tolta gli abiti verdi, uscì da dietro il paravento con estrema leggerezza, tanto che John dovette alzare gli occhi dagli schizzi che stava osservando, per accorgersi di lei.
Le sorrise, facendole segno di venire avanti. Come al solito era perfetta, la corona di fiori che le aveva sistemato sul capo le si adagiava perfettamente, trasformandola in una regina.
“Quanto manca per terminare il dipinto?” domandò Lizzie, accarezzandosi leggermente la veste, prima di avvicinarsi al tavolo su cui erano appoggiati gli schizzi in carboncino.
“Non molto, con oggi dovremmo terminare. Mancano alcuni particolari, ma non posso mostrarti nulla in anticipo, dovrai attendere fino alla fine” sorrise John con il suo solito modo di fare allegro, si era già dimenticato della tensione che aveva preceduto quel momento.
“Muoio dalla curiosità di vedere il risultato, ma non ho alcun potere decisionale” ricambiò il sorriso, per fargli capire di essere dispiaciuta.
Poi gli diede le spalle e si avvicinò alla vasca colma d’acqua, John accorse verso di lei per poterle concedere una mano ed aiutarla ad entrare all’interno, scivolando nel fiume di Ophelia.
Lizzie strinse le labbra e si morse l’interno della guancia, le scorse volte l’acqua era molto più calda, ma non poteva risentirsi né lamentarsi di quelle condizioni.
Ripeteva a se stessa che aveva scelto quella vita e che non avrebbe potuto farne a meno, perciò avrebbe posato anche se l’acqua si fosse trasformata in ghiaccio.
“John…” lo richiamò, dopo che sollevò i palmi delle mani sfiorando il filo dell’acqua e che socchiuse gli occhi fingendo un sonno mortale.
“Uhm?” mugugnò lui che era corso di fronte alla tela, afferrando i pennelli e la tavolozza di colori freschi che aveva preparato con cura.
“La prima volta che sono venuta qui hai letto un passo di…” mosse le dita con leggero imbarazzo, avvolgendo l’acqua che ricadde di nuovo al di sotto.
“Di Shakespeare” corse immediatamente lui a coprire quella mancanza, per mostrarsi gentile.
“Certo. Potresti rileggermi sempre quello in cui si racconta di Ophelia? Non ci vorrà molto, te ne prego” quasi lo supplicò, abbassando il tono della voce.
La prima volta che aveva udito lo scorrere di quelle parole si era immersa in un mondo fuorviante, diverso dal suo. Poteva diventare chiunque avesse desiderato interpretare.
In quel momento non sarebbe stata più Lizzie Siddal, ma Ophelia.
John storse le labbra in una smorfia, grattandosi la nuca con una certa agitazione. Le candele non avrebbero retto molto e il tempo era poco, ma non era in grado di negarle una richiesta simile. Dunque si spostò dalla tela con un certo rammarico, dirigendosi verso il tavolo dove aveva lasciato una copia dell’Amleto.
Si schiarì la voce e cercando il passo iniziò a leggere ad alta voce. Un poco balbettava, ma alle orecchie di Lizzie arrivava il canto di un usignolo.

“C'è un salice che cresce di traverso
ad un ruscello e specchia le sue foglie
nella vitrea corrente; qui ella venne,
il capo adorno di strane ghirlande
di ranuncoli, ortiche, margherite
e di quei lunghi fiori color porpora
che i licenziosi poeti bucolici
designano con più corrivo nome
ma che le nostre ritrose fanciulle
chiaman "dita di morto"; ella lassù,
mentre si arrampicava per appendere
l'erboree sue ghirlande ai rami penduli,
un ramo, invidioso, s'è spezzato
e gli erbosi trofei ed ella stessa
sono caduti nel piangente fiume.
Le sue vesti, gonfiandosi sull'acqua,
l'han sostenuta per un poco a galla,
nel mentre ch'ella, come una sirena,
cantava spunti d'antiche canzoni,
come incosciente della sua sciagura
o come una creatura d'altro regno
e familiare con quell'elemento.
Ma non per molto, perché le sue vesti
appesantite dall'acqua assorbita,
trascinaron la misera dal letto
del suo canto ad una fangosa morte.”

Lizzie, nel suo galleggiare sull’acqua tiepida di una vasca, si era immaginata scorrere in un fiume che la trascinava lontano dalla sua casa, verso direzioni impervie ed infelici.
Non sarebbe stata più la stessa, dopo aver vissuto come Ophelia. Avvertiva le vesti gonfie d’acqua, per poco non si sentì attrarre verso il fondo, inglobata da una fine tremendamente vicina.
Sarebbe morta, risorgendo come una nuova donna. Non più una commessa, non più una brava figlia, ma una donna risoluta e nuova che si era costruita grazie alla fatica e all’aiuto dei migliori pittori di Londra.
Prima Hunt, poi Millais e forse anche Rossetti. Sentì gli occhi inumidirsi di lacrime che trattenne con vigore, sforzando l’espressione del viso in modo duro ed ostile a quella debolezza.
John, che si era accorto di quel mutamento, chiuse il libro e si diresse verso di lei, sfiorandole la fronte con dolcezza, come si fa ad una bambina in preda al panico.
“Ci sono io qui, Lizzie. Non sei sola” sorrise, cosicché quando lei aprì gli occhi poté incontrare i suoi occhi.
Non riuscì a dire nulla, rimase chiusa nel suo silenzio, facendo scivolare le calde lacrime sul viso per poi tornare rigidamente a posare.
“Se desideri parlare, fai pure, ti ascolterò. Non vorrei che ti annoiassi” accennò con divertimento John “la scorsa volta per poco non ti sei addormentata” ridacchiò al pensiero.
“Non ho molto da dire, ma ti ringrazio John. Credo che mi concentrerò sulla posa” rispose lei, poco volenterosa di aprire se stessa ad un pittore dolce e sbadato.
Forse era proprio questo, John era mansueto, delicato, affabile. Poteva gioire di trovarsi con una persona così pura ma si sentiva spaventata, avrebbe potuto contaminarlo con le sue mancanze.
Parlare non le piaceva, soprattutto in situazioni simili.
John si scrollò le spalle, tornando al posto di lavoro, in fondo preferiva così. Non era mai stato un grande oratore e il silenzio era qualcosa da apprezzare.
Sapeva che Hunt amava riempire le proprie modelle di chiacchiere su di sé, oltre a portarsele a letto quando possibile.
Per non parlare poi di Rossetti, che aveva sin troppe amanti per i gusti di John. No, John avrebbe donato il proprio cuore ad una donna sola e non l’avrebbe lasciato divagare per chissà dove.
Temeva invece per Lizzie, che era troppo pura ed ingenua per comprendere quel tipo di mondo. Sperò sinceramente che non sarebbe incappata in qualche brutto scherzo del destino.
Tornò in sé, iniziando finalmente a completare la sua opera, con svariate pennellate per poter raggiungere il tocco finale, che l’avrebbe reso celebre. Si concentrò soprattutto sul viso di Ophelia, sull’espressione, che a dire il vero non era difficile da interpretare da quando Lizzie si era sentita così simile a lei.
In fondo, una donna che non era riuscita a scacciare via dal cuore l’amore per un uomo che aveva scelto la vendetta, era una storia che poteva ripetersi.
Forse anche Lizzie aveva dei trascorsi simili, forse anche lei aveva sofferto per amore. Quello che non poteva sapere John era che invece, il suo futuro sarebbe stato marcato proprio dalla sofferenza per un amore che non era affatto incontaminato.
Trascorsero svariate ore, il pomeriggio si era fatto più freddo del solito, ma nessuno dei due aveva accennato a fare una pausa.
Spesso lavoravano per sette ore di seguito, a volte non si accorgevano di quanto tempo passasse. John in realtà aveva in mente qualcosa di diverso, qualcosa a cui non avrebbe dovuto pensare: Euphemia Ruskin, la moglie del critico d’arte più rinomato di Londra. Deglutì a vuoto, lasciando scivolare il pennello dalla tela, chiudendo gli occhi con grande mortificazione.
Doveva finire di pensare a lei, doveva abbandonarla ad un ricordo che sarebbe diventato lontano. Una donna sposata!
Scosse la testa velocemente, stropicciandosi gli occhi per potersi togliere dalla testa la sua immagine che si faceva sempre più vivida.
La stanchezza era evidente e le candele poste sotto la vasca si erano quasi del tutto spente, ne erano rimaste accese soltanto due o tre. Non si era reso conto di non averle controllate, troppo preso dai suoi pensieri, dalla lotta contro se stesso e dall’opera che andava completata.
Lizzie aveva iniziato già da un po’ a sentire freddo, un freddo pungente che si infittiva tra le membra, tanto da irrigidirle tutto il corpo. Aveva le labbra violacee e il pallore del viso era preoccupante, ma non desiderava in alcun modo disturbare l’artista al lavoro.
Interromperlo avrebbe potuto spezzare la magia. Eppure poco a poco non riusciva più a sentire le forze nelle braccia e nelle gambe, iniziava ad adagiarsi sul letto dell’acqua, sprofondando fino a toccare il fondo. Non ebbe la forza di risalire, né di respirare, immersa in una morte così vicina che l’avrebbe potuta fare annegare, così come Ophelia. Non si ribellò, né tentò di salvarsi. Si abbandonò a se stessa, lasciando che fosse il destino a decidere di lei.
John in quel momento si decise a lasciare la tela, avvicinandosi alla vasca, ma quando si rese conto che Lizzie era sprofondata e che le candele si erano spente del tutto, urlò con forza.
“Lizzie!” cercò di chiamarla più volte “Lizzie! O Dio, che cosa ho fatto?” inveì contro se stesso, gettandosi ai piedi della vasca per poter immergere le braccia all’interno dell’acqua.
Era fredda, gelida come la morte. Ed era stata tutta colpa sua.
La sollevò in fretta, la pelle bruciava per quel freddo così intenso, come aveva potuto distrarsi in quel modo? Come aveva permesso che accadesse?
Quasi non finì per scoppiare a piangere, rendendosi conto che era svenuta. La trascinò con foga fuori da quel pavimento di ghiaccio, ma finì per scivolare a terra insieme al corpo di lei.
“Lizzie, ti prego svegliati. Lizzie, Lizzie!” la monotonia del suo nome citato più volte finì per richiamare l’attenzione del servitore che accorse a controllare che cosa fosse accaduto.
Non appena entrò nello studio di John, si prodigò ad aiutare il padrone.
“Corri, chiama una carrozza ed un medico, dobbiamo portarla a casa sua!” gli ordinò con veemenza, mentre la stringeva a sé per poterla riscaldare.
Il servitore eseguì subito gli ordini, tenendo stretto il corpo di lei in una morsa colma di speranza.
“Ti prego Lizzie resisti, perdonami per quello che ho fatto” le lacrime continuavano a scivolare insieme ai singhiozzi che non poteva trattenere.
John non sapeva controllare le proprie emozioni, aveva paura, paura di aver deluso tutti quelli che credevano in lui. Di aver ucciso Elizabeth, la modella perfetta.



Erano trascorse settimane da quell’incidente, Lizzie non guarì mai del tutto e la sua salute si indebolì, tanto che un qualunque raffreddore le costava la sospensione del suo lavoro da modella.
Quando Rossetti venne a conoscenza della cosa, si infuriò grandemente con John Millais, per essersi comportato da sciocco come al suo solito.
Dovette pregare mille volte il Signor Siddal di far tornare la figlia a posare per lui, l’avrebbe presa sotto la sua ala protettiva, di modo che non andasse perduta una perla rara come lei.
Millais tentò mille volte di chiedere perdono, anche se fu costretto a pagare una quota di denaro molto alta al padre di Lizzie, per quello che le aveva procurato.
In fondo glielo doveva, a causa sua Lizzie aveva quasi rischiato di morire.
Ma non si perse d’animo e riuscì a completare il dipinto, esponendolo con soddisfazione alla Royal Academy. Il senso di colpa era fuggito velocemente, concentrato sulle rifiniture del dipinto, anche se andava spesso a trovare la sua modella a casa, per rincuorarla che presto sarebbe riuscito a terminarlo.
Quel giorno era arrivato, tutti avrebbero potuto ammirare la sua opera, apprezzandolo finalmente come avrebbero dovuto fare.
Si aggirava per la sala dandosi un gran da fare per sistemarsi il colletto della camicia, in perenne agitazione. Sarebbe diventato immortale, o dimenticato da tutti. Ogni cosa si sarebbe stabilita in quel giorno.
Lizzie e Rossetti finalmente giunsero insieme, lei si appoggiava al suo braccio cercando stabilità e sicurezza, mentre lui sfoggiava il solito dei sorrisi, carico di carisma e spavalderia.
John accorse immediatamente verso di loro, afferrando una mano di Lizzie e stringendola nella propria, per comunicare la propria esagitazione.
“Finalmente siete arrivati!” esclamò felicemente.
Lizzie e John erano rimasti in buoni rapporti, anche se lei non posò mai più per lui. Ed in fondo, non vi era proprio bisogno di farlo, ormai la sua grande opera era stata completata.
“Salve Johnny, che novità ci sono? Il Signor Stone non mi sembrava particolarmente soddisfatto all’ingresso della sala. Ruskin è già arrivato?” domandò Rossetti, impedendo a Lizzie di intervenire nella conversazione, come a volerla preservare dal resto del mondo.
John deglutì, spaventato e speranzoso al tempo stesso.
“Non ancora, ma non vedo perché non dovrebbe apprezzare il dipinto: era soddisfatto del tema, l’ha commissionato appositamente!” esclamò in vena di scuse John.
Rossetti storse le labbra, l’invidia gli si leggeva negli occhi. Una commissione da parte di Ruskin valeva molto più di qualunque altra in tutta Londra.
Lizzie abbandonò la mano di John e il braccio di Rossetti, lasciandoli entrambi interdetti. Scivolò tra loro soavemente, avvicinandosi alla parete di esposizione in cui era appesa l’Ophelia.
Osservò se stessa in quel dipinto, mentre il fiume la conduceva via verso l’oscurità, un baratro da cui non sarebbe potuta uscire.
Risalire era troppo impegnativo. Avvertì le lacrime consumarsi negli occhi, mentre poggiava l’indice della mano sulle labbra, per mandare via un singhiozzo.
Quello fu il suo punto di non ritorno.



 
 
Note:
-Da notare l’espressione di linguaggio tra i due, non vi è uso del voi appositamente, la confidenza era tale da permettere una conversazione informale.
-Elizabeth Siddal fu prima modella di Hunt prima, poi di Millais ed infine di Rossetti divenendo sua moglie.
-In questo caso il dipinto è quasi concluso ma in realtà quando accadde l’incidente era appena a metà e fu difficile per Millais continuare senza modella.




 
   
 
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Storico / Vai alla pagina dell'autore: Yoan Seiyryu