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Autore: Yumiko Takami    22/09/2013    3 recensioni
Un'umana e un Espada. Due mondi lontanissimi tra loro, inavvicinabili. Potrà mai esserci un punto d'incontro, qualcosa che sentono entrambi verso l'altro? Troviamo i due protagonisti inizialmente su due piani quasi opposti: la paura, da un lato, la dominazione, dall'altro. Per poi trovarli su un piano complementare, simbiotico, grazie alla conoscenza tra queste due anime.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Inoue Orihime, Schiffer Ulquiorra
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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"Hai paura di me, donna?"
 
Non rispose, era troppo impaurita, nonchè terribilmente affascinata da quella figura.
Tremava, non riusciva a calmare il respiro affannoso ed il tumulto del suo cuore.
L'essere era di fronte a lei, tanto vicino da riuscire a sentire il suo respiro, fermo e regolare come sempre, riscaldarle il collo.
Come si poteva non avere paura, dopotutto?
La piccola cella in cui alloggiava da ormai due mesi era buia e fredda, l'unica luca presente era quella della luna, inspiegabilmente sempre enorme e a falce; nella perpetua notte senza stelle, quella luna pareva essere l'unico bagliore di speranza presente a Las Noches.
Intanto, la luce lunare entrava nella stanza attraverso le sbarre della finestra, direttamente sul viso della ragazza, poggiata di schiena al muro, impossibilitata ad ogni via di fuga a causa della fin troppa ravvicinata presenza dell'essere.
Non sapeva quali fossero le reali intenzioni dell'Espada, che altro non sapeva come definirlo: non era umano, ma ne aveva le sembianze. Alto, apparentemente secco ed esile, ma con una forza sovranaturale; pelle bianchissima e pallida, come l'abito che indossava, le unhie spiccavano particolarmente dalle mani scarne ed affusolate: erano nere, e troppo lunghe per un "uomo"; i capelli, anch'essi neri, erano portati lunghi fino alle spalle, tendenzialmente lisci ma con qualche ciuffo ribelle che ricadeva sulla fronte e ai lati del viso. Poi, gli occhi, verde smeraldo, grandi e fermi, sovrastati dalle sopracciglia lineari e folte che regalavano al viso un'espressione costantemente malinconica, come se fosse un Pierrot più cupo e tetro.
Nel complesso trasmetteva effettivamente un certo fascino, oscuro, misterioso, quasi nascondesse un lato "umano" che non avrebbe rivelato nemmeno a se stesso.
Nonostante ciò, lei era perfettamente consapevole che fosse un mostro, e che di umano non albergava nulla in lui.
 
"Allora?"
 
Riprese a parlare; lei continuava a sentire il suo fiato:
 
"N-no..."
 
Si fece coraggio:
 
"Non potrei mai aver paura di un essere come te!"
 
 
Mentiva. Sorpreso di tanta impudenza, l'essere spalancò gli occhi, poi la avvertì:
 
 
"Si ha paura di ciò che non si conosce."
"E tu cosa ne sai di cosa sia la paura?"
 

Inarcò un sorriso, quasi minaccioso, poi le si avvicinò ancora di più, le afferrò saldamente un braccio e le sussurrò:
 
"Forse hai ragione, donna... non so cosa sia la paura. E tu ora mi dici che non ne provi. Dovrei crederti?"
 
 
La ragazza deglutì, le mancò il fiato:
"Non mentirmi. So che stai tremando. Lo sento."
 
 
Sussurratole ciò ancor più piano, appoggiò la mano sul candido collo della fanciulla, delicatamente, iniziandole a tastare la pelle morbida:
 
"L'aorta pulsa quasi il doppio di quanto dovrebbe. Davvero non hai paura?"
"C-cosa vuoi da me?"
"Gli umani mi hanno sempre incuriosito."
"Io non sono una cavia per le tue conoscenze. Sono qui per altro..."
 
 
Abbassò lo sguardo, rassegnata al suo destino di prigioniera.
 
 
"Tu, da quando sei qui, hai perso la possibilità di scegliere. Ora siamo noi a farlo per te. Più precisamente, io. Quindi, non osar dire cose di cui potresti pentirti."
 

Cercava di divincolarsi, di evitare quell'alito; voleva fuggire, ma si sentiva un uccello in gabbia, per quanto non lo accettasse:
 

"Io.. tu non capisci! Io sono un essere umano, e come tale provo dei sentimenti. Sentimenti! Ciò che voi non potete provare nemmeno se lo vorreste. Ed io, qui, in questo luogo, non.. non ce la faccio più. Non resisterò ancora per molto.. ma non so che fare.. 
Ma ad ogni modo, perchè ti dico ciò?! Cosa potresti mai capirne..."
 

Rimase in silenzio per un lungo lasso di tempo, in preda allo sconforto più totale. Lui la seguì nel silenzio, voltandosi e discostandosi da lei. La fanciulla non sapeva cosa stesse guardando, ma non voleva alzare lo sguardo, fino a quando sentì che egli le prese il mento tra le dita, guardandola nuovamente. I suoi occhi verdi emanavano sincera curiosità. Sembrava non avesse più intenzione di intimidirla:
 
 
"Cosa sono... i sentimenti?"
 

La ragazza fece un respiro profondo per calmarsi, prendendosi il giusto tempo per ricacciare le lacrime. Poi, passata la paura, disse:
 

"Sono quelle sensazioni prodotte dall'animo. A volte possono essere molto forti, e si può sentire il bisogno di esternarli. Sono molto diversi tra loro, e possono essere positivi o negativi. Quelli positivi sono la felicità, l'amicizia, l'amore, la serenità, qualcosa che ti fa stare bene con te stesso e con il mondo."
"E quelli negativi?"
"Quelli negativi sono.. la tristezza, la noia, l'ira, la paura, l'odio, la gelosia. Ti fanno stare male"
"Come fanno a farti stare male?"
"Uhm.. non è un dolore fisico, ma un male dell'animo: non sanguini, ma non riesci comunque a sentirti bene."
 

Silenzio, di nuovo. Stavolta era lui ad avere lo sguardo a terra. 
Forse lei poteva intuire a cosa stesse pensando: è un essere che non può provare sentimenti, ma che probabilmente vorrebbe. Provò ad avvicinarsi:
 

"Cos'hai?"
"Nulla. Di tutto ciò di cui mi hai appena parlato, non sento nè capisco nulla. E'.. una cosa brutta?"
"Non lo so.. forse in parte no, perchè così i sentimenti negativi non possono colpirti. Ma d'altra parte, non puoi sentire nemmeno quelli positivi, e per me sarebbe insopportabile, la vita, se non riuscissi a provare amore, allegria, affetto.. anche se dovessi soffrire. Ma è la vita, dopotutto."
"La vita. E' così, dunque..."
 

Alzò lo sguardo da terra:
 
"Ora però, smettila. Smettila di avere paura di me, donna."
 

Si allontanò, avvicinandosi alla finestra, contemplando la luna.
La fanciulla ebbe come l'impressione che quell'essere somigliasse molto alla luna: l'ammirava con occhi più malinconici del solito, pur non capendo se si trattasse di tristezza vera, oppure se fosse solo la maschera che era condannato a portare in eterno.
Capì solo che anche lei provava una sorta di curiosità per quell'essere:
 

"Però c'è una cosa che puoi provare a fare.."
 

Si girò non subito, poco convinto. Lei gli prese delicatamente la mano. Erano di nuovo uno di fronte all'altro.
Sorrise innocentemente. 
 

"Danziamo."
 

Lui era nettamente confuso.
 
"C-cosa? Che significa?"
"Devi solo muoverti seguendo i miei passi, lentamente, come se fossi guidato da una musica."
"Ma io non sento nessuna musica."
"Immagina! Questo lo puoi fare, no?"
"Come... come ci si immagina una musica?"
 

Lei ridacchiava, ma cercava di trattenersi per paura di una reazione troppo dura da parte sua.
Parlò più lentamente.
 

"Chiudi gli occhi, cerca di non pensare a nulla, liberati da ogni pensiero. Pensa solo a dove ti trovi in questo momento, concentrati solo su ciò che senti: il vento che accarezza gli alberi, il silenzio della notte.. non è anche questa una musica?"
 

Appoggiò delicatamente una mano sulla sua spalla, e l'altro sul suo fianco.
 

"Perchè mi fai fare tutto ciò?"
"Beh, eri curioso di noi umani, no?"
"E questo 'danzare', è umano?"
"Penso non ci sia cosa più umana al mondo. Ora, però, fai silenzio. Ascolta i rumori dei nostri passi: ti guido io. Non essere teso."
 

Deglutì, ma non gli ci volle molto per capire il meccanismo, che trovava molto simile al combattimento: seguire i passi del nemico, prevederne le mosse e rifletterne i movimenti. Bisognava solo muoversi più lentamente. E non doveva colpire il suo nemico.
Quasi riusciva a sentire qualcosa, ora. Non musica vera e propria, ma un'armonia. Il vento, i loro passi, i respiri, sembravano essere perfettamente sincronizzati tra loro. Aprì per un attimo gli occhi, osservò ancora la luna mentre danzava. La guardava come se desiderasse raggiungerla, come un amante a cui manca la propria amata. Poi spostò lo sguardo verso la ragazza. Era davvero convinto che questi umano fossero molto curiosi. 
Non le avrebbe mai fatto del male.
Quando anche lei riaprì gli occhi, si fermarono: 
 

"Non sei andato affatto male, per essere la prima volta che danzi."
 

Sorrise. Lui si chiese come diavolo facesse a sorridere così...
 

"Adesso, però, voglio conoscere io qualcosa di te. Ma non m'interessa ciò che so già: Las Noches, gli Espada, i vostri piani meschini. Mostrami qualcosa che sia tuo soltanto, ma che non sia malvagio."
"Ma.. io non so cosa sia malvagio e cosa no. Ancora non lo capisci?!"
"Allora prova a fare qualcosa, qualsiasi cosa che non sia finalizzata ad uccidere, o a fare del male a qualcuno. Te ne prego."
 

Le volse le spalle, camminò fino alla fine della stanza, poi si voltò:
 

"Sei più curiosa di me, donna. E non mi chiedi affatto cosa facile. Ma acconsentirò. Solo, ti chiedo per l'ultima volta, di non aver paura di me."
 

Il suo tono era sorprendentemente rassicurante: sentiva che non le voleva fare del male. Lei era comunque tesa, ma volle fidarsi. Iniziò a sentire delle energie in movimento, delle vibrazioni nell'aria, poi vide che l'essere era concentratissimo su se stesso. Il vento sembrò alzarsi, mentre una luce verde come gli occhi dell'essere, lo inghiottiva, fino a quando per qualche secondo scomparve completamente.
Quando riapparì, era cambiato: a torso nudo, con il buco al centro del petto; i capelli erano più lunghi, arrivavano fino alla schiena, dove erano cresciute un paio di grandi ali nere. Sulla testa spiccavano due corna, bianche e altrettanto lunghe. L'altra metà del corpo dall'addome in giù era simile a quella di un fauno, dal pelo nero e dalla coda stretta e lunga.
Si avvicinò alla ragazza. La sua espressione non era cambiata, ma gli occhi. Dov'erano i suoi enormi occhi verdi?
Al loro posto vi erano occhi completamente neri dall'iride giallo. Ora la ragazza capiva perchè le avesse chiesto di non avere paura. Non fece in tempo a chiedere che subto ricevette risposta:
 

"Resurreccion, secondo stato. Sono l'unico fra gli Espada a raggiungerlo. Neanche Aizen mi ha mai visto così. E' disperazione pura."
 

Lei sgranò gli occhi: gli aveva chiesto qualcosa che non fosse malvagio, ma evidentemente non c'era speranza, non ci poteva mai essere del buono in lui...
 

"Ad ogni modo, non è ciò che voglio mostrarti."
 

Si avvicinò alla finestra, ruppe le sbarre col minimo sforzo possibile, e la guardò:
 

"Aggrappati a me."
 

Indietreggiò:
 

"Cosa vuoi fare?"
"Queste mie ali sono l'unica cosa che mi permette di sentirmi diverso da ciò che sono, anche solo per poco. Volando, e tentando di raggiungere la luna che sembra chiamarmi ogni minuto della mia vuota esistenza, mi nutro dell'illusione di poter fuggire da me stesso. Vieni ora."
 

Gli afferrò la mano, e si poggiò sulla sua schiena.
 

"Aggrappati più forte che puoi, e non alzare le braccia quando lascerò la finestra. Mi servi da viva, ancora per un po'..."
"Mh, tranquillo..."
 

Fece come le era stato detto. Un balzo fulmineo. Poi, il volo. La dolce fanciulla stentò a crederci: stava volando! Finalmente sentì quella sensazione di serenità e sincero stupore che da tempo non sentiva. Quando si abituò anche alla posizione, svanì anche la paura. Sorrideva di gioia.
Girarono per tutta Las Noches, che vista dall'alto sembrava più innocua, per quanto sempre deserta e grigia.
I capelli dell'essere riflettevano la luce lunare, che donava loro magnifici riflessi argentati. La ragazza li accarezzò:
 

"E' magnifico tutto ciò!" 
"Ma anche paradossale. Solo con la mia forma pegiore posso raggiungere tale illusione di libertà."
"Quello che sei all'esterno non è necessariamente uguale a ciò che sei veramente."
"Che intendi dire? Donna, solo io so come giudicarmi."
 

Non replicò ulteriormente, troppo rischioso. Non aveva affatto un carattere facile, ma forse poteva solo ringraziare di essere ancora viva.
Si fermarono sulla cima di una colonna gigante: lei si sedette per riposare i muscoli indolenziti, lui contemplava la sua città:
 

"Non sei tanto diverso da noi umani, sai?"
"Perchè?"
 

Non si voltò neanche, non gli interessava granchè.
 

"Anche noi uomini spesso vorremmo aspirare a qualcosa di più alto, di più bello, desideriamo fuggire, ma altro non abbiamo che la nostra miseria. Siamo condannati a rimanere tali, come te. L'ho capito quando me ne hai parlato in volo."
"Forse non mi interessa essere come voi. Volevo solo tentare di comprendervi."
"...grazie."
 

Si voltò in quel momento, sorpreso e confuso, ma non chiese nulla.
 

"Da bambina ho sempre sognato di volare. E' un desiderio che accomuna noi umani, ed io non mi sarei mai aspettata che saresti stato proprio tu a realizzare questo mio picolo sogno. Per questo ti ringrazio."
 

Gli sorrise di nuovo:
 

"Io.. non ho fatto niente."
"Veo che sotto sotto hai un'anima, o qualcosa che le somigli molto. E' un'anima gentile e sincera, ma molto nascosta."
"Non ti permetto di interferire in questioni che non ti riguardano, donna."
 

Il suo tono s'irrigidì, ma lei continuava a sorridergli e a guardarlo quasi spavaldamente:
 

"Non ho paura di te, Ulquiorra. Non più."
 
Come faceva, un umano, a fargli quest'effetto?
Quel sorriso lo disarmava più di ogni altra cosa...
Si arrese.
La osservò, le toccò i capelli e il volto, scendendo verso il collo, come quando erano nella cella. La ragazza non tremava più; a quel punto, lui si sentì in dovere:
 

"...grazie, Orihime."
  
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