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Autore: FairyCleo    24/09/2013    3 recensioni
"Non aveva fatto in tempo. Non aveva fatto in tempo a rendersi conto di quello che aveva udito che il colpo di pistola era partito, dirigendosi a velocità spaventosa nella sua direzione.
Sarebbe morto. Sarebbe morto lì, in quel futuro a lui sconosciuto, lontano da Sam, dal suo perdono, dalla sua famiglia. Sarebbe morto senza poter aiutare Castiel.
Ma Dean Winchester non poteva sapere che le cose sarebbero andate diversamente, che chi lo aveva salvato in ben due occasioni, lo avrebbe fatto per l’ultima volta.
I suoi occhi si erano spalancati nel vedersi comparire davanti quel viso così pallido incorniciato dall’inconfondibile massa di capelli scuri. La sua bocca si era contratta in un urlo senza suoni nel vedere quegli occhi color del mare sbarrarsi per la sorpresa. Le sue mani avevano cominciato a tremare quando si era reso conto che quel piccolo puntino rosso comparso al centro del suo petto, si fosse allargato in una chiazza portatrice di morte".
Genere: Angst, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Lucifero, Sam Winchester
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Quinta stagione
- Questa storia fa parte della serie '2014 Camp Chitaqua'
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Disclaimer: i personaggi non mi appartengono e non scrivo a scopo di lucro.
 
2009
 
 
Dean continuava a piangere. Il suo era un pianto incontrollabile, un pianto che proveniva dall’enorme ferita che si era aperta nel suo cuore.
Le cose che si erano palesate davanti ai suoi occhi lo avevano sconvolto fino a fargli desiderare di uccidere il se stesso del futuro, di eliminare quell'orrenda bestia forgiata dal dolore scaturito da un presunto tradimento.
 
Castiel l’angelo che lo aveva salvato dalle fiamme brucianti dell’inferno, era rimasto per tutto il tempo seduto a terra accanto a lui, tenendolo stretto al proprio corpo. Era incredibile quanto surreale fosse quella scena, che fosse lui a tenerlo fra le braccia e a cullarlo, neanche fosse stato un bambino bisognoso di cure e attenzioni speciali.
Se qualche rifugiato del campo li avesse visti, sicuramente avrebbe considerato folle quell’umano distrutto. Avrebbero pensato che la vittima si era innamorata del suo carnefice, alla fine. Anche se li conosceva molto poco, non aveva faticato ad immaginare i commenti pungenti che avrebbero elargito. La guerra e la fame non potevano cambiare così radicalmente la natura umana. No, non potevano affatto.
 
Cass stava cercando di infondere tutto quel po’ della forza che credeva di possedere alla creatura meravigliosa che stava stringendo, a quella creatura che stava soffrendo per aver avuto il privilegio di affacciarsi nel suo terribile e tetro futuro.
Non riusciva proprio a rendersi conto di quanto grande fosse in realtà il suo coraggio, quanto radicata fosse la sua forza.
Castiel era solo. All'infuori di se stesso e di Chuck, nessuno si rendeva davvero conto di quanto profondo era l'abisso in cui era piombato, quell’abisso da cui non sapeva come uscire. Forse, un altro al posto suo avrebbe messo fine a quell’orrore sin da subito. Ma lui era convinto di non essere coraggioso, e aveva sviluppato la radicata convinzione che per porre fine alla propria vita c’era bisogno di tanto, troppo coraggio. Aveva vissuto ancora troppo poco per rendersi conto che la vera sfida era quella che stava affrontando, che il vero coraggio si dimostrava stringendo i denti e continuando ad andare avanti.
 
Innumerevoli volte si era chiesto come sarebbe stato trovarsi stretto fra le braccia del Dean dei suoi ricordi, di un Dean che forse avrebbe potuto amare dal profondo del cuore un essere così poco avvezzo ai sentimenti umani come era stato lui.
C’era un abisso tra di loro, fra il loro Dean, il capo, il leader del campo, e quello che reggeva fra le braccia stanche e doloranti.
Tutti avrebbero dovuto sapere chi era stato, un tempo. Tutti avrebbero dovuto conoscere quel ragazzo buono e generoso che aveva sacrificato la propria vita per salvare quella del fratello.
Ma non ci riusciva. Per una volta, per una sola volta, voleva comportarsi da egoista e tenere quel piccolo grande dono tutto per sé.
 
Per questo, aveva lasciato che Dean si sfogasse fino all'ultima lacrima. Voleva che quegli attimi fossero solo suoi. Quelle lacrime, lacrime che non avrebbe mai visto versare al Dean del suo tempo, erano talmente umane, talmente preziose, che per un attimo gli avevano fatto dimenticare quanto orribile fosse il suo presente.
Avrebbe voluto che tutto quello non finisse mai. Avrebbe solo voluto che non finisse mai.
 
Con lentezza estrema, Dean si era rigirato fra le sue braccia, specchiandosi negli occhi stanchi ma felici di Castiel.
 
"Tutto ok?" - la voce dell'ex-angelo era arrivata alle sue orecchie in un sussurro. Doveva mostrarsi forte. Non poteva permettere che lui crollasse.
Dean aveva fatto un cenno di assenso col capo, mettendosi seduto.
"Credo che quella bottiglia di assenzio sarà molto utile, adesso" - aveva ironizzato Castiel mentre lo aiutava a rimettersi in piedi.
Aveva preferito dargli le spalle mentre versava il liquore negli ultimi due bicchieri puliti che gli erano rimasti. Bicchieri spaiati.
 
"Che cosa è successo dopo, Cass?" – gli aveva domandato, recuperando un po’ di fermezza nella voce.
Si aspettava che Dean gli ponesse quella domanda.
Si era girato lentamente, porgendogli il bicchiere, bevendo un lungo sorso dal proprio prima di rispondere.
 
"Ero stravolto. Sai, nonostante il tuo apprezzabile tentativo di iniziarmi ai piaceri corporali durante quella lontana notte con Chastity, non ero riuscito a comprendere cosa mi fosse accaduto. Sentivo... dolore... e c’era una sensazione… provavo una sensazione che non riuscivo a spiegarmi. E’ stato solo dopo tanto tempo che ho capito di essermi sentito umiliato..." - aveva soffocato un triste sorriso nel bicchiere, annegandovi anche tutto il dispiacere che non aveva mai davvero tirato fuori prima di allora.
Gli sembrava impossibile che tutto quello stesse accadendo realmente. Eppure era vero, vero come le ferite che aveva sul proprio corpo. E Cass sentiva che non ci sarebbe stato niente di più liberatorio che parlarne proprio con lui.
Dean lo aveva ascoltato, in silenzio. Che cosa avrebbe dovuto fare o dire? Dirgli che gli dispiaceva? Sarebbe stato a dir poco offensivo. Anche perché non era solo dispiacere quello che stava provando.
Avvertiva un dolore che aveva già conosciuto. Lo stesso dolore che aveva sentito quando Sam lo aveva abbandonato.
 
"Mi ha trascinato in macchina tirandomi per i capelli, sbattendomi sui sedili posteriori come se fossi stato un sacco di biancheria sporca.
Credo di avergli chiesto per tutto il viaggio di perdonarmi. Non mi ha degnato neanche di uno sguardo".
 
Di perdonarlo. Cass gli aveva chiesto di perdonarlo. Stupido bastardo piumato. Era stato una vittima, e si prendeva pure il disturbo di sentirsi in colpa nei confronti del suo carnefice.
 
"Mi ha portato da Bobby. Ma ricordo poco di quando sono arrivato lì. Ero stremato… Ricordo solo che ero avvolto malamente nel trench. Mi ha lasciato sul patio e se n'è andato. Mi ha lasciato se n’è andato" – aveva posato il bicchiere vuoto sul tavolo, passando energicamente entrambe le mani sul viso e tra i capelli, come se volesse lavare via qualcosa.
 
"Sai, Bobby credeva che avessi perso i sensi quando mi ha trascinato malamente in casa. Mi sono preso un sacco di schegge, quel giorno. Ma io ero cosciente. Ero cosciente... Lo sono stato per tutto il tempo.
Ho sentito il bruciore del disinfettante sulle ferite, la puntura di ogni singola sutura, il dolore delle ossa che venivano riposizionate, ma… Io… io non ho detto una parola. Non ho emesso un solo fiato. Non volevo che Bobby capisse, che sapesse…
Piangevo. Era l’unica cosa che riuscivo a fare… Piangevo perché lui mi odiava. Perché l’uomo che avevo salvato mi odiava al punto di volermi punire. Ed io non riuscivo davvero a comprenderne la ragione.
Avevo provato ad aiutarlo. Io volevo solo aiutarlo, volevo solo… aiutarlo. Dio quanto sono stupido!”.
 
"Finalmente te ne sei resto conto! Chi l’avrebbe mai detto! Ma dimmi, tu lo sapevi che era tanto stupido il nostro angioletto? Eh, Dean?".
 
Il sangue si era raggelato nelle loro vene.
Il Dean di quel tempo, il Dean dal cuore colmo d’odio, era entrato nella stanza senza che loro se ne accorgessero.
Trovarselo davanti era stato un colpo per entrambi.
Castiel si era messo davanti a Dean d’istinto, cercando così di fargli scudo col proprio corpo.
 
"Bobby mi ha raccontato tutto” – aveva proseguito, avanzando con una lentezza snervante – “Non un grido... Non un lamento... Cercavi ancora di capire cosa ti fosse accaduto, non è vero?".
 
Dean, il nostro Dean, aveva stretto i pugni talmente forte da farsi sbiancare le nocche. Non riusciva a sopportare la vista di se stesso che si rivolgeva a Cass in quel modo. L'ex-angelo lo stava osservando con terrore.
Davvero non comprendeva come si potesse arrivare a tanto.
 
"Mi domando cosa avrebbe pensato Bobby se gli avessi raccontato quello che avevamo fatto, quanto ci eravamo divertiti! Ma non hai parlato... né mangiato per giorni... Di un po’, volevi forse morire, Cass?".
 
Dean era sull’orlo di una crisi. Come poteva ancora chiamarlo Cass? Come? Con che coraggio osava rivolgersi a lui chiamandolo in quel modo?
 
"Tu non volevi sentire più dolore, non è così? Non riuscivi a sopportare quell'onta, nonostante non riuscissi a comprenderla!".
 
Cass sembrava improvvisamente invecchiato di un secolo.
 
"Sono tornato dopo settimane, dandogli giusto il tempo che le lesioni si rimarginassero. L'Armageddon ormai era iniziato, portandosi dietro morte e distruzione. Molti cacciatori erano già morti, altri si erano riuniti proprio qui, a Camp Chitaqua, cominciando a raccogliere provviste e ad istruire i civili su come difendersi.
Avevo bisogno di sfogarmi… E l’ho fatto. Puoi giurarci Dean, l’ho fatto! E non hai idea di quanto mi sia sentito meglio dopo! Dovresti provare, sai? Che cosa potrà mai cambiare per la puttana dell’accampamento? Ho perso il conto di quante se lo sono fatto. E tu… Porca puttana, tu sei me! Che differenza potrà mai fare?”.
 
“IO NON SONO TE! Hai capito? HAI CAPITO FIGLIO DI PUTTANA? NON SONO TE!”.
“Dean, NO!!”.
 
Ma quella supplica non lo avrebbe convinto a desistere.
La rabbia che stava provando, l’odio, il disgusto generati nei confronti di quell’essere che aveva il suo stesso volto, ma una crudeltà impressa negli occhi che probabilmente non aveva avuto neppure quando era diventato un demonio, avevano preso il sopravvento, facendolo reagire alle stregue di un toro imbizzarrito davanti ad un drappo che aveva il colore del sangue.
Dean aveva afferrato la sua versione di qualche anno più anziana per il colletto della giacca, e l’aveva scaraventata contro il muro, noncurante della presa che quelle mani callose avevano avuto sui suoi polsi.
Voleva distruggere quell’immagine distorta, voleva far sparire quel sorriso malvagio da quel volto deforme, da quel volto in cui gli era impossibile riconoscersi.
Come, come aveva potuto trasformarsi in quell’essere disgustoso? Come?
Neppure nei suoi peggiori incubi avrebbe potuto palesarsi una prospettiva così disgustosa, così abominevole.
Cosa credeva di fare? Di vendicare se stesso? Di vendicare Sam?
Cass voleva solo aiutare, sarebbe stato da folli non capire una cosa tanto evidente. Voleva solo che lui e suo fratello si ricongiungessero, che la smettessero di fare i bambini, che lui la smettesse di fare il bambino, e che tornassero ad essere una famiglia.
Ma quel Dean non aveva voluto. Lui non aveva voluto. E forse, era per questo che lo stava odiando tanto, alla fine dei conti: perché aveva capito che diventare quell’essere privo di scrupoli era molto più semplice di quanto avesse potuto credere.
 
“Che cosa c’è, Dean? Hai forse paura di rovinare questo tuo bel faccino?” – aveva ironizzato il Dean del futuro, per nulla preoccupato di quello che il se stesso del passato avrebbe potuto fargli – “O forse cominci a credere che questa puttana si meriti quello che gli è capitato?”.
 
Avrebbe voluto mettersi a ridere, maligno, ma il suo proposito era stato mandato in fumo dallo strattone che il se stesso del passato gli aveva inferto, strattone che gli aveva mozzato il fiato.
 
Stava ringhiando. Dean stava ringhiando, colmo di odio nei confronti di chi ancora una volta aveva osato offendere l’unico che nonostante tutto stava ancora cercando di recuperare quello che era rimasto della sua vita, di quella vita che aveva salvato dalle crudeltà e dal dolore dell’Inferno.
 
“Chiudi immediatamente il becco” – aveva sussurrato, trattenendosi dal prenderlo a testate.
“E perché dovrei? Tu non vuoi farmi del male, alla fine, o lo avresti già fatto. Mi avresti già spaccato la faccia. Soprattutto con la rabbia repressa che ti ritrovi in questo periodo. Oh! Non fare quella faccia! Ci sono già passato, sai? Dopotutto, io sono te! O l’hai dimenticato?”.
“No, brutto bastardo! Non l’ho dimenticato! Ma lasciami precisare una cosa, lurido bastardo. Tu potrai pure essere me, ma io non sarò mai te” – e, contrariamente ad ogni pronostico, lo aveva lasciato andare, allontanandosi da lui come ci si sarebbe allontanati da un appestato.
 
Castiel aveva osservato la scena senza dire una parola, rimanendo in disparte, sospeso tra il suo passato e il suo presente, incerto di come sarebbe stato il futuro.
Era sua la colpa. Ogni colpa di quello che stava accadendo o sarebbe accaduto era solo ed esclusivamente sua. Lui aveva salvato Dean dalle fiamme dell’Inferno. Lui aveva cercato di ricongiungere i due fratelli, di riappacificarli. Ed era stato quel suo gesto sconsiderato che aveva fatto sì che Sam accettasse di portare in sé quel fardello, che Sam decidesse di ospitare il Diavolo nel proprio corpo, di farsi usare come un guanto, come un abito cucito su misura.
Era stata solo colpa sua. Ed ora, era colpa sua e di quello che gli aveva mostrato se il Dean del suo passato avrebbe vissuto il resto dei suoi giorni con il tormento di essere diventato un abominio, un mostro peggiore di quanto non fosse stato quando bruciava tra le fiamme dell’Inferno.
 
Vederlo in quello stato stava facendo sanguinare il suo cuore. Non avrebbe dovuto permettere che lui sapesse, non avrebbe mai dovuto permetterlo. Invece, ancora una volta, era stato vittima della sua debolezza. La mancanza di forza, la mancanza di coraggio, lo avevano portato ad essere egoista, a volergli far credere che quel Dean fosse suo, e che forse non ci sarebbero state conseguenze gravi, che forse sarebbe stato abbastanza bravo da evitare di essere scoperto.
Come aveva potuto essere così stupido?
 
“Dean…” – aveva sussurrato, avanzando di qualche passo, incerto – “Dean…”.
 
“Dean, Dean, Dean! Cazzo Cass, sei davvero monotono e asfissiante! Lo eri da angelo, quando ti trovavo persino in bagno mentre andavo a pisciare, e lo sei adesso! Nessuno qui ti ha dato il permesso di parlare! Nessuno te lo aveva dato neppure all’epoca, quando hai deciso di fare il doppio gioco!”.
“Per la miseria, possibile che tu sia così idiota?!” – aveva tuonato il Dean del passato, intervenendo a difesa di quella creatura vessata senza ragione – “Dimmi, prenderò una botta in testa? Sarà l’alcol a farmi diventare così? Saranno stati quei bastardi piumati a friggermi il cervello? Perché davvero io non riesco a capire come farò a diventare come te! Un bastardo senza scrupoli capace solo di prendersela con gli altri per non aver saputo porre rimedio ai proprio errori”.
“Ai miei errori, dici? Vuoi forse dire che ti sei sbagliato, Dean?” – il sarcasmo nella sua voce era accentuato dal velo di odio che non aveva fatto fatica a trapelare – “Mi stai dicendo che hai forse cambiato idea riguardo a lui? Che hai forse cambiato idea riguardo a Sam? Lui aveva torto! Lui ha sempre avuto torno, e tu lo sai! E se questa bestia, se questo stupido pennuto avesse tenuto la bocca chiusa, se non avesse fatto il doppiogioco, niente di tutto questo sarebbe accaduto! LUI, LUI aveva fatto credere a Sam qualcosa che non esisteva! Mio fratello era solo, era fragile, e lui gli ha fatto credere chissà cosa, spingendolo a dire di sì, costringendolo a dire di sì! E tu, il me stesso del passato, vorresti farmi credere che dovrei lasciar correre? Ha mentito a Sam, ha mentito a me. Questo non potrò mai perdonarglielo, MAI. Dovrà pagare ogni singolo giorno della sua miserabile vita per l’errore che ha commesso. Dovrà pagarlo finché io non deciderò cosa fare di lui, così come lui ha deciso cosa fare con me”.
 
La rabbia e l’odio erano esplosi in quell’uomo dal cuore di ghiaccio, impossessandosi di lui al punto da fargli estrarre la pistola dalla tasca e di puntarla senza esitazione contro la fronte di Castiel.
 
“Figlio di…”.
“NON SONO IO IL FIGLIO DI PUTTANA! E’ LUI! E’ QUESTO MALEDETTO BASTARDO IL FIGLIO DI PUTTANA! SAM SI FIDAVA DI TE! IO MI FIDAVO DI TE! E HAI ROVINATO TUTTO! TUTTO!”.
 
Schiuma si era formata agli angoli della sua bocca, e gli occhi erano diventati due bulbi striati di rosso. Il viso paonazzo rispecchiava lo stato di follia in cui si trovava, e il tremore delle sue membra contratte nello sforzo di mantenere quel po’ di lucidità che gli restava si era impossessato di lui.
 
“Metti giù quella pistola. Metti-giù-la-pistola”.
“D-Dean… Non fa niente, lascia stare”.
 
Il Dean del futuro aveva il cuore in gola. Doveva prendere in mano la situazione, doveva cercare di evitare l’irreparabile. Non poteva permettere che Castiel morisse. Non poteva permetterlo.
Cass era rimasto immobile, terrorizzato, ma ugualmente convinto di immolarsi, se necessario. Se qualcuno doveva rimetterci la vita, quello sarebbe stato lui. Se era giunto il momento di pagare per i propri errori, lo avrebbe fatto senza alcuna esitazione.
 
“Lasciarlo stare? Tu devi essere completamente pazzo! Pazzo o duro di comprendonio! Ma non preoccuparti, Dean. Se è diventare come me, che ti preoccupa, facciamo ancora in tempo a rimediare”.
 
Non aveva fatto in tempo. Non aveva fatto in tempo a rendersi conto di quello che aveva udito che il colpo di pistola era partito, dirigendosi a velocità spaventosa nella sua direzione.
Sarebbe morto. Sarebbe morto lì, in quel futuro a lui sconosciuto, lontano da Sam, dal suo perdono, dalla sua famiglia. Sarebbe morto senza poter aiutare Castiel.
 
Ma Dean Winchester non poteva sapere che le cose sarebbero andate diversamente, che chi lo aveva salvato in ben due occasioni, lo avrebbe fatto per l’ultima volta.
 
I suoi occhi si erano spalancati nel vedersi comparire davanti quel viso così pallido incorniciato dall’inconfondibile massa di capelli scuri. La sua bocca si era contratta in un urlo senza suoni nel vedere quegli occhi color del mare sbarrarsi per la sorpresa. Le sue mani avevano cominciato a tremare quando si era reso conto che quel piccolo puntino rosso comparso al centro del suo petto, si fosse allargato in una chiazza portatrice di morte.
 
“D-Dean…Dean” – era riuscito a pronunciare, sorridendo appena in quel conato di sangue che aveva macchiato il suo mento velato di barba, sorridendo appena mentre le sue ginocchia cedevano sotto il suo peso, facendolo cadere.
 
“CASS! CASS!”.
 
Era riuscito ad afferrarlo prima che rovinasse al suolo. Era riuscito a prenderlo fra le proprie braccia prima che le sue membra si schiantassero contro il freddo pavimento di quella baita.
Castiel era caduto a peso morto sul suo torace, inerme, incapace persino di appendersi a lui nel disperato tentativo di non lasciarsi andare definitivamente. Il sangue scendeva copioso dalle labbra dischiuse e dalla ferita, un foro che lo avrebbe attraversato da parte a parte se non fosse stato per il proiettile rimasto incastrato in una costola.
I suoni giungevano ovattati alle sue orecchie. Le immagini erano diventate sfuocate. Il volto che aveva di fronte era quello di Dean, ne era certo, ma ormai non vedeva quasi più niente. Il buio stava calando velocemente tutto attorno, ed era certo che quella fosse la prima volta in cui veramente sentiva di avere freddo. Tremava. Tremava in maniera incontrollabile. Tremava nonostante si fosse reso conto che si trovasse fra due braccia amorevoli, nonostante avesse capito che quelle che stavano colando sulle sue guance e sulla sua fronte erano le calde lacrime di Dean.
Perché stava piangendo? Lui non doveva piangere. Era salvo, era vivo, ed era sicuro che presto sarebbe tornato nel suo tempo, da Sam, e che sarebbe stato in grado di sistemare ogni cosa.
Dean era forte. Dean era molto più forte di quanto credeva. Non doveva piangere… No, non doveva.
Avrebbe voluto essere in grado di dirgli qualcosa, ma non ne aveva la forza. Avrebbe voluto dirgli che presto tutto sarebbe tornato a girare nella giusta direzione, ma i suoi occhi si stavano chiudendo. Le palpebre erano diventate troppo pesanti, e voleva solo riposare.
Non sapeva bene perché, ma dalla sua memoria era affiorato un ricordo che credeva sepolto definitivamente ormai da tempo. Si trattava di un ricordo lontano, un ricordo di quando era stato una creatura celeste, un angelo a cui era stato affidato un compito che non poteva essere disatteso. Ricordava la folle discesa in quel covo di perdizione come se l’avesse fatta solo qualche minuto prima. Ricordava le urla dei dannati, l’odore del sangue e della carne putrefatta. E fra tutto quel dolore, fra tutta quella sofferenza, incastonati in un corpo ormai corroso dall’odio, li aveva visiti: aveva visto quegli occhi ancora puri, quegli occhi ancora buoni, gli stessi occhi del ragazzo che lo stava cullando, che lo stava facendo sentire importante dopo anni trascorsi tra dolore e lacrime, gli occhi del ragazzo che lo stava facendo sentire amato.
 
Per tanto tempo, da quando era caduto, si era domandato quale sarebbe stata la sua sorte una volta che la sua vita mortale sarebbe giunta al termine. Cosa avrebbero fatto di lui i suoi fratelli?
Lo avrebbero condannato ad una pena da scontare per l’eternità, o sarebbero stati magnanimi, permettendogli di trascorrere il tempo nel suo posto felice?
Sì, se l’era domandato per tanto tempo. Chissà per quale strano motivo, ora che era prossimo a saperlo, non gli importava più. Chissà per quale motivo, l’unica cosa che gli importava era sentirsi al sicuro, sentirsi al sicuro per l’ultima volta.
 
“Cass… Cass… No…”.
 
Aveva esalato l’ultimo respiro fra le sue braccia. Castiel aveva esalato l’ultimo respiro fra le sue braccia. Cass era morto per salvarlo.
 
“Perché l’hai fatto, Cass? Perché?”.  
 
Un dolore lancinante stava dilagando nel suo petto, diffondendosi come un’infezione incurabile. Il senso di colpa lo stava divorando, impedendogli persino di respirare.
Lo aveva ucciso. Aveva ucciso Castiel. Poteva non essere stato lui ad aver messo il dito sul grilletto e ad aver sparato, ma non faceva alcuna differenza. Cass era morto per salvarlo. Di nuovo, anche se in tempi diversi, gli aveva fatto scudo con il proprio corpo, prendendosi un colpo che non gli era destinato, accettando una punizione che non meritava.
Poco importava se la prima volta era stato il Diavolo in persona a commettere un tale delitto e ora era stata quella versione di se stesso distorta, deforme. Cass era morto. Era morto per salvarlo, e lui non aveva i mezzi per riportarlo indietro.
 
“Piangi, Dean?” – le parole erano uscite da quella bocca acide come veleno. Il suo viso era contratto in una smorfia indecifrabile, un’espressione che non rispecchiava il tono ironico di quella domanda.
Gli occhi erano diventati lucidi, quasi sconvolti nell’apprendere quale fosse stato il risultato delle sue azioni.
Non era Castiel il suo bersaglio. Non era lui che aveva intenzione di uccidere.
Peccato solo che lo avesse capito nell’esatto istante in cui l’angelo che lo aveva salvato dall’Inferno aveva esalato l’ultimo respiro, nell’istante in cui aveva visto le mani della sua copia di qualche anno più giovane macchiarsi di sangue, nell’istante in cui aveva visto gli occhi che avevano illuminato le sue tenebre chiudersi per sempre a quel mondo che non aveva saputo accettare una creatura tanto fragile e forte allo stesso tempo.
“E’ morto, Dean” – aveva proseguito, immobile, con la mano in cui reggeva ancora la pistola stesa lungo il fianco – “Il nostro angioletto è morto. Questa testa di cazzo s’è preso una pallottola che non gli spettava. E’ morto da martire! O ci ha fregati! Cazzo, bel modo per cercare di guadagnarsi di nuovo il suo posto in Paradiso!”.
 
Avrebbe voluto scoppiare a ridere, regalargli una delle sue risate crudeli, ma essa gli era morta in gola. Non sapeva neanche da dove avesse tirato fuori tutte quelle cattiverie, in quale preciso istante la sua mente le avesse formulate.
Castiel era morto. Quel dannato pennuto era morto per salvare il suo Dean, il Dean che aveva trascinato fuori dall’Inferno ormai tanti anni addietro, quel Dean che un tempo era stato anche lui, quel Dean che aveva disperatamente cercato di salvare dal suo stesso destino.
Perché, per quanto potesse sembrare che il suo fosse stato il gesto di un folle, che quella frase detta prima di sparare fosse stata pronunciata solo per giustificare quel gesto apparentemente così assurdo, così non era stato. Lui avrebbe realmente voluto evitare che quel Dean che era stato un tempo, che il ragazzo leale dei suoi ricordi diventasse la bestia che aveva ridotto in schiavitù l’unico vero amico che avesse mai avuto in vita sua, la bestia che aveva premuto il grilletto.
Se il Dean del passato fosse morto, avrebbe evitato che Cass patisse tutto quel dolore e quella sofferenza di cui era stato vittima per mano sua. Per tanto tempo aveva creduto che la sua coscienza fosse morta in quel dannato cimitero, dopo aver scaricato su Castiel tutta la sua frustrazione per non essere stato in grado di impedire a Sam di dire di sì. Ma solo in quell’istante si era reso conto di quanto sciocca fosse stata quella convinzione. Non aveva smesso di dormire, la notte, perché troppo impegnato a trovare un modo per rispedire il Demonio nel buco da cui era uscito. Non aveva cominciato a bere come una spugna per alleviare il dolore causato dalle continue morti di amici infettati dal Croatoan. Era stata la voce inascoltata della sua coscienza ad avergli impedito di vivere quella che molti avevano ancora il coraggio di chiamare vita. Ma perché, perché se aveva urlato con così tanta forza lui era stato in grado di sentirla solo dopo l’eco assordante di quello sparo?
Perché?
 
“Volevo… volevo liberarti… io volevo…” – ma non aveva proseguito. Qualsiasi cosa avesse detto sarebbe stata superflua, un’offesa. Dean, il vero Dean, non aveva bisogno di essere salvato da lui.
Ci aveva già pensato Castiel. Anche in quell’occasione, Cass aveva saputo cosa si doveva fare.
 
E, finalmente, guardandolo, guardando quel cadavere così scarno, pallido, eppure ancora così dignitoso, anch’egli aveva capito cosa si doveva fare.
 
Non aveva avuto la benché minima intenzione di fermarlo, ma anche se avesse voluto, non ne avrebbe avuto il tempo. Era accaduto tutto in pochissimi attimi, gli stessi in cui lo aveva visto compiere un gesto molto simile, un gesto che stranamente, questa volta non aveva suscitato in lui alcuna emozione negativa, se non un incredibile senso di sollievo, quasi di giustizia. Sarebbe stato troppo anche per lui chiamare quella sensazione vendetta.
 
Alla fine, aveva visto se stesso. Aveva realmente visto se stesso da quando si era ritrovato in quel luogo di terrore e di morte, un se stesso vecchio, stanco, con gli occhi lucidi di lacrime, un se stesso finalmente in grado di vedere, di capire quanto dolore avesse causato per un capriccio ingiusto, per non essere stato in grado di piegarsi e di sistemare le cose quando era ancora in tempo.
 
E, proprio quando entrambi avevano capito, Dean aveva visto Dean puntarsi la pistola alla tempia destra. Dean aveva visto Dean sorridere. Dean aveva visto Dean premere il grilletto e cadere al suolo senza vita.
Dean aveva visto il proprio sangue espandersi al suolo come una macchia di scuro olio che scivola sull’acqua, una macchia che velocemente lo aveva raggiunto, quasi come se quel sangue fosse stato attratto dal corpo ancora vivo e pulsante di cui un tempo aveva fatto parte.
 
La sua mente era diventata improvvisamente vuota. Erano stati troppi i pensieri accavallatisi fino a qualche istante prima. Erano stati troppi, e troppo confusi. Le immagini della vita che aveva vissuto si erano accavallate a quelle della vita che avrebbe dovuto ancora vivere, annullandolo.
Era come un automa. E neppure il gesto che aveva compiuto, quello strano gesto che lo aveva portato a intingere le dita in quella pozza rossa, era stato il gesto più umano che avesse mai compiuto da un po’ di tempo a quella parte, da quando aveva stupidamente litigato con Sam.
 
“Alla fine ce l’hai fatta, Dean. E sei riuscito a fare tutto da solo. I miei complimenti. I miei più sinceri complimenti”.
 
Se non avesse saputo che quello non era lui, forse avrebbe sollevato la testa di scatto, sorridendo, gioendo nel vedere che alla fine, Sam era riuscito a perdonarlo, che Sam, il suo ragionevole fratellino cervellone, alla fine aveva capito prima di lui che era giunto il momento di fare il primo passo.
Ma quello non era Sam. Poteva avere la sua voce, poteva avere il suo aspetto. Ma quello non era, non era Sammy.
 
“Mi hai liberato degli ultimi sciocchi che ancora credevano di potermi fermare. Mi hai risparmiato un po’ di fatica, ma ammetto che allo stesso tempo mi hai privato di un enorme piacere, Dean”.
 
Non aveva proferito parola. Si era limitato a sollevare appena il capo, osservando il viso così familiare del Diavolo.
Era così crudele il gioco a cui erano stati destinati. Nati con il solo scopo di garantire la conclusione di un duello millenario fra titani. A nessuno importava delle vittime che si sarebbero lasciati alle spalle, della morte, della distruzione che l’umanità avrebbe dovuto sopportare. Che peso potevano avere delle scimmie senza peli per chi era stato dotato di un paio d’ali dorate?
Che peso poteva avere la morte di un fratello caduto perché non credeva in una causa, in una profezia che per nessuna ragione al mondo avrebbe dovuto avverarsi?
Sam aveva detto sì. Aveva detto sì e lui non aveva potuto evitarlo. Non aveva voluto evitarlo.
 
Il Diavolo stava parlando, stava esprimendo idee e pareri con quella sua voce suadente, stava parlando e si stava muovendo avanti e indietro, lasciando impronte del sangue di Dean sul pavimento di legno della piccola stanza.
Ma lui non lo stava ascoltando. Avvertiva solo il dolce peso del corpo ancora caldo di Cass, vedeva il sangue di Dean scintillare sul pavimento, e paradossalmente riusciva ad udire il lontano ululato di un cane, forse una madre intenta a richiamare i propri cuccioli.
Presto si sarebbe accorto che ogni sua singola parola era andata dispersa come accade alle foglie al vento, e qualcosa gli suggeriva che si sarebbe incazzato. A che pro fare una cosa del genere, si era chiesto, nascondendo malamente un sorriso più che abbozzato. Non era riuscito a trovare una risposta.
 
“Alla fine, io vincerò comunque. La vostra disfatta è imminente. E sai perché, Dean? Perché, alla fine, Sam mi dirà ugualmente di sì. Castiel è stato solo un pretesto, alla fine dei conti. Ha ricercato in lui un modo per placare la solitudine, per riempire il vuoto che tu avevi lasciato nel suo povero cuore infranto. Forse, lo ha amato per davvero, se quel genere di pensieri si possono chiamare amore, ma questo ormai è solo un lontano ricordo. Ma sai, Dean, la cosa più divertente di tutte è che tu potresti fermarlo. Ne sei ben consapevole. Ma troverai ma il coraggio di uccidere il tuo amato fratellino?” – lo aveva deriso, crudele – “Sacrificheresti Sam per salvare il mondo? Per salvare Castiel? Io credo di no. Io credo proprio di no”.
 
“Uccidimi” – aveva improvvisamente esordito Dean, con la sua voce seria, greve – “Uccidimi adesso. O giuro che troverò il modo di farti fuori. In alternativa, troverò un modo per rispedirti dal buco da cui sei uscito. Ma tornerò indietro, e mi libererò definitivamente di te”.
 
“Ascolta” – aveva risposto il Diavolo, di rimando, con un tono quasi affranto, con un’espressione quasi contrita – “Qualunque cosa deciderai di fare, noi ci troveremo sempre e comunque qui. Ed io vincerò. Vincerò”.
“No” – e, dolcemente, aveva posato le dita sulle labbra insanguinate di Castiel – “Non vincerai. Non vincerai perché adesso so come fare ad impedirtelo”.
 
*
 
Si era ritrovato improvvisamente dove avrebbe dovuto trovarsi sin dall’inizio.
La penombra di quella squallida stanza era la stessa di quando era partito per il viaggio che non avrebbe mai creduto di affrontare. Sentiva ancora l’odore del campo, aveva addosso ancora la stanchezza di quelle ore trascorse fra vita reale – se così poteva definirla – e ricordi di un angelo che non era più tale.
 
Poteva essersi trattato di un sogno. Poteva aver battuto la testa e aver vissuto una sorta di lunga allucinazione sul suo futuro. Ma le mani sporche del suo sangue e la camicia intrisa di quello di Cass erano la testimonianza più evidente di quanto quelle supposizioni fossero false.
 
Non c’era bisogno di un genio per comprendere il perché di quel viaggio. Zac & Co. volevano mostrargli quanto abominevole sarebbe stato il futuro se non avesse detto sì a Michael. Quei bastardi piumati volevano costringerlo a fare l’unica scelta per loro plausibile.
Ma non avrebbe ceduto a quel ricatto gratuito. E non avrebbe dato modo alla profezia di Lucifer di avverarsi. No, non si sarebbero ritrovati a Camp Chitaqua, l’uno di fronte all’altro, e questo perché Sam non gli avrebbe mai detto di sì, perché lui avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di impedire a Sammy di dire sì, pur di salvare Cass.
 
Forse, alla fine, quel Dean aveva avuto ragione. Forse, alla fine, quel Dean era riuscito a salvarlo.
Gli aveva permesso di tornare dalla sua famiglia, da quella famiglia a cui lui aveva rinunciato.
 
E probabilmente, avrebbe dovuto mandare una scatola di cioccolatini a Zac… Alla fine dei conti, il suo malefico piano non si era rivelato poi così del tutto inutile.
 
Aveva avuto un grande privilegio, alla fine dei conti. Anzi, lo aveva vissuto. In quanti avevano avuto l’onore non solo di sbirciare, ma di vivere nel proprio futuro?
Grazie a Zac, ora sapeva cosa doveva fare.
 
Velocemente, aveva afferrato il proprio cellulare riposto sul comodino, premendo il tasto dell’ultima chiamata.
Il cuore gli era salito fino in gola, e per un breve istante aveva creduto di non ricevere risposta.
Ma, ovviamente, si era sbagliato.
 
“Dean?”.
“Cass… Ehi…” – era un sollievo sentire la sua voce ferma, composta, non scossa dalla paura e dal pianto. Era quello il Castiel che voleva ricordare, e si era giurato che non avrebbe mai permesso al Cass del futuro di prendere il suo posto.
“Dean, stai bene?”.
“Sì… sì Cass, sto bene” – non era riuscito a nascondere un sorriso. Lo sapeva che ci sarebbe sempre stato, e quella era stata l’ennesima conferma – “Volevo chiederti un favore… Dovrei parlare con Sam…”.
 
Sì, doveva parlare con Sam, e voleva che lui lo accompagnasse. Lui che lo aveva sempre protetto, che li aveva sempre protetti, li avrebbe condotti fino al 2014, se necessario, prendendoli sotto la sua ala, letteralmente o meno.
No, la profezia di Lucifer non si sarebbe avverata. Camp Chitaqua sarebbe stato solo un ricordo, paradossalmente, non sarebbe mai divenuto una realtà.
Aveva lanciato una sfida al Demonio, e l’avrebbe vinta, perché lui aveva una cosa che a quel mostro mancava. Aveva con sé l’amore della sua famiglia.
 
Fine
 
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*Cleo fa capolino silenziosamente*.
 
Salve!
Che dire? Non so se qualcuno ricorda che secoli fa avevo iniziato a scrivere questa raccolta, ma ecco che dopo mille peripezie, sono riuscita a portarla fino alla fine.
Credetemi, non è stato per negligenza se non ho aggiornato prima. E’ stato un periodo in cui la mia ispirazione Destiel è venuta a mancare.
E’ stato come se Cass e Dean non mi fossero più appartenuti, come se mi fossero sfuggiti dalle mani.
Credetemi, ho davvero pensato che non l’avrei mai finita. Ma, alla fine, così non è stato.
Ho improvvisamente sentito il bisogno di scrivere Destiel, e ho dovuto terminare questa fiction.
Nel bene o nel male, dovevo farlo.
Non starò qui a parlarvi della storia. Credo di aver già detto tutto.
Mi auguro solo che vi sia piaciuta, e mi scuso ancora per avervi fatto attendere tanto a lungo.
 
Vi saluto, con la speranza di poter tornare a scrivere dell’altro Destiel al più presto e che questa 9° stagione sia per tutti di grande ispirazione!
 
Un bacione!
Grazie di tutto!
Cleo
 
   
 
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