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Autore: Gavriel    23/09/2013    3 recensioni
Apollonius e Celiane. Dall'odio viscerale all'amore assoluto, passando per guerra, amore e morte.
Lui era lì, in ogni battaglia: a volte compariva davanti al sole, con le ali possenti come ad abbracciare l’astro, e discendeva terribile sul campo; altre volte era al comando dello schieramento , e ordinava l’assalto con le sue vesti cangianti, coi i capelli in un turbine di fuoco. E Celiane lo cercava ogni volta, quasi con disperazione. Lui d’altra parte faceva sempre in modo di trovarsi nelle vicinanze dell’umana che lo aveva ferito, col feroce desiderio di una vendetta.
Genere: Guerra, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Apollo, Apollonius, Celiane, Gen Fudo, Toma
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il ritorno

Il laboratorio degli armamenti si trovava nell’ampio portico sotto l’armeria, vicino al palazzo reale: alte arcate ad ogiva, supportate da pilastri in pietra bianca permettevano alla luce diurna di entrare e illuminare il lavoro degli artigiani. Tutto era un febbrile susseguirsi di rumori metallici, saldature e riflessi luminosi, in quella confusione nessuno dei mastri si accorse della presenza della principessa e tantomeno nessuno la riconobbe, li per li sulla soglia. D’altronde in dieci anni di formazione Celiane De Alisia non aveva fatto ritorno a casa nemmeno una volta; nel ritrovarsi lì, in un primo momento rimase stupita,  come fosse ancora una bambina, poi con passo svelto cominciò ad attraversare il portico. Man mano che la donna passava, il rumore dei martelli e degli affilatoi si trasformava in mormorio, i gesti degli artigiani in scossoni e gomitate: chi era quella? Poteva essere Lei? Celiane portava ancora gli abiti da viaggio: dei pantaloni marroni infilati negli stivali, una casacca bianca: il tutto di foggia estremamente semplice, ma di stoffa pregiata. I capelli erano cortissimi: dove era finita la chioma dorata della principessina, invidiata in tutta Alisia?
Per nulla turbata dal silenzio creatosi Celiane raggiunse il fondo del portico, alla parete del quale era addossata l’unico tavolo da lavoro ancora funzionante. La donna si fermò dietro il ragazzo che vi stava lavorando e restò ferma, sbirciando dalle sue spalle il meccanismo che stava mettendo a punto. Intorno a loro gli artigiani non osavano nemmeno respirare.
-Gen,  -disse lei appoggiando sul tavolo un involucro di stoffa grande quanto una  mela- ti ho portato i pezzi di cui avevi bisogno.
Il ragazzo guardò prima l’involucro e svoltolo riconobbe il contenuto, poi irrigidendosi di colpo riconobbe anche chi gliel’aveva dato:
-V-Vostra maestà…
-Tornate pure al vostro lavoro_ disse la principessa rivolta a tutti i presenti, poi quando il consueto sciabordio  venne ripristinato si rivolse di nuovo al giovane uomo davanti a lei_ è pronto?
Dieci anni in mezzo alle montagne blu di Hawhouse l’avevano resa forte e asciutta , ma non erano riusciti a sopprimere  l’entusiasmo dietro ai suoi occhi turchesi; sentendosi di colpo molto importante Gen Fudo annuì e guidò la sua principessa verso l’interno dell’armeria.
Passarono attraverso un pesante portone torchiato, che Celiane aiutò ad aprire ed entrarono in un androne buio , illuminato solo dalla luce proveniente dalla porta; al centro campeggiavano due grosse ombre piuttosto articolate.
-Mi sono basato sui disegni che mi hai mandato e su dei pezzi originali che mi sono procurato e ne ho costruiti  due per il momento-disse il giovane avanzando verso il centro- mancano solo le gemme.
Una volta vicino ad una di quelle grosse ombre, Gen estrasse dall’involucro un grosso cristallo luminescente, lo tenne all’altezza degli occhi per un attimo, cercando impurità, e lo inserì nella macchina davanti a lui. Gli occhi di celiane, appena abituati al buio vennero abbagliati dalla luce emessa dall’enorme veicolo: aveva un aspetto piuttosto grezzo, e non sembrava per niente stabile. La principessa si avvicinò fino a toccarlo, la sua espressione, illuminata dal bagliore emesso dalla macchina preoccupò il giovane:
-Ho fatto quello che ho potuto… è praticamente impossibile riprodurre la tecnologia angelica…
Celiane lo guardò,era commossa, e tratteneva un sorriso: la macchina, se  così poteva essere definita aveva le dimensioni di una grossa slitta  di metallo, ma senza pattini, le fiancate erano sagomate intorno alla cabina di pilotaggio e si allungavano verso il fondo per ospitare i reattori, che Celiane riconobbe come delle riproduzioni alla buona di uno dei rottami Cherubin che gli aveva spedito anni prima, mentre convergevano davanti a formare una facciata affusolata.
-Funziona?
Un lampo di complicità passò tra i due, ma prima che Gen riuscisse ad annuire, la ragazza era già salita a bordo:
-Come si avvia? Che nome gli hai dato?
-Celiane!-Gen divenne pallido quando si accorse della confidenza con cui le si era rivolto
-Non è un po’ da lecchini dargli il mio nome? Gen?
Il giovane si rincampò  appena alla voce di sua maestà, che nel frattempo aveva attivato la gemma e acceso la macchina, che si sollevò di mezzo metro.
-Visto dall’alto assomiglia ad una freccia!
Celiane gridò per sovrastare il rumore dei reattori, poi spense tutto fino a ritornare al tenue bagliore di prima
-Che ne dici di freccia, allora?
La principessa soppesò le parole di Gen e  annuì:
-Bisogna migliorarlo.
 
Atlandia
Non c’erano parole per descrivere l’albero della vita: un virgulto in piena sbocciatura, con foglie verde chiario e gemme rosee per ogni fiore. Il frutto di centinaia di anni di cura e amore. Toma si avvicinò ad una delle foglie sotto di esso e ne toccò la superficie: al tocco ne percepiva non solo la consistenza superficiale, ma anche la struttura interna, fatta di canali, ghiandole e di piccoli nuclei di energia, che confermavano la conversione del prana. Un piccolo brivido sul palmo, la foglia stava assorbendo anche il suo; il bellissimo angelo delle tenebre non ritrasse la mano.
-Stai crescendo, eh?
L’albero della vita, la testimonianza, l’essenza stessa della terra era forse il tesoro più prezioso di Atlandia, il fatto che le sue cure siano state affidate agli angeli dimostrava che essi erano la specie più evoluta e meritevole; inoltre l’Albero era affidato a lui, e ciò rendeva Toma stesso  specimen tra i suoi simili. Solo un altro angelo delle tenebre poteva elevarsi a suo pari , se non addirittura superarlo, e ricordava benissimo il giorno in cui lo conobbe. Le labbra dell’angelo si schiusero in un sorriso silenzioso, era vicino a suo padre Tamriel, vicino a quello stesso albero, che allora era ancora privo di gemme: col prana, la stessa fonte di nutrimento degli angeli, e la luce del sole l’albero avrebbe col tempo prodotto un nuovo frutto, che avrebbe dato vita ad un altro mondo. Lui, Toma aveva  il compito di portare l’albero alla fioritura.
-Ma non può essere un solo individuo a prendersi carico di tutto, hai bisogno di un compagno
Il capo piumato di Toma si inclinò verso l’alto, verso quello identico del padre:
-Ma non hai detto che io ero l’angelo più degno di atlandia?
-Di cosa ha bisogno l’albero della vita per prosperare?
-Di luce e prana
Rispose il figlio. Tamriel si chinò verso di lui, i suoi capelli erano delle piume grigio-azzurre, i suoi occhi celesti come quelli del figlio:
-Sebbene la luce e il prana prese singolarmente siano uniche e meravigliose, se non insieme non possono nutrire l’albero e credimi figlio,  per natura non siamo migliori o più completi dell’una o dell’altra e come il prana ha bisogno della luce tu hai bisogno di un compagno _il padre gli indicò un angelo delle tenebre_ Quel piccoletto la si chiama Apolloius, e sarà il tuo compagno.
Toma non lo vide subito: nascosto tra le gonne della madre, un bambino coi capelli rossi lo fissava guardingo, da bravo angelo delle tenebre, Toma lo raggiunse e si fermò ad un passo dalle gambe della madre del bambino, la salutò serio e poi salutò anche il suo futuro compagno:
-Toma di Tamriel
Il bambino, che ad occhio e croce, doveva essere più piccolo di trent’anni si fece avanti tenendo la gonna della madre con una mano:
-A… Apollonius
-Mi hai chiamato?
La voce dell’angelo più bello lo fece tornare alla realtà; Toma si voltò: Apollonius era dietro di lui, i palmi delle mani che accarezzavano il tronco dell’albero, l’ombra delle foglie che proiettava macchie scure sulla sua chioma.
-Ho solo rievocato il nostro primo incontro
Un sorriso antico comparve anche sulle labbra di Ali del Sole

Eccomi! Questa long fic è il frutto di prolungati film mentali e di qualche nottata. Spero vi sia piaciuta!
Lo so, in questo fandom era già presente una storia che trattava questo argomento, tuttavia penso che ci sia comunque molto da raccontare, anche perchè la storia è volutamente lasciata molto sfumata nell'opera originale.
Avvertimanto: la storia è narrata al netto degli OVA e di Aquarion Evol. Questo semplicemente per una scelta personale. ho lasciato stare Scorpius perchè non si inserisce bene nel mio programma di narrazione; mentre Gen Fudo è tornato ad essere semplicemente uno  dei tre piloti dell'Aquarion, come affermato da Sofia nella prima serie.(Questo implica che Apollo dopo sia effettivamente Apollonius e non il cagnetto )
Perchè ho fatto queste scelte? Perchè é una fanfiction, ecco perchè!
Se trovate qualcosa che non va, come obrobri grammaticali o altro o semplicemente trovate la storia noiosa e non l'avete letta tutta, per piacere ditemelo, anche con un messaggio personale.
Gavriel
  
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