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Autore: Shannara_810    25/03/2008    1 recensioni
SWEEP: quando la magia diventa realtà. Piccola storia senza pretese, tratta dai meravigliosi romanzi di Cate Tiernan, che cerca di diffondere nel cuore delle persone la magia di questi libri. Chi, fra coloro che conoscono questa storia, non si è mai chiesto almeno una volta cosa sarebbe potuto accadere se Cal e Hunter fossero cresciuti insieme? Beh, questo racconto vuole proprio tentare di darvi una risposta.
Genere: Romantico, Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Vigilia di Samhain, 1992
C'è grande fermento in casa in questi giorni.

Samhain è alle porte... il secondo da quando i miei genitori sono scomparsi.
Sento la magia crepitare nell’aria, la sua presenza aleggiarmi intorno. Ho solo dieci anni ma posso avvertire la sua presenza distintamente.
Alle volte, la magia è gentile come la brezza d’estate; alle volte, invece, violenta come un tornado lanciato per distruggermi.
È il vento del cambiamento questo, ne ho la certezza. Ha marcato con la sua forza i momenti più importanti della mia vita: la nascita dei miei fratelli, la scomparsa di mamma e papà. Non mi ha mai ingannato il vento. È sempre stato portatore di notizie per me. 
E anche se non riesco a comprendere appieno il suo messaggio, confido nella saggezza della Dea.
Lei sa cosa è giusto per me, non mi farebbe mai del male.
Zia Shelagh me lo ripete in continuazione: tutto accade per un motivo ben preciso. Non esiste il caso nella Wicca. Ogni singolo evento fa parte del grande disegno.
Le sue parole mi sono di conforto, ma non sempre.
Non quando il pensiero dei miei genitori torna a farsi vivo più prepotente che mai. E, con esso, tutto il dolore che un bimbo della mia età non dovrebbe mai conoscere.
È una cosa strana, il dolore.
Alle volte, è quasi insopportabile. Mi sento soffocare, una morsa nel petto che mi ruba lentamente la vita.
Nei giorni seguenti la fuga misteriosa di mamma e papà, non riuscivo nemmeno a pensare. Il tormento era continuo: perché se ne erano andati così all'improvviso? Cosa gli era successo? Perché non ci contattavano?
Le mille domande di Linden ed Alwyn servivano solo a peggiorare tutto. Avrei voluto urlare, scalciare, distruggere il mondo intero. Sono solo un bambino... come avevano potuto pensare che avrei avuto la forza di crescere da solo i miei fratelli?
O Dea, perdonami. So di essere ingiusto nei confronti di Zio Beck e zia Shelagh. Loro ci hanno accolto senza esitare. Ci hanno amato e sfamato... lo so.
Però… sono una persona tanto orribile se non riesco ad apprezzare in pieno il loro aiuto?
Che cosa devo fare?
Ora, dopo due anni, il dolore mi assale a ondate. Ondate via via più rade. Tento di tenermi occupato pur di non soffrire ma, certe notti, il desiderio di ritrovare i miei genitori torna sempre più assillante.

E, a quel punto, l'unica cosa che posso fare e rannicchiarmi sotto le coperte e piangere lacrime silenziose. Non voglio che gli altri mi vedano così... sono l'uomo di casa adesso. Linden ed Alwyn contano su di me. Devo essere forte, se non per me, per loro.
Ma non è questo a farmi stare tanto male. Oh, Dea! Mi sembra di dimenticarli. I loro visi, le loro voci. Non sono più così nitidi.
Non voglio, no! Non posso, non posso dimenticarli! Dea, Dea stammi vicino!
Ecco... un’altra lacrima. La asciugo con la forza della mia disperazione. Non sono debole. Non sono debole continuo a ripetermi.
Eppure ho la sensazione che Athar sappia tutto. Lo capisco dal modo in cui mi guarda... non voglio la sua compassione.
La casa è in subbuglio. Sono tutti occupati con la preparazione della festa ed è toccato a me aiutare Linden ed Alwyn con i loro costumi. Il risultato non è stato dei migliori ma ringrazio la Dea ugualmente. I bambini non si sono lamentati e questo riesce quasi a farmi scordare il dolore che provo per le mie povere dita piene di buchi.

Eccolo.  Quello strano vento ha ripreso a soffiare. Lo percepisco nitido, fin dentro le ossa.
Che cosa stai per portarmi, vento?
Oggi, mi è successa una cosa strana. Mi stavo esercitando per affinare le mie doti di divinazione con l'acqua quando, nella ciotola che stavo utilizzando per i miei esercizi, è comparso un volto. Ma non un volto qualsiasi... era quello di un bambino... un bambino più o meno della mia età, con i capelli castani e gli occhi strani, come mai ne avevo visti. Sembravano quelli di una tigre.
Il suo volto era sudato, febbricitante, contorno in una smorfia di dolore.
Una fitta lancinante mi ha trapassato un fianco. Per un attimo, mi è parso di riuscire a percepire il suo stesso dolore.
Quando ho allungato una mano per toccare la superficie dell'acqua, l'immagine è scomparsa lasciandomi un gran vuoto dentro.
Chissà chi era quel bambino? Non ho idea di chi sia eppure...
Non so, ma ho come l'impressione di doverlo sapere... come se lui fosse importante per me... in un qualche modo misterioso che solo il Dio e la Dea possono conoscere.
Ho pregato la Dea affinché lo faccia guarire.
Quando ho raccontato l'accaduto ai miei zii, loro si sono rivolti un'espressione strana. Uno sguardo cupo e preoccupato che non sono riuscito a decifrare. Nemmeno la notizia della sparizione dei miei li aveva sconvolti fino a questo punto.

La zia Shelagh mi ha rivolto un sorriso forzato e mi ha detto di non preoccuparmi. Sicuramente mi sarò sbagliato.
So che mentiva. Ne sono certo.
E' tardi. I miei fratelli dormono già da un pezzo. Io, però, non ci riesco. Sta per succedere qualcosa, me lo sento.
I vetri delle finestre della stanza vibrano forti. Fuori, una tempesta senza precedenti si sta scatenando da ore, fin da quando il sole è andato a coricarsi dietro le montagne. Forse la festa di domani sarà cancellata.
Athar ha tentato di spaventarci, dicendo che non si tratta di una tempesta come le altre bensì di Spiriti Maligni venuti a prendere noi, bambini cattivi. Tutte sciocchezze!
Anche se Linden ha provato a nasconderlo, si vedeva che era spaventato. Alwyn l’ha preso in giro tutto il tempo.
CRASH
Uno strano rumore dal piano inferiore. È meglio andare a controllare…

 
_*_*_*_*_*_
 
Poche ore.
Sono bastate poche ore per mandare tutto il mio mondo in frantumi.
Sono qui seduto a scrivere alla luce di una piccola torcia, tentando di fare ordine, di capire cosa è successo.
Non credo di farcela, non credo di riuscire a scrivere nulla di sensato.
È quasi l’alba, la notte è ormai trascorsa.
Eppure mi sembra passata un’eternità. Una vita intera dal momento in cui ho scarabocchiato per l’ultima volta su questa pagina. Non sono più lo stesso.
Non riesco nemmeno a dare significato a queste mie parole d’inchiostro. Segni incomprensibili che si rincorrono l’uno dopo l’altro su di un foglio bianco.
La mia mente sta viaggiando a una velocità impressionante. Mille e più pensieri si stanno dando battaglia dentro di me, scontrandosi senza sosta fino a farmi male.
Non so più cosa pensare.
Poche ore, poche semplici ore e la mia curiosità di bambino.
Poche semplici ore per rivelarmi una verità che non sono sicuro di poter accettare.
Ho sentito la porta sbattere verso mezzanotte. È stato questo a mettere in moto tutto.

 Il rumore di una porta chiusa con forza e quello di passi pesanti.
Ho udito lo zio Beck imprecare e la zia Shelagh mormorare qualcosa. Che ci facevano in piedi a quell’ora, mi sono chiesto.
Poi dei singhiozzi a stento trattenuti.
Qualcuno stava piangendo.
Sono sceso a controllare, per assicurarmi che fosse tutto apposto. Avevo il cuore in gola.
Ho afferrato la torcia che avevo usato per scrivere sul mio Libro delle Ombre ed ho infilato un cuscino sotto le coperte. Per essere sicuri. Conosco fin troppo bene le punizioni di zio Beck. Non avevo la minima intenzione di ripulire i recinti delle pecore ancora una volta.

Piano piano, sono passato accanto ai letti di Linden ed Alwyn. Per fortuna loro stavano ancora dormendo.
Cercando di non far il minimo rumore, ho aperto la porta della nostra stanza e mi sono diretto verso le scale.

SCRIT SCRIT
Ogni cigolio delle travi di legno, un brivido. Strano come quando il silenzio è necessità, si riesca sempre a fare tanto baccano.
D' un tratto una mano sconosciuta mi ha afferrato una spalla.
Sono sobbalzato spaventato, trattenendo a stento un urlo. Mi sono morso un labbro con forza per trattenere quel grido che mi si è spezzato in gola.

Mi sono voltato per colpire l’aggressore, quando questi mi ha posto una mano sulla bocca e ha lasciato che la luce della torcia illuminasse i suoi lunghi capelli d’oro.
Era Athar. Anche lei è stata svegliata da quegli strani rumori.
Mia cugina si è portata un dito alle labbra, facendomi cenno di restare in silenzio. Se fossimo stati scoperti in piedi a quell’ora, sarebbero stati guai. Mi ha lasciato andare, incamminandosi dietro di me con passo felpato.
Siamo scesi al piano di sotto, tentando di fare meno rumore possibile. Le scale, come lo stretto corridoio, parevano non finire mai.

C'era qualcuno in cucina. Ci siamo nascosti dietro la porta socchiusa, tentando di sbirciare attraverso il piccolo spiraglio che era stato lasciato aperto. Ci siamo accucciati l’una addosso all’altro, un occhio attento incollato a quella piccola breccia.
Il camino della cucina era acceso e gettava ombre spettrali tutto intorno.
Potevo vedere la zia Shelagh china su di una piccola figura incappucciata mentre lo zio Beck, il viso pallido e stravolto, stava leggendo una lettera con mani tremanti.
Con loro, c'era anche un uomo che non avevo mai visto. Era alto, magro, con la barba scura e lo sguardo corrucciato.
Parlava a bassa voce con lo zio ma non riuscivo a capire cosa si stessero dicendo.
Altri singhiozzi.
La figura ammantata di nero stava tremando.
Zia Shelagh gli ha abbassato il cappuccio, asciugandogli le lacrime e mormorandogli parole di conforto.
La schiena della zia mi si parava davanti perciò non riuscivo a vedere bene. Però…

Il vento, potevo sentirlo accarezzarmi la pelle e mormorarmi strane litanie all’orecchio.
È il momento, mi pareva dicesse. È il momento.
D’un tratto la zia si è spostata di lato ed è stato allora che i nostri sguardi si sono incrociati per la prima volta.
Quegli occhi... gli occhi di tigre.

È il momento.
Senza rendermene conto ho spalancato la porta, nonostante Athar abbia cercato di fermarmi.
Ma non l’ho ascoltata. Non la vedevo.

Tutto il mondo intorno a me si era dissolto.
Vedevo solo quegli occhi. Quelli del bambino della mia visione.
Vagamente, ho sentito la zia Shelagh sobbalzare e lo zio Beck rimproverarmi.
Non ascoltavo nemmeno loro.

Tutta la mia realtà era ora concentrata in due piccoli occhi di tigre.
Con passo lento, mi sono avvicinato a quello strano bambino tutto infreddolito.

Il viso pallido e smunto. I capelli incollati sulla fronte per la pioggia e una lieve febbre.
Era tutto identico a ciò che l’acqua mi aveva mostrato.
Quando ho tentato di sfiorargli una guancia per costatare se fosse reale, o solo un altro frutto della mia immaginazione, lui si è ritratto spaventato, quasi avesse paura di essere ferito.
Non potrò mai dimenticare quel momento, nemmeno fra cento anni.
Zia Shelagh mi ha parlato piano, con dolcezza. Con una solennità che non le ho mai sentito usare.
"Giomanach" . Mi ha detto. "Questo... questo è tuo fratello Calhoun".

Giomanach
  
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