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Autore: Le streghe di Salem    22/09/2013    1 recensioni
James è un ragazzo problematico. Sua madre sembra odiarlo, spinta dal patrigno. Suo padre è morto. Non ha amici, a parte una che frequenta una scuola esclusiva, e che quindi non vede mai.
Le uniche cose che lo aiutano ad andare avanti, sono il fidanzato, Andrew, l'amica, Clarissa, e sì, strano ma vero, la sua gatta nera. Ah, e un po' (ma non ditelo a nessuno) la sua psicologa, Carmilla.
DAL TESTO
"E avanti così a parlare per due ore di cosa ho fatto e perché l’ho fatto. All’inizio do sempre risposte ovvie , della serie “Perché hai guardato proprio quel film?” “perché mi piace”, ma poi Carmilla riesce SEMPRE a tirarmi fuori delle vere risposte.
A proposito, non ho spiegato il motivo per cui sono obbligato a vedere Carmi. Disturbo bipolare, autolesionismo e lieve schizofrenia.
Sì, lo so, sono messo male."
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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PSYCHIC


Domenica 4 dicembre. Pomeriggio.
 
Numero di film visti: 4
Numero di messaggi mandati ad Andrew: 1
Numero di messaggi mandati a Clarissa: 2
Numero di messaggi inutili che loro hanno mandato a me, senza che io rispondessi: 56
 
Caro, stupido, inutile, fastidioso diario.
Mia madre ha iniziato a regalarmi quaderni su quaderni, per farmi scrivere “ciò che provo”.
Ma, dannazione, non le passa per la testa che magari non voglia fare quello che dice la psicologa? Che magari voglio parlare con lei, con mia madre, invece che scrivere su delle stupide pagine?!
Comunque, sarà meglio iniziare dall’inizio. Oh, wow, sembra un gioco di parole.
Mi chiamo James Hasaki. Ho sedici anni e da sei vado da una psicologa quattro volte a settimana.
Hanno iniziato a mandarmi lì l’anno in cui mia madre si è risposata, ma penso che i problemi siano iniziati l’anno prima ancora, quando mio padre è morto.
In realtà, ero riuscito ad accettare questa cosa da solo. Ma poi mia madre si è sposata con quell’infimo idiota di Pete. Quello stupido pretende che mia madre faccia solo quello che dice lui, usando come scusa il fatto che è grazie a lui che lei si può permettere di pagarmi le sedute dallo psicologo e di vivere nei quartieri alti, invece di abitare in un appartamentino in affitto e fare la prostituta.
In realtà mia mamma era stata una grande chef. Poi Pete l’ha costretta a non lavorare più nel suo ristorante, convincendola del fatto che sappia cucinare come una qualunque donna, e non come una chef cinque stelle.
Quell’uomo mi ha rovinato la vita. Inoltre è razzista e omofobo. Infatti non mi sopporta, perché io ho preso i tratti orientali da mio padre.
E non sa, per fortuna, che mi piacciono gli altri ragazzi, altrimenti la mia vita sarebbe un inferno.
Ma come fa mia mamma a non vederlo per ciò che è davvero?!
Comunque, sono circondato da ostilità e antipatia ovunque, meno male che ci sono Clarissa, Andrew w Zitkala.
Clarissa è la mia migliore amica dai tempi delle elementari. È una ragazza super: è esile come un fuscello, con una massa di capelli rossi impressionante e un energia in corpo pazzesca. Purtroppo frequenta una scuola privata per ragazzi superdotati e la vedo solo nei week-end.
Andrew è il mio fidanzato. Anche lui è davvero forte: sono innamorato di lui da anni, ma pensavo che lui fosse etero. Sì, insomma, è il capitano della squadra di football della scuola, è sempre circondato da cheerleader fighe che si spoglierebbero solo se lui si mostrasse leggermente interessato a loro.
E invece ha scelto me, il ragazzo esotico senza amici, che ha perso il padre. Dico che mi capisce perché, nonostante la sua finta arroganza dica il contrario, anche lui sa cosa significhi perdere un genitore che si ama.
E infine c’è il mio splendido tesoro, il mio piccolo angelo custode, quella dolcissima palla di pelo che è la mia gatta, Zitkala.
Ha visto più mie lacrime lei negli ultimi sei anni che mia madre. Perché ormai mia madre non mi capisce più.
Come presentazione può bastare. Vado a prendermi un pacchetto di patatine, poi vado dalla psicologa.
 
 
Jem uscì di casa, abbottonandosi la giacca fino al mento, per combattere il freddo dicembrino che pervadeva New Hasem, la sperduta cittadina di tremila anime dove viveva.
Si infilò il cappello, facendo scomparire nella lana i capelli biondissimi, e infilò i guanti pesanti. Svoltò l’angolo, entrando nel parco. Non aveva voglia di passare per la strada principale, per arrivare da Carmilla, la sua psicologa.
Si avviò nel viale alberato, ma, tempo due passi, e venne trascinato oltre i cipressi enormi, fino ad essere appoggiato (dolcemente, che strano) con la schiena su un tronco.
Alzò lo sguardo, senza fiato per l’attacco di panico che gli aveva attanagliato le viscere, ma non fece in tempo ad incontrare due occhi verde selva, che trovò un paio di labbra morbide e calde, a dispetto del clima, sulle sue.
Con un lieve gemito, dischiuse le proprie, lasciando che la sua lingua incontrasse quella di Andrew.
Quando i due ragazzi si separarono, il fiato di entrambi si condensò in nuvolette che si sollevavano, nell’aria freddissima, fino ai primi rami dei cipressi.
-Mi hai fatto prendere un dannatissimo accidente, Andy!!-
Mormorò Jem, afferrando con entrambe le mani il retro della giacca di Andrew. Lui sorrise, chinando il capo nell’incavo della sua spalla.
-Ti ho mandato una ventina di messaggi, eppure tu mi hai scritto solo “tutto ok, stasera non posso uscire”… Ti prego, dimmi solo che non c’è qualcuno altro.-
Jem rimase stordito. Un altro? Come se qualcun altro fosse all’altezza del suo Andy. Però capiva come mai il fidanzato lo pensasse: nell’ultima settimana gli aveva scritto sì e no tre messaggi, a scuola (come al solito) lo evitava, e evitava di parlargli anche fuori scuola.
-Andy, ti prego, non ricominciare. Lo sai che quando dico “non posso uscire” vuol dire che devo andare dalla psicologa.-
-Ma ci vai ora, no? Quindi stasera puoi venire a cena con me.-
-No, mia madre mi vuole a casa.- Lo informò, con voce funerea. I suoi occhi azzurri incontrarono quelli verdi con l’espressione da cane bastonato di Andrew, facendolo pentire immediatamente di ciò che aveva detto.
-Uhm… però puoi accompagnarmi da Carmilla. Non ho voglia di andarci da solo, oggi…- Mormorò, chinando il capo e mordendosi il labbro inferiore.
Il sorriso del moro parve illuminare il parco, come quello di un bambino, e fece scivolare la mano guantata in quella del biondo.
 
Domenica 4 dicembre. Sera.

Ciao, stupido diario.
Oggi sono stato dalla psicologa. Carmilla è una donna strana. È alta, ha gli occhi fieri da amazzone, ed è incredibilmente gentile. Forse è la cosa più vicina ad una madre che posso avere in questo periodo.
La nostra conversazione è stata più o meno così:
Io: Ciao.
Carmilla: James! Siediti! Oh, salve Andrew! Tu dovrai attendere fuori…
Andrew: No problem, signora. A dopo, Jem.
Io: Non chiedermi come sto.
C: Non lo faccio mai, oggi non è diverso. Però voglio chiederti cosa hai fatto oggi.
 
E avanti così a parlare per due ore di cosa ho fatto e perché l’ho fatto. All’inizio do sempre risposte ovvie , della serie “Perché hai guardato proprio quel film?” “perché mi piace”, ma poi Carmilla riesce SEMPRE a tirarmi fuori delle vere risposte.
A proposito, non ho spiegato il motivo per cui sono obbligato a vedere Carmi. Disturbo bipolare, autolesionismo e lieve schizofrenia.
Sì, lo so, sono messo male.
Carmilla concorda con me sul fatto che Clarissa e Andrew mi aiutino molto, e mi ha anche consigliato di stare molto con la mia gatta. Pet terapy, e cose così.
Mah, contenti loro. Mia madre ha provato a tenermi a tavola un po’ di più per parlare di come mi era andata oggi, ma ho svicolato con la scusa dello studio, e sono tornato in camera.
Clarissa mi ha chiamato. Me ne ha dette di tutti i colori per non aver risposato ai messaggi, poi mi ha chiesto di salutare Carmilla, e mi ha parlato per ore di letteratura, la sua materia preferita.
Abbiamo iniziato un’intensa discussione su Edgar Allan Poe e, quando alla fine mi ha dato la buonanotte ed abbiamo attaccato, mi sono reso conto di quanto Clarissa faccia per me: mentre ero al telefono con lei, mentre la sentivo urlare e imprecare, parlare del più del meno, avevo dimenticato che giù Pete stava urlando contro mia madre, dicendole che era solo una stupida troia, e che avrebbe fatto meglio a darmi in adozione.
Che se ne andasse al diavolo. Alla fine, urlo dopo urlo, mi ero accorto che il mio viso era coperto di lacrime.
Il dolore sordo che avevo dentro era così disincarnato, che dentro di me scoppiò l’impulso che conoscevo bene.
Pensando “perdonami, Carmilla” ero corso in bagno, avevo afferrato la lametta, nascosta al sopralluogo di Clarissa nella mia stanza, e avevo iniziato a far scorrere il sangue, sorridendo tra le lacrime.
Sì, avevo un motivo per provare dolore, ora.
 
Lunedì 5 dicembre. Pomeriggio.


Oggi la scuola è stata orribile. Ho nascosto i segni alla meglio, ma Andrew li ha notati. Mentre uscivamo, ha cercato di raggiungermi, ma sono salito al volo sul pullman, invece di farmi riaccompagnare a casa da lui, in moto.
Purtroppo avevo fatto male i calcoli, perché l’ho trovato ad aspettarmi davanti a casa. Torturandomi il labbro, lo avevo raggiunto.
Lui mi aveva afferrato le braccia, tirando su le maniche della giacca.
-Perché, stavolta, eh?!- Aveva chiesto, gelido. Non sono riuscito a guardarlo.
-Mia madre… assentiva sul fatto che avrebbe dovuto darmi in adozione.- Avevo detto, in un sibilo tormentato. Lui mi aveva cinto i fianchi con le braccia, stringendomi a se.
-Forse era solo perché non voleva essere picchiata da quello stronzo.- Mi aveva risposto. Mi ero reso conto di non averci pensato. Gli mostrai un pallido sorriso, poi lui mi aveva baciato delicatamente, lasciandomi andare subito, forse rendendosi conto che eravamo difronte a casa mia, e che io non avevo ancora fatto coming out.
Mentre lui si allontanava, avevo ringraziato che quello stronzo di Pete non fosse in casa, ma a lavoro.
Avevo aperto la porta e mi ero ritrovato due mani callose al collo. La mia testa aveva sbattuto forte contro il muro, due, tre volte.
-Lo sapevo. Lo sapevo che eri gay, maledetto inutile ragazzino.- La voce antipatica del mio patrigno mi aveva invaso le orecchie, che ormai fischiavano dal dolore.
-La.. lasciami…- Avevo tentato di dire, prima che mi sbattesse un’altra volta la testa sul muro.
-Non accetto che mio figlio sia uno schifoso omosessuale!-
A quel punto, non ci avevo più visato dalla rabbia. Mi stavo divincolando, quando Zitkala, soffiando e ringhiando come una matta, era balzata su Pete, mordendolo e graffiandolo sul viso. Lui aveva gridato, lasciandomi andare.
-NON SONO TUO FIGLIO! NON SONO TUO FIGLIO, MALEDETTO STRONZO!-
Avevo urlato, con quanto fiato avevo in gola. Lui aveva fatto per scagliarsi su di me, ma non aveva fatto i conti con il vaso che avevo IO a portata di mano.
Glielo avevo spaccato in testa, mandandolo in frantumi.
-Io non sono tuo figlio, capito?- Avevo soffiato, muovendo le mani a scatti.
-James! Va tutto bene, James…- Mi ero girato di scatto e, alla vista di Clarissa, eo definitivamente scoppiato in lacrime.
-Signore, ho visto cosa ha fatto. Quella di James è stata legittima difesa. E stia pur certo che la denuncerò per violenza su minore.- Aveva detto lei, con voce ferma, piena d’odio. Pete era sbiancato, ma in quel momento era entrato Andrew, seguito da un agente di polizia.
Il moro era corso verso di me, stringendomi forte.
-Adesso va tutto bene, ok, Jem?- Aveva detto.
E ora eccomi qua, a scrivere dalla stazione di polizia, con accanto Clarissa, la mano in quella di Andrew, mamma e Carmilla che parlano con i poliziotti.
Non so come andrà a finire questa storia, però so che, se non ci fosse stata Clarissa, e viste le mie condizioni mentali, la colpa sarebbe ricaduta su di me.
E mamma mi avrebbe odiato definitivamente.
 
-Jem, tesoro mio…- Sua madre gli si era seduta accanto, mentre la rossa e Andrew andavano insieme a Carmilla a prendere un caffè.
-Mi dispiace tanto, mamma… non volevo colpirlo, ma lui mi aveva…- La madre lo zittì con un cenno, sfiorando le fasciature che gli bendavano la testa.
-No, James. È colpa mia, stavolta. Da sei anni a questa parte è tutta colpa mia, e ho dovuto aspettare che ti facesse del male per capire che schifo di uomo era. Per capire cosa ci aveva fatto.- Disse lei, la voce carica di senso di colpa.
-Mi sono resa anche conto che sarà sempre inutile mandarti da Carmilla, se poi non sono io per prima ad aiutarti con… questo.- Continuò, sfiorandogli i segni ancora abbastanza freschi sulle braccia. Jem Annuì, ma poi non resistette più e, difronte a tutti i poliziotti della stazione, gettò le braccia al collo della donna, stringendola forte, come un tempo li aveva stretti il papà.


N.d.A Siete arrivati fino a qua! *^*
Innanzitutto, salve v.v per seconda cosa, volevo dirvi che sono una campionessa in cose strane, quindi questa storia, che salta fuori dalla mia testa bacata, non può essere nulla di meno che stranissima xD
Comunque, essendo una one shot, i personaggi (a parte James) sono poco approfonditi, ma mi sono risparmiata nel caso mi venisse la "malsana" idea di continuarla e farne una long xD
Detto ciò, spero vi sia piaciuta, se sì, sarebbe fantastico se lasciaste una recnsione, anche piccola piccola e critica ;)
a presto
Le Streghe di Salem
  
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