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Autore: Ilsignorottopiumato    22/09/2013    2 recensioni
Rabbia, disprezzo, paura e rimorso, sentimenti umani tra i più pericolosi. Insieme formano un ciclo di violenza che stravolge la vita della comunità di Bridgehowl. La scomparsa di alcuni bambini mettono un uomo distrutto come Simon Madler, sulle tracce di un omicida senza volto, che colpisce nelle viscere del bosco. La spirale porterà Simon ad affrontare una realtà che è rimasta nascosta da secoli, ma che ora rivendica la sua esistenza.
Genere: Horror, Sovrannaturale, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Sorpresa
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Violenza
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Descrizione: Carol
 
L'odio è cieco, la collera sorda,
e colui che vi mesce la vendetta,
corre il pericolo di bere
una bevanda amara
(Alexandre Dumas)
 
 
Prefazione
UN INCUBO FIRMATO JENKINS
 
L'aria non poteva essere più pesante di così, Carol non riusciva a decidersi dove andare, ogni volta che portava lo sguardo suo e quello della torcia verso una qualsiasi  direzione , il dubbio e l'ansia la mordevano come una iena che strappa la carne da una carcassa già sufficientemente martoriata. Ma voltarsi no, quello mai, morire piuttosto. Anche se tra la morte e volgere lo sguardo indietro, la seconda opzione equivaleva comunque alla sua fine. Un unico pensiero ,"Corri", e non ci pensò due volte a seguire il suo stesso incitamento.

Oh sì, Carol correva ,scappava e qualche volta inciampava, imprecava e si incitava ancora. Mentre i muri intorno a lei sembravano stringersi sempre più gli venne in mente che ciò da cui stava scappando non era più importante di dove stava scappando. Si era talmente radicata a fondo in quelle viscere contorte fatte di pietra e follia, nello stesso modo in cui l'oscurità si era arpionata nella sua mente e nel luogo in cui si trovava. Dove andare quindi? Vagare in eterno? Forse tornare indietro.....NO, indietro c'era lui, che correva (forse) ma non inciampava, non imprecava e non si incitava, però la inseguiva.

Aveva percorso chissà quanta strada nell'arco di queste considerazioni quando per l'ennesima volta (quasi il destino volesse annoiarla) inciampò. Stavolta però non un suono uscì dalla sua bocca, non una sillaba lasciò quella voragine ormai in preda alla fatica e alla paura. Soltanto chiuse gli occhi. Come descrivere la sensazione di autentico terrore che come un ronzio gli risuonava nella testa, partiva dallo stomaco, lo comprimeva  e come una scossa gli arrivava dritta fino alle orecchie, regalandogli la sensazione che il suo sangue si rifiutasse di rimanere all'interno di quel corpo ormai all'apice dell' angoscia. Fu in quell'istante  e solo in quello che per la prima volta in tutta questa frenetica follia ebbe il coraggio di fermarsi ad ascoltare.

Nulla...Forse...non un ronzio... C'è l'ho fatta?...non un respiro...L'ho seminato..., ciò che le sue orecchie udivano era ciò che i suoi occhi ancora chiusi vedevano, non osò muoversi. Aveva lasciato passare un paio di minuti restando accucciata a terra come un musulmano in preghiera , con gli occhi serrati e le dita aggrovigliate attorno alla torcia elettrica, ascoltando con attenzione e minuziosa paranoia il nulla che l'aveva inghiottita. Fece uno sforzo tremendo per convincersi a doversi rialzare, per un momento l'attraversò persino l'idea di aprire gli occhi, ma per vedere cosa poi? Le mura che la  avevano accompagnata per tutta la sua corsa fino a quel momento di aspra tranquillità?! Il pensiero di correre ancora attraverso quella ragnatela di corridoi tutti uguali nella forma e nel colore le scatenò un insopportabile senso di nausea, come quando si ascolta talmente tante volta una melodia finché non ti risulta insopportabile, e non puoi farci niente perché ormai è marchiata a fuoco nel tuo cervello. Questo pensiero fece su Carol lo stesso effetto di una picconata alle ginocchia, sentì le gambe cedere sotto il peso del suo corpo, quasi avessero una volontà propria e avessero deciso di restare a marcire lì.

A tentoni cercò di appoggiarsi contro i muri agitando la mano sinistra alla cieca. Si sorprese di quanto l'ansia che l'assaliva gli impediva di trovare e toccare il muro, contando il fatto che dopotutto quest'ultimo doveva essere piuttosto vicino a lei, ricordava che i corridoi erano stretti, lo ricordava bene. Passò qualche istante e ancora nessuna traccia del muro, rimase quindi immobile e in attesa. Ma questa volta non lo fece per ascoltare...Fallo...lei aspettava...Fallo adesso...e intanto lo raccoglieva...Inspira...pezzo per pezzo...Espira...ogni più piccola briciola... E' ora...di coraggio...APRI GLI OCCHI.

Nel momento in cui alzò le palpebre Carol provò una sensazione che difficilmente riuscì a definire spiacevole o meno. Una scheggia di frescura le accarezzò i bulbi oculari offrendogli un piacevole (seppur insignificante) sollievo. Il sudore si era accumulato sulle sopracciglia fino ad arrivare a bagnare tutt'intorno agli occhi, mescolandosi insieme alle lacrime, ma sarebbe stato comunque difficile distinguere l' uno dalle altre. D'altro canto queste sensazioni non furono la prima cosa a cui la ragazza si permettesse di dare peso (si può anzi dire che non gliene diede affatto), ciò che la fece  sobbalzare in silenzio nel momento in cui aveva concesso alle sue ciglia di elevarsi al di sopra delle sue pupille fu l'amara e la sconcertante consapevolezza di non essersi resa conto di averlo fatto. Non perché non ne avesse avuto l'intenzione, ma perché l'oscurità in cui si era rifugiata per sfuggire da quell'incubo tenendo gli occhi chiusi, ora le si ripresentava in maniera medesima tutta intorno, anche se i suoi occhi erano ormai vigili. Oh era sicura che lo fossero, vedeva chiaramente il fascio di luce scaturito dalla sua torcia che saldamente teneva in mano, ma questi non rivelava nulla attraverso quella massa oscura, illuminava il buio e mostrava il buio.

Carol realizzò in quel momento che non era stata la sua sbadataggine, dettata dall'angoscia di trovarsi nel luogo più vicino all'inferno che avesse mai visto, a non permettergli di toccare il muro al quale avrebbe voluto aggrapparsi. Si guardò nervosamente intorno a sé, più e più volte ,ma non vide nulla, anzi vide il nulla. Il muro, così come anche il pavimento e il suo stesso corpo erano letteralmente scomparsi, inghiottiti forse da quell' enorme soffocante ammasso di tenebra. Voleva urlare, avrebbe voluto farlo ma gli sembrò che la bestia che l'aveva isolata dalla realtà nella quale si era abituata  a vivere avesse ghermito anche la sua voce. A questo punto Carol si mise a fissare in maniera quasi supplichevole l'unica cosa che si sovrapponeva tra lei e la più totale follia, stringeva tra le mani la sua torcia con tale forza che pareva volesse strozzarla minacciandola sottovoce...Non spegnerti...Stringeva a sé quella reliquia, abbandonandosi totalmente al suo ipnotico bagliore e bramando quell'artificiale calore.

Fissava con ossessiva costanza quella luce, quel cerchio fluttuante davanti ai suoi occhi, l'unica ferita che era riuscita a infliggere a quel mostro sotto forma di abisso, immaginando e desiderando di entrare in quel mondo di luce e calore, tuffandosi tra le forme che venivano sprigionate da quell'unico bellissimo sole di vetro. Talmente era rimasta scioccata dall' incredibile ascendente che quel oggetto così comune esercitava su di lei, che ormai rapita e immersa dalle meraviglie che la sua mente disegnava e le sbatteva in faccia per farle dimenticare dove il suo corpo si trovasse in quel momento, si dimenticò un' altra volta di ascoltare.Forse la colpa era di quel luogo, che abituava i suoi visitatori ad un perenne e per nulla assordante silenzio, come se Dio in persona avesse preso una fetta di esistenza e l'avesse chiusa in una scatola, dimenticandola poi in un qualche lontano cassetto dell'universo. Ma c'era qualcosa in quella scatola che non voleva accettare il suo non esistere. Qualcosa che qualche volta rideva, qualche volta piangeva, qualche volte gridava, ma stavolta...soffiava.

Ma non fu quel suono tanto lugubre quanto insolitamente anormale a strappare Carol dal suo abbagliante e splendente universo, bensì qualcosa di ben più terribilmente reale e assolutamente inaspettato. Fu un tremito...No...nella luce...Non puoi...poi niente...Resta...poi un altro...Smettila...la torcia le ammiccò più volte...Ti prego...senza sapere perché...Dio ti prego...le contò...Uno, Due ,Tre...e infine il nulla. Fu un gemito lungo e sommesso, simile a un guaito o a un debole ululato a spezzare gli istanti di silenzio che erano nati tra il momento in cui l'intero luminoso mondo fantastico di Carol,era stato cancellato ,inglobato davanti a lei e la consapevolezza di non aver potuto non sentire ciò che sperava non esistesse.

Poi un sussurro...Non toccarmi... di nuovo quel soffio, sentendolo a Carol tornò in mente il momento in cui aveva deciso di riaprire gli occhi su quella distesa di incubo...quel respiro...l'attimo nel quale le sue lacrime e il suo sudore venivano accarezzate da una brezza lieve e trasparente...quelle mani...di come si era sentita sollevata godendo di quel tocco che lei credeva una gentilezza di una ,seppur anomala, presente natura...quei tentacoli...chiuse di nuovo gli occhi. Solo allora riuscì finalmente a trovare il coraggio necessario per urlare.            
 
***


Esistono momenti nei quali un uomo non può permettersi di rinunciare a capire ciò che gli si presenta davanti, qualunque cosa sia. Dalla più minuscola, talmente insignificante da non intaccare nemmeno di un graffio l'armatura di quel demone che si ama chiamare destino; fino alle più grandi, talmente mastodontiche da prevalere su tutti i concetti a cui l'essere umano si aggrappa, superando persino la linea che delimita il confine tra realtà e tutto il resto. C'è che chi di questo non se ne cura affatto, preferendo restare in balia della corrente del proprio fato. Altri che invece fanno del comprendere la propria ninfa vitale, desiderosi di sviscerare in maniera tangibile tutte le sorgenti dalle quali vengono partoriti tutti i loro dubbi e insicurezze. Ma nulla, in quel momento, avrebbe potuto aiutare Jeremy a interpretare l'immobile espressione dei cinque volti che in quel momento lo fissavano, quasi fossero congelati, dritti davanti a lui.

L'unica cosa che non poteva passare inosservata era quel monotono, seppur quasi impercettibile, movimento laterale dello sguardo che andava intenzionalmente a ricercare quello del volto a fianco, che a sua volta ricambiava e un attimo dopo ne intercettava un altro e così via. Mentre osservava quelle facce, pacatamente illuminate dalla statica e inespressiva luce di una lampada a olio (che in quelle condizioni pareva essere in sintonia con lo stato d'animo dei presenti) notò improvvisamente che una dopo l'altra, le bocche (fino ad allora di granito) cominciavano a dilatarsi, allargandosi verso le guance, per poi salire, allungarsi verso gli zigomi e assumere l'espressione che fra tutte, Jeremy sperava poter evitare di vedere. Nel momento in cui le dieci labbra esplosero quasi all'unisono in una grottesca e martellante risata, Jeremy finalmente arrivò a capire cosa era riuscito a scatenare sopra quei volti ...Riso... Non era ciò che si aspettava.

D'un tratto uno dei cinque spostò nuovamente lo sguardo verso di lui, e cercando con evidente sforzo di recuperare il fiato si rivolse a Jeremy. ''Aspetta aspetta, fammi capire''. Gli altri quattro udendo le parole del compagno cercarono, tra una sghignazzata e l'altra, di trattenersi quel tanto che bastava per riuscire a sentire meglio quel che aveva da dire. Perciò riprese. ''Quella roba...'' Si interruppe un momento, conquistandosi il silenzio e l'attenzione generale, fissando Jeremy dritto nelle pupille, con quel sorriso che appariva in bilico fra sorpresa e derisione. Quindi esclamò ''...Ma che cazzo era?''. Per la seconda volta una raffica di risate colpì Jeremy, allo stesso modo delle schegge di una granata quando esplode. Se le sentì colpirlo in faccia, poi al petto, finendo per entrare in profondità verso il cuore, spappolando tutto ciò che si poneva fra loro e l'imbarazzante rimasuglio del suo orgoglio. ''Volevate una storia...'' disse cercando di non far trasparire la profonda delusione nell'essere stato sbeffeggiato come un buffone alla corte del re, ''...E io ve l'ho data''.

Bofonchiò la frase guardando in direzione dei cinque, ma non aveva il coraggio di affrontare il loro sguardo a causa della sua nota debolezza d'animo dettata anche dall'imbarazzo. Il ragazzo che aveva parlato per primo si chiamava David Gould, un afroamericano di diciassette anni, ma la maggior parte delle persone gliene attribuiva senza problemi due o tre in più. Sorprendentemente molto ben sviluppato per la sua età, era difficile immaginarselo in un ruolo diverso da quello di maschio alfa, e per l'appunto era di fatto il leader di quella brigata di mocciosi. Con la sua mascella squadrata e i capelli perfettamente rasati, i suoi occhi scuri come l'ebano venivano ulteriormente evidenziati da sotto le sottili sopracciglia. L'unica traccia di pubertà che non sarebbe riuscito a nascondere erano alcuni foruncoli che spuntavano dal collo e sul viso, una persona sufficientemente maligna avrebbe magari cercato di immaginarsi quel difetto come un insieme di costellazioni piene di pus, ma solo per offuscare un invidiato e innato carisma.

Guardò Jeremy intuendone immediatamente il disagio, e il motivo che l'aveva scatenato, e rispose ''Mi sa che non ti è chiaro che il senso di una storia dell'orrore è quello di fare paura '', ''Già'' esclamò un ragazzo grassoccio che si trovava seduto poco distante da David. Il suo nome era Robert Miller, di quindici anni, la stessa età di Jeremy. Lo scopo suo era il malcelato desiderio di infierire il più possibile sul suo compagno, finendo magari col farlo piangere e approfittarne per un ulteriore batosta di scherni. Robert alzò le braccia agitando le mani assumendo un tono di voce profondo e solenne, ''L'aria non poteva essere più pesante di cosìììììì uuuuuh'' Gli altri si lasciarono andare di nuovo in un coro di risa, facendo eco a un Robert che non poteva sperare in una più gratificante reazione.

A Jeremy, Miller non piaceva, a dire il vero non c'era nessuno di loro che gli piacesse, soprattutto in quel momento. Ma a quel facocero con addosso un uniforme di due taglie più grandi, augurava nel silenzio e nell'intimità delle sue fantasie più sfrenate, ogni sorta di angoscia e grottesca tortura, dalla più comune fino alla più rivoltante. La cosa che lo inebriava di più durante le sue private proiezioni mentali era immaginarsi in ognuna di esse in piedi, a osservare quel suino affrontare la propria personale apocalisse di disgrazie, mentre lui rimaneva in alto sopra di esso, dominante, per ricordargli come stavano realmente le cose. Ma nella possibilità di affrontare lo sconforto sul piano pratico, Jeremy si consolava col pensiero che Miller fosse soltanto un ragazzino in cerca di continue attenzioni, sapendo che anche lui nel profondo, si disgustava da solo per l'animale che era. ''Ehi Jeremy, l'aria era pesante per colpa del mostro giusto? Proprio una brutta bestia l'aerofagia''. Alla battuta di Robert gli altri risero, ma in maniera molto meno assordante di prima, poteva essere la stanchezza che cominciava a farsi sentire, o le battute di Miller che cominciavano ad annoiare.

''Però è vero...'' Precisò David assumendo un tono quasi grave. ''A parte le mani e i tentacoli non hai descritto l'aspetto del mostro''. A Jeremy fece quasi piacere l'aver sentito l'intervento di David...Vuol dire che almeno è stato attento...pensò. ''Credevo che un essere che non avesse una forma precisa sarebbe stato più interessante di qualunque altro vampiro, lupo mannaro o mummia''. Dicendolo questa volta si sforzò nel guardarlo dritto in quelle due perle nere che erano i suoi occhi. ''E' proprio qui che ti sei fregato''. Gould parlò come se avesse la risposta scritta lì davanti, ''Come fa un mostro a fare paura se non ha nemmeno la faccia?''. Lo disse con il tono di chi ne avesse l'assoluta certezza, e il resto della compagnia non trovò né una ragione né la voglia di controbattere.

Spostando lo sguardo dal volto di Jeremy all'orologio digitale da polso, David decise che era ora di coricarsi ricevendo consensi ovunque tendesse l'orecchio, ''Domani ci si alza all'alba ragazzi'', e indicando col dito un punto nel buio della montagna aggiunse, ''In circa tre ore dovremmo riuscire a raggiungere il bestione lassù, poi torniamo dritti al campo. Ringraziate tutti Jeremy per la favola della buonanotte e andiamo a dormire''. E con una perfetta sincronia degna di un canto gregoriano, tutti eseguirono l'ordine esclamando ''GRAZIE JUNK''. Voltatosi dall'altra parte Jeremy mormorò ...Ci mancava pure il soprannome... Strinse i denti per trattenere la rabbia l'umiliazione e anche qualche lacrima, ma non riuscendo a trattenere le ultime, sprofondò la propria faccia più a fondo che poteva dentro il sacco a pelo finendo col sembrare un bruco auto esiliatosi nel proprio baccello da tutto il resto del mondo, ma dal quale non sarebbe uscita nessuna farfalla. Sarebbe rimasto lì ad affogare in quelle lacrime fatte di odio e rassegnazione.

Nel silenzio della montagna si mise a mormorare sottovoce quasi senza accorgersene ...La mia storia faceva paura... David non capiva che stava dicendo ma sapeva che era lui a parlare. ''Ehi, shh silenzio, ora si dorme'' lo riprese. Jeremy ignorò quel primo ammonimento, mormorando ancora ...Sono loro che non capiscono niente... Per la seconda volta David lo richiamò, sibilando ''Abbiamo capito Jeremy, adesso basta, dormi''. Ma Jeremy non si trattenne, e si lasciò andare ad un altro mormorio ...Che vadano tutti al diavolo... ''A NANNA JENKINS'' sbottò David. ''Sì, a nanna Junk'' gli fece eco Robert. A quel punto Jeremy smise di sfogare la propria frustrazione attraverso gli acidi sussurri, tornando ad utilizzare le salate e aspre lacrime, ...''Oh Carol''... pensò ...''Scambierei volentieri il mio incubo con il tuo''... E come la ragazza da lui nata e uccisa quella sera, sperando di sfuggire dall' inferno che lo teneva prigioniero, anche lui chiuse gli occhi.
 
 
                                         CONTINUA
                       A tu per tu con l’autore
Vorrei innanzitutto chiarire una questione a cui immagino molti di voi avranno pensato. La storia si trova nella sezione “Slender Game”, nel titolo c’è scritto “The Slender” , ma allora dov’è Slanderman? Domanda lecita, e vi rispondo di non allarmarvi, la creatura sarà presto al centro di tutta questa storia di cui ora ho scritto appena l’inizio. Visto che non si è mai capito da dove arrivasse, ho deciso che era arrivato il momento per me di dargli un'origine. Dato che il mio è il primo racconto, sono ansioso di ricevere le vostre impressioni, sia positive che negative, vivi e impara. Spero comunque che vi piaccia. Buona lettura
  
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