Anime & Manga > Makai Ouji: Devils and Realist
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Autore: Ita rb    25/09/2013    2 recensioni
Rivelazioni ambigue oltre lo squittire perenne di un topo, dietro quella porta chiusa – fatta di legno e tali; tra le mura della sua cella, al di là del tempo che scorre a ritroso e della lontananza divenuta eterna: solo qualche pensiero su Gilles.
Dal testo: Puoi scegliere se marcire, diventando polvere, o afferrare la mia mano, umano.
Genere: Angst, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Baalberith, Gilles de Rais
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note: Salve a tutti, fan di Makai Ouji e nuovi fanciullini (?) òwò
I dialoghi che ho voluto inserire in questa storia sono tratti dalle scans che ho letto online, perciò al momento chiedo scusa se non sono riuscita a creare qualcosa di esterno a una semplice slice of life sul personaggio in questione, ma a ogni modo mi è venuto istintivo scrivere qualche riga su di lui e spero vi piaccia!
Per quanto riguarda il pairing è concettualmente legato ai pensieri di Gilles su Jeanne, ma non tratterò di loro nello specifico, anche se sono shippabilissimi <3
Xoxo
 

Ho sentito la voce di un demone.1
 
Erano soltanto attimi indiscutibilmente legati l’uno all’altro, quelli che ricordava a stento, concatenati tra loro attraverso il tempo che sembrava muoversi a ritroso solo per renderlo inverosimilmente distorto.
I ricordi sapevano accartocciarsi su loro stessi, quasi come fotografie spiegazzate che, volando lontano nel vento, si accasciavano morenti al margine d’una strada di periferia; eppure, oltre quella parvenza mortale, sapevano essere ugualmente intoccabili e distinti nella loro forma primeggiante.
Non avrebbe dimenticato nulla, neppure un solo attimo della sua candida ossessione: quel complesso di suoni e rumori che, conditi dal battito d’ali di una colomba, pareva aver mormorato nelle sue orecchie di quale colore fosse l’infinito – apparteneva a lei, soltanto a lei che s’innalzava fievolmente sui corpi ribelli di coloro che avevano osato macchiarne le mani col sangue impuro.
Gli schizzi che coprivano le gote, quelle stesse, ineguagliabili grida che si urtavano inconsulte tra loro nel frammento d’arco che li divideva ancora una volta.
Era diventato un demone soltanto per lei, soltanto per quella creatura testarda e pura che gli aveva rapito l’anima con un solo, semplice, sguardo.
 
Non c’era erotismo, neppure una promessa fugace di un qualsivoglia contatto che andasse al di là delle sue labbra schiuse e virginee, le stesse che sognava tutte le notti, al rintocco del metallo sul pavimento logoro.
Una fotografia sarebbe stata perfetta, o forse anche più di una, ma ancora non esistevano e, percorrendo a ritroso la via, riavvolgendo il margine di quella pellicola usurata, si trovava distante anni e secoli dalla condizione attuale che l’aveva reso nephilim.
 
Era l’incarnazione d’una creatura abietta, il semplice sussurro della vita che fluiva via dal corpo martoriato con infamia dalle sue stesse mani con la sola, disperata, ricerca di uno scopo per cui vivere.
L’aveva perduta e sapeva che non sarebbe più riuscito a trovarla tra tanti, così la follia si era impadronita di lui – no, probabilmente quella era lucidità latente: il terribile fremito della disdetta di un cuore infranto.
Poteva vedere il suo sangue sgorgare di fronte ai suoi occhi, cadendo in terra nella stessa pozza che aveva dinanzi  a sé, e sebbene avesse sperato in una sua visita, colui che apparve di soppiatto nella cella non le somigliava affatto: aveva dei corti capelli scompigliati, un po’ crespi a una prima occhiata, nonché delle iridi viscide e melliflue, simili alla promessa delle sofferenze più torve.
Non aveva un motivo per essere lì, davanti a lui, mentre i polsi, segnati dal legno grezzo e scheggiato, si lamentavano in silenzio – tanto quanto il suo sguardo improvvisamente sorpreso.
Si domandò quale fosse la ragione che era stata in grado di spingerlo nelle mura fetide di quella prigione francese a discapito degli abiti eleganti e sfarzosi che indossava – gli stessi che, un tempo, avrebbero potuto posare sul suo corpo nobile; poi, sollevando il mento, la notò: grande e offensiva, quella cicatrice sfregiava il volto dell’uomo orizzontalmente, carezzandone il naso con costanza, prima di soffermarsi sullo zigomo opposto a quello cui partiva.
«Dio non esiste», aveva detto la sua voce, gracchiando nel nulla, mentre le lacrime uscivano copiose e a stento dalle sue palpebre arrossate e ferite. «Non c’è ragione o prova che Dio esista in questo mondo», aveva aggiunto poi, in tono ancor più gracchiante, sentendo lontani i passi del clero che parevano non avere voglia di ronzargli attorno – dopo tutto lui era stato un mostro, un vero demone in terra, pur non essendo ancora stato trasformato in nephilim. «Lei non era una santa…» aveva borbottato, con un groppo in gola, mentre strisciava in terra come un verme, sentendo il silenzio stridere con il leggero squittire di un topo in lontananza «… la sua santità non è altro che una bugia.»
«Sfortunatamente, i demoni esistono e lo stesso vale per Dio.»
Era stata quella confessione a riscuoterlo, assieme all’odore pungente del sigaro che penzolava dalle sue labbra fine e disumane, mentre lui sembrava fluttuare a qualche centimetro da terra sotto l’effetto di chissà quale strano sortilegio.
Gilles non riuscì a dire una sola parola in quel momento, l’osservò semplicemente, con le labbra secche e dischiuse che fremevano inconsistentemente, mentre le domande si accavallavano l’una sull’altra, seguite dalla tristezza e dall’indecente appiglio cui si era adagiato nella speranza di avere un Suo cenno dall’alto. «Cosa…» provò a dire, battendo poi le palpebre e concentrandosi meglio su quella figura misteriosa che a stento veniva rigettata dalla stessa penombra della cella maleodorante «… chi sei tu?»
Nessuna risposta arrivò alla richiesta del giovane e dissoluto condannato a morte, se non quel ghigno soddisfatto e sbeffeggiante che aveva montato appositamente per lui, mentre rivoli di fumo fuoriuscivano soavemente dalle sue narici strette e taglienti così come il suo sguardo – tutto, di lui, era glaciale, perfino il dettaglio più infimo dell’abbigliamento curato che strideva con la sua figura immortale. «La tua storia ti rende adatto per gl’Inferi», commentò soltanto, togliendosi di bocca il sigaro con fare noncurante, fissandolo dall’alto in basso con una superiorità tale che Gilles non avrebbe neppure immaginato; però non ribatté, visto e considerato che quella strana malia l’aveva avvolto completamente e subito dopo il suo arrivo.
Era dunque riuscito nel suo intento, in fine, dopo tutto il sangue versato e la sua morte imminente che pesava sul capo come la condanna più atroce solo perché lo avrebbe provato del tempo per effettuare nuovi tentativi di richiamare all’attenzione il Dio ingrato e forse annoiato che sedeva sul trono invisibile dei Cieli. Non credeva più a nulla, da quando Jeanne era morta sul rogo a causa delle accuse blasfeme fatte nei suoi confronti; allora, ripensando alla sua purezza, si chiese se davvero fosse pazza o, semplicemente, fosse in grado di vedere ciò che lui stesso stava vendendo in quel momento – e se la prigionia l’avesse mandato fuori di testa come accaduto alla giovane, allora quale sarebbe stata la realtà da tenere in considerazione?
 
Ho sentito la voce di un demone.
 
«Tu hai messo alla prova Dio», disse il demone, inclinando il capo con un beffardo e sornione sorriso che sarebbe stato solo un piccolo preambolo della sua proposta tanto attesa.
Lo fissò qualche istante, poi, assottigliando lo sguardo con un briciolo di divertimento e amarezza, si trovò a domandare a se stesso se qualcuno fosse stato davvero in grado di udire le sue suppliche silenziose, fatte di vite altrui e sacrifici raccapriccianti – qualcuno aveva davvero compreso il suo intento, udendone la voce dalle profondità della prigione francese cui era confinato? «È vero,» ammise «ma non sono stato ancora punito», fece poi, sardonico e furente, sentendo le sue ginocchia scricchiolare al suolo, sulla fredda pietra, solo per mostrarsi umili e sottomesse – ma non a quell’essere, bensì alle sue stesse parole espresse con convinzione ossessiva. «Se Dio esistesse davvero, allora perché non la salvò quando fu tradita dalla sua Patria?» Chiese, furibondo nei confronti di quella creatura evanescente che, neppure in punto di morte, si era degnata di comparire al suo cospetto per dargli delle spiegazioni. «Perché non ha salvato Jeanne d’Arc?»
Lo vide sorridere, allora, mentre si fermava in terra, chinandosi di fronte a lui e cercando parità nei suoi occhi stravolti, Gilles si disse che la misteriosa scintilla oscura del suo sguardo non poteva ingannarlo: i demoni esistevano davvero. «L’ami così tanto?» Lo schernì appena, allungando la mano verso le labbra solo per lasciare che il sigaro si concentrasse tra i denti serrati delle due arcate bianche. «Hai pensato che Dio ti avrebbe giudicato, qualora fossi stato in grado di commettere tutti i peccati capitali?» Insistette, conoscendo perfettamente la risposta e tutto ciò che sarebbe conseguito a quell’inutile tentativo di predominanza che, fondamentalmente, aveva avuto nello stesso momento in cui aveva fatto il suo ingresso tra le mura sudice della cella altrui.
 
«È l’ora», tuonò nell’aria una voce, mentre quella dell’essere misterioso si faceva più eterea e subdola, assottigliandosi nelle sue orecchie come un mormorio.
Baalberith si presentò senza remore, vedendolo solo ghignare appena nell’inconsapevolezza della realtà che quell’accenno di pazzia gli aveva donato per qualche momento; allora, seguendolo con lo sguardo, fece in modo che i suoi passi gli risuonassero nel petto, uno a uno, mentre il dubbio gli logorava le interiora come vermi annidati nelle profondità dei cadaveri in putrefazione sugli altri patii.
 
Rarefatto, sempre più lontano e insistente, lo tormentava quel richiamo maligno: Puoi scegliere se marcire, diventando polvere, o afferrare la mia mano, umano.
 
Ho sentito la voce di un demone.
 
 
1 Citazione finale di Gilles de Rais nel capitolo 25 del manga.
   
 
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