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Autore: TwistedDreamer    24/09/2013    3 recensioni
- Ciao Matt. - si sentì rispondere piano.
Ebbe un brivido: conosceva quella voce.
Conosceva quel particolare tono di voce, quello di un serpente che cerca di incantarti, e si ritrovò ancora a corto d'aria.
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Muse, Placebo | Coppie: Brian.M/Matthew.B
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: Nessuno dei personaggi citati mi appartiene, purtroppo non li conosco, non intendo rappresentare fatti reali, non guadagno niente da tutto ciò. Il titolo della storia è quello dell'omonima canzone dei Placebo (tratta dalla fatica del secolo che ha il nome di Loud Like Love) ed è la canzone che ha ispirato tutta la storia.



Matthew Bellamy si congelò sul posto, trattenendo il respiro.
- Brian - esalò.
Il sorriso sarcastico e un po' amaro di Brian Molko gli era comparso davanti, inaspettato, illuminato dalle luci blu del locale.
- Ciao Matt. - si sentì rispondere piano.
Ebbe un brivido: conosceva quella voce.
Conosceva quel particolare tono di voce, quello di un serpente che cerca di incantarti, e si ritrovò ancora a corto d'aria.
Brian si sporse con noncuranza verso di lui, allungando un braccio per prendere un bicchiere di champagne dal bancone a cui Matt era appoggiato e casualmente gli sfiorò un fianco nel ritrarsi.
No, non era stato casuale. Niente di quello che faceva Brian era casuale e infatti Matt scorse il lampo di trionfo nei suoi occhi, quando quello si accorse del suo irrigidirsi.
- Allora… come va?
Matt deglutì. Si sentiva improvvisamente in trappola, intrappolato in quella conversazione e in quel posto, tra Brian e il bancone, senza possibilità alcuna di fuga. La sua voce, pertanto, risultò stridula quando rispose.
- Tutto splendidamente. E tu?
Brian affilò lo sguardo.
- Splendidamente, eh? - sussurrò. - E dimmi, com'è la vita del padre di famiglia?
Matt fece per rispondere, ma quello lo interruppe.
- Scusa, mi correggo. Com'è recitare la vita del padre di famiglia? Sai… fingere di essere innamorato della tua donna, dover andare a letto con lei tutte le sere…
- Smettila Brian. Non aiuti la situazione. - Matt si compiacque per un attimo di essere riuscito a far risuonare ferma la sua voce.
Brian continuò come se non l'avesse sentito, con quel tono basso, roco, insinuante, arma infallibile di seduzione.
- Ti piace stare con lei? Ti fa sentire amato? No, vero? È un'attrice, è una prima donna. - fece pensieroso - Scommetto che a letto pretende e non dà niente. - il sorriso ora era sardonico - Anzi, magari dopo la nascita del bambino non fate neanche più sesso.  E comunque, - proseguì, guardandolo negli occhi con aria maliziosa - a lei manca sicuramente una cosa che tu vorresti.
Matt non se n'era accorto, ma Brian si era leggermente avvicinato, mentre parlava. E non si era accorto neanche di essere andato in iperventilazione.
Rimasero lì a fissarsi, in attesa di una risposta che non sarebbe arrivata.
- Beh, il fatto che tu non dica niente è già di per sé una risposta. Non è come quando stavi con me. Non ci si avvicina neanche. - Brian fece un altro passo avanti. Ormai erano così vicini che se Matt avesse fatto un respiro un po' più profondo, i loro petti si sarebbero toccati. La voce di Brian si abbassò ulteriormente, ma a lui sembrò quasi che stesse urlando. - Quando scivoli dentro di lei cosa provi, Matt? - quello sgranò gli occhi, mentre Brian preparava l'ultimo attacco. - Non è colpa sua. Lei non sa niente di te. Non sa quello che ti piace e anche se lo sapesse, non potrebbe dartelo. Non potrebbe mai… - Brian gli si avvicinò lentamente e gli soffiò nell'orecchio la fine della frase. Si ritrasse un po' e gli poggiò le labbra umide sulla pelle perfettamente rasata. Era solo un bacio sulla guancia, ma di casto non aveva proprio niente; dopodiché se ne andò.
Matt restò lì a respirare affannosamente, a sentire il cuore pulsargli alla velocità della luce nelle orecchie, nelle tempie, nei polsi e a fissare il punto in cui Brian era comparso e scomparso nel giro di qualche minuto.
 

 
Entrò in casa lanciando le chiavi sul mobile dell'ingresso e richiudendo la porta dietro di sé. Kate e Bing erano accoccolati sul divano della cucina, semiaddormentati.
La donna aprì gli occhi non appena lo sentì arrivare e gli sorrise.
- Com'è stata la festa?
- Solita festa per musicisti, non ti sei persa niente - fece quello vago. - Come va il tuo mal di testa?
- Meglio, fortunatamente - rispose lei soffocando uno sbadiglio.
Il bambino si svegliò ed emise un assonnato: - Pàà?
- Ciao amore. - gli rispose, prendendolo in braccio. Il piccolo nascose la testa nell'incavo del suo collo e lui si sentì improvvisamente a casa. La sensazione di disagio e di rigidità che non l'aveva abbandonato da quando aveva incontrato Brian si sciolse all'istante.
- Papi andiamo a  vedere le stelle?
Kate si intromise. - Fa freddo fuori?
- No, tranquilla. Non ho avuto neanche bisogno della giacca. Sì, tesoro, ora andiamo.
Ogni sera, prima di andare a letto, Bing pretendeva quel momento padre-figlio. Uscivano insieme sul grande terrazzo, che era abbastanza in alto per non risentire troppo delle luci della città, e si mettevano a guardare le stelle. Bing ne indicava una e Matt gli raccontava la storia relativa alla costellazione. Ovviamente il bambino non sapeva che la maggior parte di quelle storie erano inventate sul momento.
Uscirono insieme e si misero ad osservare il cielo. La notte era limpida, non c'era l'ombra di una nuvola e le stelle sembravano più luminose del solito. Rimasero per un po' in silenzio, finché il bimbo si illuminò e, puntando il dito in aria, disse: - Quella, papà!
- Bing, quello è un aereo.
- Ah… - fece il piccolo, deluso. - Allora quella! - riprese, spostando un po' il braccio.
Matt fece finta di capire quale fosse la stella prescelta.
- Ma quale? Quella luminosa?
- Sì!
- Quella stella si chiama… Ferita.
- Ferita? - il bambino era scettico.
- Sì, sì. - rispose il padre, serissimo, e cominciò a raccontare. - Ferita era una ragazza bellissima, di quelle che affascinavano tutti gli uomini solo con uno sguardo.
- Come la mamma!
- Ancora più bella. - rispose Matt - Ferita aveva dei bellissimi occhi verdi e i capelli neri e setosi e poi aveva anche una bellissima voce. Se qualcuno per caso non la notava, appena la sentiva parlare o cantare non poteva fare a meno di avere il batticuore. Lei però non trovava mai nessuno che le piacesse abbastanza.
- E poi?
- E poi un giorno uno dei tanti uomini che stavano ai suoi piedi riuscì a farla innamorare. Con molta fatica eh, ma lui era tenace e la corteggiò fino a quando lei non cedette; così iniziarono una bellissima storia d'amore.
- E poi?
- E poi un giorno il suo fidanzato fece una cosa terribile. Avevano litigato per un motivo scemo e lui la tradì.
- Oh! - fece il bambino deluso e partecipe.
- Sì. Incontrò un'altra donna bellissima e quando Ferita lo scoprì, lo lasciò perché non riusciva a perdonarlo. Però il suo dolore era tanto forte che Venere, la dea dell'amore, decise di trasformarla in una stella per non farla soffrire più.
Bing mormorò: - Che storia triste papi.
- Lo so, cucciolo.
Rimasero in silenzio, assorti, a fissare la stella finché Kate non li raggiunse in terrazza.
- Allora, è finita la storiella? Possiamo andare a dormire?
Il piccolo annuì e tese le braccia verso il collo della madre. Lei si avvicinò e chiuse in un abbraccio Matt e il bambino, mentre quello si aggrappava a lei. Diede un bacio sulla guancia del compagno e poi rientrò per mettere a letto il figlio.
Matt sentiva la guancia bruciare sotto il tocco di quelle labbra che si sommava al tocco di altre labbra. Non era riuscito a mettere da parte il pensiero di Brian per tutta la sera, nonostante la sensazione di disagio si fosse attenuata, una volta a casa.
Lanciò uno sguardo verso la strada e lo vide.
Era appoggiato ad un lampione e guardava verso di lui. Aveva assistito da lontano alla scena dell'allegra famigliola.
Improvvisamente si sentì lacerato dal dolore che gli lesse negli occhi.
Vide le sue spalle alzarsi e riabbassarsi in uno spasmo che comprese essere un singhiozzo, poi lo guardò girarsi e andar via.
Matt sospirò e si passò una mano tra i capelli. Non c'era niente che potesse fare, niente che facesse tornare indietro il tempo e, sinceramente, pensando a suo figlio, alla famiglia che aveva costruito, alle piccole abitudini che ormai facevano parte di loro, non era sicuro di voler annullare tutto.
Prese il cellulare dalla tasca per controllare l'ora: le 2.15.
Era tardissimo.
E c'era un messaggio ricevuto: la compagnia telefonica lo avvisava di un nuovo messaggio in segreteria.
Compose il numero e restò in ascolto.

"Ok, hai ragione. Non ho alcun diritto di dirti quelle cose dopo tutto questo tempo. Ma mi manchi." La sua voce era disperata. Probabilmente aveva bevuto. "La verità è che non ce la faccio più. Sento che ora ti perdonerei tutto, sono stato un idiota e lo so che è troppo tardi. Ma ti voglio. Sento in bocca il sapore della tua pelle, risento il tuo odore ed è tutto dannatamente amaro, perché sa di assenza. Forse ho bevuto troppo. Non dovrei dirti queste cose, maledizione, ma rivederti mi ha distrutto. Pensavo di esserne uscito e invece ora mi rendo conto che potrei non uscirne mai. Forse mi serve altro scotch."

 L'ultima frase non sembrava far parte del messaggio, infatti si sentiva in lontananza, come se stesse allontanando il cellulare dal viso per chiudere la telefonata e quella fosse una frase diretta a se stesso.
 
No, Brian. Non è lo stesso. Non sarà mai lo stesso. Ho sbagliato e ora dobbiamo vivere entrambi con le conseguenze di quell'errore. E a me è andata fin troppo bene, perché alcune di queste conseguenze sono meravigliose e io non me le merito. Ma mi manchi anche tu, e non potrai mai saperlo.
 
Gli cadde addosso una goccia d'acqua. Fino a poco prima sembrava che non dovesse piovere mai più e ora ricominciava.
Il solito clima londinese… pensò, alzando lo sguardo verso un nuvolone solitario, mentre un'altra goccia lo spingeva a rientrare in casa per evitare di farsi inzuppare dalla pioggia imminente.
Entrò in camera di Bing e lo trovò semi addormentato. Diede un bacio in fronte all'errore più bello della sua vita e si diresse verso la porta.
Il bambino si riscosse.
- Papà - fece, assonnato.
- Dimmi tesoro - sussurrò lui.
- Piove?
- Sì.
- È Ferita che piange?
- Probabilmente sì.
 
 




Note finali:
Eh, niente, ciao! Storia completamente ispirata da questo capolavoro di canzone che è Exit Wounds e che io ho deciso di rendere Mollamy (era troppo allettante, la faccenda!). Ma quanto mi piace scrivere le scene padre-figlio? Troppo, lo so... a lungo andare diventerò monotona, ma sono troppo utili e carucci per lasciarli da parte!! :P A parte questo, vorrei dirvi che sono cosciente del fatto che la storia è piena di fail, ma eliminarli tutti avrebbe significato praticamente reinventarla e, siccome non mi andava, ho deciso che potevo godere della licenza poetica. Quindi se qualcosa non vi torna, fate finta che vi torni!
Baci ^_^

 
  
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